sabato 2 giugno 2018

PERCHÉ IL NOSTRATICO NON FUNZIONA?

Il nostratico è un'ipotetica macrofamiglia (o superfamiglia) linguistica, che include molte famiglie di lingue endemiche dell'Eurasia. Il suo nome è stato costruito a partire dall'aggettivo latino nostras "della nostra terra" (confronta anche nostrates "i nostri compatrioti" e nostratim "secondo i nostri costumi", "a modo nostro"). Per i non addetti ai lavori, spiegherò in modo semplice il concetto, rimandando al Web per approfondimenti. A partire dalle lingue indoeuropee attestate, i linguisti sono stati capaci di ricostruire il loro ipotetico antenato. Il problema a questo punto era stabilire l'origine di questa protolingua indoeuropea e quali sarebbero i suoi rapporti con altre protolingue, ad esempio con quella ricostruita a partire dalle lingue uraliche. Così a qualcuno è venuto in mente di ricostruire un antenato comune per un certo numero di famiglie linguistiche. Ancora oggi, molti si oppongono a questo concetto per motivi politici e ideologici. C'è addirittura chi è andato in marasma e ha esclamato: "Sarebbe terribile se fosse vero!". Se non vado errato, questa perla si deve all'ineffabile Larry Trask. Non va nascosto che per molti antisemiti è inaccettabile pensare che la lingua delle antiche genti indoeuropee possa avere anche solo l'origine di una sillaba in comune con le lingue afroasiatiche, a cui appartiene la lingua ebraica. In questo ambiente si annoverano i più acerrimi nemici della linguistica nostratica: l'origine dell'indoeuropeo dalla Terra Cava e da Vril è ritenuta più accettabile.

L'idea di una parentela a lungo raggio tra l'indoeuropeo e altre famiglie linguistiche si ritrova già agli inizi del XX secolo negli studi del danese Holger Pedersen, che propose una macrofamiglia cui diede il nome di nostratico (danese nostratisk, tradotto in America come Nostratian, forma che non ebbe successo). Questo embrione di nostratico includeva l'indoeuropeo, l'uralico, l'altaico e l'afroasiatico. Così scriveva il Pedersen nel lontano 1903:

«Grønbech considera possibile (p. 69) che la parola turca per "oca" possa essere presa a prestito dall'Indo-Germanico (Osm. kaz, Yak. xās, Chuv. xur). A parer mio ci sono tre possibilità riguardo a questa parola: coincidenza, prestito e parentela. Si deve tenere in conto anche quest'ultima possibilità. Moltissimi ceppi linguistici in Asia sono senza dubbio imparentati con quello Indo-Germanico; questo forse vale per tutte quelle lingue che sono state caratterizzate come Uralo-Altaiche. Sarebbe come unire tutti i ceppi linguistici imparentati con l'Indo-Germanico sotto il nome di "lingue Nostratiche". Le lingue Nostratiche occupano non solo un'area molto vasta in Europa e in Asia, ma si estendono anche fino all'interno dell'Africa; perché le lingue Semito-Camitiche sono secondo me senza dubbio Nostratiche. Riguardo alla prova della parentela delle lingue Nostratiche, non solo si deve tenere lontano tutte le etimologie delle radici e in generale tutte le frivolezze etimologiche, ma in generale non ci si deve preoccupare di accumulare una massa di materiale. Ci si dovrebbe piuttosto limitare alla considerazione razionale di una serie di pronomi, negazioni, in parte anche numerali che possono essere tracciati attraverso molti ceppi linguistici (in Turco sono reminiscenti dell'Indo-Germanico la negazione -ma, -mä e la particella interrogativa iniziale di parola m, il pronome interrogativo kim, il pronome di prima persona män, la terminazione verbale della 1. sing. -m, 1. plur. -myz, -miz e l'uscita -jin della 1. sing. dell'"ottativo," che ricorda molto il congiuntivo dell'Indo-Germanico [con gli affissi ottativi -a-, -ä-], il pronome di 2. sing. sän [cfr. l'uscita verbale IdG. -s], la formazione causativa con -tur- [cfr. IdG. -tōr nomen agentis; il causativo Indo-Germanico sembra anche come se fosse derivato da un nome d'agente del tipo φορός], i nomina actionis come Orkh. käd-im "che veste," diversi numerali numerals: Orkh. jiti "7," jitm-iš "70," [con j = IdG. s come in Proto-Turco *jib- "avvicinare"; Osm. jyldyz "stella": la parola Indo-Germanica per "sole"; jat- "giacere": la parola IdG. per "sedere"]; Proto-Turco bǟš "5" [con š = IdG. -que; cfr. Osm. piš- "essere cotto," IdG. *pequeti "cuoce"] etc., etc.). Resisto alla tentazione di entrare nella questione più in dettaglio.» 

Per motivi ideologici e politici, questa idea di Pedersen fu attaccata vigorosamente e cadde presto nell'oblio. Riemerse soltanto nei primi anni '60 in Unione Sovietica, quando il semitologo Aharon Dolgopolskij e lo slavista Vladimir Illič-Svityč la ripresero indipendentemente (si conobbero soltanto nel 1964). Il loro lavoro fu senz'altro titanico: raccolsero tutto ciò che era stato pubblicato in Europa occidentale sui tentativi di ricostruire una macrofamiglia che rendesse conto delle origini dell'indoeuropeo, a partire dai lavori di Alfredo Trombetti sulla monogenesi delle lingue umane. Non fu di certo facile dare forma sistematica a tante ricostruzioni di diversi autori. Tra le ipotesi considerate si possono citare la macrofamiglia indo-uralica di Björn Collinder e Holger Pedersen, la macrofamigia uralo-altaica di Martti Räsänen, la macrofamiglia indo-semitica di Holger Pedersen, Piero Meriggi e Luigi Heilmann. Dolgopolsky e Illyč-Svityč, lavorando separatamente, conclusero che esistevano indizi fondati per la ricostruizione di una macrofamiglia, a cui fu dato il nome di nostratico già usato da Pedersen. Le lingue incluse nel nostratico dai due autori sono le seguenti: 

1) Lingue indoeuropee
2) Lingue uraliche
3) Lingue altaiche
4) Lingue kartveliche (caucasiche meridionali)
5) Lingue camito-semitiche (oggi denominate afro-asiatiche)

In seguito Illyč-Svityč fece un'aggiunta:

6) Lingue dravidiche 

A quanto mi pare di intendere, gli studi dei due sovietici si svolsero in condizioni catacombali di completa assenza di comunicazioni col mondo esterno, forse per terrore che qualche commissario politico potesse giudicarli contrari all'ortodossia. Fatto sta che il linguista Vladimir Dybo riuscì comunque a venirne a conoscenza. Osservò il lavoro dei nostratisti e per qualche anno evitò di interferire, sembra per "conservare la purezza dell'esperimento". Poi, nel 1964, fece sì che Dolgopolsky e Illyč-Svityč finalmente si incontrassero. Ebbe così inizio una collaborazione che durò fino al 1967 - anno della morte di Illyč-Svityč. Da allora sono successe molte cose. Dolgopolsky è migrato in Israele e nuovi accademici si sono aggiunti al progetto, che ha preso il nome di Nostratic Workshop. Da allora le conoscenze sono progredite notevolmente.

Riporto il link a una pagina dell'Università di Cambridge che permette di consultare e scaricare il Nostratic Dictionary di Aharon Dolgopolsky (Terza edizione) : 


Mi rendo ben conto che non è affatto curato nella forma. Si presenta come magma vulcanico non fruibile, senza cura alcuna per le necessità del lettore. Un groviglio di sigle, simboli non convenzionali, tutto fuorché agevoli. Migliaia di vocaboli sono buttati assieme in giganteschi crogioli, senza alcuna esposizione sistematica.

The Tower of Babel (An International Etymological Database Project) è un progetto altamente meritorio che si prefigge di ricercare parentele a lungo raggio tra le famiglie linguistiche del mondo intero. Il suo fondatore è stato Sergei Starostin, attivo nel Web fin dalla metà degli anni '90. Tra i suoi collaboratori possiamo citare suo figlio George e quello stesso Vladimir Dybo che tanta parte ha avuto nel progresso degli studi nostratici. Il lavoro di questi studiosi ha dato vita a un database liberamente accessibile che contiene le protoforme ricostruite di numerose famiglie linguistiche, con migliaia di radici e di etimologie (per quanto ve ne siano di discutibili). Lo studioso è defunto nel 2005, ma la Scuola di Mosca continua la sua opera. Questi sono gli atenei che partecipano all'impresa:

The Russian State University of the Humanities (Center of Comparative Linguistics)
The Moscow Jewish University
The Russian Academy of Sciences (Dept. of History and Philology)
The Santa Fe Institute (New Mexico, USA)
The City University of Hong Kong
The Leiden University

Questo è il link dell'homepage del progetto: 


Queste sono le lingue incluse nella macrofamiglia nostratica da Sergei Starostin e dai suoi collaboratori: 

1) Lingue indoeuropee
2) Lingue uraliche
3) Lingue altaiche
4) Lingue kartveliche (caucasiche meridionali)
5) Lingue dravidiche
6) Lingue eschimo-aleutine
7) Lingue paleoartiche (
Čukotko-Kamčatke) 

Questo è il link al database delle lingue nostratiche:


Questo è il link alla pagina che comprende tutti i database (anche relativi a macrofamiglie non nostratiche): 


La macrofamiglia nostratica è chiamata anche eurasiatica da questi autori. Le lingue afroasiatiche sono considerate una macrofamiglia sorella del nostratico, anziché un suo ramo derivato. L'ipotetica protolingua da cui sarebbero derivate le lingue nostratiche (o eurasiatiche) e le lingue afroasiatiche è denominata boreano. La sua ricostruzione è considerata approssimativa.

L'ipotesi nostratica ha sostenitori anche al di fuori della Russia. Il linguista americano Allan R. Bomhard, nato a New York nel 1943, è senza dubbio uno dei massimi nostratisti oggi viventi. Le sue opere sono consultabili e scaricabili liberamente nel suo account su Academia.edu. Tra queste c'è il suo fondamentale e imprescindibile A Comprehensive Introduction to Comparative Nostratic Linguistics, disponibile sia in quattro volumi separati che in un file unico. L'aggiornamento è costante: l'autore carica spesso nuove versioni. La terza edizione è apparsa nel 2018.


Rispetto a Starostin, Allan Bomhard utilizza una diversa nomenclatura. Chiama lingue eurasiatiche quelle che gli autori russi chiamano nostratiche, mentre chiama nostratico l'antenato comune delle lingue eurasiatiche e di quelle afroasiatiche. Inotre include nel novero delle lingue nostratiche anche la lingua sumerica e la lingua etrusca: una scelta a dir poco controversa che avremo modo di discutere diffusamente in un'altra occasione. Sergei Starostin, per contro, non considera il sumerico e l'etrusco, preferendo collegare quest'ultimo con le lingue nord-caucasiche, ipotesi che reputo condivisibile. Va però detto che gli autori della Scuola di Mosca hanno conoscenze abbastanza scarne sulla lingua etrusca.

Critiche

Come mai ci sono tante divergenze nella collocazione di diverse famiglie all'interno del nostratico? Molto semplice: è ignota la distanza tra i vari rami della macrofamiglia postulata, proprio come sono ignoti i processi di glottogenesi.

Non sono state ricostruite singole protolingue, ad esempio il proto-indouralico a partire dal proto-indoeuropeo e dal proto-uralico, allo scopo di risalire poi da queste fino a una protolingua comune. Nonostante Dolgopolsky e Illič-Svityč si siano avvalsi di lavori in cui si postulavano protolingue come l'indo-uralico e l'indo-semitico, si hanno forti dubbi sul fatto che queste opere includessero ricostruzioni sistematiche. Si veda l'estratto dell'opera di Pedersen da me riportato in questa sede per comprendere il tenore di questi tentativi, per il vero piuttosto rudimentali. L'ideologia comune a tutti i nostratisti sembra essere questa: ritenere tutti i rami della macrofamiglia nostratica (o eurasiatica) come se fossero equidistanti e prodotti da una semplice scissione di una protolingua, così come le lingue romanze si sono formate a partire dal latino volgare. Inutile dire che le cose sono ben più complesse. 

Si ha l'impressione che la metodologia usata dai nostratisti sia sempre top-down anziché bottom-up. Quando la ricostruzione di una protolingua è top-down, l'artefice postula che varie lingue abbiano un'origine comune, tenta di costruire le protoforme a partire dal proprio intuito prendendo un certo numero di radici assonanti e di affissi delle lingue attestate, quindi cerca delle corrispondenze fonetiche regolari. Quando la ricostruzione di una protolingua è bottom-up, l'artefice parte dalle lingue attestate e da queste risale a singole protoforme. Se riesce a trovarne in gran numero, se le corrispondenze fonetiche sono regolari e se l'eliminazione dei prestiti non presenta gravi difficoltà, è riuscito nel suo intento di trovare l'origine comune delle lingue studiate.

La metodologia bottom-up dovrebbe sempre essere usata in qualsiasi ricostruizione di una protolingua. Ogni tentativo di ricostruzione top-down è viziato dall'ideologia e votato al fallimento. 

Si noterà che anche la distanza tra le lingue nostratiche più vicine è eccessiva. Per questo motivo, tale è l'abisso che separa le singole lingue derivate, che il nostratico ricostruito non ha molto senso: è come se fosse "appiattito".

C'è però qualcosa di ancora più importante. Le ricostruzioni disponibili della protolingua nostratica non possono essere utilizzate per riconoscere la natura di lingue di dubbia affiliazione e per comprendere i dettagli del loro sviluppo. 

Prendiamo il caso dell'etrusco. Se fosse una lingua indoeuropea, come molti ancora si ostinano a pretendere, l'avremmo già pienamente compresa da molto tempo. Avremmo afferrato da un pezzo le corrispondenze fonologiche e potremmo comprendere vocaboli problematici senza far ricorso al metodo combinatorio. Potremmo persino prevedere un certo numero di parole del lessico di base a partire dalle protoforme indoeuropee e dalle leggi fonetiche dedotte: ci azzarderemmo a ricostruire il nome della ruota, del giogo, del maiale, del bue, etc. Questo non avviene affatto. Quando comprendiamo un vocabolo finora oscuro, ad esempio dal contesto combinatorio o da evidenze esterne, ci salta subito all'occhio che non saremmo mai riusciti a indovinarlo, a prevederlo. Quando, con ottimi argomenti, Giulio Facchetti giunge alla conclusione che marza (attestato sulla Tegola di Capua) significa "piccolo maiale" (secondo me semplicemente "maiale"), il risultato spiazza ogni indoeuropeista. C'è ancora un problema di non poco conto. Anche il nostratico di Bomhard ci serve a poco. Il suo potere di illuminare il lessico etrusco è ben scarso! 

Nei lavori dei nostratisti non è analizzato per origine il lessico delle singole protolingue comparate, non sono eliminati i prestiti, non è considerato minimamente il sostrato. Per Dolgopolsky come per Starostin e per Bomhard, è indoeuropeo tutto ciò che è attestato anche come hapax in ogni singola lingua indoeuropea. Tutti prendono queste forme e le proiettano nel passato all'infinito, senza tener conto della loro possibile origine da lingue parlate prima dell'imporsi delle lingue indoeuropee. 

Per fare un esempio, ho visto il proto-uralico *śilmV- "occhio" confrontato con il greco στιλπνός (stilpnós) "splendente", che in realtà è un vocabolo pre-greco. Così l'isoglossa, se anche fosse valida, sarebbe tra proto-uralico e pre-greco (non IE), non tra proto-uralico e proto-indoeuropeo! Questo fatto complica non poco le cose. C'è troppa distanza persino tra il proto-indoeuropeo e il suo supposto parente più prossimo, il proto-uralico. Non è chiaro se le isoglosse siano prestiti o se siano termini ereditati da una protolingua.

Ci sono conflitti anche dove non dovrebbero essercene da tempo. Lo stesso indohittita, antenato delle lingue indoeuropee proprie e delle lingue anatoliche, non è stato ricostruito bene, o in ogni caso materiale non è facilmente reperibile. Non solo. Si rimarcano alcune divergenze significative tra diversi rami dell'indoeuropeo, che rendono difficile la ricostruzione di una protoforma comune. Non si riesce a ricostruire una protoforma compatibile che possa spiegare tutti gli esiti. Prendiamo le seguenti coppie di protoforme, la prima tipica delle lingue IE occidentali, la seconda delle lingue indiane (sanscrito, pracriti e derivati):

*eg'o:(m) / *eg'hom "io" (pron. I pers. sing.) 
*dak'ru- / *ak'ru- "lacrima"
*k'erd- / *g'hṛd- "cuore"

A complicare le cose, le lingue iraniche (antico persiano, avestico e derivati) hanno forme che potrebbero anche risalire a *eg'om "io" e a *g'ṛd- "cuore" (senza aspirazione), dal momento che le consonanti *g' e *g'h sono entrambe diventate *zCome rendere coerenti questi dati? Come si spiegano simili divergenze? Come comprendere quali erano i fonemi d'origine, se gli output storici sono tanto disomogenei?

Esiste una poesia famosa in nostratico ricostruito, composta da Vladimir Illič-Svityč:

K̥elHä wet̥ei ʕaK̥un kähla
k̥aλai palhA-k̥A na wetä
śa da ʔa-k̥A ʔeja ʔälä
ja-k̥o pele t̥uba wet̥e

La lingua è un guado nel fiume del tempo,
ci porta alla dimora dei nostri antenati;
ma non vi potrà mai giungere,
colui che ha paura delle acque profonde.

Vediamo che la parola per dire "acqua" è assai simile al proto-uralico *wete- (cfr. finlandese vesi "acqua", pl. vedet). Si capisce che la protoforma uralica ha avuto un ruolo importante nella ricostruzione, più di quella indoeuropea, che presenta suffissi ed è più complessa. Eppure secondo me ci sono indizi sul fatto che la forma proto-uralica sia un antico prestito. Il proto-uralico potrebbe benissimo essere un complesso creolo! 

Per concludere, non sono scettico sull'ipotesi nostratica. Ritengo tuttavia che le sue attuali formulazioni siano inadeguate e che si rendano necessari studi ben più approfonditi. Le lingue non sono blocchi monolitici da incastrare come mattoncini del Lego.

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