venerdì 22 maggio 2020

AZZO BASSOU, UN CASO DI MICROCEFALIA O SOPRAVVIVENZA DI HOMO ERECTUS?

 
Marocco, Anno del Signore 1931. Una spedizione archeologica giunta nell'oasi di Sidi Fellah, a sud di Marrakesh, venne a sapere dell'esistenza di un individuo bizzarrissimo, che le genti del luogo chiamavano Azzo Bassou (nome che alcuni a torto credono un epiteto traducibile con "Uomo Bestia"). Quest'uomo così interessante viveva in una spelonca nelle Gole di Dadès, non lontano dalla città di Skoura. Non fu facile incontrarlo, dato che non amava la compagnia di altre persone. I suoi tratti somatici erano privi di corrispondenza con qualsiasi gruppo umano noto. Aveva fronte sfuggente, naso prominente, arcate sopracciliari molto pronunciate, mandibola sporgente, mento appena abbozzato. Era considerato un subnormale, un "idiota selvaggio" che girava nudo: i pochi abiti che indossava in alcune fotografie gli sono stati dati per non urtare la suscettibilità morale degli europei. Secondo quanto è riportato, la sua dieta era tipica di un cacciatore-raccoglitore: consisteva soltanto di carne cruda e insetti. Utilizzava pochi utensili di fattura grossolana, che produceva da sé utilizzando pietre. Attrezzi musteriani in pieno XX secolo! Il suo linguaggio era stentato e comprendeva un numero assai limitato di parole, per giunta quasi tutte incomprensibili e descritte come suoni gutturali. Non sono riuscito a reperire il nome di chi partecipò alla spedizione del 1931. Posso soltanto dire che la stampa venne a conoscenza della notizia e la diffuse. Si parlò di Azzo Bassou come di un neanderthaliano vivente o del famoso anello mancante tra uomo e scimmia, anche se nel complesso il mondo scientifico mostrò una totale assenza di interesse nei suoi confronti. Questo stranissimo caso è riportato in svariate fonti facilmente reperibili nel Web (tutte più o meno riconducibili a quanto descritto in Bürgin, 2016).

 
Il ricordo della stessa esistenza di Azzo Bassou si sarebbe facilmente perso nell'Oblio, se non fosse stato per lo scrittore francese Jean Boullet (Parigi, 1921 - Algeri, 1970), che nel 1956 organizzò una spedizione nella Vallée du Dadés. Non senza sorpresa, Boullet poté constatare che il singolare individuo era ancora in vita, così riuscì ad incontrarlo e a scattargli una fotografia. Anche l'archeologo e antropologo francese Marcel François Raphael Homet (Rochefort-sur-Mer, 1897 - 1982) si era interessato al caso: aveva visitato Azzo Bassou nel 1942, scattandogli diverse foto e pubblicando nello stesso anno un articolo di 7 pagine, intitolato "Azzo: homme vivant du néanderthal?". L'articolo è consultabile sul sito dell'Università di Coimbra. Ecco i link delle sue pagine:
 
 
 
 



 
Homet scrisse ancora di questo argomento nel 1963 nel suo libro Les fils du soleil (I figli del sole), che parlava di civiltà perdute sudamericane. 
 
Nell'agosto del 1971 una nuova spedizione, questa volta italiana, si è recata in Marocco meridionale sulle tracce di Azzo Bassou. Ad organizzarla è stata l'Associazione di Studi Preistorici Internazionali (ASP). Ne facevano parte Mario Zanot, Renzo Franco, Roberto Czeppel, Marco Marchetti e l'archeologo Alfres Guillet (Fonte: Hausdorf, 2012). Dopo un lungo e difficile viaggio, gli studiosi furono ospitati dal capo di una tribù locale. Questi disse loro che Azzo era ormai morto e indicò il luogo della sua sepoltura, che era proprio la caverna in cui era sempre vissuto. Vietò tuttavia di esumare e di studiare le ossa, che per qualche superstizioso motivo considerava "intoccabili", termine eufemistico per dire "sacre", "tabù". Il capo fornì comunque a Zanot e ai suoi compagni un'informazione interessante, dichiarando che Azzo aveva due sorelle, Hisa e Herkaia. Queste erano ancora in vita e "costrette a sbrigare lavori pesanti", ossia tenute in condizioni di schiavitù. Si dice che nello stesso anno della spedizione, alcune foto delle due donne siano state pubblicate da Peter Kolosimo in un suo libro, ma non si riesce a trovare in alcun modo il riferimento. Dal momento che nelle opere di Kolosimo non sembrano trovarsi le foto in questione, è stato persino supposto che siano state rimosse dalle edizioni oggi disponibili. Trovo piuttosto macchinosa questa spiegazione, dato che non si capirebbe il motivo della rimozione. Non mi risulta che queste foto siano presenti nel Web. Non le si trova da nessuna parte. Nei vari siti si menziona una "somiglianza innegabile" di Hisa e Herkaia con Azzo, ma questa affermazione non è sostanziata da alcuna prova concreta. Eppure viviamo in un'epoca in cui tutti chiedono le fonti per ogni minima cosa. Non mi risulta nemmeno che in seguito siano stati fatti tentativi di ritrovare le due sorelle e di accertare la loro parentela con lo scomparso "anello mancante". 

 
A distanza di tanto tempo dai fatti che ho esposto, gli animi non si sono calmati. Semmai si sono esacerbati. Nei forum del Web fervono le discussioni sul mistero di Azzo Bassou. La maggior parte dei frequentatori di questi portali è dell'idea che il cavernicolo del Dadès fosse un uomo di Neanderthal (Homo neanderthalensis). Altri affermano che fosse invece un uomo di Denisova, un ominide strettamente imparentato con l'uomo di Neanderthal, i cui scarsi resti sono stati rinvenuti in Siberia. Per quanto ne so, l'uomo di Denisova, detto anche denisovano (e da alcuni denisoviano), non è ancora provvisto di un nome scientifico. Oltre alle due fazioni, quella che chiama Azzo "l'ultimo Neanderthal" e quella che lo chiama "l'ultimo uomo di Denosova", esistono ovviamente gli scettici, i pedanti neopositivisti pierangelisti, che sono convinti di aver a che fare con un semplice esemplare di Homo sapiens affetto da microcefalia. Quando pubblicai una foto di Azzo Bassou in un gruppo di Facebook, anni fa, fui aggredito da un utente che mi chiese perché avevo postato la foto di un "povero microcefalo"
 
Chiaramente non abbiamo a che fare con un esemplare di uomo di Neanderthal (Homo neanderthalensis), dato che sono assenti molte caratteristiche fisiche di quella specie. Non dobbiamo dimenticarci che l'uomo di Neanderthal aveva una capacità cranica uguale o addirittura superiore alla nostra. Va anche ricordato che in Africa non sono mai stati rinvenuti resti dell'uomo di Neanderthal e neppure dell'uomo di Denisova: verosimilmente le due specie non hanno mai abitato quelle vaste terre. Nelle attuali popolazioni dell'Africa Subsahariana manca ogni traccia di materiale genetico denisovano; se pure vi esiste qualche traccia di materiale genetico neanderthaliano, ciò si deve al movimento demico denominato Back to Africa, che portò genti dell'Europa neolitica a stabilirsi nel Continente Nero. Azzo aveva invece tutte le caratteristiche di un ominide ancora più arcaico, con scarsa capacità cranica. Sono convinto che si tratti di un'estrema sopravvivenza di Homo erectus. Un pitecantropo nel XX secolo, e la Scienza si è lasciata sfuggire questa scoperta eccezionale! 
 
 
Un perduto ominide d'Africa 
 
Se Homo sapiens è di origine africana e dal Continente Nero si è diffuso nel mondo, è altrettanto vero che nel corso delle sue molteplici migrazioni si è ripetutamente incrociato con svariate specie di ominidi. Questo però non è avvenuto soltanto al di fuori dell'Africa: l'ibridismo è presente fin dalla più remota preistoria. L'intero passato del genere umano è una colossale orgia! A quanto è stato accertato, l'8% del genoma degli Yoruba proviene da un ominde estinto, di cui non abbiamo tracce fossili. Nel Web si trova molto materiale per approfondire la questione.  
 
 
Non è quindi improbabile che nelle impervie montagne del Nordafrica sia sopravvissuto fino a tempi recenti qualche gruppo di ominidi di specie diversa dalla nostra. 
 
 
Le lingue degli ominidi

Allo stato attuale delle cose non sono state trovate lingue primitive in alcun gruppo umano del pianeta. Anche le lingue dei popoli più arretrati tecnologicamente, come i Tasmaniani, gli Andamanesi e i Fueghini, sono molto complesse e ben articolate. Non siamo mai riusciti a identificare i primi vagiti del linguaggio umano e a capire come si sia formato. La sola speranza che abbiamo è quella di scoprire una specie di ominidi in qualche angolo sperduto del pianeta. In Indonesia circolano voci insistenti sull'esistenza di un essere scimmiesco chiamato orang pendek, ossia "uomo piccolo", che potrebbe essere una forma superstite di Homo erectus o di qualche altra specie di uomo arcaico, come ad esempio Homo floresiensis. Sarebbe di somma utilità scoprirlo prima che l'intera foresta sia annientata per far posto alla produzione di olio di salma, pardon, di palma. 
 
Pseudoscienza, memetica e microcefalia 
 
Il caso di Azzo Bassou non è un fake, come spesso si legge nel Web. L'articolo di Homet è reale, come reali sono le foto. Non credo proprio che il sito dell'Università di Coimbra ospiti articoli farlocchi e simili. Non è stato inventato nulla. Che poi le opinioni di Homet siano superate e confuse, questo è un altro paio di maniche. L'argomento non appartiene al vasto reame della pseudoscienza. Il mondo scientifico ha il dovere di approfondire la questione ed è molto deludente che parta invece da opinioni preconcette, tentando di imporle come se fossero dogmi religiosi. Allora lancio la mia sfida: si prendano mille foto di individui microcefali e le si pubblichi una accanto all'altra. Tra queste, ci siano numerose foto di individui microcefali nati in nazioni nordafricane. Si confrontino i caratteri somatici di tutti questi individui con quelli di Azzo Bassou. Per quanto ne so, i microcefali della specie Homo sapiens non presentano caratteristiche somatiche comuni a quelle del cavernicolo di Dadès. Inutile dire che tali confronti non sono stati fatti. Duole constatare che il metodo scientifico non sia applicato da chi dovrebbe propugnarlo.  
 
Il dilemma dei Morti e la fine della disputa  

C'è un solo modo definitivo per risolvere la questione: recuperare i resti mortali di Azzo e fare un'analisi del genoma. Soltanto così si potrà avere certezza, e il mondo scientifico dovrà accettare i risultati, quali che essi siano. Se dovesse risultare che il genoma è interamente di Homo sapiens, farei ovviamente le mie tesi sull'estrema sopravvivenza di Homo erectus. Tuttavia, se il genoma fosse di Homo erectus, il mondo scientifico dovrebbe prenderne atto e smetterla di cianciare di microcefalia. Sarebbe un vero e proprio Giudizio di Dio. Un'ordalia. Si pone a questo punto un dilemma. È lecito profanare il sonno dei Morti? Essi bramano la tenebra e la quiete. Rifuggono dall'esposizione all'atroce luce solare. Forse sarebbe misericordioso lasciar perdere, rinunciare a tormentare chi dorme, sperando che si offra una migliore occasione per far tacere i pierangelisti. 

Etimologia di Azzo Bassou 

Azzo Bassou è un nominativo marocchino in piena regola, formato da un nome (Azzo) e da un cognome (Bassou). Il nome Azzo è arabo ed è traducibile con "Fortuna", "Gioia", "Piacere". 

Etimologia:

Dalla radice ح ظ ظ‎ (ḥ-ẓ-ẓ).
Sostantivo:

حَظّ (ḥaẓẓ) m., plurale حُظُوظ‎ (ḥuẓūẓ

Significati:
1) divisione, porzione, quantità (specialmente di qualcosa di buono);
2) fortuna, buona fortuna;
3) godimento, piacere.

Bassou è un cognome marocchino, abbastanza diffuso, che ricorre anche in Algeria e in Chad. 


Marocco
Incidenza: 4.533
Frequenza: 1/7.606

Algeria
Incidenza: 1.975
Frequenza: 1/19.560

Chad
Incidenza: 278
Frequenza: 1/37,178
 
Chi ha tradotto Azzo Bassou con "Uomo Bestia" ha creato una falsa informazione, un fake, un pacchetto memetico che purtroppo continua a vivere nel Web.

mercoledì 20 maggio 2020

IL MISTERO DEL DODECAEDRO ROMANO

Descrizione del tipo di manufatto: 
    dodecaedro (solido con 12 facce pentagonali); 
    in rari casi è un icosaedro (solido con 20 facce triangolari).  
Nomi convenzionali del manufatto:
    dodecaedro romano, dodecaedro gallo-romano.
Materiale: bronzo, più raramente pietra. 
Caratteristiche:
    i) le facce presentano un foro circolare, più raramente ellittico; 
    ii) in alcuni casi si hanno facce senza fori, con solo decorazioni; 
    iii) le dimensioni dei fori possono essere diverse da una faccia
    all'altra;
    iv) ogni vertice presenta uno spuntone arrotondato;
    v) alcuni dodecaedri sono privi di spuntoni.
Dimensioni: da 4 a 11 cm.
Epoca: dal I al IV secolo d.C.
Numero di rinvenimenti: più di 100 (116 nel 2013).
Luoghi dei rinvenimenti: Gallia (Celtica, Belgica, Narbonese),
    Germania, Elvezia, Britannia, Pannonia. 
Luoghi con maggior numero di rinvenimenti: Gallia (Celtica,
    Belgica), Germania.
Luoghi di rinvenimenti non confermati: Italia orientale, Spagna.
Epicentro della diffusione: Renania
Rinvenimenti atipici: due icosaedri trovati in Egitto.
Rinvenimenti erratici: alcuni dodecaedri d'oro trovati nel Sud-est
    asiatico (Tailandia, Birmania).
Anno del primo rinvenimento: 1739 (Fonte: Guggenberger, 2013)  
Luogo del primo rinvenimento: Aston, Inghilterra (Fonte:
    Guggenberger, 2013) 
Nome dato dai Romani al manufatto: sconosciuto. 
Menzioni nella letteratura antica: assenti.
Raffigurazioni nell'arte antica: assenti.
Funzione del manufatto: sconosciuta.  
 
 
Ipotesi sull'uso del dodecaedro gallo-romano: 
 
1) Tipo di proiettile per i frombolieri. La forma del dodecaedro gli avrebbe garantito un impatto particolarmente distruttivo.   
     Obiezioni: 
i) Il manufatto è stato trovato spesso in ambiti non militari (ad esempio domestici);
ii) Non si capisce perché realizzare proiettili cavi, quindi più leggeri;
iii) Il metallo utilizzato sarebbe stato probabilmente il piombo, molto denso e più economico del bronzo; 
iv) Se fosse stata un'arma tanto mirabile, il suo uso non sarebbe stato limitato ad alcune parti dell'Impero.
 
2) Strumento per la fabbricazione delle armi. Secondo John Ladd, ingegnere in pensione, il dodecaedro sarebbe servito per stabilire la dimensione ideale delle armi e la loro miglior geometria, in particolare dei proiettili per le fionde. Allo scopo il dodecaedro sarebbe stato immerso in uno speciale olio, che avrebbe permesso di calcolare la deviazione della traiettoria dei proiettili.
    Obiezioni:
i) Il manufatto è stato trovato spesso in ambiti non militari (ad esempio domestici);
ii) Uno strumento tanto mirabile non sarebbe stato limitato nel suo uso ad alcune parti dell'Impero;
iii) Se si trattasse di uno strumento di misura, le sue dimensioni sarebbero standardizzate, come pure la sua forma e altre caratteristiche;
iv) L'ipotesi è eccessivamente cervellotica.  
 
3) Strumento per misurare le distanze. Secondo la professoressa Amelia Carolina Sparavigna (Politecnico di Torino), il dodecaedro sarebbe stato particolarmente utile nell'ambito dei rilevamenti militari. Secondo Giuseppe Sgubbi, archeologo dilettante, il dodecaedro sarebbe stato un telemetro, utilizzato nella centuriazione, ossia nella divisione di estensioni di terra in appezzamenti razionali. 
    Obiezioni: 
i) La scienza dell'agrimensura ha avuto la sua origine tra gli Etruschi, eppure il dodecaedro non appare tipico dell'Etruria;
ii) Le più imponenti centuriazioni sono state fatte nel bacino padano, eppure il dodecaedro non appare tipico di tale area;
iii) Uno strumento tanto mirabile non sarebbe stato limitato nel suo uso ad alcune parti dell'Impero;
iv) Se si trattasse di uno strumento di misura, le sue dimensioni sarebbero standardizzate, come pure la sua forma e altre caratteristiche;
v) L'ipotesi è eccessivamente cervellotica.  
 
4) Strumento per la calibrazione dei tubi. Il dodecaedro sarebbe stato calato nelle condutture di piombo al fine di misurarne il diametro.
    Obiezioni:
i) I fori sarebbero serviti ad assicure una corda per poter muovere il dodecaedro, ma non si spiegano i solidi con facce prive di aperture;
ii) Si deve stabilire la misura di un tubo all'atto della sua produzione, non una volta prodotto;
iii) Come gestire eventuali ostruzioni del tubo da parte del dodecaedro?  
iv) Se si trattasse di uno strumento tanto mirabile, il suo uso non sarebbe stato limitato ad alcune parti dell'Impero; 
v) Se si trattasse di uno strumento di misura, le sue dimensioni sarebbero standardizzate, come pure la sua forma e altre caratteristiche;
vi) L'ipotesi è eccessivamente cervellotica.  
 
5) Strumento per la tessitura. Questa funzione potrebbe spiegare gli spuntoni.
   Obiezioni: 
i) Gli strumenti usati per la tessitura sono ben noti e molto diversi dal dodecaedro; 
ii) La frequente conservazione di questo manufatto in tesori sta ad indicare che era considerato prezioso; 
iii) La produzione di un dodecaedro richiedeva grandi capacità e fatica: cosa non giustificata per scopi tanto banali;
 
iv) Uno strumento tanto mirabile non sarebbe stato limitato nel suo uso ad alcune parti dell'Impero.

6) Strumento calendariale. Secondo questa ipotesi il dodecaedro gallo-romano sarebbe stato utilizzato per la  di solstizi ed equinozi. L'olandese Sjra Wagemans, chimico ricercatore della DSM Reseaech earcheologo dilettante, sostiene che il dodecaedro servisse a misurare l'angolo della luce solare, determinando con precisione una data specifica della primavera e dell'autunno, in connessione con importanti attività agricole.
    Obiezioni: 
i) Le tecniche calendariali dei Romani sono state prese dagli Etruschi, ma il dodecaedro non appare tipico dell'Etruria;
ii) Uno strumento tanto mirabile non sarebbe stato limitato nel suo uso ad alcune parti dell'Impero;
iii) Se si trattasse di uno strumento di misura, le sue dimensioni sarebbero standardizzate, come pure la sua forma e altre caratteristiche;
iv) L'ipotesi è eccessivamente cervellotica.
 
7) Tipo di candelabro. Va notato che su alcuni esemplari sono state trovate tracce di cera. I motivi della presenza di cera non sono mai stati chiariti. 
    Obiezioni:
i) I candelabri sono ben noti e molto diversi dal dodecaedro; 
ii) In molti esemplari non si hanno tracce di cera; 
iii) Non si spiegano manufatti senza fori o con fori ellittici;
iv) La produzione di un dodecaedro richiedeva grandi capacità e fatica: cosa non giustificata per scopi tanto banali.
 
8) Peso per reti da pesca Una spiegazione forse banale, che tuttavia è stata formulata, forse proprio in reazione alla natura eccessivamente contorta di altre supposizioni.
    Obiezioni: 
i) I pesi per le reti da pesca sono ben noti e hanno forme molto diverse;
ii) La frequente conservazione di questo manufatto in tesori sta ad indicare che era considerato prezioso; 
iii) La produzione di un dodecaedro richiedeva grandi capacità e fatica: cosa non giustificata per scopi tanto banali.  
 
9) Giocattolo per bambini. Una spiegazione forse banale, che tuttavia è stata formulata, forse proprio in reazione alla natura eccessivamente contorta di altre supposizioni.
    Obiezioni: 
i) La frequente conservazione di questo manufatto in tesori sta ad indicare che era considerato prezioso: 
ii) La produzione di un dodecaedro richiedeva grandi capacità e fatica: cosa non giustificata per scopi tanto banali;
iii) Un solido di metallo sarebbe stato poco sicuro come giocattolo: un bambino poteva ferirsi o rimanere soffocato in caso di improvvida ingestione.

 
10) Strumento musicale simile a una campanella. Una spiegazione forse banale, che tuttavia è stata formulata, forse proprio in reazione alla natura eccessivamente contorta di altre supposizioni. In particolare è stata avanzata l'ipotesi che servisse come campanella per il bestiame.  
     Obiezioni: 
i) La frequente conservazione di questo manufatto in tesori sta ad indicare che era considerato prezioso; 
ii)
La produzione di un dodecaedro richiedeva grandi capacità e fatica: cosa non giustificata per scopi tanto banali;
iii) Non si spiega la complessità del manufatto.
 
 
11) Semplice oggetto ornamentale. Una spiegazione forse banale, che tuttavia è stata formulata, forse proprio in reazione alla natura eccessivamente contorta di altre supposizioni.  
     Obiezioni: 
i) La frequente conservazione di questo manufatto in tesori sta ad indicare che era considerato prezioso;  
ii)
La produzione di un dodecaedro richiedeva grandi capacità e fatica: cosa non giustificata per scopi tanto banali;
iii) Non si spiega la complessità del manufatto.
 
12) Strumento per la produzione in serie dei guanti. Mi sono imbattuto in un video surreale su Youtube, che mostra un esempio pratico di utilizzo dello strumento.    
    Obiezioni: 
i) Il fatto che sia possibile produrre un guanto usando un dodecaedro non significa che questo fosse il suo scopo;
ii) La frequente conservazione di questo manufatto in tesori sta ad indicare che era considerato prezioso; 
ii
i) La produzione di un dodecaedro richiedeva grandi capacità e fatica: cosa non giustificata per scopi tanto banali;
iv) Uno strumento tanto mirabile non sarebbe stato limitato nel suo uso ad alcune parti dell'Impero.
 
13) Tipo di moneta. È stata avanzata l'ipotesi che il dodecaedro servisse ad indicare convenzionalmente un certo volume di denaro.
   Obiezioni:
i) L'ipotesi è contraria al principio fondante della monetazione romana, secondo cui il valore di una moneta dipende dal suo tenore di metalli nobili;
ii) Se questa convenzione monetaria fosse stata considerata utile, il suo uso sarebbe stato riscontrato in ogni parte dell'Impero; 
iii) Per quanto la produzione di un dodecaedro fosse difficile, la sua imitazione non sarebbe stata impossibile;
 
14) Strumento per scoprire la contraffazione delle monete. Secondo i fautori di questa teoria, si sarebbero potute fondere alcune monete prese a caso da un tesoro, facendone una barra. Avendo le monete autentiche un contenuto prefissato di metallo prezioso, la barra da esse ottenuta avrebbe avuto dimensioni determinabili. Se la barra non si fosse adattata ai fori del dodecaedro, si poteva dedurre la presenza di monete false.
    Obiezioni:
i) Se si trattasse di uno strumento di misura, le sue dimensioni sarebbero standardizzate, come pure la sua forma e altre caratteristiche;
ii) Uno strumento tanto mirabile non sarebbe stato limitato nel suo uso ad alcune parti dell'Impero;
iii) Non si capisce perché quasi tutti i falsari dell'Impero dovessero concentrarsi in una certa regione;
iv) Il manufatto era tesaurizzato, quindi difficilmente dotato di un uso pratico tanto importante. 

15) Un fermacarte. Una spiegazione forse banale, che tuttavia è stata formulata, forse proprio in reazione alla natura eccessivamente contorta di altre supposizioni.
      Obiezioni:
i) La frequente conservazione di questo manufatto in tesori sta ad indicare che era considerato prezioso; 
ii) Gli spuntoni, non necessari, non avrebbero spiegazione soddisfaente;
iii
) La produzione di un dodecaedro richiedeva grandi capacità e fatica: cosa non giustificata per scopi tanto banali;
iv) Non si spiega la complessità del manufatto. 
 
16) L'estremità di uno scettro. In altre parole, si tratterebbe di una specie di pomolo. Una spiegazione forse banale, che tuttavia è stata formulata, forse proprio in reazione alla natura eccessivamente contorta di altre supposizioni. 
     Obiezioni: 
i) Non si spiegano i solidi con tutte le facce piene o con fori ellittici;
ii) Non si spiega l'assenza di una particolare apertura in cui inserire l'asta dello scettro, diversa dalle altre;
iii) Non sembra essere presente alcun meccanismo per assicurare l'asta. 

17) Oggetto usato per massaggi rilassanti dopo essere stato scaldato.
Una spiegazione forse banale, che tuttavia è stata formulata, forse proprio in reazione alla natura eccessivamente contorta di altre supposizioni. 
    Obiezioni: 
i) Non si spiega la complessità del manufatto;
ii) La frequente conservazione di questo manufatto in tesori sta ad indicare che era considerato prezioso; 
iii) La produzione di un dodecaedro richiedeva grandi capacità e fatica: cosa non giustificata per scopi tanto banali. 
 
18) Tipo di amuleto o strumento magico, connesso con la sfera religiosa. Questa sembra l'unica interpretazione credibile. Approfondiamo nel seguito l'affascinante argomento.  
     Punti a favore:
i) Le tradizioni religiose e magiche sono spesso locali;
ii) Manufatti di questo genere sono
spesso considerati preziosi;
iii) In nome della magia e della religione sono spesso giustificati grandi sforzi, non commisurati all'effettiva utilità materiale;
iv) A Ginevra è stato trovato un dodecaedro anomalo in argento, senza spuntoni, con nucleo di piombo e i nomi dei dodici segni zodiacali incisi sulle facce (Fonte: Kostov, 2014). 

 
Probabilmente il mio elenco di ipotesi non è esaustivo. Credo di poter classificare come humour britannico le parole di un visitatore di un forum, che parlava del possibile uso dei dodecaedri come bigodini. A questo punto manca soltanto un buontempone che se ne esca a etichettare i dodecaedri come motivatori iperspaziali di astronavi dell'Ordine Jedi della Repubblica Galattica tornate indietro nel tempo alla ricerca dei Sith! In ogni caso un tratto accomuna quasi tutte le proposte riportate: sembrano tentativi di rispondere a un indovinello o di trovare la soluzione di un rebus. Gli oggetti studiati sono considerati come le monadi di Leibniz: sostanze puntiformi che non possono essere fisicamente influenzate da elementi esterni. Tutto ciò è a dir poco angosciante!  
 
Con buona pace del mondo accademico, non ritengo interessante né utile l'ipotesi enunciata dalla Sparavigna, per non parlare di quelle di Wagemans et alteri. Trovo inquietante che ad occuparsi della questione siano stati accademici esperti di ogni tipo di disciplina, purché priva di qualsiasi attinenza con la cultura e con la storia del mondo antico. In pratica hanno cercato da tutte le parti, ma non dove sarebbe stato ragionevole trovare una risposta. È assurdo che si arrivi ad invocare la telemetria e non si consideri minimamente l'universo filosofico e religioso in cui questi dodecaedri hanno avuto origine e diffusione. Molti archeologi dilettanti sembrano quasi avere l'atteggiamento di quelli che a scuola giocavano a fare i Romani. Eppure basta guardare qualche mappa dei rinvenimenti per confutare all'istante l'idea che il dodecaedro possa essere un'importante innovazione tecnologica in campo bellico, ingegneristico o in qualunque altro genere di uso concreto e quotidiano. Non dobbiamo sottovalutare l'immensa capacità di propagazione delle idee e della tecnica in un contesto eterogeneo e connesso come quello dell'Impero: un ritrovato utile e interessante sarebbe arrivato dovunque in tempi molto rapidi. 

 
La risposta possibile a questo enigma è una sola: il dodecaedro è un simbolo religioso celtico, considerato romano perché trovato nel contesto archeologico dell'Impero. Già la semplice distribuzione geografica dei rinvenimenti è un forte indizio di un'origine celtica, in un contesto in cui erano intensi i contatti tra Celti e Germani. La capacità di integrazione di elementi preromani nell'Impero è stata sottovalutata in modo sistematico, così pure come la molteplicità delle culture locali. In genere, l'uso stesso della parola "romano" risente fortemente di un modo scolastico di vedere l'antichità come qualcosa di monolitico e di compatto. In quest'ottica, tutto ciò che è attestato in un qualsiasi territorio imperiale viene interpretato come se dovesse per forza di cose essere germogliato nel Lazio. Il fatto che i reperti siano tipici di una particolare area della Gallia Celtica e che manchino in altre non è poi così problematico come potrebbe pensare: le genti delle  Gallie non erano un tutt'uno compatto dai Pirenei all'Elvezia. Fatica a farsi strada, persino tra gli studiosi, il concetto di varietà

 
Filosofi e Druidi 

È risaputo e tramandato che il Sapiente Abaris giunse dall'estrema Thule per incontrare Pitagora. Giulio Cesare ci attesta l'importanza che avevano per i Druidi le dottrine pitagoriche, attribuendo ad essi la credenza nella metempsicosi. A proposito delle dottrine cosmologiche del druida Diviziaco ci viene detto che esse destarono a Roma grandissimo interesse. Tra le altre cose, il nobile Eduo affermava che l'Universo si sarebbe dissolto in una coflagrazione e che un giorno ci sarebbero stati soltanto due elementi superstiti: l'Acqua e il Fuoco. Esisteva un fortissimo legame tra il mondo celtico e quello greco, a dispetto di molte appariscenti differenze. I Druidi vietavano persino ai nobili di parlare delle origini dell'Universo e dell'essere umano. All'interno della loro congregazione erano coltivate in sommo grado la filosofia e la geometria: era come se le élites intellettuali delle Gallie e della Grecia costituissero un unico continuum. Ovviamente di queste cose nel sistema scolastico italiano non si parla.
 
Il dodecaedro regolare è uno dei cinque solidi platonici, associati agli Elementi. 

terra : cubo
fuoco : tetraedro
aria : ottaedro
acqua : icosaedro 
 
Il dodecaedro è associato all'architettura stessa dell'Universo. Ne costituisce la Quintessenza. Queste sono le parole di Platone, che fu allievo della Scuola Pitagorica: 
 
"E prima di tutto, che fuoco e terra e acqua e aria siano corpi, è chiaro ad ognuno. Ma ogni specie di corpo ha anche profondità; e la profondità è assolutamente necessario che contenga in sé la natura del piano, e una base di superficie piana si compone di triangoli." 
(Platone, Timeo, cap. XX) 
 
"E si comincerà dalla prima specie, ch’è la più semplicemente costituita: elemento di essa è il triangolo che ha l’ipotenusa  doppia  del  lato  minore.  Se  si  compongono  insieme  due siffatti triangoli secondo la diagonale, e questo si ripete tre volte, di modo che le diagonali e i lati piccoli convergano nello stesso punto, come in un centro, nasce di sei triangoli un solo triangolo equilatero: e se quattro triangoli equilateri si compongono insieme, formano per ogni tre angoli piani un angolo solido, che viene subito dopo il più ottuso degli angoli piani. E di quattro angoli siffatti si compone la prima specie solida che può dividere l’intera sfera in parti eguali e simili. La seconda poi si forma degli stessi triangoli, riuniti insieme in otto triangoli equilateri, in modo da fare un angolo solido di quattro angoli piani: e ottenuti sei angoli siffatti, il secondo corpo ha così il suo compimento. La terza specie è poi formata di centoventi triangoli solidi congiunti insieme e di dodici angoli solidi, compresi ciascuno da cinque triangoli equilateri piani, ed ha venti triangoli equilateri per base. E l’uno dei due elementi, dopo aver generato queste figure, aveva cessato l’opera sua. Ma il triangolo isoscele generò la natura della quarta specie, componendosi insieme quattro triangoli isosceli, con gli angoli retti congiunti nel centro, in modo da formare un tetragono equilatero: sei di questi tetragoni equilateri commessi insieme compirono otto angoli solidi, ciascuno dei quali deriva dalla combinazione di tre angoli piani retti. E la figura del corpo risultante divenne cubica, con una base di sei tetragoni equilateri piani. Restava una quinta combinazione e il Demiurgo se ne giovò per decorare l’universo."
(Platone, Timeo, cap. XX) 
 
"E alla terra diamo la figura cubica; perché delle quattro specie la terra è la più immobile, e dei corpi il più plasmabile. Ed è sopra tutto necessario che tale sia quel corpo che ha le basi più salde. Ora dei triangoli posti da principio, è più salda naturalmente la base di quelli a lati eguali che di quelli a lati diseguali, e quanto alle figure piane, che compone ciascuna di queste specie di triangoli, il tetragono equilatero, tanto nelle parti che nel tutto, è di necessità più solidamente assiso del triangolo equilatero. Perciò conserviamo la verosimiglianza, attribuendo questa forma alla terra, e poi all’acqua la forma meno mobile delle altre, al fuoco la più mobile, e all’aria l’intermedio: e così il corpo più piccolo al fuoco, il più grande all’acqua, e l’intermedio all’aria, e inoltre il più acuto al fuoco, il secondo per acutezza all’aria, e il terzo all’acqua." 
(Platone, Timeo, cap. XXI)
 
Sorvoliamo pure sul fatto che il Demiurgo sia spesso stato sostituito da Dio nelle traduzioni. Appare chiaro che nell'idea che accomunava Platone e i Druidi il dodecaedro era una raffigurazione del Cosmo: da questo discende un plausibile uso apotropaico del solido. Se i filosofi greci irridevano la superstizione del volgo, i Druidi se ne servivano per governare e la incentivavano attivamente. Una volta perseguitata ed eliminata la classe druidica, considerata ribelle al potere di Roma, la religione celtica sopravvisse e fu integrata nell'edificio culturale dell'Impero, nel ricco e complesso mondo che chiamiamo gallo-romano. Basti pensare a quell'eccezionale reperto che è il calendario di Coligny, redatto in gallico e risalente al II secolo d.C.  
 
Etimologia di dodecaedro e di icosaedro 
 
Il latino tardo dōdecahedrum deriva dal greco δωδεκάεδρον (dōdekáedron), che è un composto di δώδεκα (dōdeka) "dodici" e di ἕδρα (hédra) "faccia di un solido" (alla lettera "base, posto a sedere", dalla radice indoeuropea *sed- "sedere, sedersi").
Il latino tardo īcosahedrum deriva dal greco εἰκοσάεδρον (eikosaedron), che è un composto di
εἴκοσι (eíkosi) "venti (20)" e di ἕδρα (hédra) "faccia di un solido" (alla lettera "base, posto a sedere", dalla radice indoeuropea *sed- "sedere, sedersi")
Posso constatare che in italiano la pronuncia è dodecaèdro, icosaèdro, ma se dovessimo stare all'accentazione latina e a quella greca (che in questo caso concordano) dovremmo pronunciare *dodecàedro, *icosàedro.  
 
Tentativi di ricostruzione dei nomi celtici 
 
Cerchiamo ora di risalire al nome celtico del dodecaedro e dell'icosaedro. È un esercizio interessante, visto che la lingua gallica sopravvisse per tutta l'epoca imperiale. Nelle lingue celtiche medievali e moderne esiste una parola il cui significato letterale è "faccia, superficie": 
 
Antico irlandese: enech "faccia" 
Medio gallese: wyneb "faccia, superficie"
Gallese moderno: wyneb "faccia, superficie; guancia" 
Cornico: enep "faccia, superficie, pagina"
Bretone: eneb "faccia"

In tutte queste lingue il genere della parola in questione è maschile. Il dittongo wy- in gallese è un regolare prodotto della vocale lungua ē-, la cui quantità non è dovuta a ragioni etimologiche. Crediamo che sia
una ragionevole traduzione del greco hédra "faccia di un solido". 
 
La protoforma gallica e britannica ricostruibile è *ENEPOS, da un precedente protoceltico *ENEKWOS. Wikipedia propone una ricostruzione *ENĪKWOS, la cui vocale lunga -Ī- non è tuttavia compatibile col vocalismo osservato, in particolare nelle lingue britanniche. Ecco quindi le nostre ricostruzioni dei nomi druidici del dodecaedro e dell'icosaedro:  
 
Gallico, britannico: *DUŌDECAMENEPON "dodecaedro" 
Gallico: *UŌCONTENEPON  "icosaedro"
Britannico: *UICANTENEPON "icosaedro" 
 
Questi composti sono di genere neutro, in modo analogo a quanto accade in greco.

lunedì 18 maggio 2020

IL MISTERO DELL'OSFAGARTA

Anni fa mi sono imbattuto nel bizzarro portale dell'Istituto Italiano di Coproterapia (ICC) di Roma, ospitato su Blogspot. "La coproterapia è una disciplina naturale che consiste nell'immersione del corpo in una vasca di feci umane calde, o nella loro somministrazione per bocca" (cit.). In un post dell'ICC, che ora sembra essere irreperibile, si parlava di coprofagia in relazione alla scienza gastronomica e si descriveva la pajata romana come una preparazione culinaria fecale. Cosa abbastanza sensata, vista anche l'autorevole opinione di Alberto Sordi, che nel film Il marchese del Grillo (Mario Monicelli, 1981), definiva i rigatoni con la pajata in un modo abbastanza crudo: "merda". In buona sostanza si tratta di intestino tenue di vitello da latte, non privato del chimo (che è il latte digerito) e da usarsi per fare una salsa con cui condire la pasta. È ben nota la scena in cui il Sor Marchese inizia a questa conoscenza misterica la splendida francesina, Olimpia. 
 
 
 
Orbene, accanto alla pajata il blog menzionava un altro piatto di origine fecale, ben più enigmatico. Il suo nome è OSFAGARTA. Secondo le scarne spiegazioni che erano fornite, l'osfagarta sarebbe in tutto e per tutto simile alla pajata, ma preparata con intestino di agnello anziché di vitello. Nel blog non erano indicate fonti convincenti, né alcuna nota etimologica dello stravagante vocabolo. Si accennava soltanto a un certo professor A. Veneziano, che avrebbe condotto uno specifico studio sull'interessante materia gastronomica. Il nome A. potrebbe stare per Alberto, Aldo, Adolfo, Agostino e via discorrendo. Non si ha informazione alcuna sul nominativo completo. A conti fatti, in Google non è emerso proprio un bel nulla su questo fantomatico studioso. Dopo una lunga ricerca, sono riuscito a ritrovare il testo che cercavo, servendomi della Macchina del Tempo di Internet (Wayback Machine). Non l'ho trovato nel blog dell'ICC, ma in un sito di Altervista che lo menzionava. Riporto il reperto: 
 
 
"La paiata e l’osfagarta  (ci ricorda A. Veneziano N.d.r.)  sono solo alcuni dei molteplici piatti a base uro-fecale tipici della cucina Italiana.  Nella nostra alimentazione (continua A. Veneziano N.d.r.)  ci sono sempre stati dei piatti con ingredienti  uro-fecali. Il problema è che nella maggior parte dei casi il “donatore” non è umano, cioè le feci provengono da animali di allevamento. Il che comporta il rischio di contrarre malattie di origine bovina (nel caso della paiata) e ovina (l’osfagarta) e riduce al minimo le proprietà benefiche dell’assunzione." 
 
L'autore del testo, humanfailure, si augura quindi l'introduzione di piatti a base di sterco umano!

"Feci e urina devono quindi provenire da un “donatore” umano. Per chi non lo sapesse ricordiamo che è vietata la vendita di escrementi di origine umana (non a caso si usa il termine “donatore”)." 

Tutta la faccenda ha l'aria di essere un fake. Tuttavia si ricorda che anche un fake deve avere un'origine, non può essere scaturito dal Nulla. 
 
All'inizio avevo pensato a una contrazione del latino ovis "pecora", al genitivo, con la consonante finale fossilizzata. Anche se os- per ovis sembrava verosimile dal punto di vista tecnico, la cosa mi è subito sembrata assurda, irreale, così mi sono destato dalla fantasia. La seconda parte del composto resisterebbe ad ogni tentativo di analisi. Come dare un senso a -fagarta? La formazione non si spiega in alcun modo, la terminazione -arta permane oscurissima e priva di paralleli. Siamo di fronte a una parola impenetrabile. Non si riesce a trovare nessuna informazione che ci possa permettere di far penetrare un po' di luce in tenebre tanto fitte. In tutto il Web, prima che mi occupassi della questione, non esistevano altre menzioni della parola. Non si è trovata alcuna citazione utile in Google Books o nei forum.

Ho persino provato con un sito di anagrammi. Questi sono i risultati della ricerca:
 
Target = osfagarta
[sfata fasta] [gora agro]
[strafa sfrata] ago
[stara sarta rasta] foga
grafo asta
[targa grata] sofa
[targa grata] fa so
[targa grata] sa fo
[sfato fasto] [gara agra]
[gastro argots] afa
[gasato agosta] fra
sagrato fa
forata gas
[sorga sargo] [fata afta]
[trago targo grato argot] fa sa
[sagra ragas] fato
sfoga [tara rata atra]
[sfara farsa] [toga gota]
[gara agra] sta fo
[gara agra] sto fa
saga tra fo
[tara rata atra] gas fo
foga tra sa
[gora agro] sta fa
[toga gota] fra sa
[atro arto] gas fa
fra ago sta
 

Non se ne cava nulla. Vano è stato anche un tentativo di ricorrere a Quora, il social in cui tutti possono porre domande su qualsiasi argomento, ottenendo risposte che qualche volta possono essere sensate. Proprio come in Facebook, gli utenti facevano una ricerca, si imbattevano nella menzione dell'osfagarta sul blog dell'Istituto Italiano di Coproterapia e in Altervista, dando per scontato che l'informazione fosse fidedigna e riproponendola ad infinitum.
 
L'amico Marco Ajello propendeva per un'origine sarda, cosa che anche a me in un primo momento pareva abbastanza verosimile. Questa è la sua interessante considerazione:
 
"Forse in Sardegna... guarda lì che fine ha fatto la parola ovis." 
 
E ancora: 
 
"ovis come genitivo mi sa che sia la strada più percorribile... anche se poi i mutamenti son singolari."
 
Così gli avevo risposto: 
 
"Forse è davvero così, ma non ho trovato traccia del misterioso vocabolo nel dizionario online di Rubattu; inoltre la presenza di un nesso /sf/ è ostica. Il sardo ama già poco il suono /f/. Un problema terribile è il silenzio dei motori di ricerca: non restituiscono nemmeno una menzione del vocabolo oltre a quella descritta. Come mai? Non si dovrebbe trovare un sito con frasi del tipo "sono andato a mangiarmi l'osfagarta", etc. Nulla. Com'è possibile che una forma così singolare, se davvero esistente su suolo italico, non abbia mai attirato l'attenzione degli studiosi? Se invece è una parola di una lingua non romanza, dovrebbe comunque trovarsene traccia da qualche parte.
 
E ancora: 
 
"Si potrebbe fare un esperimento antropologico. Girare per le osterie di Roma ordinando un piatto di osfagarta. Immagino l'espressione turbata e irosa dei pingui tavernieri. Deve essere un ambiente difficile. Ricordo che anni fa sono entrato in una pizzeria. Tutti si rivolgevano a me in inglese. Quando ho detto loro di essere di Milano, mi hanno guardato straniti come se avessi detto di venire da Betelgeuse!"
 
Va detto che all'epoca non era nemmeno indicizzata da Google la domanda che avevo fatto su Quora. Questa dunque è la seconda teoria formulata da Marco Ajello:  
 
"Altre ipotesi: un articolo? Oppure osfag- è proprio il nome dell'intestino dell'animale. O una qualche preposizione (come eso-fago)." 
 
In effetti, la cosa appariva più convincente di una contorta derivazione da ovis. In altre parole l'osfagarta sarebbe quello che in italiano chiameremmo *ESOFAGATA. Anche se non conosco nessun esito romanzo del latino oesophagus (dal greco oisophágos, formato da oísein "portare" e da phageîn "mangiare"), non sarebbe impossibile l'evoluzione volgare della parola in *OSFAGU, da cui si giungerebbe a un derivato collettivo *OSFAGATA. La semantica non crea troppi problemi: non dobbiamo credere che i parlanti di una forma di protoromanzo avessero la conoscenza dei moderni medici. Uno slittamento di significato da "esofago" a "primo tratto dell'intestino tenue" non dovrebbe dare grosse difficoltà. La ritrazione dell'accento, da esòphagus a *òsfagu non è impossibile: in fondo conosciamo un italiano antico stàrlogo, variante di astròlogo. Già, tutto questo sembra molto chiaro. Il termine greco oisophagos è attestato già in Aristotele; la forma latina sembra molto più tarda. In inglese compare oesophagus nel XIV secolo; in italiano compare esofago nel XV secolo. Non sono affatto sicuro che sia possibile postularne l'esistenza in protoromanzo. Si dovrebbe pensare che la nostra *ESOFAGATA sia ben più recente. Permane poi un problema di non poco conto: come spiegare la consonante rotica in OSFAGARTA
 
Anche su Quora un utente mi aveva risposto sostenendo la diretta derivazione di esofago (Juan Luis Pedrosa: "magari la parola de partenza sia "esofago"?"). Ormai mi ero quasi convinto. In un modo o nell'altro si doveva trattare di una derivazione abbastanza recente di *ESOFAGATA e al diavolo la rotica di troppo! Come un moscone nel cervello, qualcosa di subliminale mi infastidiva e ogni tanto riemergeva dal pelo dell'autocoscienza, allertandomi. 
 
L'amica Fabiana Cilotti ha scoperto una bizzarra assonanza nel nome del fiume Osfago, citato da Tito Livio, chiedendosi dove si trova questo corso d'acqua. Questa è la citazione in latino: "Movere itaque ex Pluvina Romani, et ad Osphagum flumen posuerunt castra". Così rispondevo: "Il fiume Osphagus è in Macedonia. Bizzarramente il correttore automatico di Google cerca di convertirne il nome in Esophagus."
 
A distanza di tempo, ho riletto l'intera conversazione su Facebook (un thread piuttosto caotico) e la mia attenzione è caduta su una proposta etimologica alternativa, sempre formulata da Marco Ajello: 
 
"Penso anche a "oxen" (buoi) inglese". 
 
Non ero stato particolarmente entusiasta di questa ipotesi ingegnosa, tanto che avevo risposto così:

"Però l'intestino usato è ovino, non bovino. Inoltre resta in ogni caso un residuo -fagarta che sfugge ad ogni analisi, come se provenisse da una lingua di Vega o di Altair." 
 
Adesso credo che potrebbe essere verosimile. Il residuo -fagarta potrebbe benissimo essere nient'altro che l'inglese faggot, fagot, un derivato diretto dell'italiano fagotto. Attualmente negli Stati Uniti d'America, questa parola indica soprattutto un omosessuale passivo, proprio a causa del riferimento gergale all'intestino, usato come cavità sessuale. Qualche pastore protestante ha come motto "God hates faggots", o qualcosa del genere. Esistono poi significati diversi di questa parola, come "fascina di legna da ardere", ma la cosa è irrilevante, trattandosi di sviluppi secondari. Trovo invece di un estremo interesse, il fatto che in Scozia la parola faggot sia usata per indicare una preparazione gastronomica fatta con lo stomaco di animali macellati. Si potrebbe dunque azzardare un percorso etimologico e semantico credibile. Presuppongo un composto OX FAGGOT, alla lettera "fagotto di bue", usato da qualche italo-americano per indicare la pajata romana. La pronuncia di questo OX FAGGOT in broccolino (gergo italo-americano di Brooklyn) sarebbe qualcosa come OSFAGAATA. L'ipercorrezione in OSFAGARTA, dati i problemi di pronuncia delle consonanti rotiche in inglese, sarebbe plausibilissima. Un oste romano che in una taverna avesse udito OX FAGGOT pronunciato come OSFAGAATA, OSFAGARTA, ne avrebbe tratto il vocabolo. Questo deve essere accaduto a Roma quando la pajata di vitello era proibita per via dell'epidemia di encefalopatia spongiforme di Creuzfeldt-Jacob (volgarmente detta "morbo della vacca pazza"). A causa di questo inconveniente poco piacevole, il taverniere romano serviva ai clienti un succedaneo della pajata, ottenuta da intestino di agnello. Si potrebbe anche pensare che il taverniere in questione fosse originario della Sardegna: nell'isola esiste la tradizione di produrre un formaggio a partire dal latte semidigerito dagli agnelli, estraendolo dal loro stomaco durante la macellazione. Il visitatore americano, probabilmente di Brooklyn, non si era avveduto della cosa, pensando di mangiare rigatoni con la pajata di bovino. Così ha chiamato il piatto OSFAGARTA e in qualche modo la cosa è finita su Internet.