martedì 25 agosto 2020

 
IL GRANDE INGANNO DEL WEB 2.0
 
Autore: Fabio Metitieri
Anno: 2009
Genere: Saggio
Temi trattati: Web, blog, siti, media, giornalismo 
Lingua: Italiana
Editore: Laterza
Collana: Saggi tascabili Laterza (n. 322)
Codice ISBN-10: 8842089176
Codice ISBN-13: 978-8842089179
Formato: Copertina flessibile
Pagine: 182
 
Sinossi:
In un’Internet di massa, trovare ciò di cui si ha bisogno è sempre più difficile, ma ancor più difficile è valutarne l’attendibilità. È il prodotto dell’ideologia del Web 2.0 – quello di blog e social network – che preconizza la scomparsa degli intermediari dell’informazione, dai giornalisti alle testate di prestigio, dai bibliotecari agli editori, presto sostituiti dalla swarm intelligence, l’intelligenza delle folle: chiunque può e deve essere autore ed editore di se stesso. Il ‘mondo Web 2.0’, dove nessuno è tenuto a identificarsi e chiunque può diffondere notizie senza assumersene la responsabilità, realizza davvero un sogno egualitario, o piuttosto un regno del caos e della deriva informativa? 

Indice dell'opera:
 
Sommario
  La crisi dell'autorevolezza, fra l'ornitorinco e i lemming
  Imparare dagli errori per costruire un'intelligenza collettiva
  Istruzioni per la lettura e ringraziamenti
 
1. I nativi digitali come scoiattoli incapaci
  Quando tutto è Google
  I docenti contro i blog e contro il plagio
  Internet: strumento neutro o cattiva maestra?  
  Il copyright e le bufale: perché Internet non è onnisciente
 
2. Il Web 2.0 e gli user generated content
   Il Web 2.0: una brillante operazione di marketing
   Il negazionismo, i "flame" e i "barcamp"
   Il valore dei contenuti generati dagli utenti
 
3. La conversazione perduta dei blog
   La conversazione dai mercati ai blog, alle biblioteche
   Il successo dei blog e il fallimento dei bloggher
   Il desiderio di link e la piramide dei blog
   Un appunto sui veri Vib e su Beppe Grillo
   La conversazione nei media e la reputazione del villaggio
   Chi vuole distruggere l'idea comunitaria della Rete?
 
4. I dolori della stampa tradizionale e i new media
   La crisi della stampa e il fascino indiscreto del "rag"
   Ridurre i costi sfruttando gli Ugc
   Bloggher-giornalisti, new media e citizen journalism
 
5. Il caos che collabora: i wiki e le folksonomie
   Wikipedia e la resa delle enciclopedie
   L'anonimato, Knol e le folle di idioti
   Le folksonomie: i volatili tra gli zoologi e i cuochi
 
6. Le biblioteche, la filosofica open e i blog
   Le soluzioni 2.0 nelle biblioteche
   Gli "open archive": i blog degli accademici
   Validazione e valutazione negli open archive e nei blog
 
7. I difetti dei motori e i pregi delle persone
   Google, gli altri motori e il semantic web
   Le persone come fonti di informazione
   I social network e l'eccesso di socialità
 
8. Old media e new media allo sbaraglio
   Il racconto degli old media: Internet, Second Life e gli stupri
   Gli old media, i blog e il fallimento di Second Life
 
Conclusioni come valutare e come pubblicare
   L'infomation literacy, questa sconosciuta
   Valutare e pubblicare con giudizio (e con qualche metodo)
   Attrezzarsi per il Medioevo 2.0
 
Riferimenti bibliografici 

Recensione: 
 
Quando ho ordinato in libreria quest'opera, sono stato guardato male dalla commessa, che stupefatta ha farfugliato qualcosa come: "Ma è un contenuto datato!" La cosa le sembrava abbastanza scandalosa, neanche avessi ordinato un trattato sui processi digestivi dei mangiatori di feci o sulla diffusione dell'incesto tra madre e figlio. Non mi sono lasciato scoraggiare. Una settimana dopo mi è stato consegnato il volume, nella cui lettura mi sono presto immerso. Già conoscevo l'esistenza de Il grande inganno del Web 2.0: ne avevo reperito alcune recensioni e brani sparsi nella Rete, che mi avevano subito incuriosito. Per molto tempo avevo invano cercato di accedere a una copia in formato pdf, così alla fine mi sono deciso a optare per l'acquisto del volume cartaceo. Alcune ricerche mi hanno permesso di venire a conoscenza di alcuni importanti dettagli. L'autore era un giornalista ed è deceduto proprio nell'aprile del 2009, mentre era in corso la pubblicazione del libro in questione. Per quanto riguarda l'obsolescenza dei contenuti, mi sembra una questione di lana caprina: per indagare a fondo un fenomeno di capitale importanza è necessario consultare ogni fonte a disposizione, non soltanto i lavori più recenti. 
 
La visione che Metitieri ha del Web è cupa e in particolare si caratterizza per una forte ostilità verso la Blogosfera, che in parole semplici e pratiche è considerata alla stregua di un gigantesco immondezzaio. Già soltanto i titoli dei paragrafi del trattato sono tutt'altro che lusinghieri: i blogger sembrano dipinti non soltanto come coglioni, dementi, plagiari, parassiti e inquinatori, bensì come veri e propri soldati del Caos, consapevoli agenti dell'Entropia il cui fine è la distruzione di ogni punto di riferimento. In pratica siamo di fronte a una raccolta di osservazioni sparse, a tratti interessanti e a tratti tediosissime, inframmezzate da un pastone acido di contenuti a dir poco irritanti. Si capisce subito che l'oggetto della polemica non è un'astrazione, ma un avversario con un nome e un cognome: Giuseppe Granieri. Proprio lui, l'autore del saggio Blog Generation, pubblicato per la prima volta nel 2005. Metitieri applica molte volte la citazione (Granieri, 2005), più di rado (Granieri 2006), in pratica a ogni sorta di contenuti da lui ritenuti discutibili: Granieri confonde il Web con la Blogosfera, identifica i due concetti; Granieri afferma che la vecchia conoscenza, quella dell'epoca pre-Internet, sia obsoleta e vana; Granieri afferma che il blog è la storia intellettuale dell'individuo e che un individuo senza un blog è percepito come debole, etc. etc. Non che io abbia un'enorme simpatia per le tesi granieresche, però ho l'impressione che queste critiche a getto continuo nascondano un profondo livore personale.    

L'autore inizia la sua trattazione evidenziando tutti i limiti dei nativi digitali, la V Generation (dove V sta per virtual). Questi giovani, che non avevano mai conosciuto un mondo senza Internet, già confidavano nell'onnipotenza e nell'onniscienza di Google pur essendo incapaci di leggere lunghi testi on line. Abbastanza indigeste sono le continue geremiadi sull'inesorabile declino delle biblioteche cartacee, del mondo universitario e dei media tradizionali. Il tema centrale di queste lamentazioni bibliche è la crisi dell'autorevolezza, provocata dall'avvento del cosiddetto Web 2.0. A questa denominazione non è riconosciuta alcuna sostanza. In altre parole non si avrebbe alcuna differenza tra un Web 1.0 e una sua versione successiva, il Web 2.0: sarebbe tutto derivato da un equivoco comunicativo. Mi sarà permesso di dissentire. Il Web 1.0 era la Rete Solitaria, formata da una serie di pagine simili a vetrine, con i cui gestori era molto difficile interagire. La linea di demarcazione a mio avviso si è avuta quando hanno cominciato ad esserci intense comunicazioni tra utenti, proprio tramite la Blogosfera. 
 
Metitieri aveva forse un'opinione troppo elevata della professione che esercitata: la considerava come un ideale sublime per cui valeva la pena di combattere. Il nemico del giornalismo erano proprio i blog nel loro insieme. Lo stesso concetto di blog fin dall'inizio suscitava la furiosa reazione dei media tradizionali. Per molti giornalisti, i blog erano le membra informi di un colossale Moloch, che chiamavano "macchina del fango". Adesso che al desiderio di link è subentrato il deserto dei link, la polemica mostra segni di affievolimento.     

Riporto alcuni esempi che possono essere utili a illustrare ciò che intendo dire.
 
Nella migliore delle ipotesi, i Millennial erano ancora girini spermatici in nuoto nei testicoli paterni, quando Beppe Grillo inscenò uno sketch in cui Spadolini aveva un telefono mozzo con solo la parte audio, mentre all'altro capo della linea c'era Brezhnev con un altro telefono mozzo con soltanto il microfono in cui impartire ordini. Erano tempi non sospetti: Grillo era un comico e non esisteva il MoVaffaimento. Ecco, i media tradizionali sono come il telefono di Spadolini di grillesca memoria. Politicanti, giornalisti e presentatori parlano e i cittadini ascoltano, subiscono senza poter mai replicare. Una comunicazione verticale e unidirezionale. Nessun cittadino poteva nemmeno diffondere in modo efficace le proprie opinioni ad altri suoi simili: ogni cosa che venisse detta o scritta non arrivava da nessuna parte. 
 
In epoca pre-blog, un giornalista compose un articolo sull'omosessualità militare, cominciando a discorrere di Alessandro il Grande per passare poi a Röhm e a Mishima. Un interessante articolo, ma con un dettaglio di non poco conto. Il nome attribuito a Röhm era Eric anziché Ernst, sia nel testo che nella foto. Sono andato su tutte le furie e ho subito scritto una mail alla redazione, chiedendo che fosse pubblicata una rettifica dell'errore. Non ebbi alcun riscontro. Come doveva essere in epoca antecedente l'introduzione dell'email? Anche peggio. Questa è l'autorevolezza del giornalismo: non è garantita alcuna accuratezza delle informazioni, non si può interagire, non si può reagire alle stronzate, non si possono emendare errori marchiani, non si può comunicare in alcun modo. Si può soltanto subire, con buona pace di Metitieri. Tramite il Web tutti possono sapere che il tal giornalista ha scritto una stronzata. Tutti lo possono leggere. Forse non servirà a molto, ma qualche internauta prima o poi incapperà senz'altro nel testo e si renderà conto dell'accaduto.  
 
Anche l'accademia mostra problemi simili. Ho identificato diversi errori marchiani, talvolta sesquipedali, fatti da professori su alcuni loro testi. Facchetti, che pure è un ottimo etruscologo, ha fatto molti voli pindarici a partire da una parola greca tradotta in modo erroneo come "topi", mentre in realtà significa "mosca"; da questi roditori inesistenti ha dedotto un verbo col senso di "consumare". Pur avendo pubblicato un articolo sulla questione, non ho avuto nessun riscontro. Fattovich in un suo lavoro sull'antico irlandese ha tradotto erroneamente con "naviglio" una parola che significa "ombelico". Anche in questo caso, pur avendo reso pubblica la questione in un articolo sul mio blog, non ho avuto riscontro alcuno. Voglio credere che sia perché i miei lavori non sono stati indicizzati bene da Google, sfuggendo così all'attenzione. Altrimenti dovrei dedurre, visto che gli errori degli accademici citati sono rimasti al loro posto, che il ragionamento sia stato un "metitierismo" di questo genere: "Se una cosa è scritta su un blog, allora è merda e non vale nulla." Anche se è vera, oserei aggiungere. Eppure sono convinto che i miei articoli siano utili: prima o poi qualche internauta leggerà e trarrà le sue conclusioni. In fondo è anche colpa della mia accidia: avrei potuto scrivere una mail ai docenti per segnalare gli errori. Non l'ho fatto, ho preferito dare la possibilità di una discussione pubblica e costruttiva, impossibile ai tempi della civiltà del libro stampato. 
 
Concordo con Metitieri sull'importanza dell'information literacy, che è la capacità di reperire fonti (on line e off line) e di valutarle. Reputo tuttavia che la validazione dei dati reperiti nel Web non affatto così ardua come viene suggerito, anzi, è una sfida oltremodo interessante. Spesso si rimanda a contenuti cartacei informatizzati, ad esempio in Webarchive o altrove. La cosa può funzionare anche senza che ci sia un signore chiamato "bibliotecario", che magari non sa nulla dell'argomento trattato. La generalizzazione è stigmatizzata, spesso confusa con la più che legittima inferenza statistica. Quando però si parla dei blog, la generalizzazione è ritenuta lecita dai giornalisti. C'è la tendenza a non distinguere i singoli portali e le singole informazioni, come se valutandone una ne conseguisse in via diretta la valutazione di tutte le altre. Se 99 blogger su 100 sono superficiali e non considerano il problema delle fonti, questo non significa che tutti i blog siano automaticamente sterco, per definizione. Così non si può dire che se su un blog è presente un'inconsistenza, tutto ciò che vi è contenuto debba essere automaticamente inconsistente. 
 
Per i politici di ogni genere e di ogni nazione, la comunicazione tra i cittadini è una iattura, qualcosa di sommamente funesto. Solo per citare un caso, Erdoğan ebbe a dire che il Web è come un'autobomba. Da quando ho iniziato la mia attività nei blog su Splinder, ci sono stati decine di tentativi da parte di forze politiche varie, tutti volti a reprimere la Blogosfera, ad impastoiarla con i mezzi più elaborati e stravaganti. Hanno tentato di accusare i blogger di stampa clandestina. Hanno tentato di trasformare ogni blogger (anche il perditempo che parlava della diarrea dei gatti) in un giornalista iscritto a una specie di albo, con l'obbligo di assumere un redattore e un legale. Hanno tentato di punire in modo draconiano ogni contenuto blogosferico etichettabile arbitrariamente come "apologia di reato" o "istigazione": ci fu addirittura una proposta, per fortuna naufragata, che arrivava a prevedere pene fino a 12 anni di carcere. Hanno tentato di ostacolare i blogger servendosi del copyright, minacciando di oscurare senza l'intervento del giudice ogni portale che riportasse anche solo il titolo di un articolo di giornale o che mostrasse anche soltanto un'immagine presa dalla Rete. Hanno cercato di censurare i blogger imponendo un gravoso obbligo di rettifica, da applicarsi in tempi rapidissimi alla minima denuncia o segnalazione. La piattaforma blogosferica Splinder è stata acquistata soltanto per essere chiusa; nessuno potrà mai convincermi che i motivi della sua cessazione non fossero di natura politica. Tutto questo è accaduto in Italia, in quella che è considerata una delle democrazie più avanzate del pianeta. Ci si aspetta che cose simili siano tipiche dei paesi del terzo e del quarto mondo. Ci sono luoghi in cui i blogger finiscono finiscono incarcerati e torturati, addirittura macellati e appesi ai viadotti autostradali. All'epoca c'era il timore paranoico che presto o tardi in Europa si sarebbe potuto instaurare un regime autoritario che avrebbe liberato le galere dai criminali per riempirle di blogger. Faccio notare che Metitieri non ha menzionato nulla di tutto ciò, nulla di ciò che ha potuto vedere mentre era in vita.

Errori folksonomici 
 
L'autore critica il sistema di categorizzazione dei portali blogosferici, da lui etichettato come folksonomia (dall'inglese folksonomy). Lo contrappone al sistema di catalogazione dei volumi nelle biblioteche cartacee, facendo intendere che si tratta di un'attività nociva e apportatrice di marasma. Si capisce subito che il paragone è abusivo e insostanziale. A dire il vero, non avevo mai sentito usare quella strana parola prima di conoscere Il grande inganno del Web 2.0. Non si è mai parlato di folksonomie ai tempi di Splinder, soltanto di categorie e di categorizzazione. Esisteva anche un nome dato a queste etichette dei post, ossia tag. In alcune piattaforme blogosferiche esisteva l'identità tra categoria e tag, in altre si trattava invece di due concetti diversi. Ci terrò a precisare che le folksonomie sono raramente utili e danneggiano innanzitutto il blogger. Se si etichettano male i contenuti, si rischiano poi pesanti conseguenze nella loro indicizzazione da parte di Google. Non ho mai visto nemmeno un blogger animato dalla pretesa di organizzare i contenuti in una classificazione folksonomica basata su una logica rigorosa. Spesso la folksonomia è improvvisata e incoerente. L'accidia frena ogni tentativo di miglioramento. Trovo assurdo che Metitieri descrivesse questi sistemi di etichette come l'arrogante pretesa di rifondare la Scienza, quando è soltanto cazzeggio. Neanche si parlasse delle imprese di Linneo o di Darwin! 
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 

L'internauta .mau. ha definito il saggio di Metitieri "Una voce fuori dal coro e molto interessante". Poi però ha aggiunto "peccato parli troppo dei blog". La Blogosfera è in buona sostanza considerata merda. Ecco un estratto in cui si spiega il concetto: 
 
Però a mio parere la vis polemica ha portato l'autore a perdere un po' di vista la sua tesi principale, e cioè che da un lato oggi risulta sempre più difficile validare e valutare la correttezza di un fatto, perché non ci sono più fonti autorevoli, e dall'altro si nota come la gente stia perdendo il proprio senso critico e si limiti a ricerchine banali senza un'analisi critica dei primi risultati che escono. Aver passato buona parte del libro a denigrare i blog, generalmente prendendo come esempio per antonomasia i saggi di Giuseppe Granieri, dà loro troppa importanza, e nasconde appunto il vero e condivisibile problema dell'attendibilità delle fonti. 
 
Per Chiara Marra ci troveremmo addirittura di fronte al "Vaccino alla saggistica di De Biase e Granieri". A questo titolo altisonante aggiunge quindi: "quando internet non è positivista". Non capisco bene cosa intenda dire. Forse pensa che il Web debba essere animato dalla fede di poter giungere a spegnere e accendere il sole come se fosse una lampadina?  
 
Woland ha scritto: 

Le ipotesi erano pure giuste ma lo svolgimento è superficiale nei due punti essenziali:
1)la falsità utopistica della sostutizione dell'intelligenza delle masse agli intermediari dell'informazione e 
2) i rapporti tra editoria tradizionale e editoria elettronica 

Questi due punti andavano sviluppati meglio e invece nel libro non si trova molto di più degli enunciati messi in IV di copertina. 
Magari togliendo un po' di spazio all'inutile e ridondante sproloquio su blog blig blug etc etc 

Ercole aggiunge: 

Un saggio "quasi totalmente inutile" 

Amare riflessioni 
 
Usando il suggestivo linguaggio dell'intervento di Woland, ecco un estremo sunto del pensiero che si ha l'impressione di poter estrarre dall'opera metitieresca: 

Se c'è la scabbia, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è la lebbra, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è la peste, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è la guerra, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è il terrorismo, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è lo stupro, è colpa dei blog blig blug.
Se cìè la crisi, è colpa dei blog blig blug.
Se le cose vanno male, è colpa dei blog blig blug.

sabato 22 agosto 2020

 
BLOG GENERATION
 
Autore: Giuseppe Granieri 
Anno: 2005
Edizioni: 1a ed. 2005, IV rist. 2009 
Editore: Laterza 
Pagine: VIII-185
Collana: Saggi Tascabili Laterza (n. 287)
ISBN carta: 9788842075646
ISBN digitale: 9788858102152
Argomenti: Attualità culturale e di costume, giornalismo,
      informatica, scienze della comunicazione 
Prefazione: Derrick De Kerkhove
Copertina: flessibile
 
"Se questo libro non fosse anche molto piacevole da leggere, direi che si tratta di una sorta di studio sociologico sui weblog e sui motori di ricerca. La prospettiva di Granieri è al tempo stesso ampia e precisa: attraverso l'individuazione dei suoi attori e l'esame della tecnologia, la trasformazione delle relazioni personali oggi in atto è messa in luce nei suoi vari aspetti. Il libro di Granieri è ispirato a una visione della democrazia e dell'organizzazione sociale in movimento. La sua è una vera vocazione politica, non di partito, ma di umanità."
(Derrick De Kerckhove)
 
Indice (edizione 2005): 

Prefazione di Derrick De Kerckhove 
 
Nota dell'autore 

Prologo. Di come le percezioni diventano realtà 
     Platone snack bar
     Cosa sanno di noi 
     La democrazia come lotta contro la complessità 

Parte prima
Non la tecnologia: la pratica. Come nasce un modello nuovo 

Capitolo 1. La rivoluzione della pagina "What's New" 
    1.1 Di cosa parliamo quando parliamo di Internet
    1.2 Una tecnologia che esiste da quando è nato il Web 
    1.3 Il problema dell'ornitorinco 
 
Capitolo 2. Per una descrizione della blogosfera 
    2.1 Dalla prassi allo standard 
    2.2 "The Power of Linking": cenni di economia politica del 
          Web 
    2.3 Le regole della conversazione 
    2.4 La palestra delle idee 
    2.5 La moltiplicazione dei pani e dei pesci 
 
Capitolo 3. Il Super-Google 
   3.1 "The ant colony", ovvero la redazione più grande del 
          mondo 
   3.2 "RSS way of life": come cambia il nostro rapporto con le 
          informazioni 
 
Parte seconda
Prove tecniche di rappresentazione del mondo 

Capitolo 4. Ecosistema dei media 2.0 
   4.1 Al lupo, al lupo! 
   4.2 Interazione numero uno: miglior giornalismo 
   4.3 Interazione numero due: il patto critico 
   4.4. La "Google Generation"

Capitolo 5. Democrazia 3.0
    5.1 Campagne elettorali open-source 
    5.2 Modi e tempi del dibattito politico

Capitolo 6. Quello che ci meritiamo 
    6.1 Cosa ne faremo
    6.2 La rivincita della politica 

Bibliografia 

Indice dei nomi
 
Recensione: 
 
In estrema sintesi, il libro granieresco è una massa di contenuti molto datati, che ormai l'editoria potrebbe considerare carta da macero. Fu pubblicato per la prima volta nel febbraio del 2005, a poca distanza dalla mia entrata nel mondo blogosferico di Splinder (luglio 2004). Una ragazza che all'epoca era una diciottenne, adesso è una milf. Una donna che all'epoca era una quarantenne, adesso sia avvia a diventare una vecchia carampana. Un adolescente dei nostri giorni, all'epoca era soltanto uno spermatozzo! Ricordo ancora quando quello stesso anno, credo fosse settembre, fui invitato allo IULM insieme ad alcuni altri splinderiani, tra cui spiccava il giovane Jack the Ripper. Era costui un individuo alquanto bizzarro. Parlammo di Ernst Röhm e di Gregor Strasser, delle SA e dell'omosessualità nella Germania di Weimar. A dire il vero di quella giornata ricordo soltanto lui e un anziano signore il cui portale si intitolava "Ceci n'est pas un blog". Gli altri che incontrai mi parvero assolute nullità, tanto che ogni traccia mnestica della loro esistenza è scomparsa dai miei banchi di memoria stagnante. A parte l'organizzatrice dell'incontro, che aveva i capelli rossicci, non sono nemmeno sicuro che ci fossero delle ragazze. Il motivo di questo lungo flashback è presto detto: proprio allo IULM diedero in omaggio una copia del libro di Granieri a me e agli altri blogger presenti. Lì per lì lo trovai interessante. Dopo anni lo ripresi in mano e mi parve più lontano da noi di una tavoletta d'argilla con iscrizioni cuneiformi. Soprattutto mi parve futile. Pensate, l'opera è tutta innervata da illusioni politiche e da velleità messianiche! Sono andato con la mente ai tempi in cui all'improvviso mi trovai in Splinder: molti facevano un gran parlare del blog come strumento di informazione. C'era chi pensava di usare questo mezzo per migliorare il mondo, senza voler accettare il fatto che non si può pulire un cesso usando la merda. Molti si atteggiavano a giornalisti di un nuovo tipo, mai visti prima e destinati a rivoluzionare il pianeta. Era tutto un pullulare di cronisti d'assalto politicizzati, esperti in materie legali e attivisti pacifisti, che agivano utilizzando il Web anziché i media tradizionali. Cosa ne è rimasto? Niente. Dove sono finiti tutti i movimenti contro la guerra? Ricordo i tempi in cui fu rapito e ucciso Enzo Baldoni (splinderiano, autore di "Bloghdad"). Qualunque cosa succedesse in Iraq aveva un riflesso immediato nella blogosfera splinderiana. Ricordo quando dal mattino alla sera comparve un grottesco blog intitolato "Le due Simone subito libere!" (ormai nessuno se ne ricorda più: le Simone erano due giovani volontarie rapite in Iraq). Esisteva una massiccia presenza di portali politici di ogni genere. Bastava mettersi nell'homepage di Splinder e comparivano post di un gran numero di blog di Forza Nuova, in pratica uno per città. Anche l'Ulivo (che poi è diventato il Piddì) aveva blog territoriali, di cui presto ne rimase uno solo: quello dell'Ulivo di Velletri. C'erano i "Bloggers contro la guerra", "La torre di Babele" di Pino Scaccia e innumerevoli altri. Lo stesso concetto di blog politico è stato nel frattempo dimenticato. Nessuno più coltiva quell'idea puffesca di realizzare la Democrazia Universale tramite la Blogosfera. Per quanto riguarda i gruppi antidemocratici, sono migrati in altri ambienti, come ad esempio Facebook.

Durante l'incontro allo IULM, l'organizzatrice ci invitò a formulare una definizione di blog. Dopo una breve discussione si convenne che un blog differisce da un comune sito web in questo:
1) è aggiornabile facilmente tramite un'apposita finestra di editing e un tasto di pubblicazione;
2) presenta gli aggiornamenti, detti post, in uno storico, di solito in ordine crononogico inverso (anticronologico);
3) permette l'interazione in tempo reale tramite commenti. 
 
Col senno di poi, aggiungerei un'altra caratteristica:
 
4) fa parte di una piattaforma, che è il suo universo-contenitore. 
 
Questo quarto punto, lo capisco sempre di più, è fondamentale. Un portale solitario, con un proprio dominio, non può essere definito un vero blog, perché non è parte di alcuna struttura della galassia informatica. Non è parte della Blogosfera. Ai tempi di Blog Generation, questo concetto non era chiaro. Era addirittura comune l'invidia verso portali come quelli di Granieri e quello di Mantellini (il famoso Manteblog), che si diceva viaggiassero sulle mille visite al giorno. Era quasi un feticismo delle visite. Lo affermo con veemenza, anche a costo di farmi nemici: se l'url di un portale non ha un suffisso che marca la piattaforma, non è un blog. Al massimo può essere definito pseudo-blog.
 
Se ci pensiamo bene, nel trattato di Granieri non viene nemmeno data una vaga definizione di cosa sia un blog. Viene considerata una cosa scontata. A parer mio questo è stato un colossale errore. Un segno che Blog Generation era rivolto unicamente ai blogger, come se fossero una setta priva di aperture verso il mondo esterno, coincidente con l'intero Web. L'insistenza con il tema del dibattito politico e della democrazia digitale è fortissima fin dalle prime pagine: sembra quasi una lente distorcente attraverso cui l'autore guarda l'Esistenza. Eppure la maggior parte dei blog non ha mai avuto contenuti politici articolati. Un ex collega aveva un blog i cui post erano tutti uguali: "Berlusconi vi ruba il futuro". La stessa identica frase, ripetuta centinaia, forse migliaia di volte. Certo, è una frase politica, ma se vogliamo è un po' scarna. Per ogni portale di un attivista, ce ne saranno stati centinaia e centinaia che trattavano di tutt'altro. C'erano blog di varie subculture. Ve li ricordate gli Emo? Erano quei giovani magrissimi e vestiti di nero che facevano feste orgiastiche e si cospargevano di sperma! E le anoressiche? All'epoca erano molto attive in Splinder, al punto che ci furono tentativi di fare leggi per reprimerle. Poi c'erano moltissimi a cui non importava un bel niente di nulla. In fondo, con buona pace di Granieri, uno può benissimo aprire un diario on line e scrivere cose del tipo: "Oggi ho la diarrea! Il suo odore di uova marce stordirebbe le mosche!" C'era poi un portale il cui autore ripeteva soltanto il carattere "ù", in innumerevoli post di questo genere: "ùùùùùùù". Riceveva moltissimi commenti di internauti adirati che si lamentavano dello spreco di risorse. Il tempo ha affossato la Blog Generation, proprio come ha affossato Nabucodonosor e il Re di Sodoma. Certi concetti graniereschi suonano così distanti dalla realtà che al confronto ci sembra concreto e immanente il magico mondo dei Puffi! Non tutto però è una melassa di ingenuità e di stucchevole panglossismo. Ci sono anche spunti per riflessioni di un certo interesse, a patto di saperli scorgere nella massa delle scorie ideologiche. 
 
La natura aristocratica del Web segue i princìpi della Teoria delle Reti, così ben descritti dal cibernetico ungherese Albert-László Barabási. Si comprese ben presto che non tutti i blog potevano avere la stessa visibilità. Accadde quando in Splinder cominciarono ad emergere le cosiddette blogstar. In molti casi i loro contenuti erano di una stupidità spaventosa, di un vuoto desolante, eppure erano graditi a un numero immenso di utenti, a loro volta stupidi e vuoti. Granieri non manca di parlare di questo fenomeno, citando il caso di un blogger  splinderiano conosciuto come Personalità Confusa. Di lui si parlò a fondo anche allo IULM. Da quello che ricordo, era uno studente che fingeva di essere una baby sitter alle prese con pannolini sporchi di merda e simili amenità. Il suo delirante diario piacque a un gran numero di utenti, tanto che divenne uno dei blog più citati dai media. Non si capirà mai perché sia andata così. In pratica ha funzionato come la formazione di un cristallo intorno a un minuscolo nucleo di aggregazione in una soluzione satura di sali. Non è poi così strano che Granieri abbia riportato proprio questo esempio, anche se non sembra essere politicamente spendibile. Il meccanismo che permetteva a un blog di attirare enormi consensi era visto come qualcosa della massima importanza: c'era l'illusione di poterlo comprendere e di utilizzarlo per realizzare la democratizzazione blogosferica dell'intero Universo, fino alle più remote galassie. A distanza di anni anche queste blogstar sono scomparse: già da tempo si erano avviate lungo i sentieri dell'Estinzione.
P.S.
A quanto si scopre, i contenuti di Personalità Confusa sono stati migrati in un tristissimo portale indipendente con suffisso .net. Gli aggiornamenti sono continuati fino a tempi recenti, ma tutto ciò non mi sembra la stessa cosa di Splinder.     

Il caso del Connettivismo 
 
Peccato che anche per motivi cronologici Granieri non abbia potuto menzionare la complessa interazione blogosferica da cui è nato un movimento artistico della massima importanza, il Connettivismo, a cui ho avuto il privilegio di aderire fin dagli inizi del 2005. Il nucleo iniziale del Connettivismo era il blog splinderiano Cybergoth di Zoon. Su un template nero come l'Abisso Siderale scorreva un flusso incessante di post che erano frammenti di universi collassati. È stato per me un grande privilegio parteciparvi! Estinto Splinder, il progetto di Zoon continua su HyperHouse (NeXT Hyper Obscure), ospitato dalla piattaforma WordPress. Si tratta di uno degli ultimi blog in cui permane l'antica scintilla. 
 
 
Se penso alle antiche glorie, mi commuovo. Mi limiterò a riportare l'inizio del Manifesto del Connettivismo e a rimandare a una pagina del sito Fantascienza.com.    
 
"Siamo i Custodi della Percezione, i Guardiani degli Angeli Caduti in Fiamme dal Cielo, i Lupi Siderali. Un gruppo di liberi pensatori indipendenti. Viviamo nel cyberspazio, siamo dappertutto. Non conosciamo frontiere. Questo è il nostro manifesto." 
 

Sono le Ultime Stelle, che diffondono la loro fioca luce nel Nero Assoluto, nella Morte Termodinamica del Multiverso.

Altre recensioni e reazioni nel Web

Queste sono due recensioni di Blog Generation, che reputo interessanti:
 
"Il 2004 è stato tutto un pullulare di libri sui blog, sui blogger e via discorrendo. Continuo a chiedermi da un lato se hanno un certo qual successo, e dall'altro se servono a qualcosa. In fin dei conti è anche vero che chi scrive su un blog tende a leggere più della media, e con le tirature medie italiane basta "leggersi addosso" per ottenere un discreto successo. Questo agile saggio nasce per spiegare il fenomeno da un punto di vista sociologico. Granieri è una figura molto nota nel campo, e il suo punto di vista è che la Rete permetterà una maggiore partecipazione dei cittadini alla "politica", intesa sia nel senso usuale che in quello etimologico di "scambio di informazioni e conoscenze tra le persone; il tutto favorito dai sistemi software di aggregazione di quanto noi rendiamo pubblico, che faranno sì che ognuno di noi si costruirà il proprio giornale interattivo. Il libro è scritto in uno stile che si mantiene quasi sempre scorevole, senza usare quei paroloni che danno l'aria di voler nascondere la scarsa conoscenza degli argomenti. Chi conosce il "guru" Granieri si potrà piuttosto stupire che non è stata mai usata alcuna faccina: è proprio vero che un sito web e un libro richiedono formalismi diversi. L'unica pecca che ho trovato è il tono a volte troppo trionfalistico, come se i blog fossero la Rivoluzione Totale e Definitiva invece che uno strumento utile ma non certo indispensabile. Forse però la mia è una visione prevenuta: in fin dei conti faccio già parte della Blog Generation."
(Maurizio Codogno) 

"15.000 blog nuovi al giorno l'anno scorso; forse quest'anno anche di più. Il libro ci spiega che cosa è un blog e come funziona: in che modo è la forma più matura di internet. La possibilità per ogni utente del web di avere un proprio punto di presenza, fa la differenza rispetto ai sistemi finora in uso: newsgroup, forum, e-mail, ecc. Inoltre il blog - dice ancora Granieri - inverte la sequenza letteraria cui eravamo finora abituati: esso prima pubblica e poi filtra. L'esigenza di tale filtro, ovviamente, dovrebbe portare (porta) alla scrematura della fuffa, e quindi far sì che solo la punta della piramide abbia una consistenza. Il resto è vanità! Granieri riferisce numerosi episodi per avvalorare l'incidenza dei blog anche nei confronti dei media tradizionali, che tendevano ad ignorarne la presenza. La lettura è piacevole oltre ad essere istruttiva."
(Romolo Pranzetti) 

Parole che a pochi anni di distanza suonano come rumore di fondo!
 
Epilogo 
 
Dov'è finita la Blog Generation? Nel Nulla. È finita nel Nucleo del Nulla. Non ne resta quasi alcun ricordo, solo qualche traccia mnestica in dissoluzione nella Noosfera demente di questa umanità terminale.

giovedì 20 agosto 2020

BRUCE STERLING E LA PROFEZIA SULL'ESTINZIONE DEI BLOG

Il 16 marzo 2007 è stata riportata sul quotidiano La Stampa, nella sezione Tecnologia, una notizia a dir poco singolare: Bruce Sterling al South by Southwest Festival di Austin (Texas) ha dichiarato che i blog sono in via di estinzione, aggiungendo che entro un decennio, nel 2017, la stragrande maggioranza di tali portali sarebbe scomparsa. Ecco il link al (poco) mirabile articolo: 
 
 
I giornalisti come al solito hanno concepito un titolo in grado di generare fraintendimenti. Il lettore medio entra a malapena negli articoli, di cui legge in modo disattento poche righe. Così è l'impatto del titolo ad essere determinante nel formare l'opinione pubblica. Il problema è questo: dal titolo si sarebbe dedotto che nel 2017 ci sarebbe stato un evento catastrofico, come l'impatto di un asteroide, che all'improvviso avrebbe spazzato via l'intera blogosfera mondiale. I giornalisti hanno trasformato le dichiarazioni di Sterling in qualcosa di simile alla famosa "Profezia del Maya" che nel 2012 avrebbe dovuto colpire il pianeta (e che si è rivelata una merdata colossale). In realtà Sterling non ha mai parlato di un annientamento subitaneo: alludeva soltanto a un declino e a un lento processo di sfacelo che avrebbe infine portato alla quasi estinzione dei blog. Stramaledetti giornalisti, che fanno deformazione anziché informazione! Ecco alcuni estratti:
 
“Ci sono cinquantacinque milioni di blog, qualcuno di loro deve essere buono”, ha detto Sterling, ripetendo ironicamente lo slogan che campeggia sul portale Technorati. “In realtà, non è così. Non sono buoni e nel giro di dieci anni ne rimarranno pochi. Sono un fenomeno passeggero”. E neanche poi troppo innovativo, ha concluso, più che altro una declinazione in larga scala delle vecchie forme di comunicazione tribale.
 
Interessante notare che nel frattempo si è estinto proprio il portale Technorati, da lungo tempo ingorgato e inservibile, meno utile di un peto sulfureo. 
 
E ancora: 
 
Poche ore dopo aver sconvolto la platea di blogger radunati ad Austin (da festival essenzialmente musicale, il SXSW sta diventando sempre più un raduno high tech, con decine di incontri dedicati a Internet e alle nuove tecnologie), Sterling ha utilizzato proprio un blog, quello che cura su Wired.com, per puntualizzare alcuni aspetti del suo intervento. 
 
Vista la reazione del pubblico sconvolto dalla Profezia, il Texano avrebbe fatto qualche precisazione: 
 
“Non credo che i blog siano una moda destinata a svanire”, ha scritto. “Ma che sta svanendo la forma originaria del blog: noi usiamo ancora quel termine, ma ormai non coincide più con lo sviluppo di Internet”. Sterling fa riferimento a YouTube, a Flickr, a MySpace, ai social network. “E’ questo ciò che intendevo quando ho detto che non ci saranno più blog nel giro di dieci anni. Ci saranno un sacco di contenuti post-blog. Megatoni di importanti contenuti. Ma non blog”.   
 
(Nota: Immagino che un originale megatons sia stato tradotto con "megatoni", anche se lo scrittore intendeva certamente dire "milioni di tonnellate"!)
 
Questo è il link al post di Sterling: 
 
 
Peccato che sia un link rotto: nel frattempo il blog dell'augusto texano si è estinto! Come mi secca avere sempre ragione! 
 
Come spesso accade, risulta essenziale confrontare le cose scritte dai giornalisti italici con le fonti in inglese da cui hanno attinto. Infatti in alcuni casi mi sono imbattuto in articoli presi per intero e copiati per poi inserire nel traduttore di Google. Da allora sono abbastanza cauto. Cercando nel Web, ho facilmente trovato un articolo che in teoria dovrebbe riportare il discorso di Sterling verbatim ab origine. È apparso sul quotidiano online The Register e si intitola Bruce Sterling gives blogs 10 years to live. Come se fosse l'annuncio di una diagnosi di cancro. Sempre il solito pacchiano sensazionalismo giornalistico. 
 
 
Questo è un estratto particolarmente significativo: 
 
Science fiction writer and professional pundit Bruce Sterling has cracked bloggers with the extinction stick, saying the plebs will crawl back into their ooze by 2017.

"There are 55 million blogs and some of them have got to be good," Sterling said, during a speech here at the SXSW conference in reference to the slogan on blog search site technorati.com. "Well, no, actually. They don't."

"I don't think there will be that many of them around in 10 years. I think they are a passing thing." 
  

Ho preso il testo e l'ho messo tal quale nel traduttore di Google. Questo è il risultato, da confrontare con l'articolo in italiano: 

Lo scrittore di fantascienza ed esperto professionista Bruce Sterling ha incrinato i blogger con il bastone dell'estinzione, dicendo che la plebe tornerà a strisciare nella sua melma entro il 2017.

"Ci sono 55 milioni di blog e alcuni di loro devono essere buoni", ha detto Sterling, durante un discorso qui alla conferenza SXSW in riferimento allo slogan sul sito di ricerca di blog technorati.com. "Beh, no, in realtà. Non lo fanno."

"Non credo che ce ne saranno così tanti in giro tra 10 anni. Penso che siano una cosa passeggera".

 
Spettacolare! Almeno i giornalisti italici non hanno scritto che Sterling ha incrinato i blogger con il bastone dell'estinzione e non hanno maledetto le plebi!!! :) 
 
Poi tutto dipende da cosa gli astanti hanno capito davvero delle dichiarazioni di Sterling. Siccome la lingua che parla abitualmente è meno comprensibile di un idioma alieno, i fraintendimenti sono all'ordine del giorno. Che un ascoltatore sia o meno di lingua madre anglosassone, le difficoltà sono notevoli. Non dimenticherò mai quella volta in cui un giornalista napoletano, incapace di capire il neotexano, ha trasformato il Guru del Cyberpunk in un pistolero!  
 
Il punto è questo, con buona pace di Sterling. I blog sono irrilevanti. Che muoiano o meno non significa proprio nulla. L'essenza di un blog è di per sé meno importante della cacchina depositata da uno scarafaggio sul pavimento di una latrina! Presi singolarmente, questi portali contano meno delle feci di una mosca su uno specchio in un bordello indiano. Non sono i blog ad essere morti, bensì la Blogosfera!
 
Tanatologia blogosferica
 
La Blogosfera non è definibile come la semplice somma algebrica dei blog che la compongono. All'epoca in cui la Blogosfera era una realtà in espansione, era un insieme di proprietà emergenti, date dai legami tra i blogger, dalle loro continue interazioni, dal flusso di informazioni. Queste proprietà si esprimevano nei modi più svariati. Esisteva il blogroll, in cui venivano linkati un gran numero di blog di persone con cui si interagiva. Nei post erano spesso incorporati i link a post altrui, i commenti che formavano spesso estesi thread. In alcuni casi queste discussioni avevano la mole di poemi epici e contenevano autentiche gemme. Tutte queste cose sono svanite nel Nulla. Se la Blogosfera nel 2007 era paragonabile a un pianeta vivo come la Terra, con i suoi complessi cicli, oggi esiste soltanto la desolazione di Plutone! Dove un tempo fiorivano ecosistemi rigogliosi e caotici, oggi si scorgono soltanto rocce nude e gelide alla deriva nell'Abisso!
 
Contenuti post-blogosferici  
 
Bruce Sterling, nel suo ottimismo gioviale, nel 2007 si diceva convinto che dopo un decennio sarebbero comunque esistiti moltissimi contenuti interessanti nel Web. Aveva ragione! Non esito a dire che posso fornirne qualche esempio. Un fan della Ferrigni riporta la ricetta di una torta ottenuta dalla cacca della sua biondissima diva e aromatizzata al castoreo, l'aroma di vaniglia ottenuto dalle ghiandole anali dei castori: un'autentica ghiottoneria giannesca! Sono state posate le fondamenta del Tempio dei Coprofagi! Questo è un piccolo passo per il post-blogger, ma un passo gigantesco per l'umanità! Grazie all'incessante lavorio di qualche eroe post-blogosferico stanno ritrovando vigore alcune vecchie leggende. Mi sono imbattuto nella storia di Rod Stewart quasi morto per aver ingerito un'immensa quantità di sperma, donato da un folto gruppo di marinai nerboruti!

martedì 18 agosto 2020

ETIMOLOGIA DI FUNK

Il funk (da non confondersi con il punk) è un genere musicale derivato dal jazz, dal soul e dal rythm and blues, nato negli States a metà degli anni '60 del XX secolo. Nel gergo del jazz, è denominato funk tutto ciò che in tale musica è tipicamente afroamericano. Dal punto di vista tecnico, il funk è ritmato e ballabile, riducendo l'importanza della progressione degli accordi e della melodia.
 
A questo punto sorge una domanda. Qual è dunque l'etimologia di funk? Ebbene, essa è a dir poco imbarazzante. Nello slang afroamericano si hanno le seguenti parole: 

funk "puzza, cattivo odore"
funky "puzzolente" 

Per l'esattezza, l'area semantica è quella del cattivo odore corporeo: smegma, sudore di ascelle, sozzura di piedi. Indica però anche quel forte odore nato dall'eccitazione sessuale. Così il funky gallo di cui cantava Zucchero sarebbe alla lettera un "gallo puzzolente", quindi un cazzone, un enorme Schwanzstücker! Ricordo di aver letto su un quotidiano un'intervista a una prostituta che si lamentava della propria condizione. "Non viene Brad Pitt", diceva, "e tutti i maschi quando sono eccitati hanno addosso quell'odore strano, come di brodo". Credo che sia dovuto a intense scariche di feromoni. Ecco, il funk alludeva proprio a questa caratteristica, le esalazioni delle persone arrapate. Infatti, sempre nello slang afroamericano, la parola funky è giunta a significare non soltanto "sporco", ma anche "sexy", "arrapante", "atttraente", "autentico", ossia "libero da inibizioni". 
 
Un algoritmo dell'Idiozia Artificiale potrebbe benissimo, fermandosi all'accezione non certo positiva di "puzza, cattivo odore", identificare la parola funk e il suo derivato funky come etichette "razziste" e intraprenderne la rimozione sistematica. Stupisce infatti che l'intero genere funk non sia ancora stato condannato alla cancellazione dai buonisti politically correct, proprio per via di un'etimologia "non inclusiva" e "discriminatoria". Forse è soltanto una dimenticanza dell'Idiozia Artificiale che ha sede nell'Università di Berkeley, proprio nell'Omphalos da cui la dittatura orwelliana si irradia nell'intero Occidente. 
 
Quando ero giovane e sentii per la prima volta nominare le parole funk e funky, non ci dedicai molta attenzione e pensai che fossero alterazioni di fucking. Grande era la mia ingenuità. Un'attenta indagine etimologica mi ha portato a scoprire tutto un mondo di un estremo interesse. Occorre fare molta attenzione, perché esistono diversi omofoni con origini diverse. 
 
Lo slang afroamericano ha semplicemente conservato una parola che un tempo esisteva nell'inglese corrente, ma che in seguito è caduta in disuso: funk "cattivo odore" è attestato dal 1620. Si tratta di un termine di origine anglo-normanna: nel dialetto settentrionale della lingua d'oïl esisteva il verbo funquer (funquier) "fumare, emanare vapori". Questa era una variante dialettale di fungier, usato negli altri dialetti della lingua. L'origine è in ultima analisi da un latino volgare *fu:mica:re, variante della forma classica fu:miga:re "affumicare, annerire con il fumo; fumare, emettere fumo". Probabilmente tale variante con -c- è nata per ipercorrettismo. È ben noto il fatto che nei dialetti settentrionali della lingua d'oïl mancavano i fenomeni di palatalizzazione secondaria e si conservava l'antica consonante /k/ anche in contesti in cui nel resto del territorio era diventata un'affricata /tʃ/ (o /dʒ/ tra due antiche vocali). Si può quindi concludere che funk "cattivo odore" è una parola giunta dal francese. 
 
 
Purtroppo ci sono studiosi che complicano inutilmente le cose. Nel sito Etymonline.com, in genere tanto meritorio, compare una criticità di non poco conto. Dopo aver analizzato la derivazione di funk "cattivo odore" da un dialetto francese, afferma quanto segue: 
 
funk (n. 2)
 
In reference to a style of music felt to have a strong, earthy quality, it is attested by 1959, a back-formation from funky (q.v.).
 
Ossia: 
 
"In riferimento a uno stile di musica percepito come dotato di qualità forte e terrosa, è attestato intorno al 1959, essendo una retroformazione da funky (cfr.)." 
 
Quando si entra nella voce funky si legge questo: 
 
 
1784, "old, musty," in reference to cheeses, then "repulsive," from funk (n.2) + -y (2). It began to develop an approving sense in jazz slang c. 1900, probably on the notion of "earthy, strong, deeply felt." Funky also was used early 20c. by white writers in reference to body odor allegedly peculiar to blacks. The word reached wider popularity c. 1954 (it was defined in "Time" magazine, Nov. 8, 1954) and in the 1960s acquired a broad slang sense of "fine, stylish, excellent." 
 
Ossia: 
 
"1784, "vecchio, ammuffito," in riferimento ai formaggi, quindi "ripugnante," da funk (n.2) + -y (2). Cominciò a svilupparsi con un senso di approvazione nello slang del jazz nel 1900 circa, probabilmente nella nozione di "terroso, forte, sentito in modo profondo." Funky era anche usato agli inizi del XX sec. dagli scrittori bianchi in riferimento all'odore corporeo ritenuto tipico dei neri. La parola ha raggiunto una più ampia popolarità circa nel 1954 (fu definita nel quotidiano "Time", Nov. 8, 1954) e negli anni '60 acquisì un senso lato di "bello, elegante, eccellente"." 

Dalla puzza di formaggio all'odore terroso e al sentimento viscerale. Una catena di slittamenti semantici tutt'altro che sicura. Prima si dice che funk è stato retroformato da funky. Poi si dice che funky è stato formato a partire da funk. Una tautologia, un gatto che si morde la coda. Mi ricorda una divertente conversazione tra un bambino e suo padre. 
 
- Babbo, babbo, perché Buccinasco ha questo nome? 
- Buccinasco si chiama così perché ci abitano i Buccìni. 
- Babbo, babbo, perché i Buccìni si chiamano così? 
- Oh bella, perché abitano a Buccinasco! 
 
Infine riportiamo un aneddoto singolare. Secondo una storiella in circolazione, l'aggettivo funky e il nome del genere funk sarebbero stati coniati dal pioniere del jazz Buddy Bolden. Egli aveva ribattezzato la Union Sons Hall (Perdido Street, New Orleans) come Funky Butt Hall, per via del pestilenziale tanfo di culi sporchi che vi regnava!     
 
Altri significati, altre origini 
 
Esiste una parola funk "depressione, cattivo umore", che proviene dai dialetti dell'Inghilterra settentrionale, in cui il verbo to funk significa "spaventarsi, sentirsi mancare dalla paura". Si tratta di una parola di origine anglo-normanna, proveniente dall'antico francese funicle, fernicle "matto, folle", a sua volta da una forma diminutiva del latino phrenicus "malato di mente, delirante, folle" (variante del più comune phrene:ticus, phreni:ticus, cfr. italiano frenetico, frenesia, farneticante). 
 
Esiste anche l'omofono funk "scintilla", che è invece nativo e di chiara origine germanica (cfr. antico alto tedesco funcho "scintilla", tedesco moderno Funke id.). Questa parola, attestata nel XIV secolo, è ormai considerata obsoleta. Può aver contribuito a formare funk "legna marcia", sotto l'influenza di punk "legna marcia usata come esca per il fuoco" (vedi), anche se questo è ben lontano dall'essere certo.

domenica 16 agosto 2020

ETIMOLOGIA DI PUNKABBESTIA

Sentii nominare per la prima volta la parola punkabbestia quando ero uno studente universitario. Erano gli anni '90 del XX secolo. Mi trovavo uno stato paragonabile al confino nell'orrendo borgo di Cardano al Campo, più opprimente e cupo di Arkham. In quel luogo dove la Natura era gravemente turbata, accadde che A. mi parlò dei punkabbestia, descrivendoli come punk che vivevano in condizioni spaventose, per l'appunto bestiali. Dalla sua narrazione mi feci l'idea di relitti umani affetti da scabbia, che vivevano senza un tetto, macerati nei loro escrementi, nella loro orina, puzzando in un modo spaventoso. Mi rimase impresso un dettaglio: d'inverno usavano scaldarsi abbracciando i loro cani. Va detto che A. era di sinistra estrema e si professava trotskista. Quindi non si poteva certo pensare che le sue impietose descrizioni dei punkabbestia nascessero da idee neofasciste o neonaziste, anche se aderiva alla setta denominata Straight edge. Finita la mia condizone atroce a Cardano al Campo, per qualche anno non mi è più capitato di sentir parlare dei punkabbestia. Un giorno mi giunse voce di un ragazzo di cui facevano descrizioni orripilanti, dicendo che puzzava di piscia lontano un miglio e che era tutto coperto di croste. Mi fu riferito che era un punkabbestia che frequentava le scuole superiori ed era in classe con la figlia di un conoscente. Devo precisare che non l'ho mai visto coi miei occhi. Il fatto che si presentasse a scuola mi parve strano. Forte di queste mie scarse nozioni, ero convinto che punkabbestia significasse "punk degradato a bestia" o "punk ridotto a bestia" e che il nome avesse origine dall'abbreviazione di una di queste due locuzioni. È comune l'opinione secondo cui i punkabbestia nascerebbero dalla degenerazione del movimento anarco-punk. In realtà, pensandoci molto tempo dopo, mi sono reso conto che le cose non sono così semplici e che la questione è meritevole di ulteriori indagini. 
 
In tempi più recenti mi sono trovato nella stazione di Milano Porta Garibaldi, ed avevo molta fretta, perché di lì a poco sarebbe partito l'ultimo treno della serata. Nel passaggio ho finalmente visto con i miei occhi un gruppo di punkabbestia affollati attorno ai distributori di bottigliette d'acqua e cioccolati finti. Avevano con sé numerosi cani di grosse dimensioni. Temendo i cani, per me la situazione era molto difficile. Così ho chiesto ai punkabbestia se per favore potevano trattenere gli animali in modo da permettermi di passare. Sono stati gentilissimi e hanno fatto come avevo loro chiesto. Li ho ringraziati e sono passato, riuscendo a raggiungere le scale e a salire sul treno. Ho potuto constatare che nonostante il loro strano aspetto, non certo curato, non proveniva alcun lezzo dai loro corpi. Forse le descrizioni che mi avevano fatto A. ed altri erano esagerazioni, così mi dissi. In seguito vidi uno scenario meno confortante quando ogni giorno, andando al lavoro e tornando, passavo vicino a un centro sociale nella zona Isola. C'erano molti punkabbestia che spacciavano alla luce del sole e condizioni di degrado. Un giorno, in piena estate, misero una tazza del cesso sul marciapiede, tutta piena di assorbenti e di sterco. In seguito il centro sociale in questione è stato assediato dagli agenti in tenuta antisommossa, espugnato e smantellato; i suoi occupanti sono stati deportati altrove. 
 
Varianti ortografiche: 
pankabbestia
pancabbestia 
punk a bestia 
puncabbestia  

Pronuncia: 
/pankab'bestja/
/punkab'bestja/ 
Devo dire di aver sentito sempre e soltanto pronunciare /pankab'bestja/.
 
Sono state proposte poche etimologie di punkabbestia
 
1) Si tratta di una contrazione di punk con la bestia, che nei dialetti dell'Italia Centrale suona punk c'a bbestia; la bestia in questione è ovviamente il cane, compagno inseparabile del punkabbestia. 
2) Si tratta dell'aggiunta all'appellativo punk della locuzione a bestia (pron. abbestia), usata a mo' di avverbio, il cui significato sarebbe "alla maniera di un animale", quindi "in modo viscerale", "molto fortemente". 
3) Secondo il Vocabolario Treccani si tratta invece di un composto arbitrario tra punk e bestia. Secondo questo ragionamento, un originale *punk-bestia sarebbe stato reso più pronunciabile divenendo punkabbestia

Quale sarà l'etimologia corretta? Personalmente propendo per la prima. Innanzitutto è necessario documentare meglio la locuzione a bestia, abbestia, per comprendere se il suo uso è compatibile con la proposta etimologica.  

i) a bestia, abbestia è detto di azione eseguita con poca cura, in maniera raffazzonata.
   Sinonimo: a cazzo di cane
   Latino maccheronico: ad cazzum, ad mentulam canis 
   Esempio: Non si riesce a passare di qui, qualcuno ha parcheggiato abestia
ii) a bestia, abbestia significa "moltissimo", "in gran quantità". 
   Esempio: La nuova versione del sito mi piace a bestia
 
Non mi sembra che a bestia, abbestia possa aggiungersi a nomi o ad aggettivi. A quanto pare serve a rafforzare soltanto le voci verbali. Si può dire "mi piace abbestia", ma non "è un anarchico abbestia", "è un comunista abbestia", "è un fascista abbestia" o simili. Ho sentito parlare di cattolici-belva, ma non di cattolici abbestia. Se la traduzione corretta è "moltissimo, in gran quantità", è possibile che la traduzione "in modo viscerale" sia distorta. Questo è quanto sono riuscito ad apprendere coi dati a mia disposizione. Se sbaglio e qualche amico toscano ha modo di correggermi, ben venga, sono pronto a farne tesoro. Una curiosità: il nome del gruppo musicale dei Folkabbestia sembra formato confidando nella traduzione di abbestia "in modo viscerale".
 
Una mano ci viene dai "cugini d'Oltralpe". In francese il punkabbestia è chiamato punk à chien. Esiste anche un sinonimo zonard "giovane sbandato" (alla lettera "abitante di una zona o di una periferia povera"). Il fatto che in francese si dica punk à chien conferma l'origine di punkabbestia da punk c'a bbestia
 
In inglese non esiste nessuna denominazione confrontabile con punkabbestia e col francese punk à chien. Tali persone senza fissa dimora sono chiamate in questi modi:
 
gutter punks 
anarcho-punks 
crust kids 
crust punks 
crusties
crusty punks  
traveling 
traveler kids 
traveler punks   
travelers 
hobo-punks 
punk hobos 
punk nomads 
road kids 
transient punks 
street punks 
dirty kids 
train hoppers 
railriders 
gutter pirates 
oogles 
 
Vediamo che gutter punk significa "punk della grondaia", con riferimento al riparo temporaneo a ridosso delle pareti, mentre crust punk fa riferimento alla scabbia crostosa, che aggredisce in particolare le persone debilitate. Alcune denominazioni sono problematiche, essendo usate da alcuni gruppi per designarne altri, visti con disprezzo o con ostilità. Così spesso sono chiamati oogles i gruppi di punkabbestia considerati non autentici. L'odioso epiteto scumfuck (o scum fuck) è usato per etichettare membri della subcultura percepiti come apatici, egoisti, aggressivi, violenti, nichilisti o edonisti. La nomenclatura è molto complessa. Già A. mi segnalava che i punkabbestia non vanno confusi con altri nomadi metropolitani, come gli squatters, che sono occupatori abusivi di edifici. S. mi diceva che i punkabbestia non amano il sesso orale, ma scopano soltanto, per via delle disastrose condizioni igieniche o forse per motivi ideologici, vedendo il sesso edonistico come qualcosa di "borghese".
 
Possibile estinzione 

Una domanda. I punkabbestia sono estinti? Spesso, per drammatizzare, alludo al rischio di dormire con i punkabbestia se perdo l'ultimo treno tornando da una trasferta. Tuttavia è da molto che non ne vedo in giro. Secondo l'opinione del carissimo Lukha B. Kremo, di punkabbestia a Milano ne resterebbero in giro ben pochi. Ho trovato un articolo melanconico di Dejanira Bada, intitolato "Che fine hanno fatto i punkabbestia?", risalente al 2018. Leggendolo si ha l'impressione che tale subcultura sia praticamente estinta. Secondo Alessio Spataro i punkabbestia sarebbero quasi estinti a Bologna. Tuttavia su quotidiani milanesi sono comparsi articoli anche recenti (uno risale al giugno 2020), dalla cui lettura sembra che il capoluogo lombardo sia stato messo a ferro e a fuoco da orde di punkabbestia! Si parla di rave devastanti, pestaggi e simili. Forse l'epiteto punkabbestia è stato applicato ad altri elementi marginali, a causa della superficialità dei giornalisti. Sarebbero necessarie ulteriori studi. Sembra in ogni caso che negli Stati Uniti d'America e in Canada i punkabbestia siano ancora numerosissimi.