martedì 10 settembre 2019


PROVIDENCE 

Titolo originale: Providence
Anno: 1977
Paese: Francia, Svizzera
Lingua: Inglese
Durata: 110 min
Tipologia: Metafilm
Genere: Drammatico, commedia, grottesco
Regia: Alain Resnais
Assistenti alla regia: Florence Malraux, Guy Pinon,
     John Lvoff
Soggetto / dialoghi: David Mercer
Produttori: Klaus Hellwig, Yves Gasser, Yves Peyrot
Produttore esecutivo: Philippe Dussart
Produttori associati: Lise Fayolle, Juergen Hellwig
Società di produzione: Action Films, Citel Films, SFP, FR3
Distribuzione: C.C.F.C. 
Musiche: Miklós Rózsa 
Fotografia:
Ricardo Aronovich
Scenografia: Charles Merangel, Jacques Saulnier
Montaggio: Jean-Pierre Besnard, Albert Jurgenson
Costumi: Catherine Leterrier (design),
    John Bates (guardaroba)
Trucco: Régine Havan, Victor Merinow, Michel Trigon,
    Marie-Hélène Yasschenkoff
Suono: René Magnol, Jacques Maumont
Direzione artistica: Michel Breton, Jean-Claude Cabouret,
    Daniel Pierre, Claude Serre
Interpreti e personaggi: 
    Dirk Bogarde: Claude Langham (avvocato cinico)
    Ellen Burstyn: Sonia Langham (moglie adultera)
    John Gielgud: Clive Langham (vecchio lamentoso)
    David Warner: Kevin Woodford / Kevin Langham
        (amante ingenuo / astrofisico)
    Elaine Stritch: Helen Wiener (cougar bionda)
    Danis Lawson: Dave Woodford (calciatore rubentino)
    Samson Fainsilber: Il vecchio pagano
    Cyril Luckham: Dottor Mark Eddington
    Anna Wing: Karen
    Kathryn Leigh Scott: Miss Boon (milf bruna sexy)
    Joseph Pittoors: Un vecchio
    Milo Sperber: Mr. Jenner
    Piter Arne: Nils
    Tanya Lopert: Miss Lister (milf rossiccia)
Riconoscimenti:
    1977 - Seminci
        Espiga de oro a Alain Resnais
    1978 - Premio César
        Miglior film a Alain Resnais
        Migliore regia a Alain Resnais
        Migliore sceneggiatura originale a David Mercer
        Migliore scenografia a Jacques Saulnier
        Miglior montaggio a Albert Jurgenson
        Miglior sonoro a René Magnol e Jacques Maumont
        Miglior colonna sonora a Miklós Rózsa
        Nomination Migliore fotografia a Ricardo Aronovich
    1977 - New York Film Critics Circle Award
        Miglior attore protagonista a John Gielgud


Trama: 
Un vecchio scrittore dilaniato dai dolori del cancro si ingozza di paté e di tartufi, ingurgitando ettolitri di vino bianco per favorire la discesa della massa di cibi verso la loro destinazione infera. Bagordi che di certo gli fanno onore e che non esiterei a ritenere un modello da imitare, se non fosse che ad ogni sorso il vegliardo se ne esce con insopportabili lamentele. Il film procede tra una colica e l'altra. Un po' come la mia esistenza. Un monologo querulo e incoerente, quasi un flusso di coscienza, che si fa immensa fatica a separare dalle caotiche sequenze della storia plasmata da quel singolare demiurgo. Assistiamo così al processo al giovane biondiccio Kevin Woodford, un soldato che ha avuto una disavventura durante un pattugliamento in un bosco. Nei pressi di un monumento megalitico si è imbattuto in un vecchio pagano con sembianze licantropesche, dalle unghie adunche e dal naso coperto di pelame stopposo. Il pagano, che era ferito in modo grave e implorava una rapida morte, viene preso in simpatia da Kevin e abbattuto all'istante con una fucilata. È per questo che l'uccisore, convinto assertore dell'eutanasia, subisce un processo civile. Cosa un po' singolare: non dovrebbe essere giudicato da un tribunale militare? L'accusatore del giovane soldato è un avvocato odioso e di un cinismo disumano, Claude Langham, che fa di tutto per ottenere una sentenza di condanna. Herr Josef Mengele potrebbe dargli lezioni di etica. Nonostante questi sforzi l'accusato viene assolto, con grande gioia di Sonia, la libidinosa e adultera moglie dell'arrogante leguleio. Presto si arriva a capire meglio la situazione: il cornuto Claude è proprio il figlio dello scrittore vegliardo e corroso dalle metastasi! A rendere più insopportabile l'umiliazione del becco è il fatto che la splendida e statuaria Sonia ha scelto come partner sessuale proprio il biondiccio Kevin! Peccato che l'ardore dell'adultera non sia ricambiato: l'oggetto del suo desiderio è freddo come un pezzo di marmo, insensibile alle lusinghe femminili. È capace di allontanarla mentre cerca di fargli un pompino. Respinge la sua bocca lasciva per parlare di astronauti e di stelle alla deriva nello spazio profondo. Al massimo glielo avrà infilato nel vaso procreativo, senza alcun entusiasmo, solo per placare la sua insistenza. Claude, folle di gelosia, cerca di uccidere il rivale e di affermare i suoi legittimi diritti di marito. Tutto procede nella confusione più totale e soltanto verso la fine della narrazione è concesso allo spettatore di trovare il bandolo della matassa e di comprendere davvero qualcosa. Si capisce allora che questo non è un semplice film: è un metafilm


Recensione: 
Devo essere onesto e franco: a me il metafilm di Resnais non è piaciuto un granché. Non ha l'aria di essere questo gran capolavoro. Certo, all'inizio sembrava interessante - in modo blando, s'intende. Era partito con una musica coinvolgente e con sequenze cupe. Presto ho cominciato a non capirci più nulla, tanto che a un certo punto sono arrivato a una disarmante conclusione: "Fa schifo". Solo alla fine, dopo aver sopportato una lunga sofferenza dello spirito nel tentativo di dare un ordine logico alle sequenze, tutto mi è stato chiaro e ho potuto credere di non aver gettato via il mio tempo. Tutte le azioni, tutte le parole dei personaggi erano soltanto laide invenzioni del vegliardo demiurgo. Invenzioni in grado di operare una distorsione totale degli stessi personaggi secondo le aspettative del narratore, a cui avrebbe giovato un flusso di morfina. Quando ho compreso tutti gli arcani, ho rivalutato un po' l'opera del regista francese. Si badi bene, soltanto un po', non molto. I personaggi sono a dir poco deprimenti e quasi sempre privi di spessore. Dire che sono posticci sarebbe ancora far loro un complimento. Alcuni sono proprio insopportabili, proprio perché sono soltanto simulacri. Prendiamo per esempio il sedicente fratello di Kevin: è un calciatore con la maglietta bianconera della Rubentus e frulla per una buona metà della pellicola, senza un minuto di sosta. La cosa, dirò, mi ha dato non poco sui nervi. Per fortuna sparisce di colpo. Una presenza senza costrutto, una scomparsa senza significato. Poi c'è la segretaria, una milf rossiccia che incensa il vecchio scrittore demiurgico, dicendo che è un uomo eccezionale, che è andata a letto con lui e gli ha concesso il proprio corpo. Si capisce lontano un miglio che è stata pagata dall'interessato per dire queste cose. Ecco alla fine svelata la verità sul biondiccio Kevin: è proprio il figlio naturale (riconosciuto) del vetusto e querulo Clive Langham, quindi è il fratellastro dell'avvocato, Claude. I due condividono la metà del corredo genetico paterno, sono germogliati dalla stessa sburra ma da diversi marchesi. Eppure, tra tante banalità, sorge qualche perla, come quando l'architetto della metanarrazione, in preda all'ennesima crisi di dolore, afferma una grande verità: "E là, nel gelido Universo, c'è il Nulla".


Incesto subliminale 

Il vegliardo demiurgo è morboso. Non può sopportare che il proprio figlio sia un avvocato di successo in buona sostanza privo di vizi, così lo snatura, lo rende turpe e odiosissimo. Non può sopportare che il figlio abbia una moglie fedele che lo ama, così la trasforma in una Messalina e le fa concupire il fratellastro del legittimo consorte. Lo scrittore si duole di non poterle attribuire un fratello carnale - altrimenti l'avrebbe fatta strisciare ai suoi piedi mendicando una fellatio. Vorrebbe essere lui a penetrare la nuora, una donna castana e statuaria. Vorrebbe farle conoscere il proprio sperma e far sì che proprio figlio sia reso becco nel peggiore dei modi, il più umiliante di tutti. Non riuscendoci, si vendica in modo guittesco. "Ti piace come mastica?", chiede Claude alla moglie, alludendo a Kevin intento a ingurgitare badilate di fagioli. "Mi interessa di più come fòrnica", risponde lei, con aria di sfida. Questa battuta è tutto quello che il vecchio genio riesce a metterle in bocca. Le perverse risorse di Clive Langham non finiscono qui. Prende Molly, la propria moglie malata di cancro e morta suicida, e la trasforma nell'amante del proprio figlio Claude. Mostruoso. Prende questa cougar bionda e ormai vizza, facendo sì che apra le gambe per il proprio figlio, consumando copule incestuose. Com'è ovvio, tutte queste cose non le si vede in modo esplicito, sono lasciate all'immaginazione, eppure formano come una cappa innaturale di tensione che perseguita lo spettatore. 


Cosa rappresenta il pagano ferito? 

Una cosa mi ha colpito: la figura distorta e sofferente del vecchio pagano. Quella creatura licantropesca che emerge dalle profondità del bosco è quanto di più enigmatico possa esserci. Negli Stati Uniti d'America mancano molte cose che a noi in Europa sono familiari. Non ci sono nobili, non ci sono castelli e non ci sono resti di una civiltà megalitica come quella che ha eretto il cerchio di Stonehenge. Se qualcuno dice di essere un nobile negli States, o è un impostore o è un esule. I castelli degli States sono tutti finti, a quanto ne so: spesso sono fatti di cartapesta e si trovano nei parchi tematici. Cosa ci fa dunque un antico monumento megalitico in pieno New England, in un bosco attorno a Providence? Non è dato sapere. Poi, verso la fine del film, prima dell'epilogo, vediamo che Kevin si trasforma nel fisico fino a somigliare al pagano. Gli crescono peli scuri sul volto e sul naso, una vera e propria barba nasale che lo rende quasi uno wookie. A questo punto si comprende che nella laida fantasia di Clive Langham, il figlio illegittimo Kevin rappresenta una sorta di senso di colpa in grado di assumere l'aspetto di un mostro. Una presenza incubica che non lo abbandona. Tanto più che anche la ferita ha una sua logica: il cinico Claude, impazzito dalla gelosia, spara al fratellastro. Ecco come è nata la ferita. Il pagano è ancora Kevin invecchiato, che si è impupato nel monumento megalitico per poi emergere in decadenza e in sfacelo, solo per finire ucciso dal se stesso più giovane. Soppressione di un proprio doppione, paradossi temporali stridenti e mulinelli nel tempo! 


Kevin, un santo manicheo 

A un certo punto si capisce che l'universo interiore del biondiccio Kevin è ricchissimo. Egli non è una creatura di questo mondo. Il suo problema è che non reagisce agli stimoli. La realtà esterna gli fa talmente orrore che ne rimane traumatizzato, così si chiude a riccio. Fa una grande fatica ad esprimersi, usa le parole con grande parsimonia. Così il suo silenzio ostinato può essere scambiato per mancanza di spessore. A un certo punto se ne esce a dire qualcosa di sconcertante: "Magari in un altro periodo della Storia me la sarei cavato bene come santo... di quelli che poi finivano sul rogo". Il riferimento ai Catari è palese e inaspettato. Non è infatti una banalità. Chi ha scritto i dialoghi (non penso che sia farina del sacco del regista) doveva conoscere la storia dei Buoni Uomini. Il finale ci mostra Kevin nelle sue vesti di scienziato asettico, nella sua perenne calma serafica, nella sua totale assenza di passioni. Ogni accenno di rivolta contre il mondo e contro la vita sembra essersi sopito. Forse è stato il tormentato Clive Langham a introdurre in lui una scintilla di anticosmismo?       


Il Borghese e la Rivoluzione

Il vegliardo demiurgo discute spesso col figlio della natura della borghesia. Afferma cose sconcertanti a questo proposito. Quando era giovane, si diverte a raccontare, era affascinato dal bolscevismo. Poi si è ritratto inorridito da questo suo esperimento stravagante: a fargli paura non era tanto la Rivoluzione, erano i rivoluzionari. Uomini concreti, non idee. Uomini che avrebbero potuto identificarlo come un nemico e annientarlo. Forse possiamo scorgere echi della sua esperienza politica nelle scene che mostrano prigionieri in uno stadio adibito a campo di concentramento, destinati alla fucilazione. Sono scene che sembrano incarnare le paure più recondite dello scrittore: i rivoluzionari passati all'azione, lui e i suoi cari etichettati come nemici del Popolo, destinati all'esecuzione. L'associazione che fa capolino nella mia mente è istantanea ma capovolge tutto: lo stadio il golpe militare avvenuto in Cile nel 1973, dove però ad essere torturati e uccisi furono proprio i comunisti. La morale potrebbe essere questa: tutto ciò che è derivato dall'idealismo di Hegel è un punto su una circonferenza, e su una circonferenza gli estremi coincidono. Riporto un dialogo che mi sembra interessante. 
     Il padre dice: 
"Il borghese è semplicemente un uomo che rifiuta di accettare le novità ideologiche ".
    Il figlio ribatte: 
"Il borghese è semplicemente un uomo che vede nelle novità ideologiche la distruzione dei suoi valori. E forse anch'io lo sono... Non so se i miei valori siano veri o falsi, ma sono le strutture morali entro cui posso vivere".     
    Il padre chiede:

"L'unico problema è, mio caro ragazzo, quali sono?"     
    Il figlio risponde:

"Onestà, scrupolosità, discernimento, comprensione, tenerezza, avversione alla violenza e all'esercizio cosciente del terrore."     
    La moglie del figlio obietta: 
"Ma non sono monopolio della borghesia!"
    Il padre esclama:
"E poi non capisco come si possano confondere le virtù private con la giustizia pubblica! Sei ingenuo o solo ipocrita?!"

Immagino di introdurmi nel dialogo con una citazione del Capitano di Monaco:
"Poiché sono un uomo immaturo e perverso, sono più attratto dai disordini e dalla guerra che dal buon ordine borghese".
Com'ebbe più volte a dire il militare tedesco, i valori borghesi gli davano i conati di vomito. Per sentire in sé e condividere la sua rabbia, basta ascoltare il melenso discorso del leguleio Claude Langham.
Mentre si svolge il dibattito sulle classi sociali, in sottofondo cinguettano gli usignoli e i pettirossi. Si sente anche il monotono canto di un cuculo. Tutti uccelli euroasiatici e africani, che non si trovano affatto nelle Americhe. 



Echi di Lovecraft 

Ovviamente il titolo del metafilm, Providence, trae origine proprio dalla cittadina del New England che diede i natali al Grande Solitario, Howard Phillips Lovecraft (1890 - 1937). L'allusione è triplice. Oltre a essere il luogo d'origine di Lovecraft, Providence è proprio il nome della dimora signorile del vegliardo demiurgo Clive Langham. Nel suo significato di "Provvidenza", indica anche il controllo che egli esercita sui membri della propria famiglia, trasformati in meri pupazzi. La natura di questo controllo è più prossima al concetto pagano di Fato che al concetto cristiano di Provvidenza divina, proprio per la sua natura ineluttabile. Qui si insinua una stridente contraddizione a livello lessicale. L'universo di Lovecraft non conosce alcuna presenza ordinatrice e morale di un essere superiore, a cui si possa attribuire l'epiteto di "Provvidenza": il genere umano è in balia degli Elementi e delle Potenze del Caos, che possono cancellarlo in qualunque istante. La colonna sonora evoca ambientazioni funeree. Vi sono scorci urbani con case di color mattone da cui sembra irradiare l'ontologia stessa della Decadenza. La scena più interessante è senza dubbio quella dell'autopsia del vecchio pagano. Il suo cadavere giallastro, steso sul tavolo operatorio, è dissezionato come la carcassa di un pollo, ridotto a un oggetto senza valore da gettare nell'immondizia una volta concluso l'esame autottico. Resnais ordinò a Jaques Saulnier, che si occupava del set, di leggere l'opera omnia di Lovecraft, perché l'idea stessa della Morte fosse trasfusa nella sfarzosa villa chiamata Providence. Una villa concepita dal regista come una tomba di famiglia!


Le opinioni di Resnais sul suo metafilm 

Il regista fornì una chiave interpretativa della propria opera, che appare forse un po' banale. Avrebbe forse fatto meglio a non parlarne neppure. Ecco un sintetico sunto. Tutto si fonda sull'egocentrismo del protagonista, anziano e malato, unita all'ostinazione con cui si oppone all'idea di morire. L'approssimarsi della morte degrada l'essere umano, gli fa perdere la ragione lo trasforma in un animale. Questo sarebbe il significato della figura del vecchio pagano, che ha perso quasi del tutto la propria umanità per diventare un licantropo - ma con ancora un barlume di coscienza, che è la causa della sua pressante richiesta di eutanasia. Le scene dello stadio adibito a campo di concentramento, più che evocare la dittatura di Pinochet o altri regimi autocratici, avrebbero la loro radice nella paura che il vecchio ha dei giovani, sempre ansiosi di gettarlo fuori dall'Esistenza per occupare il suo spazio. Eppure questa esegesi non mi convince del tutto, non spiega la profonda ferita aperta del protagonista e di coloro che lo circondano: la reputo insostanziale e simile a cibo insipido.

Curiosità varie  

Questo è stato il primo film girato in inglese per Alain Resnais. Il regista francese non si trovava a proprio agio con la lingua di Albione, ma ebbe a dire che non riusciva a immaginarsi i dialoghi nel proprio idioma natio: "Non avrebbe funzionato in francese". Tuttavia in seguito i produttori lo costrinsero a fare anche una versione in francese. Furono impiegati doppiatori del calibro di Gérard Depardieu (Kevin), Claude Dauphin (Clive), François Périer (Claude), Nelly Borgeaud (Sonia) e Suzanne Flon (Helen). 

Providence avrebbe dovuto essere girato proprio nel New England, ma presto si capì che i costi sarebbero stati proibitivi. Soltanto alcune riprese di esterni furono fatte a Providence e ad Albany negli Stati Uniti. Per il resto, il regista optò per ambientazioni europee come Bruxelles, Anversa e Lovanio. Gli interni sono stati girati a Parigi. Le scene del compleanno finale di Clive sono state girate al castello di Montméry ad Ambazac, vicino a Limoges (Francia). Capite ora perché gli uccelli che cantano in sottofondo non appartengono all'avifauna americana? 

Cineforum Fantafilm 

Il metafilm resnaisiano fu proiettato al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro il 29 ottobre 2010. Purtroppo non ho potuto essere presente, sarebbe stato interessante partecipare alla discussione. La scheda del film sul sito Fantascienza.com contiene passi degni di nota:

"... un vecchio scrittore trascorre una notte insonne in cui il mondo interiore si dilata e le proiezioni della sua fantasia diventano il commento di una civiltà in decadenza." 

"... diretto magistralmente, interpretato da un quintetto di attori di classe, è un film impervio, geniale e affascinante come un labirintico gioco di specchi in cui i fantasmi dell'immaginario (e del subconscio) sono al fianco delle figure della realtà."

venerdì 6 settembre 2019


IL TERRORE DEI BARBARI

Lingua originale: Italiano
Paese di produzione: Italia
Anno: 1959
Durata: 85 min
Rapporto: 2,35 : 1
Genere: Peplum, (pseudo)storico, epico, trash
Regia: Carlo Campogalliani
Sceneggiatura: Gino Mangini, Emimmo Salvi, Nino Stresa,
      Giuseppe Taffarel
Produttore: Emimmo Salvi
Casa di produzione: Alta Vista, Standard Produzione
Fotografia: Bitto Albertini
Montaggio: Franco Fraticelli
Musiche: Carlo Innocenzi
Scenografia: Oscar D'Amico
Costumi: Giorgio Desideri, Giovanna Natili
Interpreti e personaggi*:
    Steve Reeves: Emiliano
    Chelo Alonso: Landa
    Giulia Rubini: Lidia
    Luciano Marin: Marco
    Livio Lorenzon: Igor
    Andrea Checchi: Delfo
    Bruce Cabot: Alboino
    Arturo Dominici: Svevo
    Furio Meniconi: Gensérico
    Carla Calò: madre di Bruno
    Fabrizio Capucci: Bruno
     *Alcuni personaggi sono stati rinominati nella versione in inglese: Emiliano è
      diventato Goliath, Landa è diventata Lynda, mentre Gensérico è diventato
      Hulderich.

Doppiatori originali:
    Emilio Cigoli: Emiliano
    Lydia Simoneschi: Landa
    Fiorella Betti: Lidia
    Giuseppe Rinaldi: Marco
    Renato Turi: Igor
    Gualtiero De Angelis: Delfo
    Bruno Persa: Alboino
    Nando Gazzolo: Svevo
    Nino Bonanni: Gensérico
    Dhia Cristiani: madre di Bruno
    Manlio Busoni: voce narrante 
Traduzioni del titolo: 
    Inglese: Goliath and the Barbarians

Trama:
Una labile cornice storica viene illustrata dalla voce del presentatore, proprio mentre parte una grottesca musichetta. Ecco il testo:


"Nell'anno 568 dopo Cristo, Alboino, Re dei Longobardi, calò in Italia dalla vicina Pannonia. Le orde barbariche, costituite da genti di razze diverse, che la bramosia di conquista teneva unite, dilagarono nella Penisola da Cividale del Frìuli (sic), portando ovunque la distruzione e la morte."  

Li si vede cavalcare, questi Longobardi - diciamo così -, tutti coperti di pelli quasi ridotte a brandelli. Cavalcano a spron battuto, gli zoccoli dei cavalli che fanno il rumore del tuono. I gonfalonieri reggono vessilli alquanto primitivi che lo spettatore fa molta fatica ad interpretare, sembrano graticole di ferro nero levate verso il cielo. Sono più simili a Mongoli che a Germani, in molti casi hanno il cranio rasato e un codino di capelli corvini intrecciati: è proprio il famoso bunchuk di Taras Bulba. Le orde si abbattono su Verona come uno sciame di locuste, distruggendo tutto al loro passaggio. Saccheggiano la villa del più importante notabile della città e lo uccidono a sangue freddo, trapassandolo con una lancia. Suo figlio, l'erculeo Emiliano, giura vendetta. Tratti in salvo i suoi famigliari conducendoli sui monti, guida una guerriglia contro gli invasori. Robusto rappresentante della stirpe di Maciste, sembra appartenere più all'antichità classica che a un Alto Medioevo non ancora compiutamente cristiano. Emiliano ha un grande ingegno: si traveste con pelli e si maschera in modo tale da apparire ai suoi sconvolti nemici come un licantropo. Riesce ad organizzare un'efficace resistenza e a diventare un vero e proprio flagello per Alboino, che ancora cerca invano di espugnare Pavia allo scopo di farne la propria capitale. Allo scopo di ricondurre all'ordine il regno appena conquistato, il Re dei Longobardi invia alla frontiera settentrionale un feudatario idiota, il brutale Igor, che è un vero e proprio gorilla. Questo scimmione demente è innamorato follemente di Landa, la bella e mora figlia dello slavo Delfo. Quello che l'energumeno desidera è subito chiaro. Intende innanzitutto sopprimere Delfo per prendersi Landa e farla sua. Lei però sa che il suo pretendente, a dispetto delle sembianze da gorilla, ha un esiguo falletto, un budellino moscio, mentre Emiliano ha un immenso Schwanzstücker, in grado di schiacciare le noci col glande! Queste femminee valutazioni sono per così dire la spina dorsale dell'opera di Campogalliani.  

Recensione:
Dire che questo è un film spazzatura è in buona sostanza un insulto al concetto stesso di immondizia di celluloide. Forse la parola più giusta per descriverlo è imbarazzante. Certo, il mondo in cui viviamo ci ha dato orrori indescrivibili e infamie infinite, ma simili porcherie pseudostoriche non le dobbiamo sopportare più. Forse è meglio doversi sorbire filmati sui glory holes e sul sesso oro-anale praticato da Madonna ad autentici gorilla, che essere costretti a vedere i propri Antenati ridotti a macchiette inverosimili esposte al pubblico ludibrio dei bruti. 

Anacronismi e incoerenze à gogo! 

Sul sito Bloopers.it si fa notare giustamente che è anacronistico il comando di Alboino: "No Igor, andrai a Milano per sottomettere i valvassori". Nel VI secolo non esisteva la carica feudale dei valvassori e neppure la stessa parola per indicarla (valvassore deriva dall'antico francese vavassor, che a sua volta è dal latino vassus vassorum "servo dei servi").

Va detto che lo stesso nome Igor è anacronistico: è un adattamento slavo del nome norreno Yngvarr, importato in Russia dai Variaghi. Nel VI secolo non poteva esistere nessuno tra i Longobardi o tra i popoli loro associati a portare un simile antroponimo. Semmai avrebbe dovuto essere *INGUARI, che tuttavia non sembra documentato da nessuna parte. Allo stato attuale delle mie conoscenze non mi risultano attestazioni di composti longobardi formati a partire dal nome di divinità che in protogermanico doveva suonare *Ingwaz, molto produttivo in Scandinavia. La forma gotica sarebbe scritta in ortografia wulfiliana *Iggwaharjis.

Gensérico nun ze po' sentì, come si direbbe nell'Urbe. La pronuncia in italiano corretto è Genserìco (chi diamine pronuncerebbe mai Teodòrico??). Si tratta di un nome tipico dei Vandali, portato da un loro condottiero nel V secolo, che devastò Roma un anno dopo che l'aveva visitata Alarico. Genserico (Gensericus, Geisericus, etc.) è un adattamento della forma originale vandalica, scritta più correttamente Geiseric e attestata ad esempio in Iordane. L'accento della forma nativa è sulla prima sillaba, che ha un dittongo o una vocale lunga. In gotico wulfiliano sarebbe scritto *Gaizareiks e significa "Principe del Giavellotto". In longobardo l'elemento *gaiza- "giavellotto, lancia" si era evoluto in gaire-, gari-, con tipico rotacismo della sibilante sonora -z- protogermanica, conservata invece nel germanico orientale (gotico, vandalico, burgundico, etc.). 

Quando Alboino chiama a gran voce alcuni suoi scagnozzi, c'è da ridere fragorosamente. Uno è Ario, un altro è Arìchi, un altro ancora porta un nome a malapena distinguibile che suona quasi Jabba! Non è difficile scorgere in Ario il nome del famoso eresiarca le cui dottrine ebbero grande diffusione tra molti popoli germanici. Non mi pare che fosse attestato il suo uso come antroponimo tra i popoli germanici che pure aderivano alla confessione Ariana del Crisitanesimo. Arichi è un nome longobardo (Arichis, Arechis), ma l'accento è collocato in modo erroneo sulla penultima sillaba.

Ralfo, Delfo, Svevo e Landa. Campogalliani doveva avere una forte predilezione per i nomi brevi. Svevo è chiaramente un nome etnico tratto dalla confederazione degli Svevi, quelli che già Cesare e Tacito chiamavano Suebi. Potrebbe avere un senso, anche se non mi pare che sia documentato. Gli altri nomi citati non hanno fondamento alcuno. A un certo punto Igor replica al Re Alboino a proposito di Delfo, dicendo: "È vecchio ed è slavo". Landa stessa afferma di avere sangue slavo. All'epoca in Italia si aveva un'idea abbastanza nebulosa dei popoli slavi e delle loro caratteristiche. Li si confondeva spesso e volentieri con gli Zingari (endoetnici Roma, Sinti, etc.). Così Landa incarna lo stereotipo della femme fatale zigana, una maliarda abbronzata e sensuale, con occhi e capelli scuri come la notte, esperta di arti magiche. 

Le orge della corte di Alboino sono forse un po' troppo sensuali, troppo moderne. Non so se con le pratiche igieniche dell'epoca avrebbe fatto molto piacere ai nobiluomini di un popolo germanico avere tante donne discinte a mettere i propri piedi nudi all'aria, spingendoli sotto il naso degli ospiti. Sarebbe oltremodo interessante poter disporre di seri trattati antropologici sul modo di concepire il corpo femmile e il potere attrattivo di ogni sua parte in un tempo in cui ci potevano essere seri ostacoli allo stesso concetto di Eros. Sporcizia, smegma, sudore. Certo, in qualche modo ci si lavava anche allora, ma non c'erano le saponette antibatteriche, credo che oltre all'acqua semplice ci fossero ben poche risorse, al massimo qualche erba come la pianta chiamata aro o qualche impasto di cenere e sego suino. Non dimentichiamoci che il tracollo igienico nella tarda Antichità ha causato la scomparsa della fellatio dall'Occidente - con l'eccezione di pochi casi più che altro collegabili a perverse disposizioni d'animo (volontà di infliggere umiliazione, etc.).

I Longobardi saccheggiano un mulino, inviati da Igor. Si mettono a caricare sacchi di cereali sulle spalle, ammucchiandoli in un carro rudimentale. Ecco che dalla grande dimora di pietra ove è collocato il mulino esce una donna urlante. Chiama suo figlio e gli urla che la loro famiglia è rovinata. Il nome del bambino è Bruno. Ebbene, Bruno è un nome germanico. L'errore commesso dallo sceneggiatore è lampante: egli parte dal patrimonio onomastico italiano contemporaneo e lo proietta all'infinito nel passato, senza alcun senso critico, pensando che possa valere l'idea di italianità eterna e immutabile contrapposta all'ignoranza e all'estraneità assoluta dei "Barbari" - concepiti come alieni piovuti sulla Terra da un altro pianeta, del tutto privi di qualsiasi contatto con alcunché di noto. 

Si deve dire Friùli, non Frìuli. Come ben risaputo, il toponimo è derivato da Forum Iulii. Un accento sulla prima vocale -i- è di per sé una vera e propria assurdità. La tradizione vuole che la pronuncia Frìuli, del tutto erronea, sia stata diffusa da un cronista di poca conoscenza all'epoca del grande terremoto del Friuli del 1976. Ecco, basta guardare il peplum trash di Campogalliani per rendersi conto che l'errore di pronuncia risale a un'epoca anteriore a quella del sisma. 

La leggenda dei Cinocefali 

Non si capisce come Emiliano avrebbe potuto ingannare i gloriosi Longobardi con un travestimento pacchiano da uomo-lupo (o piuttosto da uomo-cane). Infatti sono stati proprio i Longobardi ad escogitare, come ci narra Paolo Diacono, l'inganno dei Cinocefali. Per atterrire i loro nemici, in un'occasione avevano diffuso una diceria sinistra: nei loro accampamenti sarebbero stati ospitati mostri con corpo umano e testa di cane, assai bellicosi e avidissimi di sangue. Quindi un simile imbroglio, essendo noto a tutti fin dall'infanzia, non avrebbe provocato alcuno scompiglio tra il popolo di Alboino! Non dobbiamo mai immaginare, come ha fatto Campogalliani, che i nostri Progenitori fossero più primitivi di noi nell'immaginazione: lo erano soltanto nei mezzi tecnologici! 

martedì 3 settembre 2019


AMAKUSA SHIRO TOKISADA -
THE REBEL 

Titolo originale: Amakusa Shirō Tokisada
AKA:
The Revolutionary; The Christian Revolt 

Anno: 1962
Lingua: Giapponese
Paese: Giappone
Regia:
Nagisa Ō
shima
Genere: Drammatico, storico
Durata: 100 min
Colore: B/N
Formato: Scope
Produzione: Hiroshi
Ōkawa per la Toei di Kyoto
Produttori associati: Yoshino Mori, Yurin Nakamura,
     Kimiharu Tsujino  
Distribuzione: Toei Kyoto 
Sceneggiatura: Nagisa
Ōshima, Toshirō Ishidō
Fotografia: Shintar
ō Kawasaki
Montaggio: Shintarō Miyamoto
Musiche: Riichir
ō Manabe
Trucco: Masanobu Hayashi
Interpreti e personaggi: 

    Hashizō Ōkawa: Amakusa Shirō Tokisada
    Ryûtar
ō Ōtomo: Shinbei Oka
   
Tetsuo Ashida:
Zanemon Yama 
    Minoru Chiaki: Sō
ho Tanaka 
    Tokue Hanazawa: Yozaemon 
    Ch
ōichirō Kawarasaki: Tamezō 
    Yoshi Katō
: Il nonno di Zanemon Yama 
    Mikijir
ō Hira: Katsuie Matsukura 
    Rentarō Mikuni: Uemonsaku 
    Sue Mitobe: Maki 
   
Kikue Mōri: Maruta 
    Takamaru Sasaki: Jinbei 
    Satomi Oka: Sakura (moglie di Shinbei)
    Kei Sat
ō: Taga Mondo 
    Rokk
ō Toura: Rōnin (samurai senza padrone)
   
Junko Matsukawa: Okiku (accreditata come Sayuri
          Tachikawa)
   
    Takao Yoshizawa
   
Mieko Kiuchi 


Trama: 
Siamo nel Giappone dell'epoca Edo, sotto il dominio dei Tokugawa, nella prima metà del XVII secolo. I fatti si svolgono dal dicembre 1637 all'aprile 1638. La penisola di Shimabara, proprio come la popolosa città di Nagasaki, era abitata da una popolazione in prevalenza cristiana. Per questo motivo c'erano gravi attriti sociali. I feudatari erano ferocemente anticristiani e opprimevano il volgo in modo crudele, tassandolo fino a ridurlo in condizioni di povertà estrema. La rapacità del fisco era insostenibile, al punto che il governo Monti sarebbe stato considerato una manna! Gli esattori pretendevano una tassa in riso, lasciando ai sudditi soltanto poche patate. Gli armigeri dello Shogunato compiono irruzioni nei villaggi e catturano i cristiani, gettandoli nelle segrete, scorticandoli a forza di frustate e torturandoli fino a rendere loro la vita impossibile. Coloro che si rifiutano di abiurare vengono messi a morte con supplizi atrocissimi. Il popolo giapponese è indomito e fiero, quale che sia la sua religione. Così quando l'estremo limite della sopportazione viene superato, la rivolta ha inizio. A guidare la ribellione è il giovane Amakusa Shirō Tokisada (nato Masuda Shirō, figlio di Masuda Jinbei). Gli insorti assediano ed espugnano un castello dopo l'altro e il loro numero cresce giorno dopo giorno fino a raggiungere le proporzioni di un esercito. La sorte sembra arridere loro, ma segni luttuosi di morte violenta e di sterminio iniziano a manifestarsi...


Recensione: 
Il film mi è piaciuto, anche se devo rilevare spaventose sproporzioni nella narrazione. Troppo spazio dedicato a conversazioni serrate, che il regista deve aver ritenuto più importanti della stessa rivolta e della sua repressione. Va detto che ho potuto visionare la pellicola soltanto nella versione originale in giapponese, senza alcun doppiaggio né sottotitoli in inglese. Del resto sono dell'idea che un film giapponese debba essere visto in lingua originale, anche a costo di capire poco o nulla dei dialoghi! Poi si scopre che spesso le parole degli attori sono superflue, visto che nella maggior parte dei casi l'unica cosa che conta è l'azione. Quando questo non accade, è divertente cercare di riempire i buchi narrativi con qualche inadeguata costruzione mentale.  Quello che ho più apprezzato è l'ambientazione cupissima, claustrofobica, tanto che nelle scene notturne la storia sembra ambientata su un pianeta nel cui cielo un sole nero irradia una tenebra aggressiva. A un certo punto, alla piena luce del sole, vengono bruciati vivi alcuni cristiani e tra questi ci sono anche bambini. I loro corpi vengono avvolti in quelli che sembrano tappeti fatti di sottili canne e di paglia, a cui i carnefici danno fuoco. La maestria del regista è sublime nel rendere l'orrore che stravolge il volto di un vecchio fedele, nascosto nella vegetazione, che assiste alla lenta agonia dei suoi correligionari. 


Un vivido ma fugace affresco dei costumi 

Il signore feudale era un pederasta e aveva un harem di fanciulli vestiti da geisha, su cui sfogava le proprie bramosie sodomitiche penetrandoli selvaggiamente nell'intestino. Il regista allude a questo in poche brevi ma chiare sequenze. Non si trovano molti film, giapponesi o prodotti in altri paesi, che riportino in modo esplicito e approfondito questa realtà, di cui pochi sembrano essere al corrente. Lo stesso Tokugawa Ieyasu e altri daimyō dell'epoca Edo erano dediti alla pederastia e avevano i loro harem di effeminati. Secondo il mio parere, questo punto dolente, che poneva la cultura giapponese in rotta di collisione con la religione cristiana predicata dai missionari, spiega gli sviluppi repressivi dell'epoca Edo. Anche il famoso inquisitore anticristiano Inoue Masashige era un notorio pederasta. Non soltanto: aveva avuto un'educazione cristiana e da giovane per poco non si era fatto prete. Ecco una prova del conflitto stridente tra una dottrina straniera e le inclinazioni sessuali di un uomo che ne poteva capire soltanto la forma. Una lotta i cui risultati hanno avuto portata storica. 


Olandesi volanti 

Gli Olandesi fanno la loro irruzione nel film come folletti infarinati, forse interpretati da attori nipponici truccati e impettiti, tanto che di primo acchito mi sono sembrate quasi caricature di occidentali. Guardando con attenzione i fotogrammi, mi sono poi accorto che non si tratta di un lavoro approssimativo: quelle facce sembrano proprio avere lineamenti batavici! I figli dei Paesi Bassi si manifestano per pochi secondi assieme a un grande cannone che spara una specie di fuoco artificiale. La scena è estemporanea, non integrata nella trama. Sembra quasi che i messaggeri di un mondo alieno invadano la Terra da un buco nel cielo, rompendo l'ordine cosmico come una lancia che dilania le viscere; invece si ritraggono quasi subito e scompaiono senza lasciare traccia alcuna nel tessuto narrativo. Il riferimento è alla nave da guerra olandese Rijp, che cannoneggiò il castello di Hara in cui i rivoltosi si erano asserragliati. Nella pellicola di Ōshima vediamo invece gli Olandesi sugli spalti di un castello. Tutto ciò che è estraneo al Giappone desta stupore misto a scandalo e in qualche modo deve essere isolato, neutralizzato. Sembra di essere di fronte alla reazione di un sistema immunitario vigoroso che aggredisce i patogeni giunti da un'oscena fonte di una sconosciuta infezione. 


Il pittore folle (e profetico)  

Alla corte del signore feudale dedito alla pederastia con i travestiti, viveva un pittore. Il suo incarico ufficiale consisteva nel dipingere elaborati ritratti del suo mecenate. La sua figura era ben singolare per essere un nipponico, al punto che a prima vista lo scambiai per un occidentale, forse uno spagnolo o un portoghese. Invece si trattava proprio di un nativo del glorioso paese di Yamato. Nessuna traccia di plica mongolica, i suoi occhi erano enormi e fissi come quelli di un cuculo. La pelosità abbondante indicava la discendenza da popolazioni aborigene pre-nipponiche, Ainu o Emishi. Quando viene scoperto che è un cristiano, viene sottoposto a una devastante bastonatura continua. Già in passato aveva avuto problemi per la sua religione: come il suo dorso viene messo a nudo, spicca un vistoso marchio a forma di croce, testimonianza dell'opera di un precedente carnefice che lo aveva lavorato col ferro rovente. Liberato dalla prigionia, lo stravagante pittore vaga nella notte in preda alla follia, come Re Lear nella tempesta. L'ultimo suo dipinto mostra un paesaggio annientato e pieno di gente crocefissa in mezzo alle fiamme, con colombe bianche che salvono verso il cielo nero. Un luogotenente dell'armata cristiana vede l'opera e capisce all'istante che è una funesta profezia di rovina, così in preda alla furia la fa a pezzi con la katana e uccide l'artista. Lo colpisce prima alla schiena, poi gli infligge profondi tagli al petto. Il sangue, simile a denso fango, esce copioso dalla bocca della vittima, che si accascia al suolo.


Un finale precipitoso  

Amakusa Shiro impugna la katana e il Crocefisso. Intorno a lui garriscono vessilli cristiani, simili a rozze bandiere spagnole o portoghesi con una croce in campo bianco. Vessilli crociati. Schegge di Occidente incastonate in Oriente. Molti dei contadini insorti hanno una massiccia croce di legno legata al cranio: a quanto pare consideravano quel manufatto una protezione soprannaturale. Pregano incessantemente. Quando l'esercito si incammina verso il suo destino, ecco che lo schermo grigio si pietrifica e compare un quadro di fitti ideogrammi. Senza dubbio è un riassunto del finale, che non vedremo mai: i rivoltosi di Shimabara, una volta espugnato il castello di Hara, sono stati tutti decapitati. Per secoli è rimasta impressa nell'eroico popolo nipponico l'immagine di quella montagna di teste recise. E io che mi pregustavo lo scontro finale e la carneficina! Niente da fare. La gestione del tempo e dell'azione da parte dei registi e degli sceneggiatori giapponesi non è affatto simile a quanto ci aspetteremmo. Non segue la stessa nostra logica. Non è euclidea, non è lineare. 

Curiosità varie 

Una donna cristiana sconvolta dal rogo di uomini, donne e bambini, esibisce vistose otturazioni d'oro agli incisivi - cosa impossibile nel Giappone del XVII secolo. Siamo di fronte a un anacronismo.

Amakusa Shirō è considerato un santo da molti cattolici giapponesi, ma non è mai stato canonizzato. Già quando era in vita gli venivano attribuiti miracoli. La Chiesa Romana non ha mai usato i fatti di Shimabara per la sua propaganda, adducendo una sconcertante ragione: gli insorti avrebbero avuto soprattutto motivazioni "materialistiche", come la protesta contro la tassazione. 

Amakusa Shirō è mostrato nel film come un uomo adulto, mentre aveva solo 17 anni quando è stato giustiziato dai carnefici dello Shogunato. La sua testa, spiccata dal busto, è stata esibita al pubblico come monito. L'impatto del personaggio nel mondo dei manga è stato notevole.

Viene mostrato il ruolo primario del riso nel Paese del Sol Levante. L'insurrezione cristiana ha inizio proprio con un atto di spreco in apparenza incoprensibile: viene scagiato a terra il vaso che contiene il riso raccolto come tributo per il feudatario. Ovvio. Quel riso appartiene al Demonio e quindi non può essere usato per l'alimentazione. Quando una dimora feudale viene espugnata, le donne cucinano il riso delle riserve signorili. Viene cotto fino a divenire una massa collosa, che i bambini stremati dalla fame divorano con avidità.  

Il film ci mostra il duello tra Amakusa e un suo luogotenente traditore, Yamada Emosaku. Nella realtà storica le cose sono andate diversamente: il traditore è stato l'unico superstite di quasi 40.000 ribelli. 

Note sulla pronuncia del giapponese  

Quando ero giovane ci si cullava in un'illusione puffesca: si credeva che la lingua giapponese avesse una fonetica elementare e che fosse facilissima da pronunciarsi. La vulgata corrente si fondava su un principio quasi banale per pronunciare le sillabe traslitterate in caratteri romani (romaji): vocali all'italiana e consonanti all'inglese. Per quanto riguarda l'accento, veniva collocato sulla penultima sillaba, a meno che la parola non finisse con un dittongo o con una vocale lunga, nel qual caso l'accento cadeva sull'ultima sillaba (con poche eccezioni per lo più dovute all'errata trascrizione di una vocale lunga come breve). 

I manuali suggerivano di pronunciare il verbo ausiliare onorifico gozaimashìta "è stato" come /gozaima'ʃita/, con l'accento sulla penultima sillaba. Con grande stupore, con gli anni, mi sono accorto che quei manuali erano stati scritti da incompetenti, che non solo inventavano una sillaba inesistente, ma collocavano anche su di essa l'accento. In realtà si deve pronunciare /go'zaimaʃta/, con l'accento sul dittongo. C'è un bel gruppo consonantico, tanto che dovremmo trascrivere la parola in caratteri romani come gozaimashta. Poi ho scoperto l'arcano. Quando una vocale breve i o u è compresa tra due consonanti sorde, o finale di parola preceduta da una consonante sorda, allora non si pronuncia affatto. In qualche trattato si dice che le vocali in questione sono sorde ma in grado di fungere da nuclei sillabici. Non ne sono affatto convinto: mi paiono semplicemente inesistenti. 

Il verbo desu "è" non si pronuncia /'desu/, bensì /des/. La vocale finale non si percepisce nemmeno, per quanti sforzi si facciano.
Il verbo ausiliare onorifico gozaimasu "è" non si pronuncia /gozai'masu/, bensì /go'zaimas/. L'accento è sul dittongo e il suono finale è una sibilante /s/

Allo stesso modo, il nome Amakusa non è affatto /ama'kusa/ con l'accento su una vocale u. Invece si deve dire /a'maksa/. Piaccia o no, nella parola c'è un bel gruppo consonantico /ks/.

Non posso nascondere un fatto scabroso. Esisteva anche un'altra scuola di pronuncia italianizzata del giapponese, che affermava la seguente aberrazione: non c'è una sillaba che ha un accento deciso e prevalente, perché ogni sillaba porta un accento proprio. Ricordo che in uno squallido programma domenicale, Pippo Baudo presentò alcuni giapponesi di Osaka e affermò che il nome della città avrebbe avuto tre accenti. Si sarebbe dovuto pronunciare Ò! SÀ! KÀ! Quando però il presentatore interrogò il nipponico sulla reale pronuncia del toponimo, incontrò non poche difficoltà. Quando gli chiese se si dovesse pronunciare Osakà (ovviamente con la sonora /z/), l'uomo del Sol Levante recisamente gli disse di no. Segnaliamo quindi l'abitudine tipicamente italiana di realizzare la /z/ fonemica giapponese, traslitterata in caratteri romani con z, come un'affricata sonora /dz/, ad esempio nella parola kamikaze. Infine c'è il mitico Luca Giurato, quello del Mudo li Merlino, che usa addirittura un'affricata sorda /tts/: nella sua pronuncia i kamikaze diventano KAMIKAZZI!  

domenica 1 settembre 2019


THE FALL

Titolo originale: The Fall
Lingua originale: Inglese, rumeno, latino
Paese di produzione: Stati Uniti d'America, India
Anno: 2006
Durata: 117 min
Rapporto: 1,85:1
Genere: Fantastico, avventura, drammatico
Regia: Tarsem Singh
Soggetto: Valeri Petrov
Sceneggiatura: Tarsem Singh, Dan Gilroy, Nico Soultanakis
Produttore: Tarsem Singh, Roberto Bakker, Laurette Marais
Produttore esecutivo: Tommy Turtlee, Ajit Singh
Casa di produzione: Absolute Entertainment, Deep Films,
    Googly Films, Kas Movie Maker, M.I.A. Features, Radical 
    Media, Tree Top Films Inc.
Distribuzione in italiano: Eagle Pictures
Fotografia: Colin Watkinson
Montaggio: Robert Duffy
Musiche: Krishna Levy
Scenografia: Ged Clarke
Costumi: Eiko Ishioka
Interpreti e personaggi 
    Catinca Untaru: Alessandria
    Lee Pace: Roy Walker / Bandito Mascherato
    Justine Waddell: Infermiera Evelyn / Sorella Evelyn
    Marcus Wesley: Uomo del ghiaccio / Otta Benga
    Michael Huff: Dr. Whitaker
    Robin Smith: Collega di Roy / Luigi
    Jeetu Verma: Uomo delle arance / Indiano
    Kim Uylenbroek: Dottore / Alessandro il Grande
    Leo Bill: Infermiere / Charles Darwin
    Daniel Caltagirone: Sinclair / Governatore Odious
    Emil Hostina: Padre di Alessandria / Bandito Blu
    Julian Bleach: Paziente anziano / Mistico
Doppiatori italiani 
    Stefano Valli: Dr. Whitaker
    Luigi Ferraro: Charles Darwin
    Alessandro Ballico: Otta Benga
Box office (mondo intero): 3,67 milioni di dollari US 


Trama: 
Una bambina romena di stirpe zigana, chiamata Alessandria in onore di Alessandro il Grande, è caduta da un albero mentre raccoglieva arance su ordine dei suoi genitori. Così è stata portata in un ospedale gestito dalle suore, dove il braccio rotto le è stato ingessato. Qui conosce un giovane artista morfinomane, Roy Walker, paralizzato in seguito a una ben più grave caduta che gli ha spappolato le gambe (la caduta che dà il titolo al film). Roy ha una mente fantasiosa e ama raccontarle ad Alessandria storie mirabolanti. Favole variopinte. Nulla di più consistente di una bolla di sapone, ma la piccola ne viene rapita e vive le parole create dal tossicomane come se fossero la realtà di veglia, quella che le genti chiamano "realtà vera". Sprofonda così in un'avventura onirica molto intensa. 

Il governatore spagnolo Odious è Satana sulla Terra. La sua è un'essenza di puro ed assoluto sadismo. Si illustrano in modo succinto le caratteristiche dei personaggi coinvolti nella vicenda: 

Il Bandito Mascherato e il Bandito Blu
Sono due fratelli gemelli con una sola missione nella vita: uccidere il governatore Odious. Per sfuggire alla condanna a morte che grava su di loro sono costretti a separarsi. In seguito il Bandito Blu viene attirato in un'imboscata dall'esecrabile tiranno, torturato e ucciso. Il Bandito Mascherato, arrivato troppo tardi, urla il suo dolore al cielo e giura vendetta.  

Il Mistico 
È un uomo che viveva in una dimensione soprannaturale, separato dal tumulto del mondo. La sua casa era una foresta sacra, che a un certo punto il governatore Odious ha fatto distruggere fino all'ultimo albero. Distrutto dal dolore per aver assistito alla trasformazione di quel paradiso incantato in un deserto senza un filo d'erba, il guru si unisce alla compagnia del Bandito Mascherato.

Luigi il Bombarolo  
È un uomo eccellente che tiene alto l'onore dell'Italia, esportando nella lontana India le sue utili arti di esperto in esplosivi. Proprio questo italico genio desta la stizza e l'invidia del governatore Odious, che decide di mettere in atto una singolare strategia. Non può bloccare Luigi servendosi dei militari, perché quello farebbe saltare in aria tutto. Così lo paralizza inducendo il prete cattolico da cui si confessa abitualmente a non somministrargli più alcun sacramento. Per Tarsem Singh, come per ogni suddito di Sua Maestà Jimmy Savile, noi italiani saremmo tutti cattolici e mummy boys pieni di complessi. Non immaginerebbe mai che proprio in Italia allignino feroci nichilisti. 

Charles Darwin  
È proprio il famoso naturalista inglese, da giovane. Veste abiti di piume sgargianti, che lo fanno somigliare a un gigantesco pavone dalla livrea in parte albina e in parte purpurea. Si trovava in India assieme alla sua scimmietta Wallace per cercare una farfalla rarissima, non riuscendo a trovarla da nessuna parte. Il governatore Odious gli ha inviato una missiva in cui c'era proprio un cadavere dell'inestimabile lepidottero, seviziato con uno spillo. 

Otta Benga 
È un mandingo colossale, con muscolatura poderosa (e ovviamente una terza gamba). Sconvolto dal dolore per la morte del fratello aggiogato assieme a lui e distrutto dalle fatiche in una piantagione del governatore Odious, si è liberato dalle catene e si è dato alla fuga. Ha giurato vendetta e odio eterno. Indossa un elmo nuragico con grandi corna ed è un arciere provetto.


L'Indiano  Silenzioso  
È un principe che teneva la moglie segregata nel suo palazzo, impedendo a chiunque di vederla. Il governatore Odious è riuscito comunque a incontrarla, vestito da lebbroso, ed è stato preso da bramosia. Così l'ha rapita, ma siccome lei non voleva concedersi, l'ha gettata nel Labirinto della Disperazione, spingendola quindi al suicidio.  Per questo l'Indiano ha giurato di non guardare mai più un'altra donna e di ottenere vendetta.  

La Principessa 
 È una dama sofisticata dalle lussuose vesti di porpora, che viaggia in una grande carrozza rossiccia trainata da schiavi. La accompagna un altezzoso nipote che sembra un Dalai Lama bambino. All'inizio la nobildonna ammalia il Pirata Mascherato. Poi si scopre che è la fidanzata del governatore Odious... 

Il Grande Giuramento
A un certo punto, il Bandito Mascherato e i suoi compagni giurano il loro odio eterno e la loro volontà di distruzione non soltanto verso il Governatore, ma contro tutto ciò che è spagnolo.

Presto si svela l'arcano: il callido Roy ha attratto a sé la bambina gitana e l'ha affascinata con un secondo fine, per procurarsi il prezioso oppiaceo che inibisce il dolore e che rende l'esistenza sopportabile come per incanto. All'inizio ho pensato che il giovane anglosassone fosse un pedofilo, che bramasse la giovinetta. Poco dopo ho capito cosa voleva veramente. Desiderava porre fine a quell'orrore che la sopravvivenza quotidiana ineluttabilmente comporta! 


https://i.postimg.cc/XJ9N54W9/Tarsem-Singh-The-Fall-1.jpg

Recensione: 
Il film è stato proiettato al mitico Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro il 20/12/2010. Purtroppo non mi è stato possibile assistere allo spettacolo. The Fall è il secondo film del regista indiano Tarsem Dhandwar Singh, che ha esordito nel mondo cinematografico con lo spettacolare The Cell

Questi sono i luoghi dove il film è stato girato: 
1) Il complesso Jantar Mantar di Jaipur;
2) L'area del Sossusvlei nel deserto del Namib;
3) L'hotel Jag Niwas sul lago Pichola di Udaipur;
4) Lo stagno all'interno dell'hotel Jag Niwas;
5) Il lago Pangong sulla catena dell'Himalaya;
6) Buland Darwaza di Fatehpur Sikri;
7) Le abitazioni blu di Jodhpur;
8) Il Forte Mehrangarh a Jodhpur;
9) Villa Adriana a Tivoli;
10) Chand Baori vicino a Jaipur;
11) Il Taj Mahal ad Agra;
12) La Isla del Pescado del Salar de Uyuni;
13) Il ponte Carlo di Praga;
14) Il Palazzo Umaid Bhawan a Jodhpur. 


Pensate, la pellicola è stata girata in ventotto paesi in un periodo di ben quattro anni!

Tutto splendido, variopinto e sgargiante. Onirico. Certe sequenze colpiscono, come quella di Alessandro il Grande che versa la poca acqua contenuta in un elmo, la sola riserva idrica in uno spietato deserto. La morale di Alessandro è questa: "Se nessuno può avere abbastanza acqua, me ne privo io stesso!" Non dobbiamo fissarci troppo sull'esattezza storica, ad esempio sul fatto che in India fossero i Portoghesi a dare fastidio, non gli Spagnoli. In fondo chi potrebbe esigere che una favola per bambini sia verosimile? Purtroppo in un secondo tempo sono venuto a conoscenza di un dettaglio non proprio edificante: il film è un remake fabbricato a partire da una (semi)sconosciuta pellicola bulgara, intitolata Yo ho ho (Zako Heskiya, 1981). Certo, il regista Sikh ha apportato non pochi cambiamenti nell'ambientazione: a quanto ho potuto apprendere, Yo ho ho è un film bucanieresco, che si svolge tra pirati dei Caraibi. Non sembra facile poter reperire questa pellicola prodotta da un contesto così isolato e remoto dal nostro. Ho potuto soltanto raccogliere qualche dato tecnico, che riporto volentieri. 


Titolo originale: Yo Ho Ho (Йо-хо-хо)
Regista:
Zako Heskiya
Anno: 1981
Produttore:
Nikola Vulchev
Scenografia: Stefan Trifonov
Costumi: Elka Todorova
Effetti speciali: Atanas Mitzev, Dimo Pavlov
Decorazione del set: Pancho Atanasov
Editing del film: Ventzeslava Karanasheva
Design di produzione: Aysidora Zaydner

Interpreti e personaggi:  
   Kiril Variyski: Attore; Pirata Nero
   Viktor Chouchkov: Leonid
   Iliya Penev: Governatore
   Anani Anev: Gogo; Toro Seduto 
   Sonya Djulgerova: Sorella Tzetzi, Tzitziliya
   Kirill Kavadarkov: Van Lun
   Georgi Bakhchevanov: Rosko
   Trifon Dzhonev: Luidzhi
   Boris Lukanov: Professore
   Rut Spasova: Madre di Leonid 
   Vasil Stoychev: Collega dell'attore
   Boyka Velkova: Ex moglie dell'attore
   Yordanka Lyubenova: Figlia del Governatore
   Rumen Dimitrov: Genero del Governatore
   Vladimir Yochev: Scaricatore


Il titolo Yo ho ho trae origine da una canzone piratesca. Se i ricordi d'infanzia non m'ingannano, è quella resa in italiano con Quindici uomini nella cassa da morto, o qualcosa del genere. Si noterà che Luidzhi è una trascrizione slava dell'italiano Luigi. Se non ho capito male, mentre il regista Sikh si è rifatto alla figura di Alessandro il Grande, Heskiya aveva tratto ispirazione dal glorioso condottiero spartano Leonida (Leonid in bulgaro). Duole constatare che ormai non ci sia praticamente più nulla di originale a questo mondo. "Nihil sub sole novum" (cit.)

Curiosità varie

La scimmietta di Charles Darwin prende il nome da Alfred Russel Wallace, naturalista che sviluppò l'idea di evoluzione in modo indipendente. A un certo punto, sull'Isola della Farfalla, Darwin chiude la sua scimmietta in un sacco e borbotta: "Noi... Io ho un'idea". Ecco, questo è sottile umorismo Sikh. Allude al fatto l'evoluzionismo è accreditato al solo Darwin, non essendo Wallace conosciuto quasi da nessuno.  

Il nome del governatore spagnolo Odious, pronunciato Odius nella versione in italiano, è semplicemente l'aggettivo inglese odious "repellente, ripugnante" - pronunciato /'ɔdɪəs/ nella lingua della Regina - senza nemmeno un adattamento ortografico. La lingua di Shakespeare è fortemente dissociativa: una delle sue principali caratteristiche è quella di sfoggiare un immenso numero di aggettivi le cui radici non si trovano nel linguaggio comune di origine germanica, bensì nel latino e nel greco. La lingua italiana ha un certo grado di dissociatività, ma molto minore di quello dell'inglese. Così deriviamo odioso da odio, che è parola del linguaggio corrente. In inglese odious non punta ad alcun sostantivo del lessico di base, pur avendo un chiaro suffisso aggettivale -ous; oltretutto vi esiste il quasi sinonimo hateful "odioso; detestabile", costruito con genuini ingredienti anglosassoni. Domanda: perché Tarsem Singh non ha scelto un nome spagnolo per un governatore spagnolo?

Mi rendo conto che si tratta di un particolare di scarsa rilevanza, ma lo riporto per gli amanti dell'ippica. Quasi tutti i cavalli usati nel film appartenevano a Jeetu Verma, l'attore che ha recitato la parte dell'Indiano Silenzioso.