sabato 3 agosto 2019


MEMORIE DI UN NANO GNOSTICO 

Titolo originale: Memoirs of a gnostic dwarf
Autore: David Madsen
Anno: 1995
Lingua originale: Inglese
Tipologia narrativa: Romanzo
Genere: Storico, grottesco
Sottogenere: Fantareligione, esoterismo
Edizione italiana: 2005
Editore (Italia): Meridiano Zero
Codice ISBN-10: 888237131X
Codice ISBN-13: 978-8882371319
Traduzione (in italiano): Lorenzo Borgotallo, Filippo
      Patarino
Titoli tradotti:
     Tedesco: Der Zwerg, der Papst und die Heiligkeit

Sinossi (da Meridianozero.it):
Roma, 1496. In un palazzo di una famiglia dell’aristocrazia romana, si svolge uno strano rito di iniziazione gnostico. Pochi giorni dopo, l’inquisitore domenicano fra Tomaso della Croce penetra nella villa e fa arrestare la bella Laura de’ Collini. Ma non riesce a mettere le mani sul Maestro della confraternita.
Firenze, 1503. Nella città ancora scossa dall’esperienza di Savonarola e dall’esilio dei Medici, fa tappa la carovana di mastro Antonio: un triste baraccone itinerante di "scherzi di natura", deformi esseri umani tra i quali si nascondono criminali, eretici e ogni sorta di sopravvissuti. Tra di loro il nano Peppe, la cui sofferenza fisica è mitigata dalla dotta conoscenza della verità. Peppe sa che il suo corpo storpio e sofferente non è che una produzione del funesto artefice Jaldabaôth, responsabile della creazione del mondo della materia in cui è imprigionata la scintilla divina. E una sera la misteriosa Barbara entra nella sua tenda, per riscattarlo al suo destino.
Qual è il filo nascosto che lega questi eventi? Quando Giuseppe Amadonelli, al secolo Peppe il nano gnostico, si mette a scrivere le sue memorie, è ormai un habitué della corte pontificia. Passato indenne attraverso i cenacoli segreti dei palazzi rinascimentali e i ferri roventi degli inquisitori, è diventato il segretario e il confidente di papa Leone X: un papa grasso, fiacco e dedito ai piaceri carnali, ossessionato dal quel "monaco folle" di Lutero che va divulgando le sue tesi in una Germania ormai in ebollizione.
E mentre con pungente irriverenza, racconta la dissolutezza e la corruzione del teatrino vaticano – in cui sfilano in gran pompa personaggi del calibro di Leonardo e del bellissimo Raffaello, di Francesco I e di Carlo V – Peppe tesse il filo del suo racconto: la storia di una complessa partita giocata sullo scacchiere dell’Italia, di una vendetta, del duello fra due grandi avversari, il Maestro e l’Inquisitore.
David Madsen, teologo e profondo conoscitore del Rinascimento, mescola sapientemente fiction e fatti storici, dando vita a un romanzo magico che illumina i sotterranei intrighi di un’epoca cruciale per l’Europa.


L'autore:
David Madsen è lo pseudonimo di un teologo e filosofo. Il suo talento barocco si vede soprattutto nei suoi romanzi: Memorie di un nano gnostico, Le confessioni di un cuoco eretico (Confessions of a Flesh-Eater) e Una scatola di sogni (A Box of Dreams), oltre che nel libro "cult" di cucina Orlando Crispe's Flesh-Eater's Cookbok (alla lettera Il ricettario
del cannibale Orlando Crispe). I suoi lavori sono stati tradotti in 12 lingue. Questo ci dice Googlebooks. Amazon aggiunge che egli è anche un "terapista", senza specificare ulteriori dettagli di questa sua professione.
Va aggiunto che l'identità reale dell'autore permane ignota, a dispetto di tutti i tentativi di approfondire la questione. 

Recensione: 
Senza dubbio questo è uno dei libri più stravaganti in cui mi sono imbattuto da quando sono al mondo! Somma è la sua importanza nella storia della letteratura satirica e grottesca. Per questo motivo ne consiglio vivamente a tutti la lettura. Che sia realmente un teologo o altro, Madsen ha saputo dar vita a tutta una galleria di personaggi distorti, al limite dell'incubico, che ben rappresentano un'umanità dannata. Ha ricoperto il nudo scheletro dei fatti storici acclarati col complesso tessuto muscolare e nervoso della sua creazione fantastica. Il linguaggio è vivido, crudo, non nasconde nulla e non fa concessioni ai detestabili idoli del politically correct. Lo si può amare oppure odiare, ma in ogni caso lascia il segno. Assolutamente indimenticabile.

L'artificio narrativo usato dal teologo-romanziere non è certo una novità, essendo ancora la finzione del manoscritto ritrovato da qualche parte. L'autore sembra dissociarsi, proprio come a suo tempo fece Alessandro Manzoni, dalla sua stessa creazione - oppure cerca soltanto di renderla più credibile agli occhi dei lettori? 

Scrutatore di escrementi  

Peppe, il nano gnostico, introduce innanzitutto la figura del dottor Bonet de Lattes, protomedico ebreo del Papa. Il suo cognome, che senza dubbio non si sente tutti i giorni per le vie, fa venire in mente un delizioso budino al cioccolato - quello che in piemontese è detto per l'appunto bonet. Nulla di più lontano dalla natura del personaggio, annusatore di feci e coltivatore di erbe fetidissime, che passa il suo tempo a manipolare le purulente emorroidi pontificie nel tentativo di recare sollievo a quell'immenso deretano rotto e ulcerato da incallita sodomia! Il protomedico dedito alla coproscopia e il gigantesco, fetidissimo culo suppurante del Papa: due presenze ingombranti che riempiono da sole l'intero orizzonte dell'Urbe, oscurando persino l'astro diurno e la volta celeste. Un corvo ripugnante su un panettone plasmato da un impasto di merda grassa e di pus. Adesso sfido chiunque a trovarmi un altro luogo della letteratura in cui è stato assemblato qualcosa di simile! 

Leone X di Sodoma 

Ecco in tutto il suo putrido splendore Papa Leone X, un collerico tiranno che ama farsi sodomizzare da giovani nerboruti, assoldandoli perché immergano la verga eretta nel dilatato cratere fistoloso. Uno spettacolo apocalittico, in cui si fondono sangue, marciume, materia fecale e sperma! Certo, qualcuno fa notare, tra i tanti commenti a quest'augusta opera, che si tratta di qualcosa di poco adatto a coloro che si professano fedeli della Chiesa Romana. E con questo? Non me ne importa nulla. Se si sentono offesi, taglino la parte offesa. Non saranno certo le pretese revisioniste dei moderni cattolici a cancellare gli orrori e le storture del passato. Sta di fatto che le inclinazioni sodomitiche di Leone X non sono certo l'invenzione di uno scrittore anticlericale. Già gli autori vissuti all'epoca dei fatti ne parlarono diffusamente. Mi sento di affermare che la storia della Riforma sarebbe stata molto diversa se Lutero non avesse avuto sotto mano una simile evidenza della natura anticristica del Pontefice Romano e della sfrenata corruzione della sua Chiesa!

Una tragedia della Natura

Peppe ci parla diffusamente della propria orrenda e brutale infanzia. Figlio di una venditrice di vino scadente di Trastevere, subisce fin da piccolo ogni genere di abusi. Anche l'incesto ha il suo piccolo spazio in questo scenario da girone dantesco: in un'occasione la donna dissoluta che ogni giorno caricava suo figlio di botte, cerca di costringerlo a ficcarle il budellino tra le gambe. Va detto che la Natura è stata sommamente ingenerosa col povero Peppe, non limitandosi a plasmarlo gobbo, ma privandolo persino di quella che De André in una sua canzone su un nano definiva "fra tutte le virtù la più indecente". Lo stesso Papa di Sodoma è costretto a constatarlo di persona. Non ha fondamento alcuno la voce secondo cui tutti i nani avrebbero, quasi per compensazione, una virilità esuberante. In altre parole, esistono anche nani che si ritrovano con un falletto esiguo, come quello dei bambini. Le miserie della vita di Peppe non si esauriscono a quanto finora descritto. Cresciuto, è entrato a far parte della compagnia di un guitto itinerante, nel cui baraccone ha conosciuto una degradazione ancor più spaventosa. Si è così ritrovato costretto a recitare ogni santo giorno un abietto numero teatrale come schiavo sessuale di una gigantesca scimmia, impersonata da un energumeno dal peloso travestimento. Il giovane nerboruto quanto ottuso esalava un tanfo schifoso dai piedi e dalle ascelle, ma era dotato di uno smisurato Schwanzstücker, che era compito del povero Peppe masturbare fino a produrre violenti getti di liquame spermatico! Simili spettacoli, che non dovevano essere infrequenti, hanno fornito un'arma molto efficace a Lutero, che era un eroe dall'intelligenza acutissima, non un "monaco pazzo"!

Un Leonardo abbrutito 

Peppe ci descrive nei dettagli il suo incontro con il Maestro Leonardo da Vinci. Un incontro alquanto deludente. Il genio toscano è presentato come un vecchio laido la cui barba esala un forte fetore di vomito. Raggelante. Le sue vesti sono incrostate di residui di cibo masticato, il suo corpo è immerso in lezzi insostenibili e ben peggiori del sentore di vomito della barba. Il tanfo penetrante è paragonato da Peppe a quello di un frutto esotico di cui ha sentito parlare, chiamato durio. In parole povere, si tratta del pestilenziale puzzo di formaggio fortissimo tipico dei cadaveri in avanzata decomposizione! Peppe collega subito questa peculiarità oscena alle abitudini necrofile dell'uomo di Scienza: a forza di sezionare corpi tratti dagli obitori, è rimasto impregnato del loro sentore. Questo non basta: Leonardo, che parla in un rozzissimo vernacolo reso quasi incomprensibile da una gorgia corrosiva, non mostra il benché minimo interesse verso gli argomenti esoterici. Sfiora il materialismo più bieco. Peppe dal canto suo si guarda bene dall'accennargli alle dottrine gnostiche. Eppure un accenno di critica catara alla Chiesa di Roma a un certo punto emerge dalla bocca del sublime artista. Quando egli offre a Peppe un bicchiere di distillato autoprodotto, afferma che la bevanda è molto apprezzata in Arabia. Il nano gnostico esprime i suoi dubbi, ricordando al Maestro che nelle scritture della religione maomettana le bevande inebrianti sono proibite in modo esplicito. Così replica l'uomo di Vinci: "La Bibbia proibisce di forni'are - ma ciò non toglie che la gente 'ontinui a farlo".  

Catari e Gnostici antichi 

Questo possiamo arguire: l'autore non dimostra di avere una conoscenza profonda dei Catari e della dissidenza dualista medievale. Non sembra essere nemmeno al corrente delle differenze tra Catari assoluti e moderati. In particolare non sa davvero nulla del Battesimo di Spirito, anche noto come Consolamentum, come si evince ad esempio dalla descrizione dei rituali con cui viene iniziato Peppe. Quello che invece pare conoscere abbastanza bene è lo Gnosticismo dell'epoca dell'Impero. Il punto è che lo Gnosticismo di Valentino e di Basilide non è affatto l'antenato del Catarismo medievale. In altre parole non sussiste tra le due religioni un rapporto filogenetico - a dispetto di un nucleo comune di idee e di dottrine sul Cosmo e sulla condizione umana. Per contro Madsen professa proprio questo preteso nesso filogenetico. Egli commette un grave errore concettuale identificando e confondendo i Catari con gli Gnostici antichi. Non si tratta soltanto di un anacronismo. Il linguaggio è uno strumento di cui l'essere umano si serve per interpretare la realtà. Al linguaggio piano, netto e semplice dei Catari medievali contrasta in modo stridente il linguaggio criptico e misterioso degli Gnostici antichi, che si servivano di vocalizzazioni bizzarre indicanti il nome divino e di una complessa glossolalia, forse unica nel suo genere. Esistono diverse testimonianze scritte della lingua occulta usata dagli Gnostici, non soltanto nei famosi testi rinvenuti a Nag Hammadi, ma anche in alcune tavole di defissione. Dovendo dare un nome a questa glossolalia, la definisco lingua Sethiana. Leggiamo così nel romanzo i nomi degli angeli che plasmarono le membra umane: queste singolari parole erano usate per nominare le stesse parti del corpo in Sethiano.

Il primo, Raphaô, iniziò con il formare il cocuzzolo della testa.  
Arôna formò il cranio. 
Meniggestrôeth formò il cervello.
Asterekmé, l'occhio sinistro.
Thaspomaka
, l'occhio destro.  
Ierônumos, l'orecchio sinistro.
Bissoumeemi
, l'orecchio destro. 
Akiôreim, le narici.
Banénephroum
, le labbra.
Amon-ffshata
, i denti anteriori. 
Ibikan, i denti posteriori.  
Adabani, la nuca.
Khaamani
, la gola. 
Tébar, la spalla sinistra. 
Dêarkhô, la spalla destra.
Abitriôon
, la mano sinistra.  
Euanthên, la mano destra.
Astrôpsamini
, il capezzolo sinistro.
Barrûph
, il capezzolo destro. 
Baoum, l'ascella sinistra.  
Ararim, l'ascella destra. 
Pthauê, l'ombelico.
Gêsole
, lo stomaco.
Aggromauma
, il cuore.  
Mnashakka, l'orifizio anale. 
Eilô, il pene.  
Sôrma, i testicoli. 
E Sôrma, la vagina.
Ormaôth
, la gamba sinistra.  
Psêrêm, la gamba destra.
Akhiêl
, il piede sinistro. 
Phnèmê, il piede destro.
Boozabel
, le dita del piede sinistro.  
Phiknipna, le dita del piede destro.

Essendo trascrizioni dall'originale in lettere greche, -gg- è pronunciato -ng-. Se Meniggestrôeth sembra contenere il greco μῆνιγξ "membrana che ricopre il cervello" (donde anche la parola meningi), Ierônumos potrebbe essere greco e stare per "nome santo" - anche se non si capisce bene il nesso semantico. Per il resto brancoliamo nel buio. Avremo modo di approfondire in altra sede l'affascinante argomento.

Riporto a questo punto un estratto del capolavoro che compare verso la fine della narrazione. Lo faccio a pubblica edificazione, in quanto è un testo che irradia bagliori di Verità.

CREDO

Credo in un unico, vero Dio, Padre, onnipotente, che dimora nei cieli, nel regno della luce gloriosa, e che è Creatore increato del regno che è la sua dimora. Dal suo amorevole grembo siamo caduti, precipitando su questa terra e in questo mondo, che il Padre non ha creato. Poiché questa terra e questo mondo sono un niente, pieni della miseria e della sofferenza del niente. Come ci testimonia il diletto discepolo nel suo vangelo: 

Omnia per ipsum facta sunt;
et sine ipse factum est nihil, quod factum est. 

La traduzione e interpretazione gnostica di queste parole differisce da quella della tradizione; la Chiesa la intende come: "Niente è stato creato senza di lui". Al contrario, noi volgiamo: "Il niente è stato creato, ed è stato creato senza di lui". Ogni traduzione è un'interpretazione; come potrebbe essere altrimenti? Ora, il niente che coincide con l'inferno del nostro mondo è stato creato senza il Verbo divino; ma non è il 'nostro' mondo perché siamo a esso estranei ed esuli in esso. La nostra origine, e vera dimora, è il regno di luce del Padre. Perché questo mondo è stato creato dal nemico del Padre, il diavolo, e ogni forma materiale, ogni vita e ogni istinto carnale, ogni sviluppo e ogni decadimento corporeo sono opera sua.     

Ruzzicàne li porci 

Dalla Luce precipitiamo ora nell'oscurità più greve e densa! Alla lettera ruzzicàne li porci significa "rotolare nei maiali". Così ci viene descritto da Peppe questo orrendo rito che si svolgeva a monte Testaccio:

"è un evento davvero agghiacciante: carrette cariche di maiali terrorizzati, scagazzanti dalla paura, vengono trainate in cima al monte Testaccio, quindi letteralmente rovesciate sulla folla giù in basso, che si accapiglia per impossessarsi degli animali. Questi si abbattono sulle persone, i più pesanti ferendole o addirittura uccidendole; quando le strida assordanti dei maiali e le urla della gente si placano, ai piedi del monte c'è un groviglio sanguinolento di corpi umani e animali, e l'aria è fetida dell'evacuazione di vesciche, tanto degli esseri umani quanto dei suini. Non riesco davvero a capire come si possa trovare divertente questo genere di cose." 

Queste cose sono reali, non invenzioni letterarie del Madsen. Questo è riportato da Costantino Maes (1839 - 1910) in Curiosità romane, Roma, Edizioni del Pasquino (1983, ristampa dell'originale anastatico del 1885): 

"I giuochi di Testaccio che comprendevano giostre di tori, cuccagne, lotte, […], si aprivano con uno strano spettacolo. […] Si teneva pronto qui un branco di porci, ben pettinati e tosati, i quali al giungere del corteo venivano collocati a due a due in 6 carrette coperte di seta rossa: bell’accordo davvero! Trasportati i carri alla sommità del monte, si abbandonavano alla loro gravità: il nobile treno scendeva così precipitosamente alle radici della verde collina sparnazzando tra le confuse pieghe della porpora i neri animali. Questo si diceva in gergo romanesco ruzzicàne li porci da Testaccio." 

Che altro dire? Il testo madseniano mescola realtà e fantasia, ma ha il pregio di richiamare l'attenzione su piccoli tesori antropologici che altrimenti correrebbero il rischio di svanire nell'Oblio.

Nomen omen  

Mi stupisce non poco il cognome di uno dei traduttori, Patarino, che deve la sua origine alla più combattiva dissidenza religiosa medievale. Nella Toscana rinascimentale la parola patarino "cataro" era ancora ben conosciuta, ma aveva acquisito il generico significato di "irreligioso". Certo, suona come una coincidenza davvero strana, di quelle che lasciano basiti.

Altre recensioni e reazioni nel Web 

Un certo numero di recensioni - quasi tutte microscopiche - si trovano su Anobii.com. Ne riporto un paio, che reputo di un certo interesse:

leontrevis ha scritto:

caustico...unico

Un libro unico nel suo genere, in quanto e' difficile fare letteratura su argomenti di queto genere. L'autore (storico inglese) descrive in maniera dettagliata, realistica (e per questo divertente) le "schifezze" della curia pontificia del XVI secolo. A parte roghi e inquisizioni, sembrerebbe che nulla o poco sia cambiato sotto il cielo di San Pietro!!
Piacevolissima lettura.


Tanzen ha scritto: 

Il romanzo di Madsen non è esente da qualche strafalcione di carattere storiografico in merito alla dottrina gnostica, ma la complessità di questi movimenti religiosi dei primi secoli e la scarsa conoscenza della loro teologia che permane ancor oggi ne fanno un difetto di poco conto. Nel complesso il libro scorre bene: la storia non trascina il lettore se non nell'ultima parte della narrazione, ma la lettura delle pagine del diario del nano gnostico è comunque piacevole. La descrizione della corte - e dei vizi - papali risulta esagerata: per quanto la Roma pontificia fosse un bordello le descrizioni fantastiche di Madsen sfociano nel dileggio. Allo stesso modo, il ritratto della sessualità gnostica è volutamente provocatorio e senza alcun riscontro nella dottrina di quei movimenti. Nel complesso si tratta di una lettura gradevole, che lascia sul volto qualche sorriso e che non deve essere intesa se non come un ritratto dissacrante della Roma pontificia cinquecentesca tratteggiato dalla mano di uno "scherzo della natura" desideroso di raccontare la propria ascesa alle camere papali ed il suo incrollabile amore per la Verità della Gnosi. 

Ebbene sì, c'è anche il mio contributo, abbastanza critico, risalente al lontano 2010. Eccolo: 

Un giudizio difficile

Potrebbe essere un libro eccellente, per come è scritto e per le vivide immagini che comunica. Un capolavoro del genere grottesco. Però non posso fare a meno di notare che confonde il Catarismo con lo Gnosticismo di Valentino, attribuendogli poi dei costumi nati dalle calunnie della maligna Chiesa Romana, tipo comunioni a base di sperma e altre turpitudini similari. L'autore si qualifica come un teologo in incognito e uno studioso di storia, ma a quanto pare non ha potuto trarre giovamento da opere credibili sui Buoni Uomini. A queste pecche pone in parte rimedio il Credo Gnostico finale, che riassume in modo mirabile la nostra condizione in questo universo infernale.

mercoledì 31 luglio 2019


RAMI SECCHI

Piero Angela sostiene che il solo fine di un essere umano è la riproduzione. Egli ritiene che una persona senza progenie sia qualcosa di inutile, un ramo secco dell'Evoluzione. Quindi, seguendo simili premesse evoluzionistiche e neopositiviste, recidere un ramo secco non sarebbe affatto un male, bensì il compimento dell'opera della Natura, ovvero la rimozione di qualcosa che pesa sulla società. Da questo pensiero allo sterminio di massa tramite iniezioni letali o alle camere a gas il passo è brevissimo. Il tutto senza nessuna necessità di affermare una qualsiasi forma di razzismo, senza propugnare la selezione di una fantomatica razza eletta, senza evocare lo spettro di Adolf Hitler a ogni piè sospinto e soprattutto senza cambiare le istituzioni vigenti. Senza che la costituzione muti di un iota e mantenendo intatta l'impalcatura democratica delle nazioni, sarà possibile cancellare la vita di chiunque per ragioni a cui nessuno sembra pensare anche solo per un attimo. Il genocidio non riguarderà soltanto gli anziani e i malati cronici di ogni genere: un giorno per finire terminati potrebbe bastare essere single e non aver generato. Quello che le genti non possono capire è che la radice del genocidio prossimo venturo è sempre rimasta operante e indisturbata. Nessuno si è reso conto dell'esistenza di questo serpente, la cui radice è eminentemente darwinista.

domenica 28 luglio 2019


CARNE

Titolo originale: Carne
Paese di produzione: Francia
Anno: 1991
Durata: 40 min
Rapporto: 2.35 : 1
Genere: Drammatico
Regia: Gaspar Noé
Soggetto: Gaspar Noé
Sceneggiatura: Gaspar Noé
Produttore: Les Cinémas de la Zone
Fotografia: Dominique Colin
Montaggio: Lucile Hadžihalilović
Musiche: Olivier Le Vacon
Interpreti e personaggi:
    Lucile Hadžihalilović: infermiera
    Blandine Lenoir: figlia del macellaio
    Philippe Nahon: macellaio
    Frankie Pain: padrona del locale
    Hélène Testud: cameriera
Sottotitoli in italiano: ZiaMarti & deadkennedys (TnTvillage)
Premi e riconoscimenti: 
    Prix George Sadoul 1991
    Prix des Rencontres Cinématographiques Franco-
         Américaines d'Avignon 1991


Sinossi:
Riporto in questa sede la didascalia che appare all'inizio, in caratteri gialli su uno sfondo scuro e opprimente: 

La viande de cheval, interdite dans la plus part des pays du monde, est pourtant très appréciée du peuple français. Des chevaux provenant des quatre coins du monde, sont quotidiannement dépecés puis commercialisés dans les deux milles boucheries chevalines de France. Cette chair, de nature douceâtre, a la réputation d'être la plus saine des viandes rouges.
Mais par préjugé, à cause de son prix modéré et de sa teinte violacée, certains l'appelent "CARNE".
 

Anche se il francese è soltanto un dialetto del latino volgare, proprio come l'italiano, e per questo dovrebbe essere ben comprensibile a tutti, riporto la traduzione a cura di ZiaMarti e dei deadkennedys: 

La carne di cavallo, proibita nella maggior parte dei paesi del mondo, è invece particolarmente apprezzata dal popolo francese. I cavalli provenienti dai quattro angoli del mondo sono quotidianamente fatti a pezzi e la loro carne messa in vendita nelle duemila macellerie cavalline della Francia. Questa carne di natura dolciastra ha la reputazione di essere tra le carni rosse più salutari in assoluto, ma per pregiudizio a causa del suo prezzo basso e del suo colore violaceo, alcuni la chiamano "CARNE".  


Trama:
È la tetra storia di un macellaio in cui non brilla neppure un barlume dello Spirito. Fatto senza il Verbo, egli è un puro e semplice golem, è come un ammasso di creta semovente mosso dai demoni. Questo essere brutale e osceno ingravida un'operaia, che fugge da lui lasciandogli il frutto della concupiscenza. Così il macellaio gestisce il suo negozio e cresce da solo la figlia, visibilmente ritardata e incapace persino di verstirsi. La lava e cerca di fare di tutto per trattenere la propria natura animalesca, che lo spingerebbe a consumare un rapporto incestuoso. Accade un giorno che la giovane, sconvolta dal suo primo menarca, raggiunge il padre in macelleria. Lui crede che lei sia stata stuprata da un garzone, un saraceno. Così lo raggiunge e gli assesta una pugnalata in corpo. Non riesce nel suo intento omicida, ma viene gettato in carcere. Perde la macelleria e la figlia, incapace di badare a se stessa, viene ricoverata in un manicomio. Scontata la pena, l'energumeno trova lavoro come cameriere in un bar gestito da una procace bionda di mezz'età, con cui finisce con l'avere una relazione. Qui viene la parte più tremenda... 


Recensione: 
Fin dal primo istante ci si trova immersi nell'angoscia e nell'incubo. Quella mostrata da Carne è una realtà degradata, un vero e proprio deserto ontologico. Non sembra nemmeno che sulla sua desolazione splenda lo stesso sole che l'abitudine ci spinge a considerare una preziosa fonte di luce. Persino i colori non sono normali, sembra che tutto viri verso un rosso fosco, quasi bruno, di certo allo scopo di imitare l'aspetto della carne equina sanguinolenta. La colonna sonora è inquietante, induce frenesia. Ho come una certezza in me, emersa dapprima in modo subliminale e poi sempre più esplicito, che in realtà l'intera vicenda non si svolga sul nostro stesso pianeta, bensì in qualche profondissimo recesso delle Tenebre Esteriori.

Alcune note etimologiche

Nel francese gergale, il vocabolo carne "carne equina" è chiaramente un prestito dall'italiano. Si tratta di un doppione di chair "carne", che invece si è evoluta come naturale esito dal latino carnem, forma accusativa di caro "carne". Nei sottotitoli in italiano questa opposizione si perde, dato che sia chair che carne vengono resi nella lingua di Dante con un'unica parola: carne

Una grande verità 

A un certo punto, in uno dei momenti più drammatici della pellicola, il brutale macellaio si protende verso la prosperosa donna bionda che ha davanti a sé. Si slaccia la patta. Prima che che la penetri, stantuffando dentro il suo canale procreativo e riempiendola di sperma, compare lo sfondo nero con una scritta che inchioda lo spettatore:  

LA PLUPART DES EMRYONS SONT CONÇUS PAR ACCIDENT.

La maggior parte  degli embrioni sono concepiti accidentalmente.

Un monito che andrebbe scolpito nel marmo e affisso ad ogni angolo di strada! Eppure l'uomo continua. Verso la fine della pellicola lo vediamo possedere more ferarum l'amante che ormai odia e disprezza - e lo fa con una certa violenza, sempre iniettandole il genetico nella matrice fertile. E pensare che la donna bionda avrebbe potuto soddisfare l'uomo usando la bocca, senza correre il pericolo di rimanere fecondata, senza immettere nel mondo un nuovo dannato! Evidentemente l'energumeno non apprezza neppure la sensuali voluttà della fellatio: in lui tutto è genoma fremente, teso come un argano di balestra da campo. Nessuna consapevolezza, nemmeno l'ombra di un pensiero. Soltanto il buio bestiale di un golem. Non è neppure la bramosia del piacere a muovere quel corpo immane, ma il comando del DNA e in ultima analisi la forza da cui ha origine: IL TERRORE DELLA MORTE! 

giovedì 25 luglio 2019


THE CHIMP

Anno: 1932
Regia:
James Parrott 
Produzione: Hal Roach 
Sceneggiatura: Harley M. Walker
Distribuzione: Metro-Goldwin-Mayer
Dialoghi: Harley M. Walker
Fonico: Elmer Raguse
Durata: 25 min 13 sec
Genere: Comico
Interpreti e personaggi:  
  Stan Laurel e Oliver Hardy, nei panni di sé stessi;
  Charles Gemora (la gorilla Ethel);
  Tiny Sandford (Destructo, il forzuto del circo);
  Jimmy Finlayson (presentatore dei numeri circensi);
  Billy Gilbert (proprietario della pensione);
  Dorothy Granger (Ethel, moglie del proprietario);
  Bobby Burns (pensionante).
Titolo in italiano: Il circo è fallito 

Comicità anarchica 

I copioni dei cortometraggi prodotti da Hal Roach, aventi per protagonisti Laurel e Hardy, subivano aggiustamenti e modifiche durante le riprese. Una cosa tutto sommato naturale e niente affatto rara nel mondo del cinema. Secondo quanto si legge in Laurel and Hardy: The Magic Behind the Movies, di Randy Skretvedt (Bonaventure Press, 2019), ciò accadeva spesso allorché si trattava di testi scritti da Harley M. Walker, accreditato come autore dei dialoghi di “The Chimp”.
L’espressione che meglio si presta a descrivere questo cortometraggio è “comicità anarchica”.
Non vi è traccia alcuna della melassa profusa a piene mani da Charlie Chaplin in “The Circus” (1928): a regnare è il gusto per la sovversione dei ruoli e delle regole, in barba a tutti i canoni.
Per questo “The Chimp”, a quasi novant’anni dalla sua realizzazione, conserva una sorprendente freschezza, cosa che non si può certo dire di opere coeve o posteriori.
Nel cast si segnalano alcuni straordinari caratteristi presenti in altri cortometraggi di Hal Roach. Mi riferisco anzitutto a James Finlayson, l’attore calvo coi baffoni ben noto ai fan di Laurel e Hardy.
Nel ruolo del proprietario della pensione troviamo il bravissimo Billy Gilbert, che molti di voi ricorderanno nei panni del medico ospedaliero in “County Hospital” (1932). Merita una menzione anche Stanley J. "Tiny" Sandford nella parte del forzuto del circo (nel 1933 lo ritroveremo sul set di “Busy Bodies”).
Straordinaria l’interpretazione della gorilla Ethel da parte di Carlos Cruz “Charles” Gemora. Era, questi, un immigrato filippino di piccola statura dalle spiccate doti artistiche. Trovò lavoro come scultore e truccatore a Hollywood e, in seguito, come attore, sempre indossando un costume da gorilla.
In questo ruolo ebbe modo di recitare accanto a Lon Chaney in “The Unholy Tree”, di Jack Conway (1930); Bela Lugosi in “Murders of the Rue Norgue”, di Robert Florey (1932); i Fratelli Marx in “At the Circus”, di Edward Buzzell (1939); Robert Mitchum in “White Witch Doctor”, di Henry Hathaway (1953). 

Pietro Ferrari


Trama: 
Stan e Oliver lavorano presso un circo equestre come inservienti. A causa della loro proverbiale inettitudine provocano il crollo del tendone, facendo fallire il circo. L’impresario, a corto di quattrini, annuncia ai dipendenti che non potendo pagarli in denaro suddividerà fra loro i beni del circo. A ciascuno verrà assegnato ciò che saprà disegnare su un foglio. Oliver si ritrova così proprietario di Ethel, una simpatica e intelligentissima femmina di gorilla; Stan del “circo delle pulci”, una scatoletta piena di insetti molesti. Mentre Oliver tenta di fabbricare con delle assi una gabbia per Ethel, si materializza un leone che prende a inseguire il bizzarro terzetto. Dopo una lunga corsa per le vie della città, i fuggitivi giungono nei pressi di una pensione il cui proprietario, proprio in quel mentre, è in preda a una crisi di gelosia furiosa poiché la moglie, che di nome fa Ethel proprio come la gorilla, è andata chissà dove e tarda a tornare. Mentre Oliver si accinge a firmare il registro degli ospiti, piombano nella hall Stan e Ethel, terrorizzati dal riapparire del leone. Il proprietario dà in escandescenze e intima loro di uscire. A questo punto non resta ai due che ingegnarsi. Oliver entra in una rimessa, si spoglia e fa vestire Ethel con i propri pantaloni, la giacca e il cappello. Lui, a sua volta, indossa la gonna di tulle di Ethel (che è una provetta ballerina). A vestizione conclusa, Stan e la scimmia riescono a farsi ammettere alla pensione. Mentre Oliver attende un segnale dell’amico, vede ricomparire il leone. Urlando per il terrore riesce, non si sa bene come, a chiudere il felino nella rimessa. Stan si affaccia alla finestra e Oliver gli fa segno di lanciargli i propri abiti: l’imbranatissimo Stan lancia i pantaloni dritti su un filo steso poco più sotto. Nel tentativo di recuperarli, Stan e Ethel cadono entrambi addosso al povero Oliver. Dopo aver abbandonato Ethel nei pressi di un cassonetto, i due amici tornano alla pensione. Arrampicandosi per la grondaia, Ethel raggiunge la finestra della loro stanza e vi si introduce, andandosi poi stendere nello stesso letto dove dorme Oliver, cui schiocca un bacio sul collo. Questi lancia un urlo e scaccia la scimmia, dicendole di andare a coricarsi nello sgabuzzino. Ethel obbedisce, ma non senza aver sottratto a Oliver la coperta. A questi non rimane che coricarsi accanto a Stan. Dopo pochi istanti i due cominciano a grattarsi: Stan ha lasciato inavvertitamente aperta la scatola del “circo delle pulci”! Nel frattempo, in una stanza vicina, un anziano pensionante mette in funzione un grammofono. Nell’udire il motivo musicale, Ethel si mette a ballare trascinando con sé Stan nella danza. Oliver esorta ripetutamente Ethel a tornare a letto. Il proprietario della pensione, che ancora rimugina sopra il ritratto della moglie fedifraga, nell’udire le parole di Oliver crede che siano rivolte alla “sua” Ethel e, impugnata una pistola, si precipita verso la stanza dei due amici, intimando loro di aprire la porta. I due fanno appena in tempo a nascondere Ethel nel letto della stanza accanto, quand’ecco che il proprietario fa saltare la serratura con una pistolettata e irrompe nella stanza gridando “Dov’è lei?”. “Lei chi?” replica basito Oliver. “La mia Ethel!” Stan indica senza esitazioni la stanza accanto. Il proprietario, scorgendo una figura nascosta sotto le coperte, attacca una vera e propria filippica – il cui effetto comico è moltiplicato dalle espressioni stupefatte di Stan e Oliver. “Pensa a quello che mi hai fatto, tu, che porti il mio nome, tu, la madre dei miei figli! Tu che io amo più della vita stessa!” In quel preciso istante la moglie del proprietario, rientrata a casa con l’aria trionfante della moglie infedele reduce da un appuntamento con l’amante, fa il suo ingresso nella stanza attirata dal vociare del marito. Questi nel vederla esclama: “Ethel!”. La gorilla, sentendo pronunciare il proprio nome, esce da sotto le coperte. La Ethel depilata scappa in preda al terrore e il marito, per lo spavento, lascia cadere a terra la pistola gridando a Stan e Oliver di portar via la scimmia. Ethel, stanca di tutto quel baccano, afferra la pistola e si mette sparare una gragnuola colpi sul pavimento, facendo fuggire tutti quanti.


Pietro Ferrari 


Alcune considerazioni

Ricordo di aver visto questo filmato quando ero ancora allo stadio larvale! Ne rammento anche un altro, in cui Oliver finiva immerso in una piscina piena di un elisir ringiovanente, emergendone come uno scimpanzé: una splendida satira al darwinismo! Peccato che queste comiche siano sempre state associate alla più estrema superficialità, quando in realtà contengono fulgidi tesori.  

Una constatazione lapalissiana 

Il titolo originale del corto cozza in modo stridente con il fatto che Ethel, la scimmia protagonista, non è affatto uno scimpanzé (genere Pan), bensì un gorilla (genere Gorilla). La forma abbreviata chimp, derivata da chimpanzee, è documentata per la prima volta nel 1877. Il nome esteso chimpanzee è documentato in inglese già nella prima metà del XVIII secolo (1738) e deriva da una lingua Bantu del Congo o dell'Angola (cfr. Kikongo chimpenzi "scimmia") - anche se attualmente non risulta che l'ominide sia presente sul territorio dell'ex colonia portoghese. Come mai il cortometraggio mostra una simile confusione tra grosse scimmie? La risposta è abbastanza semplice: non ci si può aspettare che una persona di cultura anche media avesse, nella prima metà del XX secolo, l'acume e le conoscenze di un tassonomo. Non è poi escluso che la scelta abbia avuto una sua componente estetica: The Gorilla non sarebbe suonato bene come The Chimp.

domenica 21 luglio 2019


L'ORDINE DEL TEMPO 

Autore: Carlo Rovelli 
Anno: 2017
Genere: Saggio
Sottogenere: Divulgazione scientifica

Temi: Fisica
Editore: Adelphi Edizioni 
Collana:
Piccola Biblioteca Adelphi, 705
Edizione: 11ª ediz. 
Pagine: 207 pp.
Illustrazioni: 37
Codice ISBN: 978-88-459-3192-5
Traduzioni:
    Inglese: The Order of Time
    Francese: L'Ordre du temps
    Spagnolo: El orden del tiempo

Risvolto:

Come le Sette brevi lezioni di fisica, che ha raggiunto un pubblico immenso in ogni parte del mondo, questo libro tratta di qualcosa della fisica che parla a chiunque e lo coinvolge, semplicemente perché è un mistero di cui ciascuno ha esperienza in ogni istante: il tempo. E un mistero non solo per ogni profano, ma anche per i fisici, che hanno visto il tempo trasformarsi in modo radicale, da Newton a Einstein, alla meccanica quantistica, infine alle teorie sulla gravità a loop, di cui Rovelli stesso è uno dei principali teorici. Nelle equazioni di Newton era sempre presente, ma oggi nelle equazioni fondamentali della fisica il tempo sparisce. Passato e futuro non si oppongono più come a lungo si è pensato. E a dileguarsi per la fisica è proprio ciò che chiunque crede sia l'unico elemento sicuro: il presente. Sono tre esempi degli incontri straordinari su cui si concentra questo libro, che è uno sguardo su ciò che la fisica è stata e insieme ci introduce nell'officina dove oggi la fisica si sta facendo.  

«Pensiamo comunemente il tempo come qualcosa di semplice, fondamentale, che scorre uniforme, incurante di tutto, dal passato verso il futuro, misurato dagli orologi. Nel corso del tempo si succedono in ordine gli avvenimenti dell'universo: passati, presenti, futuri; il passato è fissato, il futuro aperto... Bene, tutto questo si è rivelato falso»

Indice: 

Forse il mistero più grande è il tempo   13

PARTE PRIMA. LO SFALDARSI DEL TEMPO   17

1. La perdita dell'unicità   19
    Il rallentare del tempo   19
    Diecimila Śiva danzanti   22

2. La perdita della direzione   26
    Da dove viene l'eterna corrente?   26 
    Calore   28
    Sfocare   32

3. La fine del presente   39
    Anche la velocità rallenta nel tempo   39
    Adesso non significa nulla   41
   La struttura temporale senza il presente   45

4. La perdita dell'indipendenza   55
    Cosa succede quando non succede niente?   55
    Cosa c'è dove non c'è niente?   64
    La danza di tre giganti   68

5. Quanti di tempo   73
    Granularità   74
    Sovrapposizioni quantistiche di tempo   78
    Relazioni   79

PARTE SECONDA: IL MONDO SENZA TEMPO   83

6. Il mondo è fatto di eventi, non di cose   85

7. L'inadeguatezza della grammatica   93

8. Dinamica come relazioni   102
    Eventi quantistici elementari e reti di spin   107

PARTE TERZA: LE SORGENTI DEL TEMPO   113

9. Il tempo è ignoranza   115
    Tempo termico   117
    Tempo quantistico   120

10. Prospettiva   125
     Siamo noi a girare!   125
     Indicalità   131

11. Cosa emerge da una peculiarità   137
     È l'entropia, non l'energia, a trascinare il mondo   137
     Tracce e cause   143

12. Il profumo della madeleine   147

13. Le sorgenti del tempo   163

La sorella del sonno   173

Note   179

Indice analitico 201

L'autore

Fisico teorico, membro dell'Institut universitaire de France e dell'Académie internationale de philosophie des sciences, Carlo Rovelli è responsabile dell'Équipe de gravité quantistique del Centre de Physique théorique dell'Università di Aix-Marseille. Ha pubblicato, fra l'altro, Che cos'è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro (2011), La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose (2014) e, presso Adelphi, Sette brevi lezioni di fisica (2014), che è stato tradotto in 40 lingue. 

Recensione: 

Un mio collega, il buon G., mi parlò anni fa delle idee sulla natura del tempo sostenute da Rovelli. Ne descrisse l'impalcatura metafisica come una forma di eternismo non tensionale o B-eternismo. Secondo Rovelli, così mi disse G., il tempo non esiste, il succedersi degli attimi non è reale. Quindi presente, passato e futuro sono tutti definiti allo stesso identico modo, non esiste tra loro alcuna vera differenza ontologica - dato che il senso di scorrimento da noi sperimentato è illusorio. In altre parole, ciò che noi chiamiamo "presente", "passato" e "futuro" sono soltanto diverse configurazioni che coesistono nel medesimo spazio. A questa concezione si oppone il presentismo, che reputa reale soltanto il presente (il passato non esiste più, il futuro non esiste ancora). Provando una forte idiosincrasia verso le ontologie temporali eterniste - e in particolare verso il B-eternismo - devo confessare agli eventuali lettori che mi sono avvicinato all'opera di Rovelli non soltanto per puro caso, ma anche con un certo pregiudizio. Mi sono imbattuto nel volumetto dalla copertina di un piacevole color mattone in una libreria valdostana che sono solito frequentare d'estate, tra una giornata di camminate e l'altra. L'ho subito comprato e con mia grande sorpresa ne ho trovato la lettura entusiasmante. La sintesi rovelliana ha allargato senza dubbio i miei orizzonti, facendomi comprendere molte cose di capitale importanza sulla natura del tempo. Una cosa mi ha presto stupito: quanto affermava G. non era nemmeno vero, nasceva soltanto da un comune fraintendimento. Se Carlo Rovelli non è un presentista, non è neppure un eternista; in particolare non è affatto un B-eternista, sarebbe riduttivo e inesatto ritenerlo tale. Il problema è che ad occuparsi della natura del tempo sono soprattutto i filosofi, che non sono al contempo anche fisici. In pratica il microcosmo accademico dei fisici e quello dei filosofi neppure si parlano. Raccomando quindi la lettura dell'opera di Rovelli a chiunque sia interessato ad indagare il Mistero del Tempo, che è indissolubilmente legato al problema della nostra stessa esistenza - il cui significato ultimo permane sconosciuto. Il linguaggio è piacevole e mai ostico, la trattazione è spesso arricchita da pregevoli versi poetici di svariati autori. Ci sono anche schemini con immagini dei Puffi!!  

Il Tempo di Newton e la sua fine 

Ecco l'equivoco fondante, di natura squisitamente linguistica: quando si afferma che "il tempo non esiste", sia allude al Tempo di Newton - non al fatto innegabile che gli eventi si presentano in una successione ordinata. La locuzione Tempo di Newton si applica all'idea di tempo concepito come una dimensione assoluta, come il contenitore che contiene tutto ciò che esiste - potendo anche non contenere nulla, essendo la sua definizione indipendente dalla presenza o meno di enti nello spazio. Questo tempo-contenitore, immaginato come a priori rispetto all'esistenza, è considerato identico in tutto l'universo fisico, cosicché è possibile dire che in un dato istante misurato da un orologio, gli eventi che ricorrono sulla Terra sono simultanei a quelli che ricorrono su un pianeta di Alpha Centauri - e allo stesso identico modo sono sumultanei a quelli che ricorrono sul quasar più remoto, ben oltre qualsiasi capacità umana di osservazione. Questa idea sostenuta dal buonsenso comune, che in un certo qual senso ha fatto grande l'Occidente permettendone il progresso tecnologico, è crollata come un castello di carte. Non ha potuto reggere al lavorio del metodo scientifico. Albert Einstein ha dimostrato la natura illusoria del Tempo di Newton, riducendolo al rango di una costruzione mentale legata alla nostra percezione fallace dell'essenza delle cose. Il tempo non è indipendente dallo spazio. Il tempo è una dimensione di uno spazio quadridimensionale, lo spazio di Minkowski. Materia ed energia sono due facce della stessa moneta, legate tra loro dalla celeberrima equazione E = mc2. La massa influenza lo scorrere del tempo misurato dagli orologi. Più si procede velocemente, più il tempo misurato dagli orologi rallenta. Non esistono dimensioni assolute, scorrelate l'una dall'altra. L'Occidente non si è mai più ripreso da una simile crisi ontologica. Ancora oggi c'è chi stigmatizza Einstein e la sua opera, paragonando la Relatività generale al sesso infantile di Sigmund Freud e alla lotta di classe di Karl Marx. Costoro accusano lo scienziato di Ulm di aver fatto precipitare il genere umano nell'irrazionalità e nel Caos. Eppure è vano il loro sfuriare. Quando nel Cielo si è prodotta una crepa, la frattura non sarà mai ricomposta. Quando una torre crolla, le pietre che la compongono non torneranno mai più al loro posto.

Tempo e termodinamica

Eppure, nonostante la morte del Tempo di Newton la domanda continua a risuonare angosciante. "Da dove viene l'eterna corrente?", si chiede l'autore, citando alcuni versi di Rilke. Come spiegare la nostra esperienza presentacea? Come spiegare il nesso tra causa ed effetto, come spiegare quella realtà che possiamo chiamare Freccia del Tempo? La risposta, pur essendo concettualmente semplice, non è affatto banale. La radice di tutto è nel calore. Il meccanico classico maneggia soltanto equazioni che sono invarianti rispetto al tempo, non comparendo in esse alcuna differenza tra il presente e il passato: così un moto uniformemente accelerato diventa un moto uniformemente decelerato invertendo il presente e il passato, come se misurassimo il tempo con un orologio le cui lancette procedono in senso antiorario. Entrambi i movimenti sono fisicamente possibili, allo stesso identico modo. Quando però si parla di calore, le cose cambiano. Il calore passa spontaneamente dal corpo più caldo a quello più freddo. Invertendo il presente e il passato, misurando il tempo con un orologio le cui lancette si muovono in senso antiorario, si descrive qualcosa di antifisico. Come Rovelli fa notare, dovunque nell'universo compare il tempo come variabile non invertibile, vi appare per incanto anche il calore. Il secondo principio della termodinamica parla chiaro: 

  «È impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia quello di trasferire calore da un corpo più freddo a uno più caldo senza l'apporto di lavoro esterno.» (formulazione di Clausius).
  «È impossibile realizzare una trasformazione ciclica il cui unico risultato sia la trasformazione in lavoro di tutto il calore assorbito da una sorgente omogenea.» (formulazione di Kelvin-Planck).
 «È impossibile realizzare una macchina termica il cui rendimento sia pari al 100%.» 


In questa irreversibilità risiede la radice stessa della Freccia del Tempo, lo scoglio su cui si infrangono i sogni dei B-eternisti, quell'ingombrante presenza che permette di ordinare gli eventi che occorrono nell'universo fisico, di distinguere il prima e il poi, il passato, il presente e il futuro di ogni osservatore. La sua origine è termodinamica!

Mi si perdonerà, immagino, se non userò un linguaggio rigoroso - ma reputo che sia troppo importante esprimere la penetrante intuizione che mi è derivata dalla lettura del trattato di Rovelli. Si tratta di cose che ho dedotto, non mi limito a riportare in modo pedissequo quanto ho letto. Si tratta di un'elaborazione critica simile a un processo di ruminazione, o forse piuttosto di fermentazione, da cui infine è scaturito un diamante splendente come il sole.   

Si può esemplificare così il funzionamento della Freccia termodinamica del Tempo:  

1) Il futuro è in tutto e per tutto coincidente con l'entropia. Quando diciamo di ignorare il futuro, non proferiamo una banalità, ne definiamo la vera e più intima essenza. Le variabili che definiscono questo immenso reame sono sfocate, non le possiamo conoscere in alcun modo - non per mancanza di adeguati strumenti d'indagine, bensì per impossibilità definitoria.

2) Il presente somiglia in modo sorprendente a una misura quantistica, ossia al collasso della funzione d'onda di Schrödinger. Per questo lo sperimentiamo come qualcosa di netto, puntiforme, che ci sembra privo di estensione e di sostanza, pur essendo tutto ciò che definisce il nostro essere.  

3) Il passato  somiglia in modo sorprendente a un processo di filtraggio quantistico. Tutto ciò che nasce dal collasso della funzione d'onda, procede verso l'annientamento fino a diventare irriconoscibile. Alla fine raggiunge il suo estremo orizzonte, che è come un buco nero, un inghiottitore cosmico che tutto stritola e rende inconoscibile.

In buona sostanza, l'esistenza nel suo farsi è qualcosa che viene dall'Ignoranza e finisce nel Nulla.

Davvero splendida la parte in cui Rovelli esplora le fondamenta stesse della realtà, l'Universo senza Tempo. Lo descrive con alata fantasia come un tessuto cavernoso. Proprio come quello che compone il membro virile e che ne permette l'erezione. Questa è proprio la mia impressione. Le strutture subatomiche da cui emerge la Freccia termodinamica del Tempo sono paragonabili nella loro essenza a parti infinitesimali di uno spermodepositore gigantesco, immane!   

Eternismo e presentismo:
non esiste un vero conflitto

Il dibattito tra presentisti ed eternisti, che infuria tra i filosofi avvelendando gli animi, è ora della fine insostanziale. Questo perché non esiste e non può esistere un osservatore assoluto. L'ontologia temporale, questa è la conclusione a cui sono giunto dopo anni di meditazioni incessanti, dipende proprio dall'osservatore - anzi, lo definisce. Noi siamo figli della Freccia termodinamica del Tempo, che definisce la nostra esistenza. Non possiamo e non potremo mai osservare questo universo fisico stando all'esterno della Freccia del Tempo. Quindi per noi vale il presentismo. Il nostro essere è presentista. Per noi passato, presente e futuro hanno nature drammaticamente dissimili. Non sono equivalenti. Non hanno la stessa ontologia. Per noi, figli della Freccia termodinamica del Tempo, davvero esiste soltanto il presente. Per un'entità che stia al di fuori di questo spazio-tempo di Minkowski e che lo osservi, potrà benissimo valere invece una forma di eternismo, forse addirittura di B-eternismo: vedrà tutti gli esseri viventi, tutti i dettagli delle loro misere esistenze e dell'evoluzione del Cosmo come bizzarre geometrie spaziali. Per questo essere il nostro presente, il nostro passato e il nostro futuro non sono altro che pareti, cunicoli o pavimenti in un dedalo tortuoso multidimensionale! 

giovedì 18 luglio 2019


CONTRO I BEI TEMPI ANDATI 

Titolo originale: C'était mieux avant!
Anno: 2018
Autore: Michel Serres
Lingua originale: Francese
Genere: Saggio
Editore: Bollati Boringhieri
Collana: Temi
Traduzione: Chiara Tartarini
Codice ISBN: 8833929922
Codice EAN: 978-8833929927
Formato: Paperback
Pagine: 74 pp. 

Sinossi (da www.bollatiboringhieri.it): 
A ottantasette anni compiuti, ovunque celebrato tra i più acuti epistemologi dei nostri giorni, Michel Serres rivendica per sé un unico privilegio: sconfessare motivatamente chiunque deprechi il presente in nome di un passato migliore. Catastrofisti e declinisti di ogni risma sono avvertiti. Non sarà consentito loro alcun vagheggiamento del buon tempo andato. Ogni nostalgia del «prima» dovrà mostrare il proprio volto ipocrita di difesa di prerogative acquisite e chiusura preconcetta al nuovo. Così Vecchio Brontolone, eroe negativo di questo pamphlet, è incalzato senza tregua dal suo coetaneo Serres, che gli fa sgranare le litanie edulcoranti dell’«eh, una volta sì che...», per il gusto di rivoltarle una a una. Figlio della profonda provincia francese, Serres li ha vissuti, quei tempi decantati, ma a differenza della gran parte dei professori suoi colleghi ha conosciuto la guerra mondiale e coloniale, la malnutrizione, la durezza del lavoro che sfiancava il corpo, la difficoltà degli spostamenti, l’esistenza stentata in ambienti malsani, dove alle donne erano riservati perlopiù sudore, sottomissione e ignoranza.
Le conquiste di civiltà tanto macroscopiche quanto sottovalutate dai passatisti – il balzo della speranza di vita, la sensibilità ecologica, la parità di genere, i progressi giganti dell’igiene e della medicina – sono perfettibili, certo. Ma perché dimenticare gli oltre settant’anni di pace, condizione eccezionale nella storia d’Europa? Serres e la sua giovanissima eroina positiva, Pollicina, che con il cellulare tiene in mano il mondo intero, parteggiano per una vita dolce e lieve, solo adesso possibile. Se è ottimismo, non presenta però tratti di ingenuità. È combattente, argomentato, trascinante come il brio occitano di una prosa che non ha eguali.


Indice:

  Caudillo, duce, Führer, grande timoniere..., 10
  Guerra e pace, 11
  Ideologie, 14
  Contratto naturale, 17
  Stato eccitato della società, 18
  Malattie, 21
  Vita e morte, 23
  Intensive e palliative, 24
  Pulizia, igiene, 25
  Donne, 28
  Maschi al lavoro, 29
  La pattumiera degli attrezzi, 32
  Lavandaie e mestole, 35
  Gru, 36
  Re dello scacciamosche, 40
  La schiena contadina, 42
  Convitti, 43
  I viaggi ordinari, 45
  Comunicazioni, 47
  Concentrazione e distribuzione, 49
  Provenienza alimentare, 51

  Lingue e accenti, 54
  Abiti e giacigli, 56
  Sessualità, 57
  La fata elettricità, 59

  Bruttura e bellezza, 60
  Parlavamo tra di noi, aspettando, 62
  I media, 63
  Da capo: ritorno al politico, 65
  Grandezza delle specie, 67
  Piccolezza, 69
  L'onda che l'arrecò impaurita si ritrae, 72
  L'invio, 73

Recensione:  
Sembrava promettente. L'ho adocchiato in una libreria in Valle d'Aosta, poi mi sono finalmente deciso a comprarlo. Ebbene, ne sono rimasto deluso. Avrei fatto meglio a spendere quei soldi in alcolici. Un libro tedioso, di una noia assoluta e mortale dalla prima parola all'ultima. In aggiunta a ciò, le argomentazioni dell'autore non trasformano certo Martino il Manicheo nel dottor Pangloss. Premetto una cosa: sono perfettamente consapevole del fatto che non bisogna provare nostalgia di epoche mai vissute. Questo però non significa che il presente sia il Paese della Cuccagna, una terra incantata in cui non esiste alcun male. Quella che contesto è l'impostazione pinkeriana dell'opera. Serres è in larga misura debitore a Steven Pinker, il moderno Maiale Clarinetto che decanta senza sosta le magnifiche sorti e progressive. Come a dire: in passato c'era il vaiolo, c'era il colera e non si riusciva a tenere la merda lontana dal piatto, quindi adesso dobbiamo metterci a ballare l'hula hoop perché abbiamo la nutella. Certo, Serres dimostra un'innata sobrietà che gli fa onore. Non arriva agli eccessi di Pinker, l'allegro ashkenazita che è arrivato a ritenere gli Yanomami dell'Amazzonia il popolo più violento della Terra, citando soltanto le percentuali di morti violente e omettendo l'esigua consistenza numerica delle tribù. Capiamo anche perché Bolsonaro ha appeso nel suo studio il ritratto di Pinker e non quello del pensatore francese.  

Ogni generazione vedrà sempre il proprio presente come un tempo malvagio e si struggerà costantemente di nostalgia per i tempi andati, perché questo è insito nel genoma di Homo sapiens. Si tratta di quella stessa istruzione genetica che rende ogni individuo della nostra specie insoddisfatto della propria condizione e lo spinge a cercarsi problemi a non finire, inventandosene anche dove non ce ne sono. La facoltà motrice potremmo ben chiamarla "paranoia". Siamo una specie paranoica - oltre che semi-intelligente. Ogni sguardo che un essere umano dà alla realtà delle cose è distorto. E lo sarà fino alla Fine dei Tempi, piaccia o no a Serres, a Pinker e ai seguaci del panglossismo militante. Ha quindi pochissimo senso puffare il presente e dimostrare che è meglio del gargamellesco passato.

La mia tesi è tutto sommato abbastanza semplice, seppur poco intuitiva. Il passato e il presente sono essenzialmente incomparabili. Non è possibile nemmeno descriverli usando lo stesso linguaggio. Differiscono in modo radicale per categorie ontologiche. Di fatto il passato e il presente sono universi in toto dissimili, come se non fossero neppure riducibili alle stesse leggi fisiche.

Anni fa ho sentito un vecchiaccio lamentarsi del pane, a sua detta cotto male. Eppure era pane di frumento, che nei "bei tempi andati" era privilegio del Re e dei suoi nobili, al massimo dei borghesi più floridi. Il vecchiaccio aveva vissuto i tempi della Guerra e sperimentato sulla propria pelle le lunghe code per ricevere la propria razione di pane nero della tessera annonaria (80-85% di abburattatura). Un pane duro che faceva schifo, oggi non lo mangerebbe nemmeno un clochard. Nonostante ciò, passato tanto tempo, le lamentele andavano al pane di frumento. Vedete che distorsione percettiva?
Se il vecchiaccio in questione - ormai tumulato - avesse letto il libro di Serres, non avrebbe cambiato idea: avrebbe continuato a lamentarsi dell'abbondanza del presente per agognare la carestia del passato.


Anni fa ho ascoltato le lamentele di un anziano muratore (in milanese müradur o müraduu, ossia colui che dirige i lavori): quando era un giovane manovale (in milanese magütt, ossia colui che lavora con cazzuola e malta), tutto sarebbe stato meglio. "Ci si aiutava di più", continuava a borbottare. E poi: "Tutto era più buono. Quando tornavo dal lavoro, a notte fonda, mia moglie mi faceva trovare la tavola imbantita imbandita di ravioli". Tutto era più buono perché da giovane le papille gustative gli funzionano bene, perché quando si invecchia si perde anche la metà della capacità di percepire i sapori. Le tavole imbandite di ravioli erano una pia fantasia, anzi, una menzogna palese. In tempi di carestia, voglio proprio vedere come un magütt potesse ingozzarsi di alimenti sopraffini. Vedete come si possono distorcere anche i ricordi?  
Se il muratore in questione avesse letto il libro di Serres, non avrebbe cambiato idea: avrebbe continuato a lamentarsi dell'abbondanza del presente per agognare la carestia del passato.

Per capire fino in fondo i tempi andati, è necessario sapere qualcosa di come ci si puliva lo sfintere anale dopo aver defecato. Suppongo che fosse al di là di ogni immaginazione per un marito leccare alla moglie o a un'amante quel buchino che oggi ci appare tanto adorabile e sensuale. Troppo forte era l'associazione alle latrine, alle esalazioni escrementizie e al penetrante odore che le accompagnava, quello dell'acido fenico! Non dimentichiamo che persino tra coniugi l'intimità era handicappata da mille tabù e proibizioni. Esistevano infiniti disgusti, che rendevano impraticabili anche contatti oggi molto diffusi e naturali, come ad esempio la fellatio. Anche perché lo smegma era un dato di fatto, una costante del moto. Sì, i genitali erano spesso cosparsi di una pasta bianchiccia dall'odore schifoso di formaggio, che si addensava fino a formare pupazzetti! A chi sarebbe venuta voglia di leccare simili brutture? Ora mi pongo una domanda. Perché Serres non scende così nel dettaglio? Perché non riesce a infrangere la barriera della vergogna. Si limita a parlare dei fortissimi tabù un tempo imperanti, che si traducevano in bislacchi eufemismi: il reggiseno era il "reggigola" (francese soutien-gorge), i piedi erano le "estremità" e via discorrendo. Trovo interessante un aneddoto del filosofo occitano. Un'eroina della Resistenza, vistosamente gravida, chiedeva al medico da dove le sarebbe uscito il bambino, stupendosi nel sentirsi rispondere che la via di uscita era la stessa via dell'uccello seminatore. Che dire poi di quella coppia che dopo un'accurato interrogatorio da parte del medico curante ammise di aver consumato per anni rapporti sessuali usando l'ombelico anziché la vagina? Adesso mi si deve spiegare quale reale comunicazione a livello verbale o anche solo di pensiero potrebbe mai sussistere tra una persona della prima metà del XX secolo e una persona dell'epoca di Pornhub. Certo, oggi possiamo nominare e leccare tutto, anche se il politically correct non ci fa respirare. 

Interessante la descrizione su alcune norme igieniche. Nelle campagne le camicie e la biancheria si lavavano due volte in un anno, diventando prima gialle virando infine verso il fecale (Serres, pudibondo, parla di color "isabella" - opposto a "cande", aggettivo attribuito dei panni appena lavati). I bambini, che non avevano ancora sviluppato il senso del disgusto, si mettevano in bocca le dita sporche di merda ogni volta che i puritani genitori distoglievano lo sguardo: così facendo contraevano la poliomielite e rimanevano storpi (eh sì, all'epoca si usava questa parola senza provare alcun senso di colpa). Tale malattia invalidante, per chi non lo sapesse, è provocata da un virus a trasmissione oro-fecale. Ho fatto in tempo a vedere, durante i miei anni giovanili, non pochi ragazzi con le conseguenze tremende di una poliomielite subita nell'infanzia, ridotti a camminare con le stampelle o peggio ancora a trascinarsi su una carrozzina. Adesso non se ne vedono più, il virus è stato combattuto e sconfitto - non senza fatica. Meglio non proseguire, prima che i cospirazionisti più stravaganti traggano spunto da quanto scritto in questa sede: potrebbero cominciare a dire che la poliomielite è scomparsa perché non si ciucciano più le dita cosparse di escrementi! Finisco anche la recensione, che rischia di diventare più lunga dell'opera originale!