venerdì 18 gennaio 2019


LAMENTO DI PORTNOY 

Titolo originale: Portnoy's Complaint
Autore: Philip Roth
Anno: 1969
Lingua originale: Inglese
Genere: Romanzo
Sottogenere: Flusso di coscienza, pseudo-autobiografia,
     propaganda antisemita

1a edizione italiana:
1970
2a edizione italiana:
1989
3a edizione italiana: 2005
Editori:
   Bompiani (1970)
   Einaudi (1989, 2005)
Traduttori:
   Letizia Ciotti Miller (1970)
   Roberto C. Sonaglia (1989, 2005)
Codice ISBN (1989, 2005): 978-88-06-17395-1

Titoli tradotti:
   Tedesco: Portnoys Beschwerden

   Spagnolo: El mal de Portnoy
   Francese: Portnoy et son complexe
   Portoghese: Reclamação de Portnoy
   Catalano: El trastorn de Portnoy
   Russo: Случай Портного
   Polacco: Kompleks Portnoya
   Ceco: Portnoyův komplex
   Croato: Portnoyeva boljka
   Rumeno: Complexul lui Portnoy
   Olandese: Portnoy's klacht 

   Svedese: Portnoys besvär
   Danese: Portnoys genvordigheder 

   Finlandese: Portnoyn tauti
   Estone: Portnoy tõbi
   Ungherese: A Portnoy-kór
   Turco: Pornoy'un feryadı
   Neogreco: Η νόσος του Πορτνόυ
   Neoebraico: מה מעיק על פורטנוי
   Persiano: شکایت پورتنوی


Trama: 
Alexander Portnoy è un giovane ashkenazita, figlio di una famiglia ultraortodossa che abita in uno squallido sobborgo di New York, Newark. I tratti salienti dei suoi genitori sono più insopportabili delle Piaghe d'Egitto, tanto che avrebbero indotto al suicidio persino Giobbe. L'iracondo padre, duramente provato da una stitichezza incallita e incurabile, fa l'assicuratore, faticando come Sisifo per riscuotere le somme dovute da una massa di mandingo illetterati nelle zone più infime della megalopoli. La madre è una mortifera Erinni vendicatrice, una spaventosa Gorgone, un autentico concentrato di ossessione e di iperprotettività, una vera e propria fabbrica di psicosi esiziali. Solo per fare un esempio, tutti i cibi dei Goyim sono da lei etichettati come chazerai, ossia come "porcherie", al punto che persino l'ingestione di un semplice, banale piatto di patatine fritte da parte del ragazzo assume contorni apocalittici. A sentir lei, ingurgitare anche soltanto un boccone di aragosta può portare alla morte, come se il Signore degli Eserciti avesse da perdere una gran quantità di tempo a identificare i trasgressori delle più assurde regole alimentari della cucina kosher, allo scopo di fulminarli.
Nel suo incessante flusso di coscienza, steso sul lettino dello strizzacervelli, il sofferente protagonista non ci risparmia i dettagli più schifosi, abietti e grotteschi di queste esistenze assurde. Essere esposti a una simile mole di aberrazioni farebbe passare la voglia di sopravvivere a chiunque, persino ai più estremi biofili. Quando era piccolo, la madre gli menava il pistolino per farlo orinare meglio. Divenuto adolescente, la madre assumeva con lui atteggiamenti provocanti - quando non era troppo impegnata a massacrarlo e a instillargli sensi di colpa. Si converrà che queste sono cose che renderebbero insano chiunque. Il povero Portnoy, alla ricerca di un impossibile riscatto, escogitava trovate ridicole, come quella di nobilitare il suo cognome in un improbabile Porte-Noir, ossia "Porta Nera" in un fanta-francese sgrammaticato, sperando così di far colpo sulle belle shikse, le ragazze non ebree, di cui sogna giorno e notte le tette; in realtà le deformazioni del suo cognome che meglio lo descrivono sono Portnose, ossia "Portanaso", per via del suo colossale nasone, e Portnoise, ossia "Portarumore", per via del suo continuo lamentarsi di ogni minima cosa, in un rantolo permanente da moribondo.

Dopo numerose vicissitudini, alla fine Portnoy conosce la sua Nemesi proprio nella terra di Israele, in cui sperava invece di trovare la propria redenzione. Rimorchia una statuaria soldatessa bionda e senza troppe difficoltà la porta a letto. Lei vuole essere spaccata in due e arata, ma il membro virile del protagonista fallisce completamente. Impotenza assoluta. Non si rizza! L'infelice Portnoy cerca allora di circuire una robusta fanciulla lentigginosa dai capelli rossi come il fuoco, che somiglia alla madre come una gemella. La vicenda si conclude in un modo assurdo quanto inverecondo, in una bettola, con Portnoy che supplica la ragazza tanto simile a sua madre da giovane, strisciando a quattro zampe e implorandola di poterle leccare la fica. 

Recensione:
Non possono sussistere dubbi in proposito. Lamento di Portnoy è un testo di un antisemitismo violento, viscerale, addirittura streicheriano.
Non credo che Philip Roth se ne sia reso conto quando lo ha scritto. Sono ben consapevole del fatto che lo scrittore ashkenazita è considerato un pilastro della cultura ebraica contemporanea. Eppure Alexander Portnoy non è un personaggio qualunque, non è una semplice caricatura, una macchietta innocua: infatti incarna in ogni dettaglio l'Ebreo della propaganda nazionalsocialista, sia a livello fisico che morale e spirituale. Egli ha tutte le caratteristiche dell'Eterno Ebreo (Der ewige Jude). Tutto in lui è studiato a livello micrometrico per suscitare ripugnanza, esecrazione, disprezzo, rabbia e fantasie omicide. Se il presente romanzo venisse diffuso in modo capillare a vasti strati della popolazione, in Germania come in Italia o in qualsiasi altra nazione dell'Occidente, l'antisemitismo più radicale registrerebbe subito un prodigioso incremento. Il patetico Portnose riuscirebbe di sicuro dove nessun movimento neonazista è finora mai riuscito. L'odio così seminato divamperebbe come un incendio furioso in questa Europa degradata e ingovernabile, fino al punto di scatenare spaventosi pogrom. La lettura di Lamento di Portnoy presenta il rischio di compiere una trasformazione profonda nel lettore incauto, accendendo un odio feroce verso gli ebrei e verso tutto ciò che li riguarda. Si può leggere il Mein Kampf di Adolf Hitler come una testimonianza storica dell'epoca in cui fu scritto, con grande distacco, senza alcun coinvolgimento emotivo: si tratta di un'opera in buona sostanza inattuale. Questo atteggiamento asettico è assolutamente impossibile con il pernicioso libro di Roth. Il meccanismo che scatta è molto semplice. Il lettore sarà portato ad attribuire al Popolo Eletto le cause della propria personale rovina e insignificanza, del proprio fallimento esistenziale, come se il Maligno stesso gli sussurrasse nelle orecchie, soffiando su braci ardenti: "Se sei un fallito è colpa degli ebrei! La famiglia è una loro invenzione!" Nessuno si può dire davvero al sicuro, almeno finché non fa appiglio a un dato di fatto innegabile: non è stato il Popolo di Israele a introdurre nel mondo la famiglia oppressiva. Le madri iperprotettive, proprio come i padri autoritari, predatano di gran lunga qualsiasi contatto dell'Occidente con genti del Medio Oriente. A Roma c'era il pater familias con la patria potestas, tra i Germani c'era il mundio - e dovunque regnava soltanto l'oppressione, in ogni casa, fin dai più remoti tempi della Preistoria. 

Uomini nuovi per tempi nuovi  

Stupisce l'avversione profonda che la fulva ragazza del Kibbutz nutre verso gli ebrei del ghetto. Disprezza la lingua yiddish e tutto ciò che riguarda la Diaspora, dalle battute sul naso grosso al teatro, perché crede che queste cose esprimano una realtà di autodenigrazione e di miseria umana infinita. In netta opposizione al modo di essere del popolo della Diaspora, sembra che le genti dei Kibbutzim rappresentino l'Uomo Nuovo, puro e pieno di idealismo, non toccato dalle abominazioni del mondo. Un Uomo Nuovo che non soltanto è riuscito a riscattarsi dallo stigma della marginalità: in lui si è prodotta una discontinuità essenziale che ha cancellato il passato, lo ha abraso completamente facendolo piombare nell'Oblio: è come se un essere mai concepito prima da mente umana fosse venuto al mondo, senza alcuna relazione con colui che lo ha preceduto, finalmente privo della sudicia invenzione della coscienza. In pratica siamo di fronte a un modello antropologico più simile alla Gioventù Hitleriana che all'humus famigliare degli ashkenaziti di Newark, vegetanti in un microcosmo ristretto e asfittico, separati dal resto del pianeta come se fossero una colonia di alieni. In questo modo Portnose-Portnoise viene guardato con disgusto e quindi addirittura con odio, come se non fosse un essere umano, bensì uno schifoso verme del terriccio, un lombrico. In altre parole, siamo di fronte a un vero e proprio razzismo: gli ebrei antisemiti non sono affatto una rarità - anzi, sono i più virulenti e aggressivi. Gratta un antisemita furioso e nove volte su dieci troverai un ebreo rinnegato che cerca vendetta contro i propri genitori. 

Israele e gli ebrei antisemiti  

Trattando questi spinosi argomenti, subito viene in mente il film The Believer (Henry Bean, 2001), di cui ho pubblicato a suo tempo una recensione in questo stesso portale. Il protagonista, l'antisemita ebreo Daniel Balint, affermava in un'intervista la natura non ebraica di Israele, nazione per cui nutriva una certa ammirazione, in netto contrasto con il proprio odio inestinguibile verso gli ebrei dispersi tra le genti. Un paradosso soltanto apparente: dopo l'occupazione della Palestina - che Theodor Herzl definiva "una terra senza un popolo per un popolo senza terra" - si sono formati gli Israeliani come Popolo Nuovo, in un senso assai simile a quello attribuito dai Nazionalsocialisti tedeschi al vocabolo Volk. Un'entità nazionale possente e fiera, che quindi si è conquistata il riscatto dall'umiliante destino diasporico. Ecco la conversazione tra Danny Balint e il giornalista biondiccio Guy Dianielsen: 

Balint: "Il popolo vero trae il suo genio dalla sua terra. Dal sole, dal mare, dai campi. È così che impara a conoscere bene se stesso. Ma gli ebrei no, gli ebrei non hanno terra."
Danielsen: "Hanno Israele."
Balint: "Ah... non sono ebrei."

Danielsen
: "Certo che lo sono."
Balint: "Osserva bene gli Israeliani. La loro è una società secolarizzata. Non gli serve più l'Ebraismo perché hanno la terra, mentre il vero ebreo è un girovago, è un nomade, non ha radici, non ha nessun legame, perciò universalizza ogni cosa. Non sa piantare un chiodo né arare un campo. L'unica cosa che sa fare è comprare, vendere, investire capitali, manipolare i mercati. Capisci, cose tutte mentali. Lui prende la vita di un popolo, radicato nella terra, e la trasforma in questa cultura cosmopolita, basata sui libri, sui numeri, le idee, capisci, è questa la sua forza. Tu prendi le più grandi menti ebree: Marx, Freud, Einstein. Cosa ci hanno dato? Il comunismo, la sessualità infantile e la bomba atomica. Esattamente in tre secoli, il tempo che hanno impiegato per venire fuori dai ghetti d'Europa, ci hanno strappati da un mondo di ordine e ragione per scaraventarci in un caos fatto di lotta di classe, istinti irrazionali, relatività... dentro un mondo in cui anche l'esistenza stessa della materia è messa in discussione. Perché? Perché l'impulso pù profondo dell'anima ebraica è di tirare il tessuto della vita finché non rimane altro che un filo. Non vogliono nient'altro che il Nulla. Il Nulla senza fine*. 


*Traduzione di Ain Sof. Non ci si aspetterebbe una simile conoscenza da un goy. :)

Genesi di un antisemita  

Harold Portnoy, cugino del protagonista, incorre in un destino beffardo. Atleta poderoso, si innamora di una bellissima shikse polacca, Alice, che fa la majorette e incanta tutti con i suoi numeri. Ovviamente il padre di Harold prova grande stizza per questa relazione e la avversa, così decide di procedere con la massima viltà. Contatta Alice e confidandole che il fidanzato è affetto da una terribile malattia genetica che non gli permette di avere figli. Non contento, il vecchio Moshe Süss corrompe la giovane polacca offrendole dei soldi perché lasci in pace il ragazzo. Detto fatto, la majorette sparisce dalla vita di Harold che, disperato, se la prende col padre, devastandogli la cantina, dove sono stoccate moltissime bottiglie di gazzosa. Distrutta con la mazza da baseball tutta la merce dell'odioso genitore, il giovane atleta cade nella disperazione, ma a quel punto viene tolto di scena dal malevolo Roth con uno stratagemma ingegnoso e demiurgico: chiamato in guerra, l'innamorato deluso finisce col morire in una lontana battaglia. Immaginiamo cosa sarebbe invece successo se non fosse morto. Ve lo dico io: Harold Portnoy sarebbe diventato un antisemita! Sarebbe ricomparso in un'altra parte dell'America, con l'identità cambiata, cosa non così difficile in quel grande Paese. Avrebbe avuto un nuovo nome e avrebbe iniziato la sua carriera nei movimenti neonazisti. All'apice di questa sua nuova esistenza, si sarebbe guadagnato il grado di Gran Dragone del Ku Klux Klan. Animato da un ferocissimo e inetinguibile odio antisemita, avrebbe istigato al pogrom! Il suo sogno sarebbe stato uno solo: uccidere il padre e tutti i suoi famigliari! Pensate che io stia farneticando? Bene, informatevi sulla storia di Daniel "Dan" Burros, l'ebreo rinnegato divenuto esponente del KKK!

Una storiella morbosa 

Alexander Portnoy seduce una Figlia della Rivoluzione Americana. Lei è una timida bionda di ascendenza puritana, che però ama moltissimo il sesso. Lui la penetra con ardore e le lecca la fica, ma si aspetta che le sue attenzioni vengano ricambiate. Si aspetta i pompini. A lei non piace praticare il sesso orale a un uomo, le fa schifo. Non vuole prendere in bocca quell'uccello che pure le ha elargito così tanto godimento. Alla fine l'ashkenazita la riesce a convincere, plagiandola, e lei storcendo il naso china la sua bocca sul glande dell'amante, che immagina sarà il suo futuro marito e padre dei suoi figli. Sempre in preda al disgusto, si accinge a succhiarlo, ma non ci riesce bene: lo fa a denti alti, usando le labbra in modo tale da evitare per quanto possibile il contatto tra la lingua e il glande. Alle fine lui le scarica nel cavo orale getti di fluido seminale dal sapore di merluzzo, cosa che le induce i conati di vomito. Fatto sta che proprio a causa della penosa performance, la coppia si separa. Che atrocità mostruose! Per ogni fibra di piacere che un qualsiasi contatto sessuale può dare, ce ne sono novantanove di afflizione! E non sarebbe meglio se l'intero genere umano abbandonasse una volta per tutte questi squallidi esercizi? 

Il mito dei pompini!

Portnoy freudianamente è affetto da “disturbo in cui potenti impulsi etici e altruistici sono in perenne contrasto con una violenta tensione sessuale, spesso di natura perversa. Atti di esibizionismo, voyeurismo, feticismo, autoerotismo e coito orale sono assai frequenti; come conseguenza della “moralità” del paziente, tuttavia, né le fantasie né le azioni si traducono in autentica gratificazione sessuale, ma piuttosto in un soverchiante senso di colpa unito a timore di espiazione, soprattutto nella fantasmatica della castrazione. Gran parte dei sintomi si presume vadano ricercati nei legami formatisi nel rapporto madre – figlio.” Come spesso accade, è proprio Daniel "Danny" Balint a venirci in aiuto per capire meglio il problema che tormenta Portnoy. Ecco come spiega all'occhialuto quanto astuto Danielsen il suo strano punto di vista sul nesso tra ebraismo e sesso orale, testimonianza di echi spettrali in insondabili caverne della mente: 

Danielsen: "Danny, che mi dici degli ebrei?"
Balint: "Gli ebrei, l'ebraismo, sono una malattia."
Danielsen: "In che senso l'ebraismo è una malattia?"
Balint: "Prendi la sessualità."
Danielsen: "La sessualità?"
Balint: "Sì, sì."
Danielsen: "Che vuoi dire?"
Balint: "Ti sei scopato un'ebrea?"

Danielsen: "Cosa?!"
Balint: "Te la sei scopata?"
Danilsen (imbarazzatissimo): "Ah sì, insomma, voglio dire... sono stato con una ragazza ebrea."
Balint: "L'hai fatto. E che cosa hai notato?"
Danielsen: "Di che parli?"
Balint: "Le ragazze ebree adorano fare pompini."
Danielsen (quasi collassato): "---"
Balint: "Vero?"
Danielsen: "Sì, certo, non lo so, è così."
Balint: "E gli uomini ebrei ne vanno pazzi."
Danielsen: "A me sembra che piaccia a tutti..."
Balint: "Certo, è molto piacevole. Ma per gli ebrei è un'ossessione, e vuoi sapere perché?"
Danielsen: "Sì, perché?"
Balint: "Perché l'ebreo dentro è femmina."
Danielsen (pietrificato dall'orrore): "È femmina..."
Balint: "Gli uomini veri, i bianchi, i cristiani, beh, noi ci scopiamo una donna, la facciamo godere con il nostro cazzo! Ma un ebreo invece non penetra, non spinge, non riesce a imporsi in questo modo, perciò fa ricorso a queste perversioni. Il sesso orale è tecnicamente una perversione, questo lo sapevi, no?"
Danelsen (quasi incapace di parlare): "Sì..."
Balint: "Perciò una donna che è stata con un ebreo... è rovinata, non vorrà più stare insieme con un uomo normale."
Danielsen (nuovamente ringalluzzito): "Quindi l'ebreo è un amante migliore..."
Balint: "Non è migliore, non ho detto questo. Ho detto che dà piacere. In realtà è debolezza."
Danielsen: "Ok, il problema non è che gli ebrei controllano i media, o che sono proprietari delle banche, ma che sono sessualmente corrotti..."
Balint: "Senti, lo so, è chiaro che gli ebrei controllano i media e le banche - le banche d'investimento, non quelle commerciali - ma il punto è che operano in quegli ambiti secondo gli stessi principi che esprimono nella sessualità. Minano il modo di vita tradizionale, sradicano tutta la società. La sradicano, le strappano le radici."


Un bel calderone di pus, non trovate? Ebbene, il cervello di Portnoy non è meno torbido. 

Colpa, impurità, espiazione, razzismo

A quanto Roth ci descrive nel suo aberrante romanzo, esiste tra i Figli Americani di Ashkenaz una singolare costumanza, che i lettori italiani potranno capire solo con difficoltà estrema. A tutte le manie sulla purezza del cibo, sulle regole minuziose quanto esasperanti della kasherut, esiste un rimedio, una specie di valvola di sfogo. Così se si fa molta attenzione e si usa tutta la propria capacità di indagine, si possono cogliere in fallo rispettabili matrone della comunità ebraica di Newark, intente a recarsi a cena in ristoranti cinesi per ingozzarsi di carne di porco! Se Harold Portnoy - prima di entrare tra gli Incappucciati - era un fanatico della cucina kosher ("Noi prosciutto non mangiam!", esclamava a ogni piè sospinto), la madre del cugino Alexander, pur altrettanto fanatica, si concede esplorazioni approfondite delle bettole cinesi. Solo i crostacei restano un tabù, per via di una sua brutta esperienza di shock anafilattico, che le era capitata in gioventù. L'atteggiamento della signora Pornoy nei confronti dei cuochi orientali è descrivibile con una sola parola: razzismo. Il concetto portante è più o meno esprimibile con queste parole: "I camerieri cinesi non sono esseri umani. Sono una sottospecie di scimmie, quindi non ci dobbiamo curare di loro e di ciò che pensano di noi. Sono persino meno dei Goyim, non valgono neppure quanto i loro escrementi, già tanto vili."  Del resto un trattamento non migliore è riservato alla domestica afroamericana, considerata una specie di lebbrosa. Se devo essere franco, trovo moralmente ripugnante una simile doppiezza. Anche ai nostri giorni possiamo fare esperienza di atteggiamenti non troppo dissimili: i Goyim hanno il dovere di accogliere l'umanità intera, anche se in Israele non entra uno spillo. Bella coerenza. Posso dire che tutto ciò mi lascia perplesso?

Razzismo anti-italiano

La specialità di Roth consiste nell'inscenare teatrini della vergogna. Schifosi, indigeribili, tanto che neanche un porco di Gerasa si ciberebbe di simile vomito. Questo scempio non risparmia nemmeno noi Italiani. Alexander Portnoy fu iniziato al sesso da una diciottenne, certa "Bubbles" Girardi, figlia di un italiano che faceva l'autista per il Sindacato. Il fratello, un energumeno impegnato nella boxe, non badava troppo ai costumi dissoluti dell'esuberante sorella, visto anche che le permettevano di portare a casa qualche spicciolo. Ora, il detestabile Portnoy aveva un amico sommamente venereo, Arnold "Ba-ba-lu" Mandel, che assieme ad altri figuri - tra cui uno Smolka pieno di gonorrea - lo aveva condotto dalla "Bubbles" affinché lo svezzasse. Episodi di questo genere dovevano essere comunissimi negli States. Così leggiamo le gesta di questo gruppo di giovani ashkenaziti libidinosi. Si trovano a casa della ragazza italiana, ma la cosa va per le lunghe. Riuscito finalmente ad essere accolto dalla prosperosa "Bubbles", Portnose ha difficoltà estreme con l'erezione, di solito tanto pronta. Lei lo masturba pesantemente, gli strizza i genitali e la cosa non aiuta. Dopo penosissimi minuti di manipolazioni incessanti, il povero ragazzo ha un'eiaculazione improvvisa, con getti impetuosi di sburra che imbrattano il divano, i muri, persino il soffitto. Un bolo gli finisce in un occhio, causandogli grande bruciore e folli paranoie. La manipolatrice di genitali si adira per tutto quello sporco spermatico, che dovrà giustificare al suo babbo mafioso. "Brutto giudìo figlio d'una mignotta!", urla a squarciagola. Si assiste alla fuga precipitosa di Portnose, che si caga addosso temendo una vendetta e già si vede con l'addome bucato da uno stiletto (oltre che col fallo corrotto caduto per la sifilide e con gli occhi resi ciechi dalla sburra). Il giorno dopo, ecco che Arnold "Ba-ba-lu" Mandel lo trova per strada, gli dà dello Schmunk e gli dice serafico che sarebbe dovuto restare: dopo pochi minuti dalla vigliacca fuga, lui era già con la spada sfoderata, con l'italiana che se ne stava "accovacciata sulle fottute ginocchia terrone e gli leccava l'uccello". L'epiteto "terrone" è ancora un eufemismo che rende in qualche modo l'originale dago, termine slang americano il cui significato letterale è "sicario": è una semplice alterazione di dagger "pugnale". Per quanto riguarda all'aggettivo "fottute", in altre traduzioni al suo posto compare un più esplicito "di merda", mentre al posto di "gli leccava l'uccello" troviamo un più volgare "gli succhiava il cazzo". Tutto molto edificante, vero?

Etimologia di shikse 

La lingua yiddish è eminentemente germanica, ma è caratterizzata al contempo da una massiccia presenza lessicale di vocaboli di origine ebraica - oltre che di moltissime voci di origine sconosciuta. Tra le parole ebraiche in yiddish possiamo includere senz'altro shikse (שיקסע), vocabolo cruciale per il monomaniaco sessuale Alexander Portnoy. All'inizio si trattava di un epiteto fortemente abusivo, col significato centrale di "cosa abominevole", "detestabile"; il corrispondente maschile è shegetz (שייגעץ, in scrittura ebraica vocalizzata שֵׁיְגֶּץ; plurale shkotzim o shgatzim שקאצים). Cosa abominevole? Detestabile? Oh bella, non lo si sarebbe mai detto, data l'adorazione dimostrata dal giovane Portnoy per queste creature sensuali! Dal disprezzo iniziale, la parola iniziò ad assumere significati di satira e d'irrisione, per poi passare ad esprimere l'oggetto principe del più cocente desiderio carnale. La shikse era infatti l'idolo di quei Figli Americani di Ashkenaz, gangster animati dalle più lubriche pulsioni, malfattori che il Signore Geova pensò bene di risparmiare da ogni afflizione mentre si divertiva ad infierire sui devoti adoratori che abitavano negli shtetlekh della Polonia, destinati ad essere annichiliti dagli Einsatzgruppen

La vera etimologia del cognome Portnoy 

Ebbene, il cognome Portnoy ha origini russe. Il termine russo портной significa "sarto" ed è connesso con портки "pantaloni". La radice è l'antico slavo orientale пъртъ (pŭrtŭ) "pezzo di stoffa". Nonostante l'aspetto fonetico assai simile, questo termine non ha nulla a che vedere con порт "porto", voce originata in ultima analisi dal latino portus, che ritroviamo nell'italiano porto e nell'inglese port, per via di una complessa catena di prestiti culturali. Non si può quindi sostenere che портки significasse in origine "(abiti) marinareschi" e che in ultima analisi esista un nesso etimologico proprio con порт "porto". Il cognome yiddish che traduce Portnoy è Nadelman, con la variante Nudelman ("sarto", alla lettera "uomo dell'ago"). E pensare che ero tentato di ritenere Portnoy un anagramma satirico di *Porntoy, ossia "Giocattolo Porno"

La perversione di Portnoy! 

Il giovane Portnoy aveva elaborato una crudele vendetta contro sua madre e suo padre: si masturbava in modo veemente usando una bistecca per sfregare l'asta turgida, ricoprendo la carne di fiotti spermatici. La faceva così "marinare", dopodiché la madre ignara la cucinava e se la mangiava assieme al marito. Sì, i genitori ingoiavano entrambi la sburra del figlio, la digerivano e trasformavano gli spermatozoi in sterco! Al confronto di Alexander Portnoy le genti di Sodoma e Gomorra erano una compagnia di anime belle! Queste trovate raccapriccianti hanno dato persino origine a un termine gergale:


The Portnoy 

Having sexual intercourse with and ejaculating into any raw cut of meat (e.g. liver, porterhouse steak, pork roast), and then preparing and serving said meat (colloq. 'marinated') as a meal for one's immediate family or close friends.

(Origin: Portnoy's Complaint, by Philip Roth)

I was horrified when Andrew told me he'd done the Portnoy on the steak tartare I'd just enjoyed so heartily. 

Se il genere umano durerà abbastanza a lungo, i dettagli etimologici andranno perduto e l'evoluzione fonetica porterà i parlanti a pensare che questo vocabolo sia derivato da porn!  

Stereotipi 

Roth ha contribuito in modo importante quanto colpevole a rinfocolare stereotipi nocivi sugli Israeliti, caratterizzati come gobbi distorti e rachitici con un nasone così sviluppato da richiedere un porto d'armi, ovviamente tutti con capelli neri come la pece e con la pelle olivastra, magari anche avvolti in un sudicio caftano. Tutti pronti ad avventarsi su ogni shikse sexy proprio perché bionda e con gli occhi cerulei! Certo, certo, sono tutti gobbi, rachitici, malformati, nasoni e scuri... come Kirk Douglas, Paul Newman e Bar Refaeli! Capite cosa intendo? Non si vedeva nulla di simile dai tempi di Jud Süss!

Un grottesco teatrino social 

Nel marasma di Facebook mi accadde un fatto strano. Quando feci notare il ruolo di prim'ordine di Mark Zuckerberg nella diffusione capillare dell'antisemitismo a livello globale, fui aggredito da due navigatori, l'idealista G. e l'ostile S., che mi ritenevano in buona sostanza un coglione privo di cultura politica. Perché, vedete, nei loro modi di pensare abbastanza asfittici e figli del sistema scolastico, non è possibile che qualcuno accusi di antisemitismo un appartenente al Popolo Eletto come Montagna di Zucchero. Semmai mi viene da dubitare un po' dell'acume di G., borghese ma apostolo del neocomunismo (patrimoniale sui soldi altrui, sodomia col buco del culo altrui, travaso del Terzo e del Quarto Mondo in Italia, etc.), che nemmeno ha mai capito che S. è... un fascista! Proprio lui, che ostenta tanto fideismo nell'ideologia futurologica delle macchine pensanti, coscienti per via della loro potenza di calcolo, non sembra capire che un algoritmo dell'Intelligenza Artificiale, dopo aver macinato il romanzo di Roth senza altri elementi, restituirebbe questo sorprendente responso sull'identità più intima dell'autore: "SUPREMATISTA BIANCO"

Correlazione o causazione?

Ogni volta che in America avviene un attentato contro una sinagoga, ogni volta che qualcuno spara a un fedele con la kippah, mi sorge un dubbio fortissimo. Esiste la possibilità concreta che nella casa dell'attentatore sia trovata una copia di Lamento di Portnoy. "Aveva letto il romanzo di Roth", mi viene da pensare ogni volta. Sarebbe interessante fare studi di correlazione. Il problema è che gli investigatori e i criminologi non si aspettano di certo una cosa simile, quindi non fanno ricerche appropriate. Continuano a cercare il Mein Kampf, macinando a vuoto. Come se i nomi di Schlageter e di Lueger significassero qualcosa nel XXI secolo, in una terra che nutre verso la Germania un odio informe per via di qualche vaga reminiscenza scolastica sui mercenari Assiani assoldati dai Britannici all'epoca di Giorgio Washington!

Gli insulsi giudizi dei media 

Abbiamo appurato che il romanzo di Roth ha fatto all'intero mondo ebraico danni ingentissimi, quali non si vedevano dai tempi di Julius Streicher. Una ponderosa raccolta di numeri della rivista Der Stürmer faticherebbe ad eguagliare la mole di veleno contenuta in Lamento di Portnoy, e questo è un dato di fatto. Eppure i diretti interessati amano Roth e i mass media ne dicono mirabilia! Ecco alcuni capolavori eulogistici (non li linko per pigrizia, lascio al lettore l'onere di reperirli nella discarica del Web):

Philip Roth ha raccontato così bene Philip Roth che ci ha fatti diventare tutti Philip Roth.
(Corriere della Sera, 31 maggio 2018) 


I 5 libri di Philip Roth che chiunque dovrebbe leggere.
(Panorama, 23 maggio 2018)

10 cose di Philip Roth che valgono più del Nobel.
(Vanity Fair, 23 maggio 2018)


Gli anticorpi liberali che ci difendono contro la censura.
(Correre della Sera, 26 gennaio 2015) 


Non sono più riuscito a trovare, nonostante i miei sforzi, un incredibile titolo comparso come risultato di una ricerca, qualcosa che suonava così: 

Philip Roth fa bene al popolo ebraico. 

Certo, certo, fa proprio bene. Se qualcuno scrivesse che la retorica di Goebbels fa bene al popolo ebraico, sarebbe ritenuto subito un folle. Per contro, se qualcuno scrive che Philip Roth fa bene al popolo ebraico, i radical chic subito applaudono. L'intero mondo della cultura applaude. Che ironia! L'opera di Roth come cura all'antisemitismo? Un inclito autore di Science Fiction descrisse in un suo romanzo un popolo primitivo che aveva un ben singolare costume: l'applicazione di sterco di capra sulla pelle nel tentativo di curare la scabbia. Ecco, qui siamo di fronte a qualcosa di molto simile. Comune è la folle, delirante idea di contrastare qualcosa proprio con ciò che ne è la causa! La verità è che Roth è osannato dalla sua stessa gente proprio perché è colpita da cecità e da gravissima incoerenza. Lo innalzano su un altare, nonostante abbia commesso quello che in Israele è considerato il crimine più grave: dare ad Adolf Hitler una vittoria postuma.

Una soluzione semplice

Cosa avrebbe dovuto fare il Popolo di Israele, se avesse compreso il pericolo? Per essere franchi, avrebbe dovuto prendersi una pausa dalle sue geremiadi per abbattere Philip Roth servendosi del Mossad. Ormai è troppo tardi: l'autore è spirato e il malefico Portnoy continua a scavare come un fiume carsico.

lunedì 14 gennaio 2019


ECLISSE DEL DIO UNICO

Autore: Ferruccio Parazzoli
Anno: 2012
Genere: Saggio
Argomenti: Religione, morte di Dio, panteismo, filosofia 
Editore: Il Saggiatore
Autore della prefazione: Vito Mancuso
Codice ISBN: 9788842817758
Pagine: 160


Sinossi (da www.ibs.it): 
"Non avrai altri dei di fronte a me" (Esodo 20,3). Oggi quell'Unico Dio si è disciolto come una montagna di ghiaccio. Con questa immagine sconcertante si apre l'inconsueto saggio di Ferruccio Parazzoli, dove il sublime e l'abisso si incrociano. Con l'eclisse del Dio Unico è crollato il pilastro a cui, in obbedienza e in rivolta, stava abbarbicata la cultura occidentale. Muore la rivolta metafisica, muore la tragedia cristiana, la grande creazione artistica nata dopo il Golgotha. L'autore rifugge da quello che definisce il pensiero ordinato del linguaggio debole, frutto dell'odierno nichilismo di massa, della "pappa del niente" di cui si nutre l'uomo contemporaneo, morto alle grandezze di ogni mitologia. La scrittura di Parazzoli è un incalzare di affermazioni demistificanti, di immagini ribaltanti, è la messa in scena di un dramma dove il Vecchio Dio di Abramo è caduto dietro le quinte, ma dove sul palco non è mai comparso quel Dio Padre che Gesù chiamò dalla croce. A capitoli di lucido sconcerto sull'attuale disorientamento dell'uomo occidentale ("Gli sciamani non volano più", la piatta orizzontalità dell'arte contemporanea; "Apologia del rischio", la perduta eroicità di Prometeo), si alternano capitoli visionari ("La tenda gialla", confine tra vita e morte; "Il discorso di Gesù morto", dove la vittima rivendica il proprio vittorioso fallimento). Fino alla chiusa commovente y final (*) de "La cerimonia dell'addio". Un appassionato j'accuse. Prefazione di Vito Mancuso.  

(*) Non si capisce il perché dell'inserimento di questa locuzione in spagnolo, che si trova in ogni sito nel Web, anche in quello di Mancuso. Forse è stata copiata in modo pedissequo da un originale già bacato? Molti siti hanno anche "commuovente" per "commovente"

Recensione:
Non ringrazierò mai abbastanza l'amico C. per avermi fatto conoscere il libro di Antonio Franchini, Cronaca della fine (2003), che a sua volta mi ha fatto conoscere l'opera di Ferruccio Parazzoli - e la sua stessa esistenza, che prima ignoravo. Tutto è iniziato dal caso assai complesso dell'autore nichilista Dante Virgili, che rappresentava un autentico rompicapo nel panorama letterario italiano. A modo suo, il libro di Franchini mi ha enormemente aiutato a fare chiarezza e a comprendere molte cose. Frugando nella produzione eclettica del Parazzoli, sono arrivato fino a questa gemma pubblicata nel 2012, Eclisse del Dio Unico. Non userò mezzi termini. Per come la vedo, tecnicamente parlando si tratta di un vero e proprio atto di abiura. Coraggioso, non ci sono dubbi, per certi versi unico nel suo genere. Non basta: questo scritto rappresenta molto di più di un mucchietto di opinioni e certamente merita un approfondimento. Questo perché a tutt'oggi, nel 2019, il Parazzoli è ancora presentato come autore cattolico, nonostante abbia da tempo fatto convinta professione di panteismo, negando proprio la fede in quel Dio che è il nucleo stesso del teismo cattolico.

"Questo libro è un documento significativo. L’autore infatti è stato per molti anni (ed è ancora considerato tale ora che scrivo) un intellettuale organico alla gerarchia della Chiesa cattolica, con una collaborazione fissa con “Famiglia Cristiana”, una rubrica sul mensile “Jesus”, svariati articoli su “Avvenire” dove gli è stata affidata anche la striscia di spiritualità quotidiana detta Mattutino, e i puntuali inviti della Presidenza della Conferenza Episcopale a prendere la parola nei congressi e nei simposi ufficiali, per i quali, si sa, la minuziosa e diplomatica selezione degli invitati è già parte integrante del messaggio finale."  

Così Mancuso nella prefazione al saggio in analisi. Il documento è consultabile sul sito del teologo panenteista e anticataro. Questo è l'url:


Come si può ben vedere, non mi sto inventando nulla. Questo però non basta. Leggete tutti con grande attenzione: 

"Ferruccio Parazzoli ha voluto indagare lo sfondo oscuro, “scoprire il punto oscuro del mondo in cui piantare la mia leva per rovesciarlo”, come si legge nel Discorso di Gesù morto. In queste pagine l’ha fatto in forma saggistica, anche se non prive di invenzioni narrative, dopo che nei suoi numerosi romanzi, tra cui desidero ricordare Nessuno muore (Mondadori 2001) e Il mondo è rappresentazione (Mondadori 2011), l’ha fatto in forma narrativa. Ma l’indagine è unica, come unica è la vita. E l’indagine alla fine l’ha condotto ad abbracciare il panteismo.
Questo libro si presenta quindi come l’onesto documento di un uomo che è stato cattolico per tutta la vita, e quindi naturalmente teista, e che ora non è più teista, bensì panteista."


Non bisogna correre troppo con l'immaginazione per comprendere che questo punto oscuro del mondo, che Parazzoli ha usato come leva, ha un nome e un cognome: Dante Virgili. L'identificazione è ancor più interessante, perché proprio la fede cattolica dello scrittore romano - che a quanto mostrato sopra è ormai tutto fuorché certa - è talvolta usata come prova dell'impossibilità di attribuirgli le opere di Virgili. Il ragionamento di chi sostiene questa tesi è lineare e chiaro, anche se a parer mio è fuorviante:

   1) Virgili è tutto fuorché cattolico e simpatizza per Adolf Hitler;
  2) Parazzoli è cattolico, oltre che un importante espontente dell'intellighenzia cattolica.
Ergo, nemmeno una riga delle opere di Virgili può essere stata scritta da Parazzoli. 


Il punto 2) contiene un anello debole della catena logica. In effetti quanto sostengo è duro da mandar giù. Ne sono pienamente consapevole. L'idea che l'autore di Carolina dei miracoli sia anche l'autore di Metodo della sopravvivenza è come un pugno nello stomaco, qualcosa da cui è difficile riprendersi. Eppure questa è la conclusione che possiamo trarre dall'analisi dei dati di fatto, come già mostrato con argomenti piuttosto solidi. Adesso però torniamo a noi, dato che in Eclisse del Dio Unico non si fa alcuna menzione di Dante Virgili e dei due romanzi a lui attribuiti. 

Come Mancuso fa notare, l'uso del termine Eclisse non descrive bene ciò che Parazzoli esprime nel suo saggio. Infatti si tratta di una parola che allude all'occultamento improvviso ma temporaneo della luce di un astro. Se il sole è eclissato, sembra calare la notte, ma poco dopo la luminosità torna a crescere finché la tenebra non viene del tutto dissipata. Parazzoli avrebbe dovuto intitolare la sua opera Tramonto del Dio Unico, perché all'occultamento dell'astro divino non farà seguito la ricomparsa neppure di un singolo raggio di luce. Certo, non si tratta di un annuncio nuovo. Immagino di non dover parlare in modo approfondito del famoso proclama "Dio è morto" (Gott ist tot) che compare in due opere di Friedrich Nietzsche: Così parlò Zarathustra (Als sprach Zarathustra, 1881-1885) e La gaia scienza (Die fröhliche Wissenschaft, 1882). Abbiamo poi Il crepuscolo degli idoli (Götzen-Dämmerung, 1889), sempre del filosofo di Röcken, e L'eclissi di Dio (Gottesfinsternis, 1953), di Martin Mordechai Buber. Il processo di dissoluzione di Dio e del monoteismo è irreversibile e genera un aumento dell'entropia. Non a caso l'autore ricorre all'immagine di un gigantesco iceberg che dapprima dà segni di cedimento per poi scioglersi a ritmo sempre più sistenuto, finendo quindi col disintegrarsi. Una volta che l'iceberg divino si è dissolto nell'oceano, ha perso completamente e per sempre la sua individualità: non c'è più nulla che lo possa ricostituire. 

Procedendo, Parazzoli analizza punto per punto il processo di morte e di decomposizione del concetto stesso di Dio. Non soltanto: è l'idea del rapporto di Dio col mondo, tipica del teismo, che sta subendo disintegrazione. Ad essere in crisi e condannata alla scomparsa è proprio l'idea di Dio come eternamente distinto dall'Universo che ha creato dal Nulla. Va da sé che a sostituire il teismo morente non è l'ateismo. Infatti l'ateismo è la negazione del teismo, che costituisce un presupposto indispensabile per la sua esistenza. Con la dissoluzione del polo monoteista, anche l'ateismo ne subirà le sorti. Ci possiamo porre una prima domanda: "Come muore il teismo?" La risposta data da Parazzoli è semplice: il teismo non muore per azione di un uccisore, che sia consapevole o meno.  Il processo che si è da tempo innescato è spontaneo. Il teismo agonizza nell'indifferenza delle masse. Questo perché Dio è come un attore che ha abbandonato il teatro del mondo a se stesso. Altra domanda cardine è questa: "Perché muore il teismo?" Anche in questo caso la risposta è diretta. Il teismo cristiano si spegne perché non fornisce risposte credibili ai problemi dell'esistenza. Più in dettaglio, non è in grado di risolvere questi problemi, con buona pace dei teologi cattolici: 
1) Il paradosso del Male, che non è semplice "assenza di Bene", ma dolore concreto che colpisce e stritola anche bambini innocenti. 
2) La natura intrinsecamente incoerente di Dio, in cui il Padre amorevole del Nuovo Testamento si scontra con il carnefice genocida dell'Antico Testamento.
3) Il supplizio della croce come destino ontologico di Gesù, deciso ab aeterno, cosa che implica il sostanziale fallimento dell'opera dell'Artefice.
4) L'impossibilità di leggere la Bibbia come Sacra Scrittura, la sua riduzione a semplice narrativa teologica, neppure meritevole di essere salvata da un futuro macero universale.
5) La natura intollerante degli attuali monoteismi, di cui è evidente l'antica derivazione "tribale, nazionalista e populista"


Queste aporie a mio avviso possono essere risolte soltanto per mezzo del Dualismo manicheo, ma si tratta di una soluzione estremamente impopolare che nessuno sembra voler accettare. Infatti Parazzoli non ci pensa nemmeno per un momento, e non fa la benché minima menzione a questa possibilità concettuale: la soluzione che escogita è invece il panteismo. Cessa così la divisione tra Dio e il mondo: Dio è il mondo - con tutte le perigliose conseguenze del caso. Conseguenze che l'autore non esplora: la sua professione di fede panteista resta piuttosto ermetica. Eppure anche il panteismo presenta aporie, non meno spaventose di quelle del teismo cristiano. Ad esempio, se lo sterco fa parte del mondo, e Dio è il mondo, quali conclusioni possiamo trarne? Che anche lo sterco è Dio, che il divino si identifica con lo sterco. Esiste una setta induista di fachiri denominati Aghori, che fanno di queste proposizioni panteiste il loro vessillo: ritengono che nulla di ciò che esiste nel mondo sia impuro, perché tutto è divino, così ingeriscono le feci, bevono l'orina e il mestruo delle prostitute, si cospargono il corpo delle ceneri dei morti, consumano carne umana putrefatta. Soltanto gli Aghori hanno assunto su di sé il peso del panteismo, fino in fondo, con gesti concreti e con coerenza estrema. Per il resto, tutte le parole dei sedicenti panteisti del mondo paiono soltanto un flatus vocis.

Altra soluzione rifiutata da Parazzoli è quella nichilista. Egli distingue tra un nichilismo forte, consapevole ed estrema negazione di qualsiasi senso dell'esistenza, e un nichilismo debole o nichilismo delle masse, quasi una forma di entropia del pensiero, una sfocata scoria collettiva definita come "pappa del niente" (ma forse sarebbe meglio dire "cacca del niente"). La cosa mi lascia un po' perplesso. Se tutto è Dio, come il panteismo afferma, allora è Dio anche la "pappa del niente" (o "cacca del niente"). Per un panteista tutto deve per necessità essere equivalente, perché tutto è Dio. Quindi semmani dovremmo parlare di "pappa di Dio" o di "pappa divina". Un teista cristiano ha ragione di lamentarsi di questa degradazione del sentire delle masse, un panteista non ne avrebbe motivo. Sembra quasi che l'autore, pur cambiando la rotta della propria vita, mantenga ben fissi alcuni residui della sua precedente condizione di cattolico. Spero che altri commentatori dell'opera parazzoliana colgano questa incoerenza e sviluppino trattati più approfonditi del mio. 

Acute, caustiche e pienamente condivisibili sono le osservazioni su un punto di capitale importanza: l'afasia della cultura cattolica. Il mondo cattolico, una volta che la fine del teismo ha spezzato il legame tra il linguaggio e i dati di fatto che dovrebbe descrivere, è diventato autoreferenziale. Un microcosmo cattolico paragonato a "un albero senza fronde né frutti". Altra suggestiva locuzione parazzoliana che ben descrive l'accaduto è "ingresso della cultura cattolica in un alone di buio". Ecco un estratto particolarmente significativo a questo proposito:

"A quasi quattromila anni di distanza un settimanale cattolico ha provato a lanciare un appello ad alcuni attuali e volonterosi sacerdos del linguaggio perché tentino di ricomporre il tramite con il Dio monoteista.
Ridato al linguaggio, sia pure occasionalmente e artificialmente, il Polo di riferimento del Dio Unico - ignorando, o fingendo di ignorare, il discioglimento di Antartide o cercando comunque di esplorarne il disfacimento - gli improvvisati sacerdos - un filosofo, due poeti, tre narratori -, rivestiti per l'occasione i paramenti del rito, riprovano a frarsi tramite con il Dio Personaggio. Ma le fragili navi di Argo trovano il livello delle acque inaspettatamente innalzato, il periplo delle coste irriconoscibile e un silenzio siderale. Gli esploratori mandati in avanscoperta fanno ritorno a mani vuote. Il loro linguaggio si è risolto in un soliloquio senza più alcuna possibilità di risalire all'origine del mito, al «Trono di Dio», come era chiamato il luogo dei cieli dove sedeva il Dio di Occidente.
Ognuno lamenta la moneta perduta, l'ansia della ricerca, il proprio smarrimento, la debolezza della propria nostalgia. In realtà non hanno più alcun Dio a cui parlare. Parlano a un cielo oscurato, forse già vuoto. Il vecchio Dio di Occidente non ritorna in scena.
La Rappresentazione, scaduta in spettacolo, non lo interessa più. Scivolato giù dal Trono, il Dio di Occidente si aggira dietro le quinte, dietro le cupole e i colonnati, nei sotterranei della Storia."

(pagg. 79-80)


Mancuso paragona il testo di Parazzoli all'oracolo che annunciò la morte di Pan, così ben descritto da Plutarco. Si chiede se l'annunciata morte del Dio Unico non possa essere al contempo una resurrezione di Pan e del paganesimo politeista. Poi favoleggia sul passaggio dal Deus cristiano (maschile, personale) a un Deum pagano (neutro, impersonale). Se devo essere franco, non amo molto queste trovate. Iniziamo a stendere un pietoso velo sul fantomatico Deum: le antiche divinità erano peronali e dotate di sesso. Passiamo quindi alla natura stessa delle cose del mondo. In questo Universo dominato dalla crescita dell'entropia, non avvengono resurrezioni. L'antico politeismo si è eroso e degradato, si è mutato in scorie che sono state disperse dalla nuova religione del Dio Unico. Questo è un processo che non ha possibilità alcuna di essere reversibile. Nulla ritorna mai dalla dispersione e dall'Oblio. Una volta che il fuoco delle Vestali è stato spento, nessuno potrà mai pretendere che la sua fiamma, presa a viva forza dai secoli passati in cui ardeva, possa formarsi dal nulla e riprendere ad attecchire. L'Eclisse del Dio Unico non dà nuova luce a ciò che c'era prima che questo Dio Unico sorgesse in Occidente, come la fantasia mancusiana vorrebbe: costituisce invece un inarrestabile progredire dello sfacelo, verso l'orizzonte della Mors Ontologica.

1994 LA NUDITÀ E LA SPADA

Autore: Ferruccio Parazzoli
Anno: 1990
Genere: Romanzo
Sottogenere: Ucronia, distopia, fantareligione, fantapolitica
Argomenti: Religione cattolica, integralismo, guerra santa

Ambientazione: Italia, 1994-95, 2015
Lingua originale:
Italiano
Editore: Mondadori
Collana: Omnibus italiani
Codice ISBN-10: 8804333227
Codice ISBN-13: 978-8804333227
Codice EAN: 5000000403320
Pagine: 275

Panoplia satyrica 

Personaggi "reali":
    Monsignor Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano in un periodo particolarmente difficile. Fa di tutto per mediare le varie anime cattoliche presenti nella sua diocesi e per far sì che la situazione non diventi troppo incandescente. Nonostante il suo grande impegno, fallisce. Il suo destino è la fucilazione.
    Don Luigi Giussani, fondatore della setta neopelagiana dei Mammoniti (più nota come Comunione e Lottizz... pardon... Liberazione). Ridotto alla clandestinità, finirà fucilato assieme a Martini, che lo aveva nascosto nella sede arcivescovile.  
     Don Roberto Busti, descritto come un prete-manager dai capelli fulvi; ora Google lo mostra come un attempato vescovo. Gli tocca una patata bollente: gestire il videomessaggio dell'arcivescovo sull'epidemia di AIDS. 
    Cesare Cavalleri, scrittore e giornalista, dirige la rivista Studi cattolici. Descritto come aspro e intrattabile, ma dotato di sprito profetico. Adepto della setta dell'Opus Dei - quella che esalta come dono il dolore... degli altri. Il suo dramma Cristo, il Grande Terrorista fa precipitare la situazione, gettando Milano nell'anarchia, con conseguente repressione. 
   Vittorio Messori, scrittore e giornalista cattolico, presente alla cena di Don Busti. Noto per essere un amante dei tortellini alla carne, che a sua detta giustificherebbero lo sterminio dei Catari.
     Ferruccio Parazzoli, scrittore presente alla cena di Don Busti. Autore di opere non immuni da una vena di ispirazione mefistofelica. 
     Roberto Formigoni, un celebre capo della setta mammonita (vedi sopra). Presidente del Movimento Popolare, al Meeting riminese intona geremiadi a causa della sempre maggior lontananza delle autorità ecclesiastiche.
     Giulio Andreotti, politico democristiano, considerato un tappo dal volgo italiano, in realtà era gigantesco e non aveva nemmeno la gobba. 
     Giovanni Spadolini, corpulento politico repubblicano, calato sul palco al Meeting di Rimini per un'improbabile crociata neo-illuministica, quasi linciato da folle di mammoniti urlanti.
   Ciriaco De Mita, politico democristiano, proprio quello che alcuni soprannominano Re Mida. Presidente del Consiglio dei Ministri dal 1945 al 1995.
     Eugenio Scalfari, un giornalista-scrittore e politico, direttore de La Repubblica. Si salva per il rotto della cuffia dall'attentato in cui perde la vita Giampaolo Pansa.
    Gaspare Barbiellini Amidei, arriva trafelato alla cena di Don Busti, annunciando che Giovanni Paolo II ha deciso di trasferire la Santa Sede a Manila. 
  Giampaolo Pansa, un giornalista-scrittore-saggista, vicedirettore de La Repubblica. Viene ucciso in un attentato.
    Giuliano Ferrara, un giornalista, conduttore televisivo e politico, fautore dell'idea del cosiddetto "ateismo devoto" e dotato di barba rossiccia, poi in parte incanutita. Nel romanzo non viene citato per nome, bensì con l'evocativo soprannome Bretelle Rosse.  

Personaggi immaginari: 
    Tommaso Vegas, il protagonista, un professore universitario di Storia del Cristianesimo alla Cattolica; è di incerte convinzioni, in ogni caso incline al nicodemismo.
    Mara, la milf amante di Tommaso, ninfomane, perennemente scolvolta da flussi ormonali, stravagante e imprevedibile. È una tipica radical chic milanese sconvolta da immani quantità di droga.
    Claudia Vigevani, studentessa del corso di Tommaso e infine sua amante. La sua famiglia è di origine ebraica. Avvicinatasi alla setta di Comunione e Liberazione, durante le rivolte finirà imprigionata, torturata e uccisa.
    Marco Vigevani, il padre di Claudia, docente ebreo convertito in gioventù al cattolicesimo, ancora traumatizzato dalle leggi razziali del '38, a cui assimila la presente repressione anticattolica. La sua passione è la fanta-paleontologia.
   Antonio Mattalia, un militante mammonita, che seduce e radicalizza Claudia, condividendone il triste destino in uno stadio uso campo di concentramento di pinochetiana memoria. 
   Leone Besana, un amico di Mara, cultore delle arti marziali nonché omosessuale confesso, ma aperto ad assumere ruoli di assoluta passività con Mara, improvvisatasi dominatrice armata di fallo di gomma.
   Don Giacomo Carnevali, parroco di San Babila e amico di vecchia data di Tommaso; persa la fiducia nei suoi parrocchiani e nel mondo intero, deciderà per l'abiura. Non sopportando un'esistenza divenuta senza significato, si darà fuoco come un bonzo.
     Don Luigi Crivelli, parroco di San Simpliciano e studioso delle dottrine gnostiche, per cui sembra quasi provare un'occulta simpatia. Consultato dall'arcivescovo Martini per un cruciale videomessaggio sull'AIDS, gli raccomanda di non discostarsi dal magistero della Chiesa - ovviamente senza menzionare in modo esplicito l'idea fondante dell'epidemia come punizione divina per i peccati umani.

Trama: 
Il romanzo parazzoliano, che è assai denso e di straordinaria complessità, è incentrato su un drammatico tema: la fine violenta e improvvisa della religione cristiana in Italia e più in generale nell'intera civiltà occidentale. La narrazione, troppo articolata per essere ridotta a una stringata sinossi, si divide in più parti.

Parte prima: 2015 
In Italia l'esercizio del culto cattolico è proibito con leggi draconiane. Il narratore va con la mente ai fatti che hanno portato a simili sviluppi, risalenti a un decennio prima. Mentre rimugina, viene avvicinato da un giovane che lo invita a una celebrazione della Veglia pasquale nel segreto di un appartamento privato. Non essendoci più sacerdoti, il rito clandestino viene officiato da un diacono. Finita la cerimonia, il narratore torna a casa e decide di mettere per iscritto la storia degli eventi di cui è stato testimone, utilizzando i confusi appunti lasciati da Tommaso Vegas.

Parte seconda: 1994 
Tommaso Vegas, docente dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, convive con la sua amante Mara: la loro dimora è frequentata da un vasto assortimento larve umane. Una studentessa che segue il corso di Storia del Cristianesimo, Claudia Vigevani, rimane coinvolta in uno scontro tra militanti di Comunione e Liberazione e anticlericali. Tommaso accompagna la ragazza a casa e fa la conoscenza del padre, un pensionato ex insegnante di scienze naturali che passa il suo tempo a costruire fantasiosi modelli di dinosauri ucronici.
Febbraio 1994: Tommaso è invitato in Arcivescovado per un incontro presieduto dall'arcivescovo Martini, il cui argomento è la difficile situazione della Diocesi di Milano. Martini cerca di affermare l'autonomia della Chiesa ambrosiana da tutte le parti in causa: Comunione e Liberazione,
il Papato wojtyliano e la Massoneria. A distanza di pochi giorni, Tommaso è invitato a una cena a casa di don Busti, ove trova i rappresentanti dell'intellighenzia cattolica milanese. Un corrucciato Cavalleri profetizza l'imminente avvento di feroci persecuzioni anticristiane. Nessuno lo ascolta: tutti hanno come unico orizzonte i tortellini! A questo punto fa la sua irruzione il direttore di Avvenire, che gela tutti con la notizia della traslazione della corte pontificia a Manila. Il papa polacco, interessato solo al supposto risveglio cristiano dell'Est e all'evangelizzazione del Terzo Mondo, ha abbandonato la Chiesa italiana a se stessa. 
Agosto 1994: Tommaso riceve l'invito al Meeting di CL a Rimini. Si reca quindi nella città romagnola con l'amante più giovane, Claudia. Durante una visita al Tempio Malatestiano, incontra Cavalleri, che profetizza nuovamente, vaticinando un fosco futuro. Il Meeting è teatro di eventi convulsi. Il rapporto tra Tommaso e Claudia si rovina in modo subitaneo: lei mostra segni di fanatismo e non vuole più avere rapporti. Al ritorno del professore a Milano, anche il rapporto con Mara è ormai in crisi.
Autunno 1994:
Gli eventi precipitano a causa dei tumulti scatenati a Milano dalla rappresentazione del dramma incendiario di Cesare Cavalleri, Cristo, il Grande Terrorista. La devastante epidemia di AIDS non fa che esacerbare gli animi. I cattolici sono accusati di questo disastro, a causa della loro pervicace opposizione all'uso del profilattico. L'arcivescovo Martini - ormai papa de facto - in un messaggio televisivo sul contagio, pavidamente non affronta la questione del condom. 
23 dicembre 1994: Uccisione di Giampaolo Pansa in un attentato. Eugenio Scalfari riesce invece invece a sfuggre al Tristo Mietitore. L'accaduto, visto come un attacco alla stessa laicità del Paese, porta a un nuovo giro di vite contro i cattolici. 

Parte terza: 1995
Il potere, dopo mesi di crisi di governo, passa alla Giunta di Unificazione Nazionale, che subito applica leggi restrittive contro i cattolici, secondo l'autore su modello delle leggi razziali del '38, ma direi piuttosto simili a quelle emanate dal presidente Plutarco Elías Calles in Messico nel '26. Ai cattolici praticanti, messi sotto stretto controllo, è assegnato un tesserino giallo, necessario per poter assistere alle funzioni. L'Università Cattolica viene chiusa: Tommaso perde quindi la sua cattedra. Per mantenersi si vede costretto a curare un'edizione dei frammenti di Eraclito per la Mondadori. Risale a questo periodo la sua frequentazione di Marco Vigevani, con cui visita il Museo di Storia Naturale. 

La congravescenza dell'epidemia di AIDS è incessante, i casi si moltiplicano senza sosta. Comincia a diffondersi un'infamante accusa rivolta ai volontari cattolici che assistono i malati: quella di essere untori e di diffondere il morbo per sterminare i peccatori. Agli estremisti cattolici viene attribuito anche un attentato alle Ferrovie Nord, con morti e feriti. La folla insorge e devasta le Librerie Paoline a Milano. L'Arcivescovado viene posto sotto assedio. Claudia, entrata a far parte di un movimento oltranzista, viene arrestata e fucilata assieme ad alcuni compagni. I loro corpi vengono esposti al pubblico ludibrio, mentre l'esercito interviene coi carri armati.
6 dicembre 2015: Fucilazione dell'arcivescovo Martini e di don Giussani. Il cattolicesmo italiano, privato del clero, in pratica cessa di esistere. I superstiti, che vegetano in stato catacombale, si confonderanno sempre più in una galassia di conventicole settarie.


Epilogo: 2015
A questo punto si viene a sapere che il narratore della storia è proprio Tommaso Vegas. Nuove elezioni sono state indette per pacificare gli animi degli italiani, dopo anni di dittatura militare. In un'ultima pagina si introduce un ulteriore livello di ucronia: l'intero romanzo sarebbe l'invenzione di uno scrittore in un'Italia teocratica in cui Martini siede sul soglio pontificio! 


Recensione: 

Mi è molto piaciuta quest'opera, senza dubbio una pietra miliare della narrativa ucronica, il cui titolo rimanda al 1984 di George Orwell e all'Apostolo delle Genti. Ne raccomando a tutti la lettura: è come ossigeno per la mente. Come penso debba essere ovvio, accolgo il principio cardinale della sospensione dell'incredulità ogni volta che mi immergo nei meandri di una trama fantascientifica o fantastica. Se però dobbiamo passare all'analisi dettagliata dei contenuti, siamo costretti ad evidenziare le nostre perplessità.

Fantasia e realtà 

Una scena di vivida violenza. Una rivolta anticattolica è in atto. In un bar alcuni adepti di Comunione e Liberazione vengono aggrediti, trascinati in strada e percossi selvaggiamente. A uno di loro vengono assestati poderosi calci nel ventre, che gli provocano l'eruzione di getti di vomito. Una volante giunge a sirene spiegate e carica gli attivisti di Comunione e Liberazione, senza badare nemmeno per un attimo a chi li ha massacrati di botte. Non posso fare a meno di confrontare questo pezzo di bravura del Parazzoli con quanto da me vissuto all'università, quando frequentavo il corso di laurea in Fisica, in Via Celoria a Milano, proprio nei tardi anni '80 e primi anni '90. Il braccio politico della setta neopelagiana dei Mammoniti era noto come movimento dei Cattolici Popolari, il cui nome era abbreviato in CP; in pratica avevano il potere incontrastato nell'ateneo. Non c'era alcuno che si opponesse loro. I Comitati Leninisti erano ridicoli e patetici, si limitavano a distribuire il loro fogli di carta igienica con baggianate incomprensibili scritte a caratteri fittissimi. Intanto i Cattolici Popolari invadevano interi corridoi e si mettevano a pregare, senza nessun rispetto per chi non voleva sentire le loro lagne. Il punto è che in un corridoio c'erano tavoli e sedie, con molti studenti che studiavano. Verso chi voleva studiare in pace non c'era rispetto di sorta. Arrivavano i CP e tutti dovevano sgomberare immantinente per lasciar posto alla folla orante. Si aveva l'impressione di vivere in una teocrazia. Dei militanti laicisti e di sinistra evocati come picchiatori dal romanzo parazzoliano non c'era traccia alcuna. Solo fievole segno di insofferenza verso i teocrati ciellini: una scritta in un cesso, il cui testo era il seguente: "Odiare i negri è razzismo. Odiare i CP è intelligenza!"  Non ho scritto io quella sentenza - non mi abbasso a scrivere nei cessi - ma in un'occasione ho reagito con tali parole alla provocazione di un gran numero di ciellini, che avevano ostruito il corridoio con i posti per gli studenti, rifiutando di farmi passare. Un amico mi ha trascinato via prima che lo scontro degenerasse: all'epoca ero temerario e non mi era chiaro che sarei finito pestato come un sacco di patate. Più tardi avrei ideato una forma di scherno nei confronti dei CP, il cui nome ha subìto una magica trasformazione in CIPPIRIMERLO. Il trucchetto funziona ancora, con la metamorfosi del PD in PIDDIRIMERLO.

Alcune note antropologiche 

La facilità con cui Tommaso Vegas riesce a farsi delle amanti è tale da non avere precedenti nemmeno nella storia del paese di Sodoma e Gomorra. Al docente universitario nicodemita basta una breve conversazione casuale sul treno per convincere Mara, la milfona divorziata, a concedersi e a iniziare una convivenza. E che dire dell'invereconda, morbosissima seduzione messa in atto dalla giovane Claudia, che si mette nuda nella sua stanza permettendo al professore di sbirciarla? Il Parazzoli evita di evocare l'atmosfera plumbea che regnava ai tempi in cui il romanzo stesso fu scritto, regnante Karol Wojtyła. Il tonitruante pontefice polacco rivolgeva incessantemente alle nazioni del mondo i suoi anatemi e i suoi tentativi di moralizzazione sessuale, il cui testo poteva sintetizzarsi grossomodo così: E BUBÙBU BUBÙBU!! Convinto seguace delle dottrine dell'homunculus spermatico, Wojtyła riteneva che ogni eiaculazione fosse un genocidio, così cercava di imporre alle genti, con determinazione tirannica, che lo sperma fosse trattenuto nei testicoli. I fatti paiono mostrare che, almeno implicitamente, ammettesse un'unica possibile valvola di sfogo: la pedofilia ecclesiastica (vedi i casi Groër e Maciel Degollado, etc.). Di tutto questo non troviamo la benché minima traccia in 1994 La nudità e la spada. Com'è possibile? Parazzoli si limita a menzionare qualcosa di sfuggita sull'esaltazione wojtyliana dei popoli del Terzo Mondo, che "rifiutano la contraccezione e credono nei valori". Si tace sul fatto che secondo il pontefice cracoviese, agendo così, questi popoli contribuivano a far battezzare il maggior numero possibile di homunculi prodotti dalle gonadi, altrimenti destinati alla dannazione eterna. 

Ucronia oppure onirostoria? 

Una domanda pressante. Dove possiamo collocare il punto di divergenza tra il nostro corso storico e quello del romanzo? Non è poi così facile dare una risposta sensata. La narrazione parazzoliana potrebbe anche essere onirostorica, relativa a eventi che non si sarebbero mai potuti verificare nell'universo in cui siamo costretti a vivere. Le fosche profezie che lo scrittore romano naturalizzato milanese mette in bocca all'intellettuale dell'Opus Dei, Cesare Cavalleri, lasciano piuttosto perplessi, soprattutto se si pensa al contesto dei primi anni '90 dello scorso secolo, quando la teocrazia wojtyliana rasentava il totalitarismo. Posso contare sulla punta delle dita le manifestazioni di dissidenza antiwojtyliana di cui sono stato testimone nel corso degli anni di pontificato del tiranno polacco. Eccole:

1) A Seregno comparve sul muro di un palazzo la scritta: "IL PAPA E' PEGGIO DELLA PESTE".
2) Su un banco di un'auletta di Via Celoria, nell'edificio di Fisica, uno sconosciuto ha scritto in pennarello: "WOYTILA = HITLER DELLE COSCIENZE".
3) Nei primi anni del XXI secolo, io e il fraterno amico P., esasperati dai continui "BUBÙBU BUBÙBU!", definivamo il pontefice di Cracovia "DEMENTE BAVOSO". In un'occasione un medico cattolico è rimasto raggelato nell'udire queste parole dalla bocca di P., ricordo le labbra che gli tremavano come per un tic. Come se nell'Antico Egitto qualcuno avesse inveito contro il Faraone.
4) Mentre eravamo sul treno, io e l'amico P. udimmo le proteste di una milf e di due suoi amici, che seppur timidamente protestavano contro l'invadenza dei media papisti. Come intervenimmo e facemmo sapere che eravamo d'accordo, la milf e gli altri furono sinceramente rincuorati.

5) Possiamo aggiungere una protesta politica, ma senza dubbio antiwojtyliana. Sui muri cittadini di Seregno comparve una scritta in rosso: "SOLIDARNOŚĆ FUORI DALLE PRIGIONI... NEI FORNI!" (ricordo che i diacritici del nome del movimento polacco erano corretti). Immagino lo sdegno del pubblico per il fatto che riporto queste memorie nella loro durezza. Pochi poi parlano del fatto che Lech Wałęsa proponeva la castrazione degli omosessuali. 

E poi? E poi basta. I media erano nelle salde mani dei Mammoniti, che imponevano una cappa di censura e di oppressione senza precedenti. Una situazione quasi iraniana!
Si noterà che il teologo dissidente Hans Küng ha pubblicato la requisitoria Wojtyła, il Papa che ha fallito soltanto quando l'interessato era da poco spirato, nell'Anno del Signore 2005.
Approfitto dell'occasione per scagliare vergogna sulla barba di F., un convinto anticlericale che disse di sostenere Wojtyła e di apprezarlo per via del suo impegno contro la guerra! 


Possiamo giungere a una conclusione forse lapalissiana: il punto di divergenza tra il nostro cosmo e quello del romanzo si deve per necessità collocare dopo l'insediamento di Giovanni Paolo II sul soglio pontificio, il 16 ottobre 1978 e prima dei fatti narrati. Quello che temo è che un così breve lasso di tempo sia insufficiente a giustificare la prodigiosa accelerazione degli eventi descritta da Parazzoli, così come il diffuso clima anticlericale. Un'impetuosa ondata di anticlericalismo si è verificata soltanto con l'elezione di Benedetto XVI, il 19 aprile 2005, in parte a causa dell'origine etnica del nuovo pontefice - essendo molto diffuso in Italia l'antigermanismo - in parte a causa della reazione eruttiva alla pervasiva oppressione di 26 anni di dominio wojtyliano.

Il mito della Chiesa del Silenzio

Parazzoli descrive con maestria e dovizia di particolari il commovente rito della Veglia pasquale, celebrato da un ingegnere elettronico che faceva del suo meglio per mimare il sacerdozio cattolico, ormai soppresso. Leggendo le pagine in questione, una lampadina si è accesa nella mia mente. Ricordo quando il mitissimo don F. ci parlava della repressione della religione cattolica in Cecoslovacchia, con preti che venivano torturati, rinchiusi in cubicoli in cui non potevano nemmeno muoversi, privati del sonno. Così ci disse don F., che a quei poveri testimoni di Cristo veniva applicata la corrente ai testicoli eppure essi non cedevano. "Un prete non può abiurare", precisava, come se fosse un'impossibilità fisica o concettuale, un autentico adynaton - dimenticando ovviamente la stessa esistenza di Cristóvão Ferreira e l'efficacia estrema dei feroci sistemi dei Tokugawa. Poi dovetti sorbirmi ore di geremiadi sulle comunità cristiane cecoslovacche e polacche, costrette a incontri clandestini in case di montagna e in scantinati. In netto contrasto con l'opulenza di noi brutti e cattivi cresciuti nella bambagia di un futile consumismo, quegli slavi vivevano in condizioni paleocristiane, come i perseguitati sotto l'Impero di Decio e di Diocleziano! Una mattina, mente con fatica mi levavo e mi preparavo per la quotidiana razione di tortura scolastica, mio padre ascoltava la radio. Usciva da quella macchinetta una vocina stridula, con ogni probabilità di un mammonita di CL, proclamava: "In Russia ogni giorno milioni di giovani si convertono a Dio!" Su un giornalaccio, non ricordo se fosse Famiglia Crisitana o qualche immondizia similare, un prete faceva un altro proclama: "Mentre in Occidente ci sia affanna a negare Dio, in Russia ci si sta accorgendo che senza Dio non si può vivere!" Ecco, di queste pornografie concettuali si nutriva e si accresceva giorno dopo giorno lo sconcio mito della Chiesa del Silenzio. Poi, caduto quello che il mitico Giurato chiamava Mudo li Merlino, ecco svelata la realtà. La Chiesa del Silenzio non è mai esistita! Era tutta una baggianata, un imbroglio inverecondo! Sapete quali sono i frutti del fantomatico risveglio cristiano dell'Est? Ve lo dico io. Mafia, mafiosi, gangster, assassini, papponi, puttane, pornografi, pedofili, cannibali, carnefici, produttori di snuff videos, oligarchi, policanti iniqui, tiranni, pingui popi orgiasti e corrotti col crocefisso pieghevole sul sontuoso copricapo! Schifo assoluto e nemmeno un uomo di Dio! 

Cristianesimo e asfissia

Così dice il Cavalleri a Tommaso Vegas: 

«È la conclusione di una lotta mortale. È il progetto di asfissia del cristianesimo e di ogni altra forza che si opponga in nome di una fede ad un potere che si è venuto ad identificare con lo Stato, ad una democrazia che è stata di mano in mano, subdolamente o apertamente, sostituita da una tecnocrazia manovrata da oscure oligarchie economiche che, attraverso alcuni ingenui e ambiziosi intellettuali, si sono impadronite degli strumenti di comunicazione, sotto la mascherata di un'élite laicista.» 

Tutto molto condivisibile. C'è solo un piccolo dettaglio. Cosa asfissierebbe un Cristianesimo trionfante? Ecco che ci risponde Emil Cioran: verrebbe il tempo del Carnefice della Croce. Sostengo la Rivoluzione quando mi han tolto le sostanze e son ridotto a un povero tra i poveri. Poi riconquisto le sostanze e divento un tiranno spietato. Il bello sta tutto qui. 

Curiosità 

A quanto ho letto, pare che il vescovo Roberto Busti sia stato molto sorpreso e infastidito dal trovarsi descritto nel romanzo di Parazzoli. Per contro, il Cavalleri sarebbe stato lusingato dal ruolo attribuitogli. Già mi sento il consueto urlo stridulo: "Fonti?!" Eccole: 

Ecco l'estratto, con un uso massiccio della paratassi e separazioni moleste tra l'apostrofo e la parola successiva: 

"Minaccioso eppure divertente, 1994, la nudità e la spada (e la scelta dell' anno è ovviamente un riferimento ad Orwell) intreccia pochi personaggi inventati alle tante figure reali del presente, da Giuliano Ferrara a Ida Magli, da Miriam Mafai a Eugenio Scalfari, da Giampaolo Pansa che, toccando ferro, muore in un attentato, a Barbiellini Amidei (diventato direttore dell' Avvenire), da Berlusconi a De Benedetti, dando spazio soprattutto a figure di credenti come Cesare Cavalleri, elegante ed enigmatico direttore della rivista Studi Cattolici e membro dell' Opus Dei, autore di un celebre articolo sull' Avvenire di qualche anno fa, intitolato le Mimosanti, con il quale aveva attaccato il movimento femminista. Si sono divertiti anche i personaggi da lui così disinvoltamente usati, per esempio il fucilato cardinal Martini e lo stesso Cavalleri? Quest' ultimi certamente sì: dalla Curia non ho avuto reazioni ufficiali, ma soffiate mi dicono che soprattutto Don Busti è rimasto sconcertato e arrabbiato. L' Avvenire non sa come reagire: aspetto Il sabato, per vedere come se la cavano."

Che altro aggiungere? Davvero divertente!

Altre recensioni e reazioni nel Web 

Come per altri capolavori parazzoliani, esiguo è purtroppo lo spazio dedicato sul Web. Oltre all'estesa descrizione su Wikipedia (gennaio 2019), che mi è anche servita da canovaccio per costruire questa recensione, troviamo ben poco di significativo. C'è una stringata descrizione sul sito di fantascienza wwww.delosstore.it

Sul mitico Anobii.com si trovano al momenti ben poche recensioni. Questo è il link: 

Illuminante il breve commento di Marco Cobianchi: 

"Letto molti anni fa. Bello, anche se non amo i romanzi."

Più estesa la recensione eulogistica di Lucia, che sospetto essere una simpatizzante di Comunione e Liberazione. Ne riporto il nucleo:

"Non avevo mai letto altre opere di fantastoria; e soprattutto, non avevo mai letto un’opera di fantastoria in cui il cattolicesimo è stato dichiarato fuori legge, qui, in Italia. Magari, gli abituè del genere conoscono anche dei titoli migliori: però, questo mi è piaciuto un sacco, per l’originalità della trama.
Scritto nel 1990, il romanzo è particolarmente affascinante perché ambientato in un posto che conosciamo benissimo (Milano), con protagonisti che sono in gran parte esistiti realmente (es. Don Giussani; Messori; Carlo Maria Martini). È un romanzo assolutamente realistico, nel senso che la persecuzione anticattolica comincia in sordina, poi diventa un po’ più seria, poi cresce ancora… ma in maniera del tutto graduale. E quindi, potenzialmente verosimile. Non c’è nessuna forzatura.
Anche i “capi d’accusa” alla Chiesa sono quelli che i cattolici si son sentiti ripetere millemila volte in queste anni: rifiuto del preservativo, ingerenze temporali, e bla bla bla. Nelle note, ho inserito tre citazioni che sono tratte dal romanzo, ma potrebbero campeggiare su qualsiasi quotidiano d’oggi: verosimiglianza al massimo. Da brividi."


Bizzarra è anche la recensione di Nick:

"allucinato? irrisolto?
premetto che questo libro è rimasto non letto sugli scaffali per troppo tempo, e non riesco a capire perchè...
non è il primo libro di questo filone apocalittico che leggo, e probabilmente non sarà l'ultimo. ma questo mi ha stupito, proprio come mi stupisce il motivo per cui l'ho riposto senza leggerlo per così tanto tempo...
il protagonista è uno storico, e narrando in prima persona narra da storico, è giusto... e infatti alla fine ti resta in bocca proprio lo stesso sapore come di aver letto un libro di storia, senza suspance (spero si scriva così...), senza introspezioni e retrospezioni...
eppure la lettura ti prende come un romanzo, vuoi arrivare fino in fondo anche se il finale ti è stato già raccontato nelle prime dieci pagine e il resto è tutto un racconto al passato...
boh... in ogni caso, da leggere."


Mi auguro che molti altri contributi si aggiungeranno in futuro e che di 1994 si continuerò a parlare a lungo!