mercoledì 10 aprile 2019


 VIDEODROME

Titolo originale: Videodrome
Paese di produzione: Canada
Anno: 1983
Lingua originale: Inglese
Durata: 87 min
Genere: Orrore, fantascienza
Sottogenere: Tecnosurrealismo, psicosessualità 
Regia: David Cronenberg
Soggetto: David Cronenberg
Sceneggiatura: David Cronenberg
Produttore: Claude Heroux
Fotografia: Mark Irwin
Montaggio: Ronald Sanders
Effetti speciali: Rick Baker, James Stuart Allan, Frank
     Carere, Robert Rouveroy
Musiche: Howard Shore
Scenografia: Angelo Stea
Interpreti e personaggi
    James Woods: Max Renn
    Sonja Smits: Bianca O'Blivion
    Deborah "Debby" Harry: Nicki Brand
    Leslie Carlson: Barry Convex
    Jack Creley: Prof. Brian O'Blivion
    Peter Dvorsky: Harlan
    Lynne Gorman: Masha
    Julie Khaner: Bridey
    David Bolt: Raphael
    Reiner Schwarz: Moses
    Lally Cadeau: Rena King
    King Cosmos: Brolley
    Kay Hawtrey: Matron
    David Tsubouchi: Pornografo giapponese
Doppiatori italiani
    Diego Reggente: Max Renn
    Piera Vidale: Bianca O'Blivion
    Liliana Sorrentino: Nicki Brand
    Valerio Ruggeri: Barry Convex
    Manlio Guardabassi: prof. Brian O'Blivion
    Roberto Del Giudice: Harlan
Riconoscimenti
    1984 - BIFFF
        Miglior film di fantascienza
    1984 - Genie Awards
        Miglior regista
Budget: 5,9 milioni di dollari USA
Box office (mondo intero): 2,1 milioni di dollari USA 



Trama:

Come molti film di Cronenberg, anche questo è ambientato in Canada. Max Renn è il presidente di una televisione UHF di Toronto, la CIVIC-TV. Per dirla in parole povere, si tratta di una rete impegnata nella diffusione di ogni genere di spazzatura sensazionalistica: i suoi programmi consistono principalmente in tonnellate di pornografia soft e di violenza gratuita. Immagino che Renn si astenesse dal mostrare l'eruzione del fallo soltanto per qualche legge stravagante e contorta che gli avrebbe reso la vita impossibile. A un certo punto Renn, stanco di questo andazzo, cerca qualcosa di nuovo, che possa guadagnargli un nuovo audience. Un mattino gli viene offerta qualche possibilità consona ai suoi desideri. Harlan, che gestisce di nascosto un'antenna parabolica satellitare non autorizzata della CIVIC-TV, lo convoca nel suo ufficio clandestino e gli spiega di aver captato qualcosa di veramente strano. Si tratta di uno spettacolo televisivo pirata trasmesso dalla Malesia, intitolato Videodrome e privo di trama, che mostra l'efferata tortura e l'uccisione di vittime in una camera di un colore arancione rossiccio. In pratica è una serie di snuff movies. Max Renn, che non pensa nemmeno di infrangere il divieto che grava sulla trasmissione di pornografia hard, non si fa tuttavia scrupolo alcuno nel tentare la fortuna con questi snuff. Convinto che la violenza gratuita sia il futuro della televisione, dà ordine ad Harlan di iniziare l'uso non autorizzato del brutale show malese. Come dire, torturare e uccidere una persona è ok, mentre un cazzone che erutta una fontana di sperma su un paio di soffici tette non è ok: la morale anglosassone è tutta qui. Il problema riscontrato da Harlan è l'instabilità sostanziale del segnale televisivo di Videodrome, che si dissolve pochi istanti dopo aver trasmesso pacchetti di sequenze violente. Così Max chiede che gliene venga registrata una copia. Qualche giorno dopo partecipa a un talk show in cui sono ospiti la psichiatra Nicki Brand e il filosofo Brian O'Blivion, analista di cultura popolare.  Lo stravangante professor O'Blivion partecipa alla trasmissione da remoto, non fisicamente. A un certo punto se ne esce con un'inquietante profezia, affermando che la televisione soppianterà la vita reale. Max fa colpo su Nicki, le dà un appuntamento e i due diventano amanti. La donna si eccita moltissimo quando lui le mostra la registrazione di Videodrome, al punto da costringerlo ad avere sesso sadomaso con lei durante la visione dello snuff. Tornato nell'ufficio di Harlan, Max apprende che il segnale di Videodrome è sembrato provenire dalla Malesia a causa di uno sfasamento introdotto a bella posta dall'emittente, mentre si è potuto accertare che in realtà la trasmissione proviene da Pittsburgh, Pennsylvania, US. Quando Nicki lo viene a sapere, le si surriscalda il clitoride. In preda all'eccitazione più furiosa parte subito per Pittsburgh, nella speranza di poter partecipare alla trasmissione. Il problema è che non fa ritorno. A questo punto Max, molto preoccupato, decide di contattare la sua amica Masha, una cougar che di professione fa la pornografa soft, per chiederle come gestire la difficile situazione. Apprende così dall'attempata signora che non soltanto Videodrome è reale, ma che si tratta della facciata di un movimento politico. Viene anche a sapere che il professor O'Blivion è coinvolto in tutto questo. La ricerca porta Max in un rifugio per vagabondi dove i relitti della società sono spinti a sottoporsi a sessioni interminabili di programmi televisivi, fino a fondersi il cervello. La figlia di O'Blivion, Bianca, gestisce questa inconsueta attività, che è una vera e propria missione religiosa di una congrega dal nome sorprendente: la Chiesa Catodica. Lo scopo della Papessa Catodica, Bianca O'Blivion, è in apparenza quello di inverare la profezia del padre, facendo sì che la Televisione rimpiazzi ogni aspetto della vita reale, assimilando gli spettatori. In un videotape, il professore visionario spiega che Videodrome è un campo di battaglia socio-politica combattuta per il controllo delle menti della popolazione nordamericana. A questo punto Max è sconvolto da allucinazioni molto realistiche, tanto che vede la cavità di un videoregistratore formarsi nel suo busto, una ferita simile a una grande figa. Bianca gli spiega che il segnale di Videodrome ha un simpatico effetto collaterale: provoca nell'utente un tumore maligno al cervello, responsabile delle esperienze allucinatorie. In realtà il professor O'Blivion è morto da anni, da quando ha capito che la sua creatura veniva usata dai suoi partner per scopi malevoli. Avendo cercato di fermarli, è stato da loro ucciso. La sua presenza televisiva negli anni successivi era dovuta all'immensa mole di materiale videoregistrato da lui prodotto. Ecco che il capo di questi partner deleteri di Videodrome si materializza nella figura di Barry Convex. I nodi giungono al pettine: l'intero programma non incarna affatto la minchionesca utopia del Transumanismo, trattandosi invece di una subdola quanto letale cospirazione filo-governativa che ha come scopo ultimo la "pulizia morale" della popolazione. I tumori allucinatori servono proprio a questo scopo, afferma Convex, ad eliminare i cattivi cittadini contaminati dall'ammorbamento della pornografia e della violenza. Per Max Renn è l'inizio di un estenuante incubo ad occhi aperti, che si conclude con il proprio annientamento. Le sue ultime parole sono queste: "Lunga vita alla Nuova Carne!" (nell'originale "Long live the New Flesh").

Recensione: 

L'ossessione di Cronenberg per la fusione dell'essere umano con la tecnologia è evidente in questa pellicola. Detto questo, soltanto i coglioni potrebbero affermare che si tratti di un contenuto utopistico. Semmai si tratta di una distopia angosciante e distruttiva in massimo grado, in cui la realtà si fonde con l'allucinazione, perdendo la sua sostanza ontologica. Lo stesso regista non narrò mai nei suoi film una sola trama di cui si possa auspicare l'inveramento. Il problema è questo: se ci si ferma al tema della fusione uomo-tecnologia, si perde la possibilità di indagare ben altre profondità abissali!


Una profezia mancata

Il principio della Televisione è chiaro e semplice: noi ti riempiamo la testa di input, ma non siamo interessati al tuo ouput. Come dire che viene fornito allo spettatore ogni tipo di cibo spazzatura in quantità immense. Alla masticazione fa seguito la laboriosa digestione e infine l'espulsione di feci oltremodo fetide, il punto finale del processo. Le barrette di cioccolato ripieno di caramello diverranno escrementi simili a una zuppa di vomito acidissimo misto a uova marce, mentre i ricchi hamburger si trasformeranno in montagne di sterco pastoso, denso, il cui odore conserverà la traccia di molecole aromatiche derivanti dalla grigliatura della carne. Tutta questa merda però non la annuserà mai chi ti ha fornito la materia prima per produrla. La annuserai tu stesso, che l'hai deposta. Si accumulerà intorno a te, perché non riuscirai a rimuoverla (l'entropia cresce sempre in un sistema isolato), e infine ti farà morire di peste. Che dire poi se anziché il junk food venisse fornito direttamente materiale fecale? Lo spettatore lo mangerebbe e sfornerebbe la merda di un coprofago! Il Web è qualcosa di molto diverso dalla Televisione. Gli escrementi prodotti dagli utenti entrano infatti in circolo e saranno annusati da tutti. Non soltanto dagli altri navigatori, ma anche dalla classe dirigente, dai politicanti. Credo che sia proprio per questo motivo che i politicanti odiano mortalmente la Rete e pretendono di regolamentarla: è perché le sue scorie arrivano loro sotto il naso e la cosa li infastidisce. Tanto più se in quell'immondizia ci sono le prove di qualche innominabile porcata che hanno commesso, visto che sono tutti malfattori al cui confronto Sodoma era un convito di anime belle! In questo senso Videodrome si è dimostrato fallimentare e incompleto. Le capacità profetiche cronenberghiane hanno mancato il bersaglio: non hanno saputo prevedere l'avvento di Internet, con tutte le sue infinite conseguenze. Si potrebbe anzi pensare che proprio questo film sia un emblema del fallimento della Fantascienza e più in generale della futurologia: ha puntato tutto sulla tirannia televisiva proiettando il proprio presente nel futuro prossimo, dilatandolo a dismisura, senza tener conto della possibile irruzione di un nuovo fattore capace di far evolvere la realtà in modo del tutto differente. La realtà è meno della televisione, e la televisione è meno del Web. Senza dubbio Videodrome è ottimo se si considera il contesto in cui è stato pensato e prodotto, anche se oggi ci appare piuttosto ingenuo: quale sarebbe il potere della Nuova Carne Televisiva in un mondo in cui tutti si portano dietro uno smartphone e sono connessi persino quando sono seduti sulla tazza? 


Parafilie o gusti acquisiti? 

Barry Convex rivela all'allucinato Max Renn la verità su Videodrome, in tutta la sua annichilente potenza: si tratta di una cospirazione governativa. La sostanza è questa: l'Establishment vuole eliminare chirurgicamente tutte le persone attratte morbosamente dalla sessualità estrema e dal sadismo, così ha studiato un sistema molto efficace per ottenere i propri scopi. Sottopone a irradiazione intensiva tutti coloro la cui esistenza è considerata nociva, forte della convinzione che il cittadino morale, fottutamente onesto, straight, non sarà mai e poi mai attratto dalle porcherie e dagli snuff videos! Il problema è che è sbagliato il fondamento stesso di questa pretesa. La conventicola settaria degli psicologi e degli psichiatri, che ha un potere incredibilmente pervasivo in questa società, etichetta tutto ciò che non le aggrada come "parafilia". Il vocabolo sostituisce etichette più antiche come "devianza" e "perversione", che ora non possono più essere usate perché non conformi ai dettami del buonismo politically correct. Così ecco che solo con la parola magica "parafilia" pretende di liquidare tutta una serie di pratiche quelle pratiche, sessuali o meno, che vanno dalla coprofagia al cannibalismo. Il punto è che il gusto per tutte queste cose può essere descritto come un contagio: può formarsi già soltanto dalla contemplazione di qualcuno che compie atti considerati aberranti, per poi svilupparsi e consolidarsi. Può passare da una persona all'altra e diventare sempre più intenso. Si tratta in altre parole di un gusto acquisito. Il gusto acquisito può riguardare cose assolutamente banali, come bere del vino secco o mangiare del gorgonzola. Al primo assaggio danno fastidio, ma poi si è portati a ripetere l'esperienza e la si trova piacevole. Il punto è che il meccanismo è assolutamente identico anche per l'ingestione di escrementi, l'antropofagia e il sadismo estremo. Conobbi all'epoca dell'università un cinese che andava a trovare un suo amico veneto per mangiare formaggio e bere vino. Le sue figlie invece storcevano il naso: consideravano quelle sue stravaganze come qualcosa di rivoltante. Adesso i costumi della Cina sono cambiati, l'uso del latte e dei latticini, un tempo tabù, non desta più tanto scandalo. Non sempre il fenomeno è così innocuo. Nell'Antica Roma gli animali venivano straziati e massacrati nelle arene per il divertimento delle plebi. Erano le venationes, vere e proprie atrocità organizzate, di proporzioni oggi inimmaginabili. La gente chiedeva sangue a fiumi, godeva a vedere orsi e leoni dilaniati, fatti a pezzi, agonizzare e spirare nella sozzura. Sempre a Roma, la pedofilia era ritenuta normale, a patto che la vittima fosse di condizione servile. Queste cose, che oggi fanno rabbrividire, erano in quel contesto considerate piacevoli, addirittura voluttuose. Non sarà stato così fin dall'inizio. Tali comportamenti si devono essere originati in un ristretto numero di persone potenti per poi spargersi e infine propagarsi all'intera plebe. Il fatto che si siano generalizzati prova che la natura umana non possiede alcuna barriera immunitaria davvero efficace. E la genetica? Beh, la predisposizione genetica non esclude affatto il gusto acquisito. Se le istruzioni scritte nel materiale genetico sono una lampadina, ecco che il gusto acquisito funziona come un interruttore che la accende! Il teorema di Barry Convex fa acqua da tutte le parti. Non esiste una "parte sana" della popolazione. Se si trovasse il modo di far circolare tra i Mormoni tonnellate di snuff e di altre immondizie, quei morigerati Santi degli Ultimi Giorni si corromperebbero e diverrebbero Cani di Satana, dal primo all'ultimo.


Complottismo di Stato! 

Nel suo romanzo Il pendolo di Foucault, Umberto Eco citava un supposto motto dei Gesuiti: "se temi un complotto, organizzalo". In quel contesto si parlava della conventicola settaria dei Rosacroce. Secondo un personaggio, nel XVII secolo i Gesuiti sarebbero stati gli autori del primo enigmatico Manifesto dei Rosacroce, diffuso nella speranza di fare emergere pericolosi entusiasti da arrestare. Un'ipotesi in apparenza peregrina, su cui però ho riflettuto molto. Spesso mi sono chiesto a chi possa giovare l'immensa mole di materiale complottista che pervade il Web, sommergendo l'intera società e diffondendo idee dementi che attecchiscono ovunque come funghi maligni. La risposta potrebbe essere abbastanza semplice: il complottismo stesso è a sua volta il frutto di un complotto. Non sempre tutto ciò segue una logica lineare. Eppure, se si scava a dovere, si riesce in ogni caso a comprendere qualcosa. Tutti i poteri del mondo ricorrono al complottismo per i loro scopi più o meno occulti. Analizziamo alcune situazioni concrete. La Massoneria intende nascondere con ogni mezzo le proprie vere origini storiche, così fa in modo che vengano diffusi ovunque materiali pieni di confusione e di contraddizioni, di errori e di incoerenze, ottenendo in questo modo il suo scopo: far sì che nessuno possa trarre da tutto questo marasma qualche deduzione utile. Altre volte la diffusione del complottismo serve a gettare discredito su qualche idea potenzialmente nociva, che minaccia il mondo politico. Questo risultato può essere ottenuto tramite l'azione di provocatori. Gli ambientalisti strepitano e fanno tumulto? Viene così fatta emergere dalla Svezia una mocciosa odiosissima e viene sostenuta affinché sparga isterismo sulle masse tumultuanti. In apparenza potrebbe sembrare una strategia folle e controproducente, in grado di portare disordine, ma nel lungo termine può dare i suoi frutti: gli ambientalisti saranno disprezzati e odiati per i loro eccessi caratteriali, l'intera causa sarà messa in ridicolo, lo stesso concetto di riscaldamento globale irriso e schernito. La crescita dell'effetto serra causato dalle emissioni climalteranti è un dato di fatto, che non dipende dagli umori delle masse, ma il fenomeno stesso viene negato da sempre più persone spinte dalla stizza e dall'avversione verso la giovane attivista svedese dal volto perennemente contratto in una smorfia. Prima ancora dell'emergere dell'ambientalismo convulsionario thunberghiano, simili strategie sono state applicate con successo nei confronti dei fautori di idee animaliste e antispeciste. La famosa "tempesta di merda" scatenata da provocatori contro Bill Gates, colpevole di aver ucciso un triceratopo, è un esempio brillante di questo modo di procedere. Il principio, in linea di massima, è sempre lo stesso enunciato da Barry Convex.  


Giochi di parole 

Il professor O'Blivion non è chiaramente uno scozzese con un cognome formato a partire dalla ben nota preposizione celtica O' indicante provenienza (gaelico ó "da", dal protoceltico *au, a sua volta da *apo, imparentato col latino ab), per tradizione aggiunta all'ipotetico capostipite della famiglia. Si capisce subito che siamo di fronte a un gioco di parole: il cognome O'Blivion sta per oblivion "oblio", di evidente origine latina. Questo perché coloro che si perdono nell'Oceano Televisivo dimenticano se stessi e finiscono con l'andare alla deriva in preda alla demenza più completa, incapaci persino di sillabare il proprio nome. Che dire poi della Chiesa Catodica (Cathodic Church)? Si vede subito che è una parodia della Chiesa Cattolica (Catholic Church), di cui condivide la pretesa dell'Universalità, implicita già nella sua denominazione. In fondo solo un fonema separa καθοδικός (kathodikos) da καθολικός (katholikos), il cui significato d'origine è "generale, universale". Di certo non è un caso se il catodo deriva il suo nome dal greco κάθοδος (kathodos) "via verso il basso, discesa", che in fondo è un sinonimo di καθάβασις (kathabasis). La Televisione è la Discesa agli Inferi e la Chiesa Catodica conduce... là in basso. 

Il congiuntivo in inglese 

In Italia, complice il vergognoso sistema scolastico, serpeggia un mito che non ha alcun fondamento reale: a sentire i suoi fautori, la lingua di Shakespeare sarebbe del tutto priva di congiuntivo. In realtà ne esistono residui degni di nota. Uno di questi lo possiamo vedere proprio nelle parole del Max Renn mutato dal contaminante allucinatorio: "Long live the New Flesh". Si badi bene, non è Long Life /lɔŋ laɪf/, ossia "lunga vita" (che richiederebbe una preposizione to), ma proprio Long live /lɔŋ lɪv/, che si traduce con "viva a lungo". Questo presente congiuntivo di terza persona singolare, che in realtà è più che altro un ottativo o un precativo, si differenzia dal presente indicativo per l'assenza della -s finale. Un altro esempio ben noto a tutti è God save the Queen, che si traduce con "Dio salvi la Regina". Anche degna di nota è la canzone patriottica inglese "Rule Britannia!", il cui ritornello è "Rule Britannia! Rule the waves", ossia "Che la Britannia domini! Che domini le onde!" Se la memoria non m'inganna, nel film Pink Floyd - The Wall (Alan Parker, 1982), i Fascisti Rosa che acclamano Pink come loro Führer, hanno come motto "Britannia rule the World!": dalle onde sono passati al mondo intero. Anche questi sono esempi degni di nota di congiuntivo presente con funzione desiderativa. Che dire poi del congiuntivo imperfetto? Ricorre in forma nettamente riconoscibile soltanto in un verbo, che è tuttavia il cardine della lingua: If I were traduce "se io fossi" ed è ben diverso dall'indicativo I was "io fui", "io sono stato".


Curiosità 

L'effetto speciale dello schermo  ondeggiante in cui Max interagisce col film è stato ottenuto con un proiettore video e con una dental dam, ossia una grottesca barriera di lattice che serve per leccare il culo alle puttane senza rischiare di contrarre malattie veneree. 

Zebra Books pubblicò una novellizzazione di Videodrome l'anno stesso dell'uscita del film. L'autore, Dennis Etchison, è stato accreditato con lo pseudonimo "Jack Martin". Nonostante lo sforzo per rimanere fedele al lavoro di Cronenberg, si riscontrano alcune differenze. Così viene descritta una scena in cui un televisore sorge dall'acqua nella vasca da bagno in cui il protagonista si trova immerso, ricordando l'immagine di Venere che nasce dalla spuma del mare. La scena doveva essere inclusa nel film, ma poi è stata tagliata, senza che lo scrittore venisse a conoscenza della scenta: questo è il motivo dell'incongruenza.

Videodrome è nato da un'idea che il regista canadese covava in sé fin dall'infanzia, come un tizzone sputato da un camino, che cova nel legno di una casa di montagna sviluppandosi lentamente per molto tempo senza essere notato, per poi divampare in un improvviso incendio. Quando era un bambino, David era ossessionato da un segnale clandestino proveniente da Buffalo, nello stato di New York, che aveva captato con la radio. A quanto pare il giovane tremava di sacro terrore all'idea che quel brusio confuso potesse veicolare materiale inadatto al consumo del pubblico timorato di Dio. Sono proprio questa paure che permettono di scorgere in un infante i segni della futura grandezza: anche Giulio Cesare ed Alessandro il Macedone dovettero provare qualcosa di simile! 

Sono stati filmati tre diversi finali del film. Uno ovviamente è quello a tutti ben noto. Gli altri due prevedevano una sorta di oltretomba per Max Renn dopo il suicidio con la pistola organica sviluppatasi da un suo dito indice. Si prevedeva che Max, Bianca O'Blivion e Nicki si ritrovassero sul set di Videodrome. Ciò avrebbe fatto del film un importante opera olomanista, in quanto sarebbe stata ben evidente la natura del cosmo aberrante di Videodrome, una proiezione del protagonista posseduto dal Genio di Cartesio. Cronenberg all'epoca scartò questo finale, perché pensava che equivalesse ad ammettere una qualche sopravvivenza dell'essere umano oltre la Morte. Il regista rifiutava con foga questa possibilità, professando dottrine materialistiche. 

Nel suo romanzo Luce Virtuale (Virtual Light, 1993), William Gibson menziona Videodrome in un contesto davvero strano e notevole. Un agente privato di sicurezza, l'albino Sublett, appartiene a una setta evangelica televisiva che ritiene l'opera di Cronenberg diabolica proprio per via del film Videodrome. Data la natura di quella congrega ecclesiastica, che diffonde la Buona Novella tramite l'etere, non c'è da stupirsi troppo del suo anatema. Sarebbe come pensare che una mosca scatofaga possa amare chi mette in guardia dai rischi insiti nella manipolazione dello sterco!   

Altre recensioni e reazioni nel Web:  

Dovrò essere franco. Di recensioni a questa pellicola ne ho trovate un numero enorme. Ce n'è un porcaio. Tuttavia mi sembrano tutte uguali. Tutte fissate sulla compenetrazione uomo-macchina e incapaci di scorgere la dissoluzione del concetto stesso di realtà. Le stesse frasi vengono ripetute a pappagallo, come se fossero il verbo biblico scaturente dalle bocche di mille pastori della setta evangelica televisiva menzionata da Gibson, di quelle che vanno tanto di moda in America. Possibile che non ci sia nulla di originale? Vedo di raccattare qualcosa qua e là. Riporto alcune opinioni, tratte da Mymovies.it.

Alexander 1986 scrive: 

Non il migliore film di Cronenberg ma quello che forse resta più impresso nella memoria del suo pubblico. A detta della critica, che lo stroncò all'epoca della sua uscita, ciò si deve allo spettacolo trash degli effetti speciali firmati da Rick Baker: tanto splatter, molto più realistico (e stomachevole) di quello che si vede oggi con tutta la nostra tecnologia di nuova generazione. Tale idea è in buona parte giustissima. Per il resto, pur non raggiungendo quei livelli, ''Videodrome'' può essere storicamente accostato a ''Blade Runner'' (1982) e a ''Brazil'' (1985) fra le opere che hanno introdotto nel cinema quel filone cyberpunk che in quegli anni fermentava nella letteratura fantascientifica. Rispetto ai due illustrissimi colleghi, purtroppo il film di Cronenberg è quello invecchiato peggio perché la nostra società ha già esaurito gli incubi dell'era televisiva ed è passata oltre. Ciò mette purtroppo in evidenza una trama un po' raffazzonata, in cui plot-holes e incongruenze vengono nascoste a malapena. Da vedere però almeno per gustarsi alcune trovate registiche: su tutte, geniale è l'apertura pseudo-vaginale nella pancia di Renn/Woods. Roba letteralmente per stomaci forti.

PeerGynt scrive: 

E a questo punto non può più stupire che Max Renn muoia due volte, la prima volta nel piano allucinatorio ucciso da uno schermo televisivo che subito dopo sanguina (scena che avrebbe fatto la felicità dei surrealisti), subito dopo in un suicidio mistico che riempie di sé il piano della realtà.
Ma quello del film è anche un doppio disordinato, confuso, che non si lascia ben suddividere. Cronenberg punta volutamente ad una certa commistione/confusione narrativa, per far risaltare non tanto la storia, quanto piuttosto la riflessione teorica che ci sta sotto. Che a dirla potrebbe sembrare quasi banale (il mondo dell'immagine, da cui siamo dominati, oggi ancor più che nel 1983, è un cancro che ci divora, erodendo sempre più il nostro rapporto col reale e costringendoci a vivere anche i rapporti umani e le passioni che li riguardano in modo puramente virtuale), ma a farla vedere con la visionarieta' delle immagini di Videodrome resta impressa e scava dentro.
 

Riporto in questa sede anche alcuni commenti, non necessariamente eulogistici, tratti da Filmup.leonardo.it

Luca da Torino scrive:

State alla larga Ho apprezzato moltissimo "La mosca" dello stesso regista, ma anche "A history of violence", "La promessa dell'assassino" ed "Existenz". Questo film però è veramente inutile, delirante e senza alcun senso logico. Se bisogna per forza trovare una morale ad ogni cosa che passa per lo schermo vi posso dare ragione, la grande metafora televisione-realtà, televisione-finzione, finzione-realtà e chi più ne ha più ne metta, ma penso si possano rappresentare diversamente e molto meglio! Risparmiatevi l'ora e mezza di sta robaccia.. 

Alessandro da Varese scrive: 

Se non ha avuto successo un motivo ci sarà
credo che il voto dato dalla media delle opinioni valorizzi un po' troppo questo film; sono convinto che almeno il 90% delle persone si sono fermate alla recensione del film senza poi vederlo, e meglio così per loro... credo che il film sia adatto solo al 5% del pubblico... 

Flavio da Napoli scrive: 

Allucinogeno
Cronenberg arriva, con questa pellicola, ad un perfetto teorema dell’immagine e del rapporto tumorale tra televisione e spettatore, immagine e soggetto, realtà e rappresentazione. Sa nei precedenti lavori il contesto metaurbano e umano rimaneva comunque quello nel quale i personaggi si muovevano, in questa pellicola i piani reali si sovrappongono fino a negare l’esistenza gli uni degli altri. Sguardi filtrati attraverso l’ottica catodica, corpi contenuti negli schermi, sostituzioni della realtà, ripetitori che prendono vita, armi che diventano protesi.......ma non mi ha convinto!


Alessio da Roma scrive: 

La tecnologia ha vinto
Ancora una volta Cronemberg (sic) denuncia lo strapotere della tecnologia umana, a discapito del uomo stesso, questa volta tramite i mezzi di comunicazione di massa. Suo tema di sempre, che lo ha caratterizzato nella maggior parte dei suoi film.Un film forte e pessimista in cui non c’è una separazione netta tra reale e fantastico, in cui non si capisce quando viene messa in scena la realtà o le allucinazioni del protagonista.Un film commerciale che è riuscito però a tradurre sullo schermo quelle angosce e quelle allucinazioni già presenti in letteratura nelle epocali pagine di Kafka.Un film che non ha riscosso molto successo ne da parte del pubblico ne tanto meno da parte della critica. Penalizzato sicuramente dal suo contenuto forte e crudo, è stato messo in secondo piano come la maggior parte dei film horror.Non essendo comunque, a mio avviso, un film eccezionale, Cronemberg (sic) è riuscito, attenendosi al suo stile, a denunciare l’incapacità del uomo a sottrarsi alle prepotenze tecnologiche.

lunedì 8 aprile 2019


EXISTENZ

Titolo originale: eXistenZ
Paese di produzione: Canada, Regno Unito, Francia
Anno: 1999
Lingua originale: Inglese
Durata: 97 min
Genere: Fantascienza, thriller
Regia: David Cronenberg
Soggetto: David Cronenberg
Sceneggiatura: David Cronenberg
Produttori:
    David Cronenberg
    András Hámori
    Robert Lantos
Compagnie di produzione:
    Canadian Television Fund
    Dimension Films
    Harold Greenberg Fund
    The Movie Network
    Natural Nylon
    Téléfilm Canada
    Serendipity Point Films
    UGC
Distriduzione:
    Miramax Films (US)
    Momentum Pictures (UK)
    Alliance Atlantis (CAN)
    Cecchi Gori (Italia)
Fotografia: Peter Suschitzky
Montaggio: Ronald Sanders
Effetti speciali: Jim Isaac
Musiche: Howard Shore
Scenografia: Carol Spier
Interpreti e personaggi
    Jennifer Jason Leigh: Allegra Geller
    Jude Law: Ted Pikul
    Ian Holm: Kiri Vinokur
    Willem Dafoe: Gas
    Don McKellar: Yevgeny Nourish
    Callum Keith Rennie: Hugo Carlaw
    Kris Lemche: Noel Dichter
Doppiatori italiani
    Chiara Colizzi: Allegra Geller
    Riccardo Niseem Onorato: Ted Pikul
    Ettore Conti: Kiri Vinokur
    Ennio Coltorti: Gas
    Massimo Lodolo: Yevgeny Nourish
    Pasquale Anselmo: Hugo Carlaw
Riconoscimenti:
    Festival di Berlino
        Orso d'argento per l'eccezionale contributo artistico
Budget: 15 milioni di dollari USA
        (31 milioni di dollari canadesi)
Incassi al botteghino (USA): 2,9 milioni di dollari 


Trama: 

Ci troviamo in un futuro non meglio specificato, in apparenza molto simile alla realtà in cui siamo costretti a vivere, anche se appare fin dall'inizio ben più cupo e angosciante. Due compagnie produttrici di videogiochi che simulano la realtà, la Antenna Research e la Cortical Systematics, si combattono senza esclusione di colpi. La bionda Allegra Geller è una famosa creatrice di videogiochi della Antenna Research. La sua ultima creazione, eXistenZ, ha una notevole densità e permette a chi vi partecipa di calarsi in un mondo così realistico da non poter essere facilmente riconosciuto come finzione. Una sera la Geller presenta eXistenZ, offrendone una dimostrazione pratica al pubblico convenuto in una specie di auditorium, il relitto di una chiesa protestante da tempo dismessa per mancanza di fedeli. A un certo punto qualcosa va storto: irrompe un terrorista appartenente alla setta dei Realisti, un'organizzazione clandestina che si oppone alla manipolazione della realtà, combattendo entrambe le compagnie di videogiochi. L'attentatore, che si presenta col nome di Noel Dichter, colpisce la programmatrice a una spalla servendosi di una spettrale pistola organica simile a uno scafandro di pollo spolpato e bavoso. Viene abbattuto sul colpo dalla guardia del corpo, Ted Pikul, che si allontana nella notte con la ragazza. Allegra porta con sé la sua creatura, che è fatta di tessuto organico e ha l'aspetto di un osceno simbionte, chiamato "pod" in gergo. Il suo timore è che questo videogioco di carne modificata sia rimasto danneggiato nello scontro, così cerca di convincere Pikul ad aiutarla a testarlo. La posta in gioco è troppo alta. L'unico modo è caricare eXistenZ su una cavia umana e lanciarlo, ma per farlo è necessario che l'uomo si faccia installare una bioporta nella spina dorsale, dal momento che non he ha una (la sua condizione è una sorta di verginità). Tramite tale accesso al sistema nervoso, la giovane conta di inserire il cordone ombelicale del simbionte per verificare lo stato del programma. C'è soltanto un punto: Pikul non ha nessuna intenzione di rinunciare alla sua verginità spinale, anche perché in un piccolissimo numero di casi l'operazione di innesto della bioporta ha come simpatico effetto collaterale la paralisi della parte inferiore del corpo. La Geller però con la sua vocina stridula continua a martellare l'uomo fino allo sfinimento, fracassandogli gli zebedei al punto da convincerlo a fare qualsiasi cosa pur di liberarsi dall'afflizione. A questo punto si pone un altro problema: l'operazione deve avvenire in condizioni di clandestinità, dal momento che i due sono braccati sia dai terroristi che dalla Cortical Systematics. L'impianto viene quindi eseguito nell'officina meccanica di una stazione di servizio dal losco gestore, Gas, ambiguo amico della bionda e coinvolto nel mercato nero. Gli eventi precipitano: Gas rivela presto le sue intenzioni ostili e rimane ucciso da Pikul in una sparatoria. La bioporta installata si rivela difettosa e necessita di essere sostituita quanto prima. Così ha inizio una nuova sequenza ciclica di accadimenti pericolosi: la Geller porta l'uomo da un suo conoscente per sostituire la connessione neuronale difettosa. Questa volta si tratta del suo ex mentore Kiri Vinokur. Tutto sembra ripetersi, anche se le persone coinvolte e le situazioni sono diverse. Prima la coppia si immerge in un mondo virtuale per poter riparare la bioporta e curare il software, avendo subito qualche difficoltà in un ristorante cinese specializzato nel cucinare disgustosi mutanti. Uno schiavo di nome Yevgeny Nourish afferma di essere un contatto Realista, ma è difficile fidarsi di lui. Il cameriere cinese è una spia. Oppure no? Tanto finisce ucciso dallo stesso Pikul, che agisce come se fosse posseduto da una forza esterna. La ragazza si ammala a causa del pod infetto. Pikul taglia il cordone ombelicale, tentando di salvarla, ma lei si mette a sanguinare. Irrompe Nourish, che brucia il pod con un lanciafiamme, facendone scaturire nugoli di spore nere aggressive come calabroni furiosi. Poi la coppia si sveglia da tale livello di realtà infina, scoprendo che i Realisti stanno facendo irruzione nel resort sciistico di Vinokur, mitragliando a destra e a manca. Lo stesso Vinokur risulta una spia e raggiunge il cameriere cinese nell'Ade virtuale per mano della Geller, adirata perché si è accorta che egli ha approfittato del suo sonno per copiarle il gioco. Ma in sostanza, cosa cambia in tutti questi flash? Ecco pronto un nuovo loop, nella sostanza assimilabile al precedente. Ad ogni fuga per il rotto della cuffia, con l'adrenalina a mille, corrisponde l'ingresso in un incubo inatteso ma simile a quanto già vissuto, fino a giungere al finale, decisamente sconcertante. La frattura nel tessuto della realtà, introdotta da eXistenZ sembra sul punto di ricomporsi. Pikul e la Geller si risvegliano nell'Auditorium. Tutto era dunque soltanto un sogno? No, perché subito si insinua un elemento stonato e disturbante. Tra il pubblico si vede il cinese che faceva il cameriere, spaesato e delirante. Il videogame viene presentato da Nourish - e non dalla Geller, che è una semplice spettatrice - soltanto che non si chiama eXistenZ, bensì transCendenZ! Come posseduti, la ragazza e il suo compagno insorgono, agendo da terroristi Realisti, e tutto ricomincia!  

Recensione:

Un film di un onirismo potente, che non si dimentica facilmente. Alcune scene restano particolarmente impresse, come una manciata di coriandoli incandescenti e radioattivi cosparsi da una mano aliena sulle meningi. Si ha l'impressione assai nitida di essere caduti in un denso labirinto di illusioni da cui non ci si riesce a liberare. Il filo conduttore è l'imporsi universale di una Nuova Carne Tecnologica, in cui le sequenze genetiche alterate fatte di xeno-DNA sintetico si sostituiscono agli ormai desueti diodi e transistor. Senza dubbio è una Rivoluzione pervasiva, che trasforma le sequenze cromosomiche in circuiti, delegando ai mitocondri e ai nuclei cellulari ciò che i sogni del XX secolo proiettavano in un Cielo Elettronico.  


La bioporta e l'anilingus 

Il protagonista, sovraccarico e teso come un argano di balestra da campo, si trova in camera da letto con Allegra, che mette in bella mostra la sua schiena nuda. Un orifizio preternaturale spicca sulla morbida pelle della giovane donna: è la bioporta, il punto in cui le è stato installato nel midollo spinale un software di realtà virtuale tramite un'iniezione ad aria compressa. Quell'apertura è sensuale e seducente, proprio come uno sfintere anale, così il giovane, sommamente arrapato, protende la lingua verso quel ben di Dio e si mette a leccare con avidità, simulando quello che in Spagna chiamano beso negro! Lei trasale, evidentemente nessuno glielo aveva mai fatto prima. Lui emette il seme nelle mutande prima di ritrarsi sorpreso dalla propria audacia e di chiederle scusa, ne sono certo... Certo che Jude Law, con quel suo peculiare faccione ampio come la luna piena, interpreta alla perfezione il ruolo di avido leccatore di bioporte, capace di tradurre ogni fantasia in realtà! L'avessi avuto io quel somatismo bizzarro, sarei stato un autentico tombeur de femmes e non avrei sognato l'inverarsi dell'Apocalisse! 


Dare e ricevere 

Non ricordo bene il punto in cui la sequenza si colloca, ma nonostante ciò mi è rimasta impressa nei banchi di memoria stagnante. Forse per ricambiare il leccamento dell'ano preternaturale, a sua volta la bella Allegra soffia nel cordone ombelicale della sua creatura, innestata nello sfintere dorsale del suo compagno e collegato al suo sistema nervoso, simulando un rapporto orale particolarmente insano! Il suo ruolo di fellatrice non è rivolto verso il materiale genetico di Homo sapiens, bensì verso le sequenze cromosomiche artificiali del suo amato pod, da lei vezzeggiato al contempo come un amante e come un bambino partorito dal suo grembo. 


La Xenogenesi domina! 

Una lucertola bicipite guizza davanti alla bella Allegra e allo stupefatto Ted Pikul: si è formata da sé in una discarica di frammenti autoaggreganti di genomi impazziti, proprio come i pesci aberranti che il cuoco cinese cucina e serve ai clienti del suo ristorante. Se non ricordo male, la programmatrice etichettava l'animale aberrante come "salamandra" anziché come "lucertola", ma la sostanza non cambia molto, nonostante l'abisso che separa gli anfibi dai rettili, ed entrambi dalle opere della manipolazione genetica. Questa accelerazione evolutiva capace di dare nuova vita è una delle conseguenze più appariscenti della Nuova Carne Tecnologica, un dono estremo quanto grottesco delle forze vive della Xenogenesi! 

Un problema definitorio 

Come potremmo definire questo film? Ne sono convinto, si tratta di un grandissimo film olomanista. Cosa significa questa parola? Così mi chiederete, voi pochi lettori. Ecco, se avrete la pazienza di leggere il seguito, vedrete che la vostra curiosità sarà senz'altro soddisfatta.   

I princìpi dell'Olomanismo 

Nel corso della storia di questo sciagurato pianeta è emersa in alcune occasioni una strana idea, secondo cui l'intera esistenza sarebbe una creazione di chi la percepisce. Un'idea bislacca, sì, ma anche inconfutabile. Si è parlato di Idealismo o di Solipsismo. Cartesio e il suo genio beffardo, tanto per intenderci. In particolare, Solipsismo deriva dalle parole latine ipse "egli stesso" e solus "solo", per indicare una condizione di totale estraniazione dagli altri esseri viventi e più in generale dalla realtà esterna al proprio essere. Per il Solipsista, chi percepisce è il Creatore di tutto e gli altri non sono che una sua proiezione. Alcune sètte, come ad esempio la Chiesa di Satana di LaVey, percepiscono nel Solipsismo un grave pericolo per la propria sopravvivenza e quindi lo condannano duramente, con inusitata veemenza. "Il Solipsismo può essere molto pericoloso per i Satanisti", sentenziava lo stesso Anton LaVey, al punto da definirlo uno dei Nove Peccati Satanici. Poi però dava prova di intendere con Solipsismo qualcosa di poco consistente e di non comprendere bene il problema: "Proiettare le tue reazioni, risposte e sensibilità su qualcuno che è probabilmente molto meno in sintonia di te. È l'errore di aspettarsi che le persone ti prestino la stessa considerazione, cortesia e rispetto che dai loro naturalmente. Non lo faranno. Invece, i Satanisti devono sforzarsi di applicare il detto "Fai agli altri come fanno a te". È un lavoro per la maggior parte di noi e richiede una costante vigilanza affinché tu non scivoli in una comoda illusione di tutti come te. Come è stato detto, alcune utopie sarebbero ideali in una nazione di filosofi, ma purtroppo (o forse per fortuna dal punto di vista machiavellico) siamo lontani da quel punto". Il punto è che non intendo ciò che intendeva l'Organista di San Francisco. Non alludo all'aspettarsi qualcosa dalle persone, ma al negare la loro stessa esistenza, riducendole a ombre da me fatte scaturire dal mio Abisso Interiore. Termini come Solipsismo e Idealismo sono assolutamente riduttivi. Così utilizzerò una diversa parola, coniata da un carissimo e fraterno amico, che ha definito questa filosofia Olomanismo. Poi, a distanza di anni, ho scoperto che questo termine ha una chiarissima etimologia nella lingua Enochiana. Deriva infatti da OL OMAN "conosco da me stesso". OL è il pronome di prima persona singolare, mentre OM è la radice che indica l'atto di conoscere, di comprendere. Questi sono i princìpi cardinali dell'Olomanismo:

1) Io solo esisto.  
2) Tutto ciò che è al di fuori di me è solo una mia proiezione. 
3) Non esiste altro essere senziente all'infuori di me medesimo.


Questa è in estrema sintesi la narrazione mitologica su cui si fonda l'Olomanismo: 

In Principio Io ero una stella che splendeva nel Nulla Assoluto.
Nulla era all'infuori di Me.
Non potendo sopportare questa Eternità di Niente, sono caduto in uno stato di illusione.
In questa illusione ho cominciato a sognare, creando i mondi. 


Nessuno può confutare questo assunto. Non esistono argomentazioni che possano dimostrare la sua falsità. Certo, non posso provare agli altri che quanto affermo in questa occasione corrisponda al vero, ma chi ha davvero bisogno di provare qualcosa alle ombre? Nessuno, immagino. Dovrei mettermi forse a disquisire con un teatrino fatto di Nulla? In ogni caso ho la replica pronta, anche se so che non servirà a niente. Così risponderei a chi tentasse di usare violenza nei miei confronti per convincermi: "Ho sognato che un gangster mi stava uccidendo, ma poi mi sono svegliato. Il gangster non esisteva. Allo stesso modo, se verrò ucciso, mi sveglierò in un altro universo più denso, da me stesso creato e proiettato."

Si vede come il Solipsismo e l'Idealismo dei filosofi di questo mondo siano alquanto deboli in confronto all'immemsa potenza dell'Olomanismo, che mi vanto di avere introdotto nel mondo, sperando che faccia tutto il suo distruttivo corso fino a portare al genere umano la sua Nemesi! Un giorno potrebbe sempre giungere alla Casa Bianca un Presidente Olomanista, capace di lanciare in una notte l'intero arsenale nucleare degli Stati Uniti d'America. Se questo accadesse nel corso della mia esistenza terrena, ultimo ed estremo inganno dei miei sensi allucinati, allora tremerei di gioia e riderei come un Pazzo di Dio! 

Una difficile situazione linguistica 

Nonostante i nomi eminentemente anglosassoni delle aziende sfornatrici di videogames che alterano la realtà, sembrerebbe che nel mondo di Allegra Geller e di Ted Pikul si parli tedesco, o meglio una forma di neotedesco. Anche eXistenZ (Existenz) e transCendenZ (Transzendenz) sono parole tedesche dotte, di chiara origine latina. Se la guardia interpretata da Jude Law porta un nome insignificante che potrebbe avere qualunque origine, la bionda artefice di illusioni non stonerebbe nel mondo dell'Ispettore Derrick. Ma davvero il cognome Pikul è tanto irrilevante? Non ne sono del tutto sicuro. Dovrebbe essere una variante ortografica di picul, che indica un'unità di peso tipica del Sud Est asiatico, corrispondente circa a 60 kg. Non riesco ad andare più a fondo nell'analisi etimologica. Scopriamo infinte un fatto sorprendente: in tocario la parola pikul esiste e significa "anno". Si nota nel mondo costruito da Cronenberg una presenza slava considerevole: il gangsterismo russo evocato dalla pellicola sembra quasi profetizzare il dominio feudale di Putin e della sua compagine criminale. Guardando le sequenze di eXistenZ e immergendomi in quella distopia incubica, non mi sembra  proprio di trovarmi in America.

Altre recensioni e reazioni nel Web 

Un interessante intervento di Elisa Battistini è comparso nel sito Quinlan.it (Rivista di critica cinematografica):  


"eXistenZ è una spirale di 92 minuti, in cui il regista riesce a compiere un viaggio attorno alla natura umana e alla sua condizione esistenziale. David Cronenberg realizza una pietra miliare del suo cinema, un grande omaggio alla fantascienza cyberpunk, uno dei suoi film più distopici e complessi. E rivisto oggi uno dei più terrorizzanti."

Anche la Chiesa Romana si interessa ad eXistenZ. Si segnala questo intervento, che combina osservazioni interessanti a conclusioni di una sconcertante banalità: 


"Nel mondo immaginato da 'eXistenZ' non ci sono 'segni' di modernità. Tutto si svolge all'interno di scenari di anonima, squallida, anche anacronistica quotidianità: la sala riunioni di una chiesa, una disordinata officina, la catena di montaggio di una fabbrica da sfruttamento tayloristico, un ristorante cinese da sconsigliare decisamente. Vi è assente, e di sicuro non a caso, l'elemento ludico che è all'origine dell'attrazione esercitata dai videogiochi".
(Francesco Bolzoni, 'Avvenire', 6 gennaio 2000) 

Sul sito Aletrium Collection si cita Edgar Allan Poe, riportando i suoi versi immortali: 

“Tutto quel che vediamo, quel che sembriamo
  non è che un sogno dentro un sogno?” 
 


Nel sito si parla delle origini del film, da un'idea nata nel 1995 in seguito a un'intervista fatta dallo stesso Cronenberg allo scrittore inglese di origine indiana Salman Rushdie, che nel 1988 pubblicò il suo romanzo Versi Satanici (The Satanic Verses), attirandosi l'ira del mondo islamico. Dal Marocco all'Indonesia, orde di Haradrim inferociti friggevano dalla voglia di uccidere l'autore del testo considerato blasfemo e sacrilego. L'Ayatollah Khomeini pronunciò una fatwa, condannando a morte lo scrittore per la sua profanazione dell'Islam. Così l'indiano condannato a morte in contumacia visse per anni nascosto, comunicando col mondo esterno esclusivamente tramite computer. Questo fornì a Cronenberg lo spunto per la sua narrazione onirica. Eppure esistono nel Web moltissime foto che dimostrano l'immensa fortuna che Rushdie ebbe sempre con le donne. Nonostante il suo aspetto poco entusiasmante, le attirava come il miele attira le mosche! Evidentemente la sua miglior dote non è il suo volto grassoccio, e neppure la sua barba a cernecchi: deve essere provvisto di un poderoso, gigantesco e instancabile Schwanzstücker!

sabato 6 aprile 2019

UNA SPIEGAZIONE DELL'ANTROPONIMO FEMMINILE GOTICO INNITHIVEI

Consideriamo le seguenti forme attestate in norreno e riportate nel dizionario di Zoëga: 

inni (n.), casa, dimora
inni-hús (n.), abitazione
inni-hǫfn (f.), alloggiamento
inni-vist (f.), l'abitare in una casa

La protoforma germanica è chiaramente *innijan "casa, dimora" (alla lettera "luogo interno"). Si tratta di un trasparente derivato di *innai "dentro", antico locativo formato dalla preposizione *in(i), a sua volta dall'indoeuropeo *en(i) "in". 

Queste sono le forme norrene che appartengono alla famiglia lessicale in analisi: 

í "in" (< *in)
inn "dentro"
inni "dentro, all'interno" (< *innai)
innan "dentro, all'interno" (< *innane:)


Esistono poi altre forme curiose, la cui semantica andrebbe meglio compresa:

inna "realizzare, compiere"
inna "dire"
inniliga "esattamente"


Un corrispondente quasi perfetto della parola norrena inni è l'inglese antico inn "casa, dimora", la cui protoforma ricostruibile è però *innan. Questa è l'origine dell'inglese moderno inn "taverna", a noi tutti ben noto: lo slittamento semantico da "casa, dimora" a "taverna" è avvenuto in epoca medievale.

Nella lingua di Wulfila si hanno molteplici attestazioni correlate, come è lecito attendersi:  

in "in"
inn "dentro" 
inn gaggan "entrare, andare dentro"
inn atgaggan "entrare, andare dentro"
inn attiuhan "portare dentro"
inna "dentro" (< *innai)
innana "dentro, all'interno" (< *innane:)
innaþro "dentro, all'interno"
innakunds "della stessa dimora"
innuma "il più interno, intimo"

A questo punto occorre confrontare il vocabolo norreno inni "casa, dimora" con l'antroponimo femminile gotico Innithivei (dove -v- sta per -w- ed -ei sta per -i : gotico wulfiliano þiwi "serva"), attestato tra gli Ostrogoti in Italia. Alla lettera significa "Serva della Dimora". Mi permetto di dissentire dalla proposta avanzata da Nicoletta Onesti Francovich (*1943 - †2014, R.I.P.) nel saggio Le donne ostrogote in italia e i loro nomi (2013), che vorrebbe derivare l'antroponimo dal nome di un santo di stirpe gotica vissuto sul Ponto nel IV secolo, certo Inna. Tale antroponimo maschile, come mostra l'uscita in -a, apparterrà alla declinazione debole: gen. *Innins, dat. *Innin, acc. *Innan. A questo punto ci aspetteremmo piuttosto una vocale mediana -a- nel composto, che sarebbe stato scritto *Innathivei. Se anche sono ben attestate numerosissime forme con vocale del tema in -i- e -e- dove il gotico wulfiliano mostra -a- (es. Theodenanda, Theudifarae, Theodericus, Himnigilda, Berevulfus, etc.), questo avviene nelle trascrizioni volgari e latinizzate, mentre è chiaro che il nostro Innithivei è opera di un parlante alfabetizzato nelle lettere di Wulfila, seppur in modo imperfetto (riporta -ei finale dove ci attenderemmo -i). La stessa Onesti Francovich riconosce l'unicità e la stranezza della cosa, facendo notare che non si è avuta una trascrizione -*thea per analogia del ben documentato maschile -theus (gotico wulfiliano þius "servo", gen. þiwis).

Mi rendo conto che le argomentazioni sopra esposte possano apparire inutilmente sottili e capziose. A me pare più chiara e naturale la spiegazione che riconduce il composto Innithivei a *inni- "dimora". Un significato plausibile e un esito regolare della vocale tematica del primo membro del composto. 

Veniamo ora all'antroponimo Inna. A quanto si narra, i Santi Inna, Pinna e Rimma (in greco Ἰννᾶς, Πιννᾶς καὶ Ριμμᾶς) vissuti nel IV secolo e discepoli dell'Apostolo Andrea - con buona pace della cronologia - convertirono molti Goti stanziati nella regione danubiana, in quella che attualmente è chiamata Varna, città della Bulgaria. Condotti al cospetto di un sovrano pagano che perseguitava i Cristiani - verosimilmente Atanarico (†381) o forse suo padre Aoric - furono condannati a morire per esposizione alle acque gelide del fiume. L'ortodosso Giovanni Sanidopoulos ritiene che i tre fossero di stirpe slava. Questo è il link a un suo post sull'argomento: 


L'attribuzione a una stirpe slava dei tre Martiri ci appare più che altro qualcosa di ideologico, connesso al panslavismo e alla diffusa ignoranza storica, oltre che al subdolo putinismo tanto nocivo di questi tempi. Altre fonti dicono che Inna e i suoi compagni di passione sarebbero invece stati Sciti, ma bisogna notare che fino a poco tempo fa imperversa una gran confusione tra Sciti, Slavi e Goti, causata dalla pretesa di proiettare una situazione attuale nel passato. A prima vista non sembrerebbe che i nomi Inna, Pinna e Rimma siano gotici. Se ci si fermasse a un'analisi superficiale, si sarebbe portati a credere che la lingua di Wulfila non sia in grado di chiarire il loro significato. Se tuttavia studiamo meglio la questione, qualcosa di interessante possiamo dedurlo. I nomi sono a mio parere davvero pertinenti ai Goti e alla loro gloriosa lingua, tanto che possiamo azzardarci a fornirne la traduzione.

Inna "Familiare" (< "Interno, della dimora")
Pinna "Chiodo"
Rima "Bordo (dello scudo, etc.)"

In inglese vivono tuttora i vocaboli pin "spillo" e rim "orlo". Il primo è in ultima analisi un prestito dal latino pinna "pinna; piuma; ala; pala di mulino; penna della freccia; freccia; chiave dell'organo idraulico", entrato già nel tardo protogermanico come *pinno: "piolo; punto di aggancio; chiodo". Il secondo è l'esito gotico del protogermanico *rimæ:n "orlo, bordo",  che ha dato l'anglosassone rima (m.) "orlo, bordo" e il norreno rimi (m.) "striscia di terra". Con ogni probabilità la doppia -mm- in Rimma è dovuta a una creazione ipocoristica, espressiva, forse causata dalla presenza di una consonante doppia negli altri due nomi; del resto abbiamo attestata anche la variante Rima (Rhima) con -m- singola. Esiste anche un protogermanico *rimbo: (f.) "orlo, bordo", derivante dalla stessa radice ma con un suffisso oscurissimo in labiale -b-; siccome in gotico il gruppo consonantico -mb- si conserva, mi sono sentito di escludere con fermezza questa etimologia. Va poi detto questo, per chi fosse ancora scettico: era una tradizione tra i Goti dare nomi maschili derivati da nomi femminili in -a, cambiando la declinazione in maschile debole. Così il re Wamba, il cui nome era ovviamente maschile (gen. *Wambins, dat. *Wambin, acc. *Wamban), trae origine da wamba "grembo, pancia", che è invece un femminile (gen. wambos, dat. wambai, acc. wamba). Non è quindi difficile pensare che Pinna (m.) venga da *pinna (f.) "chiodo". 

Quindi in ogni caso, l'etimologia di Innithivei da me proposta e quella sostenuta della Onesti Francovich risalgono in ultima analisi alla stessa radice protogermanica - anche se sono tra loro molto diverse nel significato e nelle implicazioni. Mi si perdoni la prolissità. 

Ora facciamo alcune considerazioni di natura extralinguistica. 

I Santi Inna, Pinna e Rimma sono tuttora venerati dalla Chiesa Ortodossa, che aveva in odio totale ed assoluto la Chiesa Ariana a cui aderirono tanto i Visigoti quanto gli Ostrogoti. Questa avversione è stata ereditata e trasmessa fino ai nostri giorni, anche se la Chiesa Ariana non esiste più. Vediamo con quanta ammirazione i popi parlano di "palestra del Martirio", di "atleti di Cristo", di "calda accoglienza in Cielo dopo il gelo del supplizio" e simili. Si potrebbe dedurre già da questo che i Martiri in questione dovevano professare il Credo Niceno e non le dottrine della Chiesa Ariana. A rigor di logica sarebbe quindi molto difficile che gli Ostrogoti potessero avere il culto di Sant'Inna. Si noterà che Agostino d'Ippona, ironizzando, si chiedeva se fosse esistito anche soltanto un singolo Martire della Chiesa Ariana. In realtà sotto Atanarico ce ne furono di certo, con buona pace del pippologo di Tagaste: per il persecutore pagano non c'erano differenze tra Niceni e Ariani, dato che li considerava tutti malfattori da sopprimere. Come è ovvio, i Goti avevano in comune con i Niceni i Santi e i Martiri già venerati prima dello scisma di Ario.

Esiste un documento importante della lingua gotica, che è un frammento di calendario. Di Inna, Pinna e Rimma non vi si fa menzione, anche se le note a loro dedicate potrebbero ben essere andate perdute. Si cita tuttavia la memoria di 26 santi della stirpe dei Goti (di cui 21 noti per nome), che nel corso della persecuzione voluta da Atanarico furono rinchiusi in una chiesa data alle fiamme, finendo tutti bruciati vivi. L'anno doveva essere il 375. Ecco il testo che si legge sul calendario gotico in corrispondenza del 29 ottobre: 

gaminþi marwtre þize bi Werekan papan jah Batwin bilaif. aikklesjons fullaizos ana Gutþiudai gabrannidai. 

"Ricordo dei Martiri che con Wereka il prete e con Batwin il ministro furono bruciati in una chiesa piena presso i Goti". 

Orbene, questi Santi dei Goti sono tuttora venerati dalla Chiesa Ortodossa, anche se il giorno del loro ricordo è il 26 marzo. Pur essendo stati con ogni probabilità di dottrina Ariana, i Niceni li venerano e li attribuiscono alla propria Chiesa. Questo è un fatto davvero bizzarro. Non trovo documenti che mi aiutino a capire meglio come sono andate davvero le cose. Forse in quel contesto di frontiera era tale il bisogno di martiri da venerare e gli animi erano talmente ottenebrati, che davvero le varie confessioni cristiane tra loro in contrasto si contendevano l'appartenenza di perseguitati che prima di essere Ariani o Cattolici erano semplicemente Cristiani. Rimando al Web per ulteriori approfondimenti:



Fatte queste precisazioni, non mi risultano antroponimi gotici, né degli Ostrogoti d'Italia né dei Visigoti, formati a partire dal nome di santi Cristiani. Anche questo contribuisce a far apparire molto improbabile la proposta etimologica avanzata dalla Onesti Francovich, che sembra sia stata poco interessata a dettagli di natura religiosa. 

Al giorno d'oggi, il nome Inna è molto diffuso in Russia. Tuttavia ho seri dubbi che possa essere lo stesso nome del santo dei Goti: si tratta infatti di un antroponimo femminile. Con ogni probabilità questo Inna (f.) è solo un ipocoristico formato con l'intenzione di trovare un corrispondente femminile dell'antroponimo maschile Innokentij "Innocenzo". Ulteriori ipocoristici sono Innushka e Innochka. Anche Rimma è un nome russo di genere femminile. Va tuttavia precisato che nell'immaginario collettivo moderno è sentito come un derivato di Rim "Roma". Nel Web si trovano le ipotesi più improbabili a proposito dell'etimologia di questi antroponimi. Così, solo per fare un esempio, Inna è da taluni interpretato come "acqua profonda" o "corrente d'acqua", senza nessuna base sensata. 


giovedì 4 aprile 2019

IL PORCO E IL GRIGIO: UN'INTERESSANTE ISOGLOSSA TRA IL LONGOBARDO E IL NORRENO

Approfondendo i miei studi di lessico norreno, la mia attenzione è caduta sulla seguente voce, estratta dal dizionario di Zoëga

gríss (m.), giovane maiale, porco 
   declinazione: gen. gríss, dat. grísi, grís, acc. grís;
   pl. n. grísir, gen. grísa, dat. grísum, acc. grísi  


Dalla parola in questione si è formato l'antroponimo Gríss, attestato nella Saga di Hallfred il Poeta Malvagio (Hallfreðar saga vandræðaskálds). Nella nativa Islanda, il poeta Hallfred è un mortale nemico di Gris, un variago cristiano che aveva servito l'Imperatore di Bisanzio. L'odio perdura anche dopo la conversione di Hallfred al Cristianesimo. A un certo punto egli recita questa strofa alla sua amata Kolfinna: 

Veitkat ek hitt, hvat verða
verglóðar skal Móða -
rinnumk ást til Ilmar
unnar dags - á munni
ef fjǫlgegnir fregna
fagnendr jǫtuns sagna,
flók af gyltar Grísi
geitbelg - hvat mik teitir.


Non so quel che diranno
tra poco gli uomini:
amo la donna;
se gli uomini potessero
saper perché sorrido;
a Gris - maial, di capra
la pelle toglierò.
(Traduzione di Marco Scovazzi)


Come ci mostra il norreno, gríss "porcello, maiale" aveva il tema in -i- (il plurale è infatti grísir). Possiamo quindi ricostruire la sua derivazione da una forma protogermanica *gri:siz "giovane maiale". Questa doveva avere qualche parentela con l'aggettivo *græ:waz "grigio", il cui regolare esito in norreno è grár "grigio" (ma anche "ostile"). 

Una cosa va subito detta: non si riesce a comprendere bene queste formazioni. In pratica la sola cosa chiara è che entrambe iniziano col gruppo consonantico gr-. Non è possibile ricondurre le parole in questione all'indoeuropeo *g'er- "vecchio", da cui sono derivate le parole γέρων "vecchio" e γραῦς "vecchia", perché la fonetica non tornerebbe. Infatti l'eventuale protoforma indoeuropea di *græ:waz deve avere una consonante aspirata. È stata tentata la ricostruzione di una radice *g(')hra:w- "grigio", connettendovi anche il latino ra:vus "grigio scuro" (vedi Starostin). Tuttavia ciò desta in me un profondo scetticismo. Si noterà che il vocalismo non collima e si presenta come altamente problematico. Non vi è alternanza -e:- / -a:- in IE; lo stesso fonema -a:- è fonte di dubbi. Anche l'evoluzione di *ghr- in r- non convince troppo, non sembra un'eredità naturale. La parola latina secondo me non è nemmeno indoeuropea: sarà piuttosto un prestito dall'etrusco. Forse la lingua dei Rasna avrà avuto *χrave-, se aggiungiamo l'evidenza fornita dal latino gra:vastellus "uomo anziano" (< *"dai capelli grigi"). Qualcuno ha poi tentato di ricondurre le protoforme germaniche all'indoeuropeo *g(')hre:- "crescere", con lo slittamento semantico "crescere" > "verde" > "grigio". Incerta è anche la ricostruzione fatta dal Pokorny, che presuppone una radice indoeuropea *g'herǝ- / *g'hre:- "brillare". Che dire? Una sola certezza: brancoliamo nel buio e non giunge dalla preistoria alcun faro a illuminarci la via. 

Veniamo ora agli esiti di *græ:waz e di *gri:siz in altre lingue germaniche. 

In anglosassone abbiamo grǣġ "grigio", con la variante grǣw, per cui è necessario presupporre una protoforma *græ:wjaz col tema in -ja-. Questa è l'origine dell'inglese moderno grey, gray "grigio". Non abbiamo esiti nativi di *gri:siz "giovane maiale". Va però detto che dal norreno gríss è passato in medio inglese dando origine in inglese moderno alla parola dialettale grice "maiale" (specialmente "giovane maiale"; pl. grice o grices; variante ortografica gryce). Questa parola è usata soprattutto in Scozia e nell'Inghilterra settentrionale. Un tempo indicava anche un incrocio tra il maiale e il cinghiale; questo suino ibrido, tipico delle Highlands e delle Isole di Scozia, si è estinto nel corso del XIX secolo. 
Un altro interessante esito della parola norrena gríss in inglese è sparegris "salvadanaio" (alla lettera "maialino del risparmio"). Va però detto che si tratta di una formazione fossile, dato che i parlanti non sono in grado di fornire un'etimologia al secondo elemento del composto, -gris.

La situazione nel resto del germanico occidentale è lievemente diversa. La protoforma *græ:waz ha dato origine ad esiti regolari nelle varie lingue: 

    antico alto tedesco: grâo (gen. grâwes) "grigio"
        medio alto tedesco: grâ (gen. grâwes) "grigio"
        tedesco moderno: grau "grigio
        alemannico: graaw "grigio"
        lussemburghese: gro "grigio"
        yiddish: גראָ gro, גרוי groy "grigio"
    antico sassone: grâ, grê "grigio"
           (appulgrê "grigio pomellato")
       medio basso tedesco: grâ, grâwe "grigio"
       Plattdeutsch: greiw "grigio"
   antico frisone occidentale: grê "grigio"
      frisone di Hallig: grai "grigio"
      frisone di Mooring: gra "grigio"
   medio olandese: grâ, grau "grigio"
      olandese moderno: grauw "grigio" 


Non si ha traccia documentata di una protoforma *gri:siz col senso di "giovane maiale", ma sono ampiamente diffusi gli esiti di *gri:siz - secondo altri *gri:saz - come aggettivo col significato di "grigio" (e anche "terribile, spaventoso"), a quanto pare sinonimo di *græ:waz. Ecco il quadro: 

    antico alto tedesco: grîs "grigio"
       medio alto tedesco: grîs "grigio"
       tedesco moderno: greis "grigio"
    antico sassone: grîs "grigio"
       medio basso tedesco: gries "grigio"
          (preso a prestito dal tedesco moderno dialettale come gries
          "grigio", "grigiastro", ad es. detto di nubi)
    antico frisone: grîs "grigio"
        frisone di Staterland: gries "grigio"
        frisone occidentale: griis "grigio"
    antico olandese: grîs "grigio"
       medio olandese: grise, grijs "grigio"
       olandese moderno: grijs "grigio"


Nella lingua dei Franchi si aveva *grîs "grigio": da questa sorgente la parola è passata nel romanzo, dando origine all'antico francese gris (obl. gris; f. grise) "grigio" (francese moderno gris /gRi/ "grigio"). In latino tardo la parola è stata adottata come gri:seus, cosa che ci rivela un dettaglio importante: il tema dell'aggettivo era in -i-, non in -a-: il protogermanico aveva realmente *gri:siz / *gri:sja-, non *gri:saz. In altre parole, il passaggio avvenne in modo diretto dalla lingua germanica dei Franchi al latino medievale in modo tale da conservare traccia dell'antica flessione. 

In antico francese si ebbe un derivato (diminutivo) grisel (obl.) "grigiastro; cavallo grigio", che passò in medio inglese grisel, griselle, gresel "grigiastro; uomo dai capelli grigi", divenendo poi in inglese moderno grizzle "grigio scuro; capelli grigi". Da questo aggettivo deriva il famoso zoonimo grizzly, che tutto ben conoscono (alla lettera "orso grigio"). A parer mio l'inglese griseous "grigio screziato" viene dalla forma diretta *griseaus, *griseax dell'antico francese grisel, che però non sono riuscito a documentare. 

Un altro derivato di questa radice, a quanto sappia non attestato in alcuna lingua germanica, è il latino medievale gri:seum "pelle di scoiattolo siberiano", che traduceva l'italiano antico vairo, vaio (dal latino varium, neutro di varius "screziato"). Ancora oggi in francese, la pelle di questo animale è detta petit-gris.

Infine dobbiamo trattare gli esiti del protogermanico *græ:waz e *gri:siz nella lingua dei Longobardi. Giovanna Princi Braccini, nel suo Germanismi editi e inediti nel codice diplomatico longobardo: anticipi da uno spoglio integrale e commentato di fonti latine in vista di un tesoro longobardo (1998/99), riporta qualche commento a questo proposito:

§ 2. Aggettivi

77. graus (2) 'grigio' (graum e Grauso)
78. grisio (5) 'grigio' (Grisio [3], Grisione [1], Griso [1])


"Le due occorrenze di graus (quella reatina in una carta originale del 768, in cui è il colore di un cavallo: “... et alium cavallum graum”, e la seconda, volturnese, rappresentata da un antroponimo) sono le uniche attestazioni della parola longobarda che al momento possediamo, se si escludono le sue due sospette presenze nel toponimo Vallis Gramundella, nel Regestum Farfense, a. 1037, e nell’idronimo fluvius flasgra60." 

E ancora:

"Questo termine longobardo non sembra avere avuto continuazione in italiano e neppure nei dialetti italiani."

Ovviamente graum è forma latinizzata nella desinenza, secondo la consuetudine dell'epoca. Se l'unica attestazione del nominativo singolare graus è l'antroponimo Grauso, allora la Princi Braccini avrebbe dovuto apporre l'asterisco e scrivere *graus. :) Non si tratta di un immediato derivato di *græ:waz: la consonante -s- fa parte della radice e l'origine è dal protogermanico *greusanan "terrorizzare", da cui anche l'anglosassone grēosan e il tedesco moderno grausen "spaventarsi, temere". Sospetto che la radice sia in ultima analisi la stessa ("diventare grigio" > "essere terrorizzato"), ma ancora una volta i dettagli di una simile formazione appartengono a qualche lingua perduta e non hanno spiegazione alcuna in indoeuropeo. A complicare ancor più le cose abbiamo anche il medio alto tedesco grûwen "terrorizzare", da cui il tedesco moderno grauen "terrorizzare" e Grauen (n.) "orrore", che devono appartenere alla stessa vasta quanto difficile famiglia. In ogni caso Grauso non è "Il Grigio", bensì un esito di  *Grausæ:n "Il Terribile". Vediamo poi che in realtà questo antroponimo non è affatto un hapax: abbiamo la stessa radice anche in Grausulus, Adelgrausus, etc. 

Con buona pace dell'autrice, la Vallis Gramundella "dalla Bocca Grigia" (protogerm. *græ:wa- + *munθaz "bocca") e il fluvius Flasgra "Grigio come il Lino" (protogerm. *flaχsan "lino" + *græ:waz) sono tutt'altro che realtà sospette: il toponimo e l'idronimo in analisi, trattati a suo tempo da Wilhelm Bruckner, sono dotati di etimologia germanica inattaccabile e provano la persistenza di quell'eredità longobarda che i romanisti vorrebbero sminuire fino alla cancellazione. Tra l'altro, il fiume Flasgra conserva tuttora il suo nome: Fiascra.

Per quanto riguarda l'altro aggettivo, quello derivato dal protogermanico *gri:siz, i romanisti insistono nel loro tentativo di rimuovere la sua esistenza dal lessico longobardo, ritenendolo in buona sostanza un franchismo importato dopo la caduta del Regno. Eppure il testo del Bruckner, datato ma pur sempre validissimo, ci riporta qualche altro dato significativo. Oltre all'antroponimo Griso / Grisio, ne sono elencati alcuni altri: Grisaldus, Grisolfus, Griselissi (Griselissius, Grisilissi) e Grisimpertus. Come ammettiamo che la parola norrena gríss deve essere stata condivisa col longobardo come antichissima eredità, tutto si spiega per incanto:

Griso "Maiale"
Grisio "Maiale"; "Grigio"
Grisaldus "Signore dei Maiali"
    (< protogerm. *gri:si- + -*waldaz)
Griselissi, dissimilato per *Griserissi "Principe dei Maiali"
    (< protogerm. *gri:si- + *ri:kaz)
Grisimpertus "Splendente Ricco di Maiali"
    (< protogerm. *gri:s-i:na- + *berχtaz) 

Grisolfus "Lupo-Maiale" 
   (< protogerm. *gri:si- + *wulfaz)


L'aggettivo *gri:siz "grigio" doveva significare letteralmente "del colore del porco", ossia "di colore sporco". Nell'antico alto tedesco attestato è stato perduto ogni riferimento al maiale già in epoca antica, anteriore alla comparsa dei primi documenti (XIII secolo), così come è stato perduto il sostantivo omonimo, *gri:siz "giovane maiale". I cadaveri di antichi Germani restituiti dalle torbiere dimostrano che quelle genti avevano un'ottima cura del proprio corpo - tranne che dei denti, rovinati dalla polvere delle mole presente nelle farine. Non mancavano tuttavia in alcuna tribù uomini sporchi, che non si lavavano mai. Proprio come Carlo Magno, che è il Carlo Cotenna ancora ricordato dai Lombardi fino a poco tempo fa, un uomo coperto da uno spesso strato di sudiciume naturale. Quando una persona non si lava per molto tempo, il suo corpo finisce col somigliare per aspetto a quello di un porco: sulla sua pelle si formano orrende chiazze scure. L'aggettivo protogermanico da cui deriva la parola "grigio" descriveva proprio questa realtà. Ecco scoperto l'arcano: mentre *græ:waz indicava il colore uniforme, *gri:siz indicava il colore screziato, disomogeneo. Il color "porco", per l'appunto. 

Un amico la cui madre (R.I.P.) era di Cantù mi ha riportato il vocabolo grisùn, glossato come "maiale cucinato". Tuttavia va detto che non sono stato capace di confermare questa sorprendente informazione trovando altre persone in grado di riconoscerla. La cosa non deve stupire: non poche parole marginali devono essere finite nell'oblio nel corso dei secoli in contesti sostanzialmente agrafi. Anche il soprannome Griso di un bravo di manzoniana memoria potrebbe aver significato più "Porco" che "Grigio": il Manzoni potrebbe essersi imbattuto in un soprannome originato da una reminiscenza popolare di un epiteto di origine longobarda, avendolo così usato fraintendendone il senso.

martedì 2 aprile 2019

UN VOCABOLO NORRENO PER INDICARE LA DIVINITÀ PAGANA: FJARG

Approfondendo i miei studi di lessico norreno, la mia attenzione è caduta sulla seguente voce, estratta dal dizionario di Zoëga

fjarg (n.), divinità pagana
   pl. fjǫrg, divinità pagane


Derivati:
fjarg-hús (n.), tempio pagano 

La forma protogermanica ricostruibile è *fergwan "divinità, deità" (secondo un'altra metodologia si ottiene *firgwan, ma la sostanza non cambia). La mente va subito al gotico fairguni /'fεrguni/ "montagna", che ha un perfetto corrispondente nel norreno Fjǫrgyn (f.) "Madre Terra" (gen. Fjǫrgynjar). Se si volesse procedere a ritroso fino all'indoeuropeo, si arriverebbe alla radice *perkw- "quercia", che si trova nel teonimo lituano Perkūnas (lettone Pērkons, antico prussiano Perkūns, Perkunos, iatvingio Parkuns), che indicava un dio uranico rossochiomato in tutto e per tutto simile al tonante Thor. Tutto sembra così andare liscio e non presentare alcun problema. Ci sono tuttavia alcune difficoltà che reputo non proprio irrilevanti. La forma norrena fjarg implica un accento anomalo: per spiegarla occorre ricostruire un indoeuropeo *perkwóm. Perché tale accento e - soprattutto - perché il genere neutro? 

Che dire poi dello slavo Perun, teonimo che richiama immediatamente il baltico Perkūnas? Eppure c'è una difficoltà a prima vista insormontabile. Come mai nella forma slava manca la consonante velare? Come appare subito ovvio, non è possibile che un gruppo consonantico -rk- si sia semplificato in -r- per azione della magia. Si può immaginare che Perun e Perkūnas abbiano diverse etimologie? Direi di no. I casi sono due: 1) l'alternanza problematica -rk- / -r- era tipica di una lingua ignota e non indoeuropea; 2) la forma base ha -r-, mentre l'altra con -r-k- mostra l'aggiunta di un suffisso in velare -k-, e in ogni caso si tratterebbe di materiale non indoeuropeo. Secondo il mio modesto avviso, sarebbe meglio considerare fjarg un vocabolo di origine preindoeuropea. Sergei Nikolayev fa molta confusione, separando Perkūnas da Perun e accostando il secondo all'ittita piruna-, peruna- "pietra". Non è poi che un confronto con le lingue anatoliche risolva la questione, come se ogni radice documentata in esse fosse in automatico una prova inconfutabile di indoeuropeità. Dubbi e incertezze non mancano di certo!

Veniamo ora a un bizzarro caso di decostruzionismo che ho reperito nel Web. Si tratta di un caso notevole, perché mi sono accorto che predata di gran lunga l'opera di Jacques Derrida. In un dizionario online ho potuto assistere al tentativo di eliminare l'esistenza stessa del vocabolo fjarg "divinità pagana". Ho poi constatato che gli autori dell'opera sono proprio Cleasby e Vigfusson: la data di pubblicazione del loro dizionario Islandese - Inglese è il 1874. Gli autori partono dalla constatazione che la parola fjarg-vefjar "seta" (una kenning per silki), alla lettera "tele divine", sarebbe corrotta per *fjarg-vefjaz, *fjarg-vefjask, che dunque sarebbe un verbo riflessivo col significato di "gemere per un peso eccessivo". Una parola formata mala, dato che vefjask significa "essere avvolto; essere impigliato", da vefja "avvolgere". La parola da cui è partita la fabbricazione di Cleasby-Vigfusson deve essere stata fjarg-viðrask "gemere per un peso eccessivo" (elencata poco sotto nel dizionario). A questo punto, dato che il composto fjarg-hús esiste senz'ombra di dubbio, esso è stato spiegato come "case immense, case grandi" (in inglese "huge, big houses") anziché come "templi pagani", attribuendo al prefisso fjarg- il valore di "immenso, grande". Che questa sia un'assurdità si può facilmente dimostrarlo. Nell'islandese moderno - che è una forma attuale di norreno - esiste il composto fjargveður "tempesta" (glossa inglese "storm"). Nel norreno dell'epoca delle saghe si sarebbe detto *fjarg-veðr "tempesta", forma che non sono riuscito a reperire ma che deve essere per forza esistita. Deriva da veðr "tempo" (atmosferico), parola che ha la stessa origine dell'inglese weather, a tutti ben noto. Il significato originale della parola per dire "tempesta" deve essere stato "tempo divino", ossia "tempo di Thor", quindi "tempo diabolico", "tempo funesto", a seguito del mutamento del sentire fattosi strada con l'introduzione del Cristianesimo. Non "grande tempo" o "tempo immenso". Come Gianna Chiesa Isnardi ci ricorda nel suo fondamentale volume I miti nordici (1991), nei tempi tardi Thor era considerato un demone. Era degenerato da divinità uranica a diavolo. Per i Cristiani, Thor esisteva fisicamente e continuò a esistere per diversi secoli dopo che il Paganesimo era cessato come religione organizzata. Gli veniva attruibuito un essere personale e fisico, persino dai missionari. Rispetto ai tempi dell'idolatria, cambiava qualcosa di rilevante: il Dio Fulvo non era più oggetto di adorazione, bensì di esecrazione. È chiaro quindi quale sia il significato originale di fjarg-. Significava "divino", donde si è avuto lo slittamento in "funesto", "diabolico". Il significato di "immenso", "soverchiante" deve essere stato il frutto di uno sviluppo secondario: fjarg-viðrask è giunto a significare "gemere per un peso eccessivo" da un più antico "gemere per un peso sovrumano". Il "peso sovrumano" in questione è un "peso divino" o piuttosto un "peso diabolico", è ovvio.

Ricordo ancora uno squallidissimo film peplum visto in gioventù. C'erano alcuni gladiatori pronti ad andare nell'arena a combattere alla presenza dell'Imperatore. Uno di loro era un superbo trace fulvo con una bella barba. Un vecchio cristiano serviva il pasto ai combattenti, mettendo sulla tavola alcune pagnotte e una brocca di vino. Nel farlo, sperando di farsi riconoscere, tracciava il simbolo del pesce sulla polvere che ricopriva la mensa. Poi iniziava a predicare e invitava i gladiatori a rinunciare al culto di Marte per innalzare preghiere a Cristo. Questi temevano molto la bestemmia del vecchio: il trace, sudando freddo, dichiarava il proprio disagio, aveva paura che Marte si sarebbe adirato e avrebbe ritirato il suo sostegno all'imminente scontro armato. Allora il cristiano diceva: "E come potrebbe adirarsi, visto che non esiste?" Ecco, questo è un grave anacronismo. La domanda, assurda, un antico cristiano non avrebbe potuto farla. Sarebbe infatti tipica di un democristiano o di un adepto di Comunione e Liberazione, non di un cristiano dell'epoca imperiale. Per gli antichi Cristiani, gli Dei di Roma esistevano ma erano diavoli, erano malvagi. Lo stesso atteggiamento era tipico dei Cristiani dei secoli successivi, che ritenevano un demonio ogni divinità dei popoli scandinavi a cui portavano la nuova religione.

UN VOCABOLO NORRENO PER INDICARE IL MOSTRO: -GÁLKN

Approfondendo i miei studi di lessico norreno, la mia attenzione è caduta sulla seguente voce, estratta dal dizionario di Zoëga: 

hrein-gálkn (n.), lupo (poet.)
  alla lettera "mostro delle renne" 


La radice della prima parte del composto è ovviamente hreinn "renna" (gen. hreins; pl. hreinar). Ovviamente lo zoonimo non va confuso con l'aggettivo omofono, hreinn "puro", la cui origine è completamente diversa. Il tentativo di ricondurre il nome della renna a una variante *k'rei- del protoindoeuropeo *k'erǝ- "corno; testa" mi appare tutto sommato vano e artificioso: si tratterà piuttosto di un relitto del sostrato neolitico.

Abbiamo poi anche un altro simile composto, di cui ero già a conoscenza in precedenza:

finngálkn (n.), centauro 
  alla lettera "mostro dei Finni" 

La radice della prima parte del composto è ovviamente finn "finno" (pl. Finnar). L'etnonimo indicava in origine i Lapponi (Saami). L'etimologia è a mio avviso oscurissima e non indoeuropea, anche se mi sono imbattuto in una spiegazione singolare, che vorrebbe interpretare il termine come "colui che trova", dal norreno finna "trovare" (< protogermanico *finþanan), con allusione allo stile di vita di questi popoli di cacciatotori-raccoglitori, vagabondi alla perenne ricerca di cibo e di legna da ardere. A me pare una falsa etimologia della più bell'acqua. Tra l'altro, a conferma di quanto dico, Iordane (VI secolo) menzionava i Finni, i Finnaithae e i Crefennae o Scretofenni, senza alcuna traccia di un gruppo consonantico con fricativa interdentale. Il geografo greco-romano Tolomeo menziona i Phinnoi nella sua Geographia verso il 150 d.C.; Cornelio Tacito scrive per la prima volta dei Fenni nella Germania e siamo nel 98 d.C.: tutto ciò in epoca molto anteriore al passaggio di -nþ- in -nn- in norreno!

Il finngálkn è descritto come un essere pericoloso e malefico, con la metà superiore simile a quella di un essere umano e la metà inferiore simile al corpo di un animale. La credenza nell'esistenza dei finngalkn sopravvisse a lungo al Paganesimo, tanto che si ritrova in Islanda fino ad epoca abbastanza recente. Nel 1383 nell'isola vulcanica accadde che un gallo depose un uovo, gettando la gente nel panico: il terrore del portento (rund) era palpabile. Per impedire che un finngálkn si impadronisse dell'uovo demoniaco e lo usasse per compiere un maleficio, questo fu bruciato assieme al gallo che l'aveva deposto; come l'uovo si ruppe tra le fiamme, fu visto uscire un essere simile a un verme. Quando furono introdotte le armi da fuoco si disse che i finngálkn erano immuni alle pallottole, a meno che non fossero d'argento e recanti il segno di una croce.


Cosa senza dubbio abbastanza singolare, il finngálkn attrasse persino l'interesse dei grammatici. Il poeta islandese Óláfr Þórðarsson (1210 - 1259) usò la parola finngálknat (che è una forma con articolo determinativo suffisso neutro) per designare l'uso delle metafore miste in poesia, da lui paragonate al corpo ibrido del mostro.

A questo punto possiamo estrarre dai due composti in analisi, hrein-gálkn e finngálkn, senza commettere alcun abuso, il vocabolo *gálkn "mostro". Ho messo l'asterisco perchè non mi risulta che sia usato al di fuori dei composti. La lunghezza della vocale -á- è secondaria e dovuta all'effetto del gruppo consonantico iniziante con una liquida, cosa ben documentata (es. úlfr "lupo" da ulfr; mjólk "latte" da mjǫlk, etc.). Si capisce che la protoforma germanica ricostruibile è *galknan "mostro". La definisco "protoforma germanica" per convenzione, perché suppongo che la parola sia stata presa a prestito già in epoca protogermanica, anche se non ha lasciato alcun discendente noto in lingue diverse dal norreno. 

Ebbene, molto probabilmente si tratta di una voce neolitica, residuo delle popolazioni antecedenti l'arrivo delle genti indoeuropee che hanno portato in Scandinavia la lingua da noi denominata protogermanico. Fatto sta che il vocabolo in analisi non ha alcun parallelo credibile in alcuna lingua indoeuropea. La sua stessa fonetica, particolarmente convoluta, si dimostra estranea agli schemi indoeuropei e già per questo molto sospetta. Irrido e schernisco i neogrammatici talebani che proiettano nelle steppe ogni minimo vocabolo attestato anche soltanto in una lingua indoeuropea storica, anche se appare evidente che si tratta di una voce isolata quanto inspiegabile.  

A quanto pare, anche se per confermare questa notizia avrei bisogno di maggior documentazione, esiste una variante -gápn, presente in finngápn = finngálkn. Se validata, questa forma assai singolare punterebbe a una protoforma che nella lingua d'origine doveva possedere una consonante labiovelare, qualcosa come *galkwna-. La consonante liquida era con ogni probabilità "oscura", cosa che spiega la sua scomparsa nella forma in -gápn. Non si può spiegare questa occorrenza anomala tramite il protogermanico e quindi bisognerà pensare a qualcosa di più antico, i cui dettagli sono purtroppo persi, forse per sempre.