Titolo originale: Providence
Anno: 1977
Paese: Francia, Svizzera
Lingua: Inglese
Durata: 110 min
Tipologia: Metafilm
Genere: Drammatico, commedia, grottesco
Regia: Alain Resnais
Assistenti alla regia: Florence Malraux, Guy Pinon,
John Lvoff
Soggetto / dialoghi: David Mercer
Produttori: Klaus Hellwig, Yves Gasser, Yves Peyrot
Produttore esecutivo: Philippe Dussart
Produttori associati: Lise Fayolle, Juergen Hellwig
Società di produzione: Action Films, Citel Films, SFP, FR3
Distribuzione: C.C.F.C. Musiche: Miklós Rózsa
Fotografia: Ricardo Aronovich
Scenografia: Charles Merangel, Jacques Saulnier
Montaggio: Jean-Pierre Besnard, Albert Jurgenson
Costumi: Catherine Leterrier (design),
John Bates (guardaroba)
Trucco: Régine Havan, Victor Merinow, Michel Trigon,
Marie-Hélène Yasschenkoff
Suono: René Magnol, Jacques Maumont
Direzione artistica: Michel Breton, Jean-Claude Cabouret,
Daniel Pierre, Claude Serre
Interpreti e personaggi:
Dirk Bogarde: Claude Langham (avvocato cinico)
Ellen Burstyn: Sonia Langham (moglie adultera)
John Gielgud: Clive Langham (vecchio lamentoso)
David Warner: Kevin Woodford / Kevin Langham
(amante ingenuo / astrofisico)
Elaine Stritch: Helen Wiener (cougar bionda)
Danis Lawson: Dave Woodford (calciatore rubentino)
Samson Fainsilber: Il vecchio pagano
Cyril Luckham: Dottor Mark Eddington
Anna Wing: Karen
Kathryn Leigh Scott: Miss Boon (milf bruna sexy)
Joseph Pittoors: Un vecchio
Milo Sperber: Mr. Jenner
Piter Arne: Nils
Tanya Lopert: Miss Lister (milf rossiccia)
Riconoscimenti:
1977 - Seminci
Espiga de oro a Alain Resnais
1978 - Premio César
Miglior film a Alain Resnais
Migliore regia a Alain Resnais
Migliore sceneggiatura originale a David Mercer
Migliore scenografia a Jacques Saulnier
Miglior montaggio a Albert Jurgenson
Miglior sonoro a René Magnol e Jacques Maumont
Miglior colonna sonora a Miklós Rózsa
Nomination Migliore fotografia a Ricardo Aronovich
1977 - New York Film Critics Circle Award
Miglior attore protagonista a John Gielgud
Anno: 1977
Paese: Francia, Svizzera
Lingua: Inglese
Durata: 110 min
Tipologia: Metafilm
Genere: Drammatico, commedia, grottesco
Regia: Alain Resnais
Assistenti alla regia: Florence Malraux, Guy Pinon,
John Lvoff
Soggetto / dialoghi: David Mercer
Produttori: Klaus Hellwig, Yves Gasser, Yves Peyrot
Produttore esecutivo: Philippe Dussart
Produttori associati: Lise Fayolle, Juergen Hellwig
Società di produzione: Action Films, Citel Films, SFP, FR3
Distribuzione: C.C.F.C. Musiche: Miklós Rózsa
Fotografia: Ricardo Aronovich
Scenografia: Charles Merangel, Jacques Saulnier
Montaggio: Jean-Pierre Besnard, Albert Jurgenson
Costumi: Catherine Leterrier (design),
John Bates (guardaroba)
Trucco: Régine Havan, Victor Merinow, Michel Trigon,
Marie-Hélène Yasschenkoff
Suono: René Magnol, Jacques Maumont
Direzione artistica: Michel Breton, Jean-Claude Cabouret,
Daniel Pierre, Claude Serre
Interpreti e personaggi:
Dirk Bogarde: Claude Langham (avvocato cinico)
Ellen Burstyn: Sonia Langham (moglie adultera)
John Gielgud: Clive Langham (vecchio lamentoso)
David Warner: Kevin Woodford / Kevin Langham
(amante ingenuo / astrofisico)
Elaine Stritch: Helen Wiener (cougar bionda)
Danis Lawson: Dave Woodford (calciatore rubentino)
Samson Fainsilber: Il vecchio pagano
Cyril Luckham: Dottor Mark Eddington
Anna Wing: Karen
Kathryn Leigh Scott: Miss Boon (milf bruna sexy)
Joseph Pittoors: Un vecchio
Milo Sperber: Mr. Jenner
Piter Arne: Nils
Tanya Lopert: Miss Lister (milf rossiccia)
Riconoscimenti:
1977 - Seminci
Espiga de oro a Alain Resnais
1978 - Premio César
Miglior film a Alain Resnais
Migliore regia a Alain Resnais
Migliore sceneggiatura originale a David Mercer
Migliore scenografia a Jacques Saulnier
Miglior montaggio a Albert Jurgenson
Miglior sonoro a René Magnol e Jacques Maumont
Miglior colonna sonora a Miklós Rózsa
Nomination Migliore fotografia a Ricardo Aronovich
1977 - New York Film Critics Circle Award
Miglior attore protagonista a John Gielgud
Trama:
Un vecchio scrittore dilaniato dai dolori del cancro si ingozza di paté e di tartufi, ingurgitando ettolitri di vino bianco per favorire la discesa della massa di cibi verso la loro destinazione infera. Bagordi che di certo gli fanno onore e che non esiterei a ritenere un modello da imitare, se non fosse che ad ogni sorso il vegliardo se ne esce con insopportabili lamentele. Il film procede tra una colica e l'altra. Un po' come la mia esistenza. Un monologo querulo e incoerente, quasi un flusso di coscienza, che si fa immensa fatica a separare dalle caotiche sequenze della storia plasmata da quel singolare demiurgo. Assistiamo così al processo al giovane biondiccio Kevin Woodford, un soldato che ha avuto una disavventura durante un pattugliamento in un bosco. Nei pressi di un monumento megalitico si è imbattuto in un vecchio pagano con sembianze licantropesche, dalle unghie adunche e dal naso coperto di pelame stopposo. Il pagano, che era ferito in modo grave e implorava una rapida morte, viene preso in simpatia da Kevin e abbattuto all'istante con una fucilata. È per questo che l'uccisore, convinto assertore dell'eutanasia, subisce un processo civile. Cosa un po' singolare: non dovrebbe essere giudicato da un tribunale militare? L'accusatore del giovane soldato è un avvocato odioso e di un cinismo disumano, Claude Langham, che fa di tutto per ottenere una sentenza di condanna. Herr Josef Mengele potrebbe dargli lezioni di etica. Nonostante questi sforzi l'accusato viene assolto, con grande gioia di Sonia, la libidinosa e adultera moglie dell'arrogante leguleio. Presto si arriva a capire meglio la situazione: il cornuto Claude è proprio il figlio dello scrittore vegliardo e corroso dalle metastasi! A rendere più insopportabile l'umiliazione del becco è il fatto che la splendida e statuaria Sonia ha scelto come partner sessuale proprio il biondiccio Kevin! Peccato che l'ardore dell'adultera non sia ricambiato: l'oggetto del suo desiderio è freddo come un pezzo di marmo, insensibile alle lusinghe femminili. È capace di allontanarla mentre cerca di fargli un pompino. Respinge la sua bocca lasciva per parlare di astronauti e di stelle alla deriva nello spazio profondo. Al massimo glielo avrà infilato nel vaso procreativo, senza alcun entusiasmo, solo per placare la sua insistenza. Claude, folle di gelosia, cerca di uccidere il rivale e di affermare i suoi legittimi diritti di marito. Tutto procede nella confusione più totale e soltanto verso la fine della narrazione è concesso allo spettatore di trovare il bandolo della matassa e di comprendere davvero qualcosa. Si capisce allora che questo non è un semplice film: è un metafilm.
Un vecchio scrittore dilaniato dai dolori del cancro si ingozza di paté e di tartufi, ingurgitando ettolitri di vino bianco per favorire la discesa della massa di cibi verso la loro destinazione infera. Bagordi che di certo gli fanno onore e che non esiterei a ritenere un modello da imitare, se non fosse che ad ogni sorso il vegliardo se ne esce con insopportabili lamentele. Il film procede tra una colica e l'altra. Un po' come la mia esistenza. Un monologo querulo e incoerente, quasi un flusso di coscienza, che si fa immensa fatica a separare dalle caotiche sequenze della storia plasmata da quel singolare demiurgo. Assistiamo così al processo al giovane biondiccio Kevin Woodford, un soldato che ha avuto una disavventura durante un pattugliamento in un bosco. Nei pressi di un monumento megalitico si è imbattuto in un vecchio pagano con sembianze licantropesche, dalle unghie adunche e dal naso coperto di pelame stopposo. Il pagano, che era ferito in modo grave e implorava una rapida morte, viene preso in simpatia da Kevin e abbattuto all'istante con una fucilata. È per questo che l'uccisore, convinto assertore dell'eutanasia, subisce un processo civile. Cosa un po' singolare: non dovrebbe essere giudicato da un tribunale militare? L'accusatore del giovane soldato è un avvocato odioso e di un cinismo disumano, Claude Langham, che fa di tutto per ottenere una sentenza di condanna. Herr Josef Mengele potrebbe dargli lezioni di etica. Nonostante questi sforzi l'accusato viene assolto, con grande gioia di Sonia, la libidinosa e adultera moglie dell'arrogante leguleio. Presto si arriva a capire meglio la situazione: il cornuto Claude è proprio il figlio dello scrittore vegliardo e corroso dalle metastasi! A rendere più insopportabile l'umiliazione del becco è il fatto che la splendida e statuaria Sonia ha scelto come partner sessuale proprio il biondiccio Kevin! Peccato che l'ardore dell'adultera non sia ricambiato: l'oggetto del suo desiderio è freddo come un pezzo di marmo, insensibile alle lusinghe femminili. È capace di allontanarla mentre cerca di fargli un pompino. Respinge la sua bocca lasciva per parlare di astronauti e di stelle alla deriva nello spazio profondo. Al massimo glielo avrà infilato nel vaso procreativo, senza alcun entusiasmo, solo per placare la sua insistenza. Claude, folle di gelosia, cerca di uccidere il rivale e di affermare i suoi legittimi diritti di marito. Tutto procede nella confusione più totale e soltanto verso la fine della narrazione è concesso allo spettatore di trovare il bandolo della matassa e di comprendere davvero qualcosa. Si capisce allora che questo non è un semplice film: è un metafilm.
Recensione:
Devo essere onesto e franco: a me il metafilm di Resnais non è piaciuto un granché. Non ha l'aria di essere questo gran capolavoro. Certo, all'inizio sembrava interessante - in modo blando, s'intende. Era partito con una musica coinvolgente e con sequenze cupe. Presto ho cominciato a non capirci più nulla, tanto che a un certo punto sono arrivato a una disarmante conclusione: "Fa schifo". Solo alla fine, dopo aver sopportato una lunga sofferenza dello spirito nel tentativo di dare un ordine logico alle sequenze, tutto mi è stato chiaro e ho potuto credere di non aver gettato via il mio tempo. Tutte le azioni, tutte le parole dei personaggi erano soltanto laide invenzioni del vegliardo demiurgo. Invenzioni in grado di operare una distorsione totale degli stessi personaggi secondo le aspettative del narratore, a cui avrebbe giovato un flusso di morfina. Quando ho compreso tutti gli arcani, ho rivalutato un po' l'opera del regista francese. Si badi bene, soltanto un po', non molto. I personaggi sono a dir poco deprimenti e quasi sempre privi di spessore. Dire che sono posticci sarebbe ancora far loro un complimento. Alcuni sono proprio insopportabili, proprio perché sono soltanto simulacri. Prendiamo per esempio il sedicente fratello di Kevin: è un
calciatore con la maglietta bianconera della Rubentus e frulla per una buona metà della pellicola,
senza un minuto di sosta. La cosa, dirò, mi ha dato non poco sui nervi. Per fortuna sparisce di colpo. Una presenza senza costrutto, una scomparsa senza significato. Poi c'è la segretaria, una milf rossiccia che incensa il vecchio scrittore demiurgico, dicendo che è un uomo eccezionale, che è andata a letto con lui e gli ha concesso il proprio corpo. Si capisce lontano un miglio che è stata pagata dall'interessato per dire queste cose. Ecco alla fine svelata la verità sul biondiccio Kevin: è proprio il figlio naturale (riconosciuto) del vetusto e querulo Clive Langham, quindi è il fratellastro dell'avvocato, Claude. I due condividono la metà del corredo genetico paterno, sono germogliati dalla stessa sburra ma da diversi marchesi. Eppure, tra tante banalità, sorge qualche perla, come quando l'architetto della metanarrazione, in preda all'ennesima crisi di dolore, afferma una grande verità: "E là, nel gelido Universo, c'è il Nulla".
Incesto subliminale
Il vegliardo demiurgo è morboso. Non può sopportare che il proprio figlio sia un avvocato di successo in buona sostanza privo di vizi, così lo snatura, lo rende turpe e odiosissimo. Non può sopportare che il figlio abbia una moglie fedele che lo ama, così la trasforma in una Messalina e le fa concupire il fratellastro del legittimo consorte. Lo scrittore si duole di non poterle attribuire un fratello carnale - altrimenti l'avrebbe fatta strisciare ai suoi piedi mendicando una fellatio. Vorrebbe essere lui a penetrare la nuora, una donna castana e statuaria. Vorrebbe farle conoscere il proprio sperma e far sì che proprio figlio sia reso becco nel peggiore dei modi, il più umiliante di tutti. Non riuscendoci, si vendica in modo guittesco. "Ti piace come mastica?", chiede Claude alla moglie, alludendo a Kevin intento a ingurgitare badilate di fagioli. "Mi interessa di più come fòrnica", risponde lei, con aria di sfida. Questa battuta è tutto quello che il vecchio genio riesce a metterle in bocca. Le perverse risorse di Clive Langham non finiscono qui. Prende Molly, la propria moglie malata di cancro e morta suicida, e la trasforma nell'amante del proprio figlio Claude. Mostruoso. Prende questa cougar bionda e ormai vizza, facendo sì che apra le gambe per il proprio figlio, consumando copule incestuose. Com'è ovvio, tutte queste cose non le si vede in modo esplicito, sono lasciate all'immaginazione, eppure formano come una cappa innaturale di tensione che perseguita lo spettatore.
Cosa rappresenta il pagano ferito?
Una cosa mi ha colpito: la figura distorta e sofferente del vecchio pagano. Quella creatura licantropesca che emerge dalle profondità del bosco è quanto di più enigmatico possa esserci. Negli Stati Uniti d'America mancano molte cose che a noi in Europa sono familiari. Non ci sono nobili, non ci sono castelli e non ci sono resti di una civiltà megalitica come quella che ha eretto il cerchio di Stonehenge. Se qualcuno dice di essere un nobile negli States, o è un impostore o è un esule. I castelli degli States sono tutti finti, a quanto ne so: spesso sono fatti di cartapesta e si trovano nei parchi tematici. Cosa ci fa dunque un antico monumento megalitico in pieno New England, in un bosco attorno a Providence? Non è dato sapere. Poi, verso la fine del film, prima dell'epilogo, vediamo che Kevin si trasforma nel fisico fino a somigliare al pagano. Gli crescono peli scuri sul volto e sul naso, una vera e propria barba nasale che lo rende quasi uno wookie. A questo punto si comprende che nella laida fantasia di Clive Langham, il figlio illegittimo Kevin rappresenta una sorta di senso di colpa in grado di assumere l'aspetto di un mostro. Una presenza incubica che non lo abbandona. Tanto più che anche la ferita ha una sua logica: il cinico Claude, impazzito dalla gelosia, spara al fratellastro. Ecco come è nata la ferita. Il pagano è ancora Kevin invecchiato, che si è impupato nel monumento megalitico per poi emergere in decadenza e in sfacelo, solo per finire ucciso dal se stesso più giovane. Soppressione di un proprio doppione, paradossi temporali stridenti e mulinelli nel tempo!
Kevin, un santo manicheo
A un certo punto si capisce che l'universo interiore del biondiccio Kevin è ricchissimo. Egli non è una creatura di questo mondo. Il suo problema è che non reagisce agli stimoli. La realtà esterna gli fa talmente orrore che ne rimane traumatizzato, così si chiude a riccio. Fa una grande fatica ad esprimersi, usa le parole con grande parsimonia. Così il suo silenzio ostinato può essere scambiato per mancanza di spessore. A un certo punto se ne esce a dire qualcosa di sconcertante: "Magari in un altro periodo della Storia me la sarei cavato bene come santo... di quelli che poi finivano sul rogo". Il riferimento ai Catari è palese e inaspettato. Non è infatti una banalità. Chi ha scritto i dialoghi (non penso che sia farina del sacco del regista) doveva conoscere la storia dei Buoni Uomini. Il finale ci mostra Kevin nelle sue vesti di scienziato asettico, nella sua perenne calma serafica, nella sua totale assenza di passioni. Ogni accenno di rivolta contre il mondo e contro la vita sembra essersi sopito. Forse è stato il tormentato Clive Langham a introdurre in lui una scintilla di anticosmismo?
Il Borghese e la Rivoluzione
Il vegliardo demiurgo discute spesso col figlio della natura della borghesia. Afferma cose sconcertanti a questo proposito. Quando era giovane, si diverte a raccontare, era affascinato dal bolscevismo. Poi si è ritratto inorridito da questo suo esperimento stravagante: a fargli paura non era tanto la Rivoluzione, erano i rivoluzionari. Uomini concreti, non idee. Uomini che avrebbero potuto identificarlo come un nemico e annientarlo. Forse possiamo scorgere echi della sua esperienza politica nelle scene che mostrano prigionieri in uno stadio adibito a campo di concentramento, destinati alla fucilazione. Sono scene che sembrano incarnare le paure più recondite dello scrittore: i rivoluzionari passati all'azione, lui e i suoi cari etichettati come nemici del Popolo, destinati all'esecuzione. L'associazione che fa capolino nella mia mente è istantanea ma capovolge tutto: lo stadio il golpe militare avvenuto in Cile nel 1973, dove però ad essere torturati e uccisi furono proprio i comunisti. La morale potrebbe essere questa: tutto ciò che è derivato dall'idealismo di Hegel è un punto su una circonferenza, e su una circonferenza gli estremi coincidono. Riporto un dialogo che mi sembra interessante.
Il padre dice:
"Il borghese è semplicemente un uomo che rifiuta di accettare le novità ideologiche ".
Il figlio ribatte:
"Il borghese è semplicemente un uomo che vede nelle novità ideologiche la distruzione dei suoi valori. E forse anch'io lo sono... Non so se i miei valori siano veri o falsi, ma sono le strutture morali entro cui posso vivere".
Il padre chiede:
"L'unico problema è, mio caro ragazzo, quali sono?"
Il figlio risponde:
"Onestà, scrupolosità, discernimento, comprensione, tenerezza, avversione alla violenza e all'esercizio cosciente del terrore."
La moglie del figlio obietta:
"Ma non sono monopolio della borghesia!"
Il padre esclama:
"E poi non capisco come si possano confondere le virtù private con la giustizia pubblica! Sei ingenuo o solo ipocrita?!"
Immagino di introdurmi nel dialogo con una citazione del Capitano di Monaco:
"Poiché sono un uomo immaturo e perverso, sono più attratto dai disordini e dalla guerra che dal buon ordine borghese".
Com'ebbe più volte a dire il militare tedesco, i valori borghesi gli davano i conati di vomito. Per sentire in sé e condividere la sua rabbia, basta ascoltare il melenso discorso del leguleio Claude Langham.
Mentre si svolge il dibattito sulle classi sociali, in sottofondo cinguettano gli usignoli e i pettirossi. Si sente anche il monotono canto di un cuculo. Tutti uccelli euroasiatici e africani, che non si trovano affatto nelle Americhe.
Echi di Lovecraft
Ovviamente il titolo del metafilm, Providence, trae origine proprio dalla cittadina del New England che diede i natali al Grande Solitario, Howard Phillips Lovecraft (1890 - 1937). L'allusione è triplice. Oltre a essere il luogo d'origine di Lovecraft, Providence è proprio il nome della dimora signorile del vegliardo demiurgo Clive Langham. Nel suo significato di "Provvidenza", indica anche il controllo che egli esercita sui membri della propria famiglia, trasformati in meri pupazzi. La natura di questo controllo è più prossima al concetto pagano di Fato che al concetto cristiano di Provvidenza divina, proprio per la sua natura ineluttabile. Qui si insinua una stridente contraddizione a livello lessicale. L'universo di Lovecraft non conosce alcuna presenza ordinatrice e morale di un essere superiore, a cui si possa attribuire l'epiteto di "Provvidenza": il genere umano è in balia degli Elementi e delle Potenze del Caos, che possono cancellarlo in qualunque istante. La colonna sonora evoca ambientazioni funeree. Vi sono scorci urbani con case di color mattone da cui sembra irradiare l'ontologia stessa della Decadenza. La scena più interessante è senza dubbio quella dell'autopsia del vecchio pagano. Il suo cadavere giallastro, steso sul tavolo operatorio, è dissezionato come la carcassa di un pollo, ridotto a un oggetto senza valore da gettare nell'immondizia una volta concluso l'esame autottico. Resnais ordinò a Jaques Saulnier, che si occupava del set, di leggere l'opera omnia di Lovecraft, perché l'idea stessa della Morte fosse trasfusa nella sfarzosa villa chiamata Providence. Una villa concepita dal regista come una tomba di famiglia!
Le opinioni di Resnais sul suo metafilm
Il regista fornì una chiave interpretativa della propria opera, che appare forse un po' banale. Avrebbe forse fatto meglio a non parlarne neppure. Ecco un sintetico sunto. Tutto si fonda sull'egocentrismo del protagonista, anziano e malato, unita all'ostinazione con cui si oppone all'idea di morire. L'approssimarsi della morte degrada l'essere umano, gli fa perdere la ragione lo trasforma in un animale. Questo sarebbe il significato della figura del vecchio pagano, che ha perso quasi del tutto la propria umanità per diventare un licantropo - ma con ancora un barlume di coscienza, che è la causa della sua pressante richiesta di eutanasia. Le scene dello stadio adibito a campo di concentramento, più che evocare la dittatura di Pinochet o altri regimi autocratici, avrebbero la loro radice nella paura che il vecchio ha dei giovani, sempre ansiosi di gettarlo fuori dall'Esistenza per occupare il suo spazio. Eppure questa esegesi non mi convince del tutto, non spiega la profonda ferita aperta del protagonista e di coloro che lo circondano: la reputo insostanziale e simile a cibo insipido.
Curiosità varie
Questo è stato il primo film girato in inglese per Alain Resnais. Il regista francese non si trovava a proprio agio con la lingua di Albione, ma ebbe a dire che non riusciva a immaginarsi i dialoghi nel proprio idioma natio: "Non avrebbe funzionato in francese". Tuttavia in seguito i produttori lo costrinsero a fare anche una versione in francese. Furono impiegati doppiatori del calibro di Gérard Depardieu (Kevin), Claude Dauphin (Clive), François Périer (Claude), Nelly Borgeaud (Sonia) e Suzanne Flon (Helen).
Providence avrebbe dovuto essere girato proprio nel New England, ma presto si capì che i costi sarebbero stati proibitivi. Soltanto alcune riprese di esterni furono fatte a Providence e ad Albany negli Stati Uniti. Per il resto, il regista optò per ambientazioni europee come Bruxelles, Anversa e Lovanio. Gli interni sono stati girati a Parigi. Le scene del compleanno finale di Clive sono state girate al castello di Montméry ad Ambazac, vicino a Limoges (Francia). Capite ora perché gli uccelli che cantano in sottofondo non appartengono all'avifauna americana?
Cineforum Fantafilm
Il metafilm resnaisiano fu proiettato al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro il 29 ottobre 2010. Purtroppo non ho potuto essere presente, sarebbe stato interessante partecipare alla discussione. La scheda del film sul sito Fantascienza.com contiene passi degni di nota:
"... un vecchio scrittore trascorre una notte insonne in cui il mondo interiore si dilata e le proiezioni della sua fantasia diventano il commento di una civiltà in decadenza."
"... diretto magistralmente, interpretato da un quintetto di attori di classe, è un film impervio, geniale e affascinante come un labirintico gioco di specchi in cui i fantasmi dell'immaginario (e del subconscio) sono al fianco delle figure della realtà."
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