venerdì 6 settembre 2019


IL TERRORE DEI BARBARI

Lingua originale: Italiano
Paese di produzione: Italia
Anno: 1959
Durata: 85 min
Rapporto: 2,35 : 1
Genere: Peplum, (pseudo)storico, epico, trash
Regia: Carlo Campogalliani
Sceneggiatura: Gino Mangini, Emimmo Salvi, Nino Stresa,
      Giuseppe Taffarel
Produttore: Emimmo Salvi
Casa di produzione: Alta Vista, Standard Produzione
Fotografia: Bitto Albertini
Montaggio: Franco Fraticelli
Musiche: Carlo Innocenzi
Scenografia: Oscar D'Amico
Costumi: Giorgio Desideri, Giovanna Natili
Interpreti e personaggi*:
    Steve Reeves: Emiliano
    Chelo Alonso: Landa
    Giulia Rubini: Lidia
    Luciano Marin: Marco
    Livio Lorenzon: Igor
    Andrea Checchi: Delfo
    Bruce Cabot: Alboino
    Arturo Dominici: Svevo
    Furio Meniconi: Gensérico
    Carla Calò: madre di Bruno
    Fabrizio Capucci: Bruno
     *Alcuni personaggi sono stati rinominati nella versione in inglese: Emiliano è
      diventato Goliath, Landa è diventata Lynda, mentre Gensérico è diventato
      Hulderich.

Doppiatori originali:
    Emilio Cigoli: Emiliano
    Lydia Simoneschi: Landa
    Fiorella Betti: Lidia
    Giuseppe Rinaldi: Marco
    Renato Turi: Igor
    Gualtiero De Angelis: Delfo
    Bruno Persa: Alboino
    Nando Gazzolo: Svevo
    Nino Bonanni: Gensérico
    Dhia Cristiani: madre di Bruno
    Manlio Busoni: voce narrante 
Traduzioni del titolo: 
    Inglese: Goliath and the Barbarians

Trama:
Una labile cornice storica viene illustrata dalla voce del presentatore, proprio mentre parte una grottesca musichetta. Ecco il testo:


"Nell'anno 568 dopo Cristo, Alboino, Re dei Longobardi, calò in Italia dalla vicina Pannonia. Le orde barbariche, costituite da genti di razze diverse, che la bramosia di conquista teneva unite, dilagarono nella Penisola da Cividale del Frìuli (sic), portando ovunque la distruzione e la morte."  

Li si vede cavalcare, questi Longobardi - diciamo così -, tutti coperti di pelli quasi ridotte a brandelli. Cavalcano a spron battuto, gli zoccoli dei cavalli che fanno il rumore del tuono. I gonfalonieri reggono vessilli alquanto primitivi che lo spettatore fa molta fatica ad interpretare, sembrano graticole di ferro nero levate verso il cielo. Sono più simili a Mongoli che a Germani, in molti casi hanno il cranio rasato e un codino di capelli corvini intrecciati: è proprio il famoso bunchuk di Taras Bulba. Le orde si abbattono su Verona come uno sciame di locuste, distruggendo tutto al loro passaggio. Saccheggiano la villa del più importante notabile della città e lo uccidono a sangue freddo, trapassandolo con una lancia. Suo figlio, l'erculeo Emiliano, giura vendetta. Tratti in salvo i suoi famigliari conducendoli sui monti, guida una guerriglia contro gli invasori. Robusto rappresentante della stirpe di Maciste, sembra appartenere più all'antichità classica che a un Alto Medioevo non ancora compiutamente cristiano. Emiliano ha un grande ingegno: si traveste con pelli e si maschera in modo tale da apparire ai suoi sconvolti nemici come un licantropo. Riesce ad organizzare un'efficace resistenza e a diventare un vero e proprio flagello per Alboino, che ancora cerca invano di espugnare Pavia allo scopo di farne la propria capitale. Allo scopo di ricondurre all'ordine il regno appena conquistato, il Re dei Longobardi invia alla frontiera settentrionale un feudatario idiota, il brutale Igor, che è un vero e proprio gorilla. Questo scimmione demente è innamorato follemente di Landa, la bella e mora figlia dello slavo Delfo. Quello che l'energumeno desidera è subito chiaro. Intende innanzitutto sopprimere Delfo per prendersi Landa e farla sua. Lei però sa che il suo pretendente, a dispetto delle sembianze da gorilla, ha un esiguo falletto, un budellino moscio, mentre Emiliano ha un immenso Schwanzstücker, in grado di schiacciare le noci col glande! Queste femminee valutazioni sono per così dire la spina dorsale dell'opera di Campogalliani.  

Recensione:
Dire che questo è un film spazzatura è in buona sostanza un insulto al concetto stesso di immondizia di celluloide. Forse la parola più giusta per descriverlo è imbarazzante. Certo, il mondo in cui viviamo ci ha dato orrori indescrivibili e infamie infinite, ma simili porcherie pseudostoriche non le dobbiamo sopportare più. Forse è meglio doversi sorbire filmati sui glory holes e sul sesso oro-anale praticato da Madonna ad autentici gorilla, che essere costretti a vedere i propri Antenati ridotti a macchiette inverosimili esposte al pubblico ludibrio dei bruti. 

Anacronismi e incoerenze à gogo! 

Sul sito Bloopers.it si fa notare giustamente che è anacronistico il comando di Alboino: "No Igor, andrai a Milano per sottomettere i valvassori". Nel VI secolo non esisteva la carica feudale dei valvassori e neppure la stessa parola per indicarla (valvassore deriva dall'antico francese vavassor, che a sua volta è dal latino vassus vassorum "servo dei servi").

Va detto che lo stesso nome Igor è anacronistico: è un adattamento slavo del nome norreno Yngvarr, importato in Russia dai Variaghi. Nel VI secolo non poteva esistere nessuno tra i Longobardi o tra i popoli loro associati a portare un simile antroponimo. Semmai avrebbe dovuto essere *INGUARI, che tuttavia non sembra documentato da nessuna parte. Allo stato attuale delle mie conoscenze non mi risultano attestazioni di composti longobardi formati a partire dal nome di divinità che in protogermanico doveva suonare *Ingwaz, molto produttivo in Scandinavia. La forma gotica sarebbe scritta in ortografia wulfiliana *Iggwaharjis.

Gensérico nun ze po' sentì, come si direbbe nell'Urbe. La pronuncia in italiano corretto è Genserìco (chi diamine pronuncerebbe mai Teodòrico??). Si tratta di un nome tipico dei Vandali, portato da un loro condottiero nel V secolo, che devastò Roma un anno dopo che l'aveva visitata Alarico. Genserico (Gensericus, Geisericus, etc.) è un adattamento della forma originale vandalica, scritta più correttamente Geiseric e attestata ad esempio in Iordane. L'accento della forma nativa è sulla prima sillaba, che ha un dittongo o una vocale lunga. In gotico wulfiliano sarebbe scritto *Gaizareiks e significa "Principe del Giavellotto". In longobardo l'elemento *gaiza- "giavellotto, lancia" si era evoluto in gaire-, gari-, con tipico rotacismo della sibilante sonora -z- protogermanica, conservata invece nel germanico orientale (gotico, vandalico, burgundico, etc.). 

Quando Alboino chiama a gran voce alcuni suoi scagnozzi, c'è da ridere fragorosamente. Uno è Ario, un altro è Arìchi, un altro ancora porta un nome a malapena distinguibile che suona quasi Jabba! Non è difficile scorgere in Ario il nome del famoso eresiarca le cui dottrine ebbero grande diffusione tra molti popoli germanici. Non mi pare che fosse attestato il suo uso come antroponimo tra i popoli germanici che pure aderivano alla confessione Ariana del Crisitanesimo. Arichi è un nome longobardo (Arichis, Arechis), ma l'accento è collocato in modo erroneo sulla penultima sillaba.

Ralfo, Delfo, Svevo e Landa. Campogalliani doveva avere una forte predilezione per i nomi brevi. Svevo è chiaramente un nome etnico tratto dalla confederazione degli Svevi, quelli che già Cesare e Tacito chiamavano Suebi. Potrebbe avere un senso, anche se non mi pare che sia documentato. Gli altri nomi citati non hanno fondamento alcuno. A un certo punto Igor replica al Re Alboino a proposito di Delfo, dicendo: "È vecchio ed è slavo". Landa stessa afferma di avere sangue slavo. All'epoca in Italia si aveva un'idea abbastanza nebulosa dei popoli slavi e delle loro caratteristiche. Li si confondeva spesso e volentieri con gli Zingari (endoetnici Roma, Sinti, etc.). Così Landa incarna lo stereotipo della femme fatale zigana, una maliarda abbronzata e sensuale, con occhi e capelli scuri come la notte, esperta di arti magiche. 

Le orge della corte di Alboino sono forse un po' troppo sensuali, troppo moderne. Non so se con le pratiche igieniche dell'epoca avrebbe fatto molto piacere ai nobiluomini di un popolo germanico avere tante donne discinte a mettere i propri piedi nudi all'aria, spingendoli sotto il naso degli ospiti. Sarebbe oltremodo interessante poter disporre di seri trattati antropologici sul modo di concepire il corpo femmile e il potere attrattivo di ogni sua parte in un tempo in cui ci potevano essere seri ostacoli allo stesso concetto di Eros. Sporcizia, smegma, sudore. Certo, in qualche modo ci si lavava anche allora, ma non c'erano le saponette antibatteriche, credo che oltre all'acqua semplice ci fossero ben poche risorse, al massimo qualche erba come la pianta chiamata aro o qualche impasto di cenere e sego suino. Non dimentichiamoci che il tracollo igienico nella tarda Antichità ha causato la scomparsa della fellatio dall'Occidente - con l'eccezione di pochi casi più che altro collegabili a perverse disposizioni d'animo (volontà di infliggere umiliazione, etc.).

I Longobardi saccheggiano un mulino, inviati da Igor. Si mettono a caricare sacchi di cereali sulle spalle, ammucchiandoli in un carro rudimentale. Ecco che dalla grande dimora di pietra ove è collocato il mulino esce una donna urlante. Chiama suo figlio e gli urla che la loro famiglia è rovinata. Il nome del bambino è Bruno. Ebbene, Bruno è un nome germanico. L'errore commesso dallo sceneggiatore è lampante: egli parte dal patrimonio onomastico italiano contemporaneo e lo proietta all'infinito nel passato, senza alcun senso critico, pensando che possa valere l'idea di italianità eterna e immutabile contrapposta all'ignoranza e all'estraneità assoluta dei "Barbari" - concepiti come alieni piovuti sulla Terra da un altro pianeta, del tutto privi di qualsiasi contatto con alcunché di noto. 

Si deve dire Friùli, non Frìuli. Come ben risaputo, il toponimo è derivato da Forum Iulii. Un accento sulla prima vocale -i- è di per sé una vera e propria assurdità. La tradizione vuole che la pronuncia Frìuli, del tutto erronea, sia stata diffusa da un cronista di poca conoscenza all'epoca del grande terremoto del Friuli del 1976. Ecco, basta guardare il peplum trash di Campogalliani per rendersi conto che l'errore di pronuncia risale a un'epoca anteriore a quella del sisma. 

La leggenda dei Cinocefali 

Non si capisce come Emiliano avrebbe potuto ingannare i gloriosi Longobardi con un travestimento pacchiano da uomo-lupo (o piuttosto da uomo-cane). Infatti sono stati proprio i Longobardi ad escogitare, come ci narra Paolo Diacono, l'inganno dei Cinocefali. Per atterrire i loro nemici, in un'occasione avevano diffuso una diceria sinistra: nei loro accampamenti sarebbero stati ospitati mostri con corpo umano e testa di cane, assai bellicosi e avidissimi di sangue. Quindi un simile imbroglio, essendo noto a tutti fin dall'infanzia, non avrebbe provocato alcuno scompiglio tra il popolo di Alboino! Non dobbiamo mai immaginare, come ha fatto Campogalliani, che i nostri Progenitori fossero più primitivi di noi nell'immaginazione: lo erano soltanto nei mezzi tecnologici! 

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