sabato 22 dicembre 2018

NOTE SUL LAVORO DI BEICHLER

James "Jim" E. Beichler (ricercatore indipendente) è l'autore del saggio To Die For: The physical reality of conscious survival, pubblicato nel 2008. Su Academia.edu è presente un estratto del capitolo 6, The Nature of Death. Questo è il link: 


Questo è il breve abstract, da me tradotto: 

La Scienza, per come definisce se stessa, non accetterà mai il paranormale e i fenomeni correlati, per non parlare della possibilità di un aldilà, non importa quante evidenze sono raccolte e non importa quanto convincenti esse sian, perché la Scienza non ha mai sviluppato gli strumenti concettuali e intellettuali o il vocabolario per maneggiare simili possibilità. La Scienza accetterà il paranormale e la possibilità di un aldilà solo quando emergerà una nuova teoria della realtà fisica, come un'unificazione della relatività generale e della teoria quantistica nella fisica, che implica direttamente e logicamente l'esistenza di queste cose come sue proprietà fondamentali.

Questo è l'indice dell'opera:

Introduction   4-5

Chapter 01 Some things never change (some things do)
   The boy cried   6-10
   Science, Religion and Nature   10-18
   Science does mind   17-24

Chapter 02 Supernatural Perspectives of Death
   The religious pot of stew   25-28
   Eastern Religious Perspectives   28-33
   Western Religious Perspectives   33-44
   The religious stew boiled down   44-49

Chapter 03 Natural Perspectives of Death
   The road not so well traveled   50-54
   From Thanatology to NDEs   54-63
   The nature of consciousness   63-70

Chapter 04 Paranormal Perspectives of Death
   Science beyond the normal   71-75
   The spirit of science   75-85
   The loss of soul and spirit   85-98
   Apparitions and Ghosts R Us   98-107
   Small, Mediums and Large   107-112
   There and back again   112-117

Chapter 05 The SOFT Life
   That’s Life   118-120
   Physical Reality   120-124
   Imagining the un-imaginable   124-129
   Our five-dimensional Life   129-138
   LIFE: The body inside out   139-143
   Memories are made of this   143-154

Chapter 06 The Nature of Death
   Irimi - Entering Death   155-158
   We enter death SOFTly   158-164
   SOFT NDEs   164-171
   Post NDE SOFT landings   171-179
   NDLEs   179-187
   ‘Where’ is death?   187-191

Chapter 07 A Universe of Purpose
   Everything that has a beginning has an end   192-195
   Natural Purpose  196-203
   Some things never change and some things do   203-209
   To live and let die   209-213

Chapter 08 Epilogue: (Some things never change, but …) Some things do
   Play it again Sam   215-221
   What goes around, comes around   221-225
   And goes around again   225-231
   Solving the Universe   231-240
   Buddha, Jesus, Human Enlightenment, and the dawn of the
         MYSPHYTS   240-248
   The Kaballah – a Warning   248-250
   The Boy Cried   250

Bibliography   251-255

Il libro è un ambizioso tentativo di comprendere la natura della Morte, che non riesce tuttavia a convincere il lettore e ad aiutarlo a risolvere l'atavico problema del rapporto che l'essere umano ha con la propria cessazione. Va precisato che Beichler non è un semplice guru propalatore di baggianate New Age a buon mercato: è un fisico teorico con un curriculum accademico di tutto rispetto, che a un certo punto è stato isolato dai colleghi per le sue idee eterodosse. Il suo interesse principale è infatti lo studio della parafisica, che consiste nel tentativo di applicare la fisica ai fenomeni paranormali, esplorando la possibilità teorica della sopravvivenza dell'essere oltre la morte. Il fondamento della parafisica beichleriana è di per sé rivoluzionario, in quanto consiste nella derivazione diretta dell'autocoscienza e dell'immortalità dello spirito umano dalle leggi fisiche che governano l'Universo. Riporto il link a un'intervista in cui Beichler risponde a numerose domande sulle sue idee e sul suo lavoro, poste da Michael E. Tymn:


La parafisica è una scienza?

Luigi Pirandello affermò che se vogliamo capire la vita, i lumi ci devono venire da ciò che sta al di fuori della vita stessa, ossia dalla Morte. Il problema è che nessuno è mai riuscito a inviare sonde nei tenebrosi abissi del Tartaro. Allo stesso modo, nessuna sonda è mai giunta a noi da quelle spaventose profondità. Secoli prima un altro grande, Galileo Galilei, ebbe a raccomandare di misurare ogni cosa e di rendere misurabile ciò che non è misurabile. La pietra d'inciampo è ancora una volta la Morte. Possiamo rendere misurabile tutto, anche lo sterco, ma ciò che è connesso con la cessazione della vita continua a sfuggirci. Alla domanda se la parafisica sia o non sia una scienza, non posso rispondere in modo netto e immediato senza aver prima analizzato il materiale disponibile. Dobbiamo ammettere che gli intenti della parafisica sono di certo quanto di più nobile possa esistere. Tuttavia gli intenti non sono sufficienti a rendere scientifico qualcosa. Il mio sospetto è che ci vorrà ancora molto tempo per fare della parafisica una scienza vera e propria. Al di là delle solite fumisterie sulla quantistica, come al solito estesa al dominio macroscopico, non vedo una sola definizione di osservabile fisica che serva a chiarire i problemi in causa. Il modello teorico sviluppato da Beichler si fonderebbe a suo dire su un continuum spaziotemporale di Einstein-Kaluza a cinque dimensioni. Uso il verbo al condizionale perché non ho visto da nessuna parte nemmeno una singola equazione utile. Non sono stato in grado di reperire informazioni dettagliate e chiare sulla teoria, e soprattutto su come implicherebbe in automatico la natura immortale della consapevolezza umana. Su Academia.edu si trovano  alcuni contributi dell'insigne parafisico, ma nessuno è dotato del necessario rigore scientifico. Si parla soprattutto delle seguenti amenità: Tao, nuovo paradigma, unificazione della fisica occidentale col misticismo orientale, prana, chakra, etc. In una presentazione viene mostrata in modo provocatorio un'equazione, senza alcuna spiegazione, con la scritta ironica "For those who need an equation". La matematica beichleriana non semba molto robusta. Più oltre, scorrendo le slide, si trovano figure relative alla teoria del campo unificato, finendo poi per scivolare nella New Age, con il corpo materiale descritto come "curvatura quantizzata o schema materia/energia" e a destra della strana figura gli organi interni (intestino, fegato, cuore, cervello, etc.) che prendono forma come "paranormale o input del sesto senso". A questo punto il fetore della New Age mi satura già le narici e monta in me la furia. Una slide dopo, ecco il flusso Chi dell'agopuntura e i chakra. Non ci credete? Si trova tutto qui:  


Per il resto, dovunque nel Web si trovano soltanto descrizioni giornalistiche, a mio avviso prive di qualsiasi valore. Questa, per esempio:


La mia conclusione, stando così le cose, è che tutto questo materiale si collochi nel vasto campo della pseudoscienza. 

Reazioni controproducenti 

Di fronte a questi argomenti parafisici scatta in genere la furibonda reazione degli inquisitori dello scientismo materialista. Strepitando come gallinacci, urlano e pestano i piedi, affermando che tutto si spiega con il Dio Cervello e con l'Evoluzione. Essendo stato sfidato un dogma, essi intervengono. Entra in campo il CICAP per difendere e imporre l'Ortodossia. Eppure tutti questi sforzi sono vani e non sortiscono l'effetto sperato. A me destano soltanto irritazione per la loro natura essenzialmente religiosa. Quello che invece si deve fare è analizzare ogni teoria per evidenziarne contraddizioni intrinseche. Il punto è che emergono numerose incoerenze sia nelle teorie parafisiche che in quelle materialistiche. Il mondo accademico dovrebbe poi occultare con somma verecondia le baggianate di Roger Penrose sui microtubuli quantistici, proprio come un soldato ha il dovere di nascondere alla vista dei civili un commilitone ubriaco.  

Il problema delle NDE 

Lo stesso Beichler afferma di aver sperimentato nella sua vita un'esperienza di pre-morte (near death experience, NDE) che gli avrebbe permesso di sfuggire al disastro di Ramstein e all'incidente aereo di Lockerby. Aggiunge che quanto gli è capitato non è l'origine del suo interesse per la parafisica, semmai ha soltanto rinforzato una fede che già possedeva. Anche le NDE presentano problemi non indifferenti, che non possono essere aggirati, essendo pertinenti all'ontologia. Se restassi al confine tra la vita e la morte e vedessi la figura di un angelo con l'aspetto di una donna bellissima, mi porrei alcune domande. Tale angelo è fatto di materia? Ha un corpo fisico? A cosa gli servono le sue fattezze fisiche e gli organi di senso? A che gli serve, per esempio, la bocca? Per parlare? Per mangiare? Per fellare? Capite il problema? Se l'angelo parla, diffonde onde acustiche nell'atmosfera, fatte di variazioni di densità dell'aria circostante, che propagano a una data velocità giungendo fino alle mie orecchie, venendo convertite in onde elettriche dal mio cervello e interpretate. Se l'angelo mangia, significa che esiste un ciclo biologico che costringe a ingerire sostanze biologiche, destinate ad essere digerite e defecate. Quindi anche l'aldilà sarebbe un mondo imperfetto fondato sui princìpi della termodinamica. Se l'angelo pratica la fellatio, significa che è un individuo facente parte di una specie dotata di sessualità. Quindi una specie i cui individui nascono, crescono, si accoppiano, decadono e muoiono. Una specie che può essere dotata delle più svariate parafilie. Come diceva Lautréamont, aspettatevi di trovare in Cielo le stesse aberrazioni che imperversano sulla Terra! Un'amica affermava anni fa di aver vissuto una NDE e di aver visto i verdi pascoli di cui parlano le Scritture. Bene, se ci sono valli e montagne coperte di erba, significa che siamo su un pianeta dotato di ciclo dell'acqua, con mari e fiumi, evaporazione e pioggia. Un mondo fisico con cicli biologici complessi, che comportano la crescita di vegetazione, la presenza di animali che se ne nutrono, che ingurgitano e defecano. Quindi ancora una volta un mondo imperfetto, materiale, tutto fuorché spirituale! Ricordo il caso di un neurochirurgo americano, Eben Alexander, che sosteneva di aver avuto una NDE durante un coma durato sette giorni, mentre il suo cervello non registrava la benché minima attività. In queste condizioni Alexander avrebbe visto un mondo bellissimo, con un'incredibile numero di farfalle e una fanciulla incantevole dai grandi occhi, che gli avrebbe rivelato i misteri più reconditi dell'Universo. Il tutto è stato descritto nel suo libro, Milioni di farfalle (2013). Quando ho letto questa notizia, ho subito pensato che un mondo con milioni di farfalle è un mondo con milioni di bruchi!

giovedì 20 dicembre 2018

NOTE SUL LAVORO DI BOCCARDI

Emiliano Boccardi (Università di Bahia, Brasile) è l'autore dell'articolo Turning the Tables on McTaggart, pubblicato nel 2018 e presente su Academia.edu. Può essere consultato e scaricato liberamente al seguente link:


Questo è l'abstract, da me tradotto: 

"Secondo le A-teorie del tempo, il fondamento metafisico del cambiamento e della dinamicità è fornito da un continuo spostamento in cui gli eventi sono passati, presenti e futuri (A-determinazioni). Si dice spesso che queste teorie rendano meglio conto della nostra esperienza di dinamismo rispetto alle loro rivali, le B-teorie; secondo queste ultime, la dinamicità si fonda unicamente nelle relazioni irriducibili prima-di (B-relazioni) che si ottengono tra eventi o stati di cose. In questo articolo, sostengo che l'esperienza della dinamica del tempo, al contrario, non può essere spiegata solo in termini di rappresentazioni di A-determinazioni irriducibili, poiché ogni rappresentazione che sia adeguata per fondare queste esperienze deve di per sé comportare la rappresentazione di B-relazioni irriducibili, mentre non ha bisogno di rappresentare le A-determinazioni. Anche se, per un fatto contingente, le nostre esperienze di dinamicità consistessero in rappresentazioni di successioni di A-determinazioni, ciò che spiegherebbe il loro essere esperienze di dinamicità sarebbero solo le relazioni B-teoriche di successione, piuttosto che l'irrilevante natura A-teorica della relazione."

Piuttosto pesantuccio, non trovate? 

L'autore ha come motto una professione di fede che trovo rodomontesca: "I argue that the B-theory is uniquely capable of making sense of the experience of time as passing." Un'affermazione audace quanto inverosimile, un po' come sostenere che la castità di Valentina Nappi è dotata della capacità unica di rendere conto dei suoi video pornografici. "I argue that Valentina Nappi's chastity is uniquely capable of making sense of the experience of her porn videos, showing her playing anal gangbangs with dozens of mandingos at once." Due realtà: il succedersi degli eventi e la pornografia della Nappi. Due chimere partorite dalla mente dei Puffi: la teoria B-eternista e la castità della Nappi. Il parallelismo mi sembra ben chiaro. 

Vediamo che il Boccardi è un vero e proprio partigiano del B-eternismo e dell'inesistenza del mutamento. Il suo profilo su Academia.edu contiene numerosi contributi sullo spinoso argomento, oltre a quello già menzionato. Ecco alcune perle particolarmente significative:


3) The Passage of Time and its Enemies: an Introduction to Time and Reality II 


4) Recent Trends in the Philosophy of Time: an Introduction to Time and Reality I 


5) If It Ain't Moving It Shall Not be Moved


6) Contradictions in Motion: Why They’re not Needed and Why They Wouldn’t Help 


7) Divenire e Contraddizione: Storia e Teoria di un Problema 


Gli anglosassoni e gli assimilati alla loro forma mentis non riescono ad afferrare che le parole sono solo etichette attribuite per convenzione ad aspetti della realtà non sempre comprensibili alla mente umana. Quello che loro sfugge - sembra per incapacità ontologica - è la natura in ultima analisi arbitraria di queste etichette: esse hanno senso soltanto in virtù della storia della lingua in cui sono utilizzate. Spesso parlano di nulla, come Mercuzio ubriaco. Prendiamo le parole inglesi che definiscono il tempo: 

tense "tempo" (grammaticale)
     < lat. tensio, donde anche l'italiano tensione
time "tempo" (che passa)
     < norreno tími, < proto-germanico *tīmēn 


Il secondo termine ha la stessa radice di tide "marea" e del tedesco Zeit "tempo". 

Questa distinzione concettuale è presente a quanto ne so unicamente in inglese. Per questo motivo il dibattito eternismo contro presentismo è particolarmente accanito tra gli anglosassoni e genera mostri all'infinito, mentre tra le altre popolazioni vive solo di riflesso. Il dibattito vero non è veramente nemmeno partito, perché ci sono troppi spocchiosi accademici che si strappano le vesti e i capelli cercando di capire tutto con stupidissime equazioni logiche assolutamente inutili, che in ultima istanza valgono meno di un esiguo mucchietto di feci di bruco.

Se io chiamo "eventi" diverse configurazioni temporali, ossia due punti diversi dello spaziotempo, ecco che un accademico anglosassone viene colpito da un infarto. Eppure l'attribuzione di tale semplice etichetta, "eventi", a me sembra del tutto naturale. Il fatto che si sia dimostrata l'inconsistenza del concetto newtoniano di tempo come dimensione assoluta, non implica l'inesistenza di insiemi ordinati di configurazioni definibili come "eventi". Possiamo dire che tali successioni di "eventi" definiscono quello che conosciamo come "mutamento". Se una teoria non dà un contributo sensato alla spiegazione di tutto questo, non ce ne facciamo proprio nulla.

Cosa non va nel B-eternismo? Semplice. Non spiega la realtà delle cose. Non spiega in alcun modo ciò che noi percepiamo. Non spiega il mutamento. Prendiamo per esempio una persona che si punta una pistola a una tempia e fa la roulette russa. Ogni volta che preme il grilletto, esiste una probabilità non nulla che parta l'unico proiettile presente nel tamburo dell'arma. Se questo avviene, ecco che la persona in questione muore, ossia finiscono in lei i processi biologici. Si ha una transizione irreversibile e quasi istantanea da una condizione definita come "vita" a una condizione definita come "non vita" o "morte". La successione degli eventi è univocamente determinata: giro del tamburo, grilletto premuto, sparo, morte. Non si possono permutare questi fattori ad libitum. Se qualcuno non concorda, lo sfido all'ordalia.
I B-eternisti sono sconvolti dalle relazioni tra eventi presenti ed eventi passati. Questo è il loro principale problema, la loro paranoia assoluta. Credono che esista un cunicolo imperscrutabile che parte da un esemplare vivente di Tyrannosaurus rex del Cretaceo e porta fino a me, che vivo nel presente (XXI secolo d.C.). Credono anche che se io riesco a concepire il Tyrannosaurus rex, sia per via di questo fantomatico cunicolo ontologico. Eppure l'idea stessa del cunicolo non si regge. Io concepisco il Tyrannosaurus rex e riesco a comprendere le sue proprietà soltanto perché ci sono fottuti fossili *nel presente* che dimostrano la sua esistenza e che ci permettono di capire le sue caratteristiche fisiche, seppur in modo approssimativo. In realtà il tirannosauro da me immaginato può anche cambiare nel corso della mia vita. E non di poco. Quando ero bambino, tale animale era rappresentato con una pelle liscia simile a cuoio, in genere di colore grigiastro o verde militare, puramente di fantasia. Vedete, da quanto sappiamo ora, è anche possibile che il rettile avesse le piume e che sembrasse più che altro un gigantesco pollo, con tanto di enormi barbigli. Come sappiamo che il tirannosauro somigliava a un pollo e che non fosse glabro? Perché la Scienza ha migliorato le sue capacità di indagine e ha trovato nuove evidenze da qualche anno a questa parte. In realtà, nessuna immagine mentale che posso farmi del Tyrannosaurus rex coinciderà esattamente con l'animale vissuto nel Cretaceo. Queste immagini sono proiezioni fittizie, elucubrate a partire dal presente. Prova ne sia che le ricostruzioni paleontologiche più recenti e accreditate del terribile rettile lo descrivono con un aspetto simile a quello di Paperino! E se fosse un abbaglio dell'Accademia? Quindi per ogni dinosauro possiamo concepire un'applicazione che lega l'animale estinto a quello che immaginiamo grazie alle sue tracce lasciate nel presente. Qualcosa di questo genere:

tirannosauro 1 => tirannosauro 2
triceratopo 1 => triceratopo 2
brontosauro 1 => brontosauro 2
etc...,  


dove il tirannosauro 1 è l'animale esistito realmente nella lontana preistoria, mentre il tirannosauro 2 è l'animale concettuale da noi elucubrato a partire dai residui del tirannosauro 1, e così via. Non sarà inutile far notare che l'applicazione suddetta ha senza dubbio una fallacia molto elevata.

Eppure i B-eternisti non sono soddisfatti di questo modo di intendere le cose, che chiamano "strategia di riallocazione" (in inglese relocation strategy). In realtà non esiste alcuna riallocazione, dato che il presente in cui viviamo è soltanto una delle configurazioni spaziotemporali che si succedono dall'epoca dei dinosauri, recando in sé le tracce della propria storia. Interpretare la frase "il passato non esiste più" come la scomparsa subitanea e totale di ogni collegamento a qualsiasi ente che si trovava in esso è un'assurdità, un trucco sofistico escogitato dai partigiani del B-eternismo per invalidare le tesi dei loro avversari. Quella che è definita assurdamente come "riallocazione" è invece il frutto della trasformazione: gli stessi enti che si trovano nel presente subiranno lo stesso processo, divenendo rovine, fossili, proiezioni, fantasmi, tracce, prove dirette o indirette, residui che potranno dare origine a interi mondi non appena verranno a contatto con una mente raziocinante in grado di interpretarli. Il punto è che la mappa mentale elaborata da tale mente raziocinante non è davvero il passato! La differenza tra realtà del passato e realtà costruita tramite interpretazione dei resti del passato è qualcosa che un B-eternista non riuscirà mai a comprendere, come se avesse una mente statica e concepisse soltanto istanti pietrificati. Forse un giorno si scoprirà che il B-eternismo è una patologia o una specie di deprivazione sensoriale, qualcosa che ha le sue radici nella fisiologia, nel particolare modo in cui funzionano i neuroni e le sinapsi degli individui che lo sostengono.

C'è di più. Una volta fissata una linea di esistenza, non è affatto plausibile che esistano infiniti individui attori di ogni singolo istante del passato per l'eternità. Se guardo indietro a un particolare evento che mi è capitato quando frequentavo l'università, percepisco soltanto pochi ricordi, probabilmente distorti, poco più di una traccia mnestica e sensoriale che mi richiama alla mente l'accaduto.  Per un B-eternista come Roger Penrose, quell'istante sarebbe invece reale come il mio presente. Non solo: ci sarebbero infinite copie di me stesso che lo vivrebbero per l'eternità, migliaia e migliaia di doppioni per ogni secondo misurato da un orologio nel mio fottuto presente, che danzerebbero distanziati tra loro di una frazione di soffio, di un centomillesimo di battito cardiaco, prigionieri di quella particolare cella di realtà. Un'angoscia insopprimibile mi coglie al solo pensiero! Una simile ipotesi è contraria a qualsiasi sano principio di economina ontologica. L'esperienza presentacea è in totale contraddizione con l'assunto di Penrose, che professa una fede cieca nella durata sempiterna di ogni singolo istante vissuto. Ridacchiando, lo studioso ostenta il suo pessimo humor anglosassone, aspettandosi ondate di risa convulse come interrompe di colpo il suo flusso di parole precipitose. "Pensate che alla vostra festa di laurea vi divertirete per sempre! Ah ah!", dice. Certo, perché per gli iper-ottimisti del suo stampo l'esistenza è tutta una festa! Possibile che non pensi invece all'ablatore del dentista che gli scava nei profondi canali di un molare fratturato per estrarre la dolente gelatina nervosa, il tormento di sei anestesie nel nervo che non bastano ad attutire il dolore? Possibile che non pensi alle riprese di uno snuff video in uno scantinato, in cui a penetrare nelle ossa è il trapano del carnefice?

martedì 18 dicembre 2018

NOTE SUL LAVORO DI WHITTAKER

Gordon Whittaker (Università di Gottinga) è l'autore dell'articolo The Case for Euphratic, pubblicato nel 2008 su Humanities & Social Sciences (Linguistics & Grammatology). Il lavoro in questione, ospitato da Academia.edu, è consultabile e scaricabile liberamente al seguente link:


Questo è l'abstract, da me tradotto: 

"Sarà dimostrato che la scrittura cuneiforme, il vocabolario del sumerico e dell'accadico e i toponimi della Mesopotamia meridionale conservano resti di un'antica lingua indoeuropea, realmente più antica di oltre un millennio. Inoltre le prove sono dettagliate e abbastanza consistenti da permettere la ricostruzione di un certo numero di caratteristiche della lingua indoeuropea proposta, l'eufratico, e di abbozzare uno schema del modello culturale eufratico."

Ovviamente il nome che Whittaker ha attribuito a questa ipotetica lingua perduta, ossia eufratico, è arbitrario. 

Per più di un secolo è infuriata una controversia sull'appartenenza etnica della popolazione della Mesopotamia meridionale nel quarto millennio a.C., epoca in cui è comparsa la rivoluzionaria innovazione della scrittura, destinata ad influenzare in modo profondo il contesto delle città-stato di quella che per convenzione ci è nota come terra di Sumer. In anni recenti il dibattito si è focalizzato sulla lingua dietro i testi più antichi, le tavolette proto-cuneiformi del Tardo Periodo di Uruk (circa 3350-3100 a.C., datazione convenzionale). A tale controversia è stato dato il nome di Questione Sumerica. Questi sono i principali problemi della Questione Sumerica:

1) A partire da quale periodo i Sumeri sono presenti nella Mesopotamia meridionale?
2) Essi erano gli originari abitanti della Mesopotamia meridionale o hanno invaso una terrà già occupata?
3) Se non erano autoctoni, da quale società (o da quali società) sono stati preceduti? 

Mentre numerosi studiosi hanno attaccato ogni tentativo di identificare elementi linguistici pre-sumerici, altri hanno proposto soluzioni diverse. Così Landsberger ha postulato un "sostrato proto-eufratico" per spiegare toponimi morfologicamente opachi, teonimi e termini tecnici (1944, 1974). Oppenheim ha congetturato quanto segue: 

"Una considerevole sezione del vocabolario sumerico che si basa sulla cultura materiale della Mesopotamia contiene termini e designazioni che non sembrano essere sumeriche e che non appartengono a nessuna lingua semitica (proto-accadica). Queste parole possono teoricamente echeggiare uno o più sostrati linguistici molto più antichi e quindi riguardano i precedenti portatori di ciò che proponiamo di definire civiltà della valle dell'Eufrate." 

Whittaker in una serie di articoli (1998, 2001, 2004, 2004/2005, 2005) ha ipotizzato che questo sostrato pre-sumerico consistesse in una lingua indoeuropea fatta e finita.   

Mi sono imbattuto per la prima volta nella Questione Sumerica quando ancora ero un liceale brufoloso. In una rivista di linguistica ho letto che il nome di Babele (Babilonia) risale al sostrato pre-sumerico della Mesopotamia e che in quanto tale non ha etimologia possibile. Così sono dovute a etimologie popolari tanto l'interpretazione accadica che vi vede Bāb-ili, Bāb-ilu "Porta del Dio" o Bāb-ilāni "Porta degli Dei", quanto l'interpretazione ebraica fornita dalla Bibbia, che parla di Bāvēl come di un luogo di confusione linguistica, dal verbo bālal "confondere". Certo, molti diranno che avrei fatto meglio a pensare alla figa. Il punto è che ci pensavo comunque, nonostante avessi anche altri interessi: l'impulso ad emettere lo sperma non mi impediva di pensare. Non avendo punti d'appoggio su cui costruire una teoria, la questione del misterioso sostrato pre-sumerico cadde nel dimenticatoio e lì fu lasciata per molti anni a fermentare. Dopo tanto tempo, sono felice di constatare che qualcuno si è occupato in modo serio e approfondito dell'affascinante argomento, anche se non nascondo che l'idea di una lingua pre-sumerica indoeuropea comporta non poche difficoltà.

Estraggo alcuni dei lemmi trattati dall'opera di Whittaker e li presento in questa sede per il piacere filosofico dei lettori, corredandoli dove necessario di miei commenti. Dubito che simili studi siano mai stati pubblicati in lingua italiana. 

1) Si notano valori fonetici incongrui per alcuni logogrammi: 

HU "uccello" < IE *h2au̯i- "uccello" 
   vs. Sumerico MU
ŠEN "uccello"

LIK "lupo" < IE *u̯ḷkwo-
   vs. Sumerico URBARRA "lupo" < UR "cane" + BAR "esterno" (i.e. "cane estraneo").

LIB ~ LUB "volpe" < IE *u̯ḷpeh1-
   vs. Sumerico KA "volpe"

PEŠ "essere vasto", scritto con lo stesso segno usato per "pesce" 
   nasconde un antico *PEŠ "pesce" < IE *peisk(')- / *pisk(')-
   vs. Sumerico KU, KUA "pesce", a sua volta ritenuto un prestito
   dal sostrato eufratico
   Commento: IE *peisk(')- / *pisk(')- si trova soltanto in alcune lingue indoeuropee occidentali: latino piscis, protogermanico *fiskaz (gotico fisks, norreno fiskr, etc.), protoceltico *eiskos (antico irlandese íasc). Nonostante numerosi tentativi di ricondurre questa radice a quella per indicare l'acqua (IE *ap- < *Hap-), interpretandola come "bestia d'acqua", la formazione si presenta altamente problematica, a cominciare dal suffisso esotico, per non parlare del vocalismo. Attribuirla alla Mesopotamia dell'epoca di Uruk sarebbe come pensare che le paroli inglesi wop "guappo" e racket "organizzazione ricattatoria" possano risalire al contesto di Beowulf.

2) Possibili prestiti dal sostrato eufratico in sumerico.

Nomi di animali:

KU "pesce"
    < IE *(dh)g'huh-

   Commento: Secondo Halloran è da KU "cibo" + A "acqua": si tratterebbe semplicemente di un antico composto sumerico, senza necessità di ricorrere ad elementi esterni. Il punto è che Halloran è noto per spiegare Omero con Omero.  

GILIM ~ GILIN KILIM "mangusta"
    < *IE *gḷh-i-m (acc.)
    Cfr. latino glīs "ghiro", greco γαλέη "donnola", sanscrito giri-
   "topo".
  Commento: Le parole del latino, del greco e del sanscrito non hanno l'aria di avere origine indoeuropea, non più di quanto padrino e picciotto abbiano l'aria di essere parole inglesi. Sulla loro origine ultima si potrebbe discutere a lungo senza arrivare da nessuna parte.


GUD "toro; bue"
    < IE *gwo:u-s "bovino"
   Commento: A me pare più probabile la direzione opposta del prestito, che il termine sumerico sia passato in protoindoeuropeo per motivi culturali (da un popolo agricolo a un popolo di razziatori e di allevatori delle steppe). 


Possibili derivati:
   GARA (valore fonetico)
       < IE *gwou-ró- "bovino; rossiccio"
       Si trova come secondo elemento in INDAG(A)RA, nome di un
       bovino mitico, figlio del Dio della Luna, detto anche NINDA-
       GUD.
   GUGARID "pastore"
        < IE *gwou-k(w)ol-i-s "pastore"

   GIDIM ~ GUDMA ~ GADMA "ecatombe" (sacrificio di cento
   buoi)
        < IE *(d)k'ṃtom-gwu-ah2- "sacrificio di cento buoi"


HURIN "aquila" (termine mitologico)
    < IE *h3or-(e)n- "aquila"  (meglio "uccello") 
   Cfr. protogermanico *arnuz, *arēn "aquila" (gotico ara, etc.),
   greco ὄρνις "uccello", etc.


NERAH ~ NIRAH "serpente, vipera"
    < IE *neh1-tr-ah2 "serpente, vipera"
    Cfr. latino natrīx "biscia", protogermanico *naðraz (gotico nadre
    "di vipere", norreno naðr "serpente", etc.).


SAH ŠAH "maiale"
    < IE *s(e)uh- "maiale"
   Commento: Per fortuna l'autore riconosce la difficoltà del vocalismo. Riguardo al preteso dittongo nella forma indoeuropea ricostruita, non posso far altro che avanzare un forte scetticismo: sembra una manipolazione ad hoc.


Termini pertinenti alla vista e al volto: 

IGI "occhio, occhi; faccia"
    < IE *h3okw- "occhio"; *h3okw-ih1 "occhi" (duale)


UKTIN "apparenza; forma; fattezze del viso"
    < IE *h3okw-ti-m (acc.) "apparenza, vista; espressione"
  Commento: rispetto a IGI "occhio, occhi; faccia", si notano diversi sviluppi fonetici dovuti al gruppo consonantico.


ULUTIM ~ ULUTIN "apparenza, forma; fattezze del viso"
    < IE *u̯ḷ-ti-m (acc.) "apparenza, fattezze del viso"
    Cfr. latino vultus "volto", protoceltico *wel- "vedere" (gallese
    gweled "vedere", antico irlandese fili, gen. filed "veggente;
    poeta"). 


Armi e utensili:

UBRIM ~ UBRI "lancia"
    < IE *h2ok'(u)ri-m (acc.) "punta aguzza" 


ŠUKUR "lancia; giavellotto"
    < IE *sek-uhr- "ascia" < *sek- "tagliare" 

    Cfr. latino secūris "scure"

UKUR ~ UGUR "pentola"
    < IE *h2oukw-ṛ, gen. *h2ukwn-es "pentola per cucinare"


Una notevole famiglia di parole:

NER ~ NIR "signore; principe, eroe)
   < IE *h2ne:r "uomo, eroe"
   Cfr. greco ἀνήρ "uomo"; latino neriōsus "forte", etc. 


NER ~ NIR "autorità, fiducia; confidenza"
   < IE *h2ner-tú- "potere carismatico" 


NER ~ NIR "principesco"
    < IE *h2ner-o- "forte"  


NUR ~ NARA ~ NAR "principe" (valore fonetico)
    < IE *h2nor-o- "carismatico, forte" 


LIRUM ~ NER "forza; forte, potente; grande; resistente; ostinato;
    un nobile"
    < IE *h2nero-m (acc.) "forte"  


NITAH "uomo; maschio"
    < IE *h2nṛ-tah2 "mascolinità, virilità" 


ŠUNIR (emblema divino)
   < IE *h1su-h2ner-o- "potente; fortunato" 

   Commento: Se l'etimologia fosse corretta, saremmo di fronte a un antico composto, chiarissimo a un indoeuropeista e oscuro a qualsiasi parlante sumerico. 

Interessanti sono le ricostruzioni di elementi grammaticali:

Sumerico -AH
       < IE -*ah2 (suffisso femminile) 
Sumerico -AM
~ - AB; -UM ~ -UB
      < IE -*om (accusativo maschile; mominativo/accusativo
      neutro)
Sumerico -D
~ -R
      < IE -*s (nominativo maschile)  

Sumerico IN "in; a; da"
      < IE *en "in"
Sumerico ANA "a; per"
      < IE *ana
~ *an "su"
Sumerico TUKUM "immediatamente; in un attimo; se"
      < IE *to-kom "con questo"


Non tutte le etimologie proposte da Whittaker sono così brillanti come quelle sopra riportate. Alcune si fondano su mutamenti a mio avviso piuttosto implausibili. Esempi: 

DURAH "tipo di cervo; ibice"
     < IE *(d)i̯ork-ah2 "specie di cervo; gazzella" 

    Commento: Mi pare che il mutamento -rk- > -r- sia piuttosto stravagante. La radice indoeuropea si trova soltanto in greco e in celtico: non si può escludere che si tratti di un antico prestito da una lingua sconosciuta. La stessa radice si trova anche nel basco orkatz "capriolo", ma probabilmente si tratta di un prestito da una lingua indoeuropea pre-celtica.

LARAH "un parte del giogo"
    < IE *lorg-ah2 "mazza; asta del carro"
   Commento: A parte il mutamento -rg- > -r-, che mi lascia perplesso, vediamo come IE *lorg-ah2 "mazza; asta del carro" sia un mero fantasma, ricostruito a partire dal celtico (antico irlandese lorg "mazza"; bretone lorch'enn "asta del carro"). Whittaker afferma che la radice, definita "indoeuropea", sia sopravvissuta soltanto in celtico. A me pare che sia abusivo prendere un vocabolo oscuro e isolato per proiettarlo nelle steppe e farlo diventare indoeuropeo con la bacchetta magica di Harry Fotter. Pensare alla sopravvivenza di un termine di sostrato è infinitamente più semplice che pensare a una parola persa in tutti i rami dell'indoeuropeo tranne che in uno.


ZARAH "dolore, dispiacere; lamento funebre; vulva; eczema"
    < IE *surgh-ah2 "dolore, preoccupazione; malattia" 

   Commento: Abbiamo sempre il mutamento problematico -r- + occlusiva velare > -r-; sulla liceità della forma indoeuropea ricostruita nutro forti dubbi.

ZARAH "cicogna"
    < IE *storg-(ah2) "cicogna" 

   Commento: Abbiamo sempre il mutamento problematico -r- + occlusiva velare > -r-; sulla liceità della forma indoeuropea ricostruita nutro forti dubbi.

Mi convincono poco anche le etimologie proposte per alcuni toponimi: 

KALAMA "terra di Sumer"
    < IE *k'olh2-m- "canna"
NIBRU "Nippur"
    < IE *nebh-ró- "nuvolo"
ERIDUGU
~ ERIDUG "Eridu"
    < IE *u̯r-ii̯-ah2 dḷk-ú- "città dolce"
KUARA "Kuara"
    < IE *(dh)g'huu̯ah2-r
ó- "ricca di pesci"
KARKARA
~ KAKRU ~ KAKRA "Karkara"
    < IE *kwerkw-r
ó- (< *perkw-ró-) "della quercia"
ARARMA "Larsa"
  
(accadico LARSAM) 
   < IE *h2ṛg'-ró-m "bianco splendente"
   Commento: La forma accadica confrontata col toponimo
   sumerico punta a una protoforma pre-sumerica assai complessa, 
   per cui il tentativo di raffronto con l'indoeuropeo ha elevate
   possibilità di essere fallace.
USAB
~ ASAB ~ ADAB "Adab"
   < IE *h2us-ró-m "dell'aurora"
TINTIR "Babilonia"
  < IE *deiu̯o:m dhu̯ṛ- "Porta degli Dei"
  Commento: Tradotto come KA.DINGIR.KI in sumerico e come
  BĀB-ILU, -I in accadico; la ricostruzione indoeuropea appare
  altamente cervellotica.
LAGA
Š "Lagash"
   < IE *legh-os "magazzino"
   Il toponimo è tradotto in accadico come NA(K)KAMTU
  "magazzino". 

   Commento: La forma sumerica e quella accadica potrebbero risalire a una stessa protoforma complessa; la traduzione accadica potrebbe essere il semplice frutto di un'etimologia popolare, come per il caso di Babele. 

Partendo da queste premesse, Whittaker finisce con lo spingersi molto oltre, tanto da dare l'impressione di voler indoeuropeizzare l'intero vocabolario sumerico. Nel suo successivo lavoro, Euphratic: A phonological sketch (2012), vediamo questa tendenza panindoeuropea in pieno svolgimento. Questo è il link all'articolo:


La mia perplessità è grande, nonostante sia fornito con dovizia di particolari e di esempi un insieme di elaborate corrispondenze fonetiche. Utilizzando questi mezzi si potrebbe dimostrare anche l'origine indoeuropea dello zapoteco dell'Istmo.

Conclusioni

Nonostante l'indubbio interesse di certe etimologie, la metodologia whittakeriana è altamente rischiosa e rischia di portare fuori strada. Queste sono le mie osservazioni: 

1) Il sumerico presenta scarsa variabilità interna. Ha soltanto due dialetti noti: la lingua standard (EMENGIR) e la cosiddetta "lingua delle donne" (EMESAL). Come conseguenza, la possibilità di ricostruire protoforme di qualche utilità è abbastanza limitata.
2) Il sumerico è una lingua isolata e presenta grandi difficoltà di comparazione con altre lingue (nonostante i tentativi di Allan R. Bomhard di ricondurla al nostratico).
3) Il sumerico è una lingua molto consunta e fortemente evolutiva, un po' come il francese e l'inglese d'America. 

Se avessimo l'inglese d'America come sola testimonianza di una lingua indoeuropea, registrata unicamente dalla viva voce e senza alcuna attestazione scritta, cosa riusciremmo davvero a ricostruire del suo passato? In quante trappole cadremmo se volessimo confrontarla con l'ebraico?