Visualizzazione post con etichetta criptozoologia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta criptozoologia. Mostra tutti i post

domenica 18 giugno 2017


OLIVER LO SCIMPANZUOMO

Oggi voglio raccontarvi la storia di Oliver, il primo ibrido tra uomo e scimpanzé di cui si abbia notizia.

Nel lontano 1960 Frank e Janet Berger acquistarono un giovane scimpanzé di circa due anni, nato nello Zaire (ex Congo Belga). Subito si accorsero della stranezza dell'animale: sia la sua struttura fisica che il suo comportamento erano eccezionali per un primate. La scimmia infatti aveva una postura eretta e si trovava più a suo agio con compagni umani che con quelli che avrebbero dovuto essere i suoi simili. Fu educato a indossare abiti umani, a usare la tazza del water per evacuare i suoi reflui e a pulirsi il deretano con la carta igienica. Sedeva a tavola, usando con perfetta maestria le posate. Sapeva persino cucinare e spingere carriole. Guardava la televisione sorseggiandosi tranquillo dei cocktail. Ma la cosa che più fu causa di stupore era il suo comportamento sessuale. Quando raggiunse la maturità, Oliver dimostrò subito un'invincibile attrazione per le donne, le preferiva di gran lunga alle femmine della sua specie. Come vedeva una donna si masturbava furiosamente e le faceva pesanti avances, esibendole i suoi genitali in erezione. Janet Berger fu traumatizzata da questo comportamento, perché Oliver cercava costantemente di accoppiarsi con lei. Presto fu chiaro che lo scimpanzé era una grave minaccia per Janet, che decise di venderlo. Diversi testimoni garantirono che gli approcci Oliver con Janet erano autentici tentativi di stupro e non semplici esibizioni pagliaccesche. Alcuni giurarono che il libidonoso primate non emanava dal suo corpo il fetore tipico degli altri scimpanzé.

Non appena fu venduto ad un addestratore professionista di nome Miller, Oliver iniziò una portentosa carriera. Illuminava tutti con i segni di un'intelligenza chiaramente umana. In seguito passò a Ralph Helfer, gestore di un parco tematico in California.

Sorpresi da tutto questo, molti iniziarono a costruirci teorie. Per alcuni Oliver doveva essere il celebre "anello mancante" ipotizzato da Darwin, altri pensarono che fosse invece il frutto di qualche esperimento genetico. Si sapeva che Mengele aveva dichiarato a molte sue prigioniere di averle ingravidate con lo sperma estratto da scimpanzé, e all'epoca non si sapeva ancora che il medico nazista bluffava: le sue si rivelarono tecniche di raffinata violenza psichica. Furono fatti diversi test genetici, ma i risultati ottenuti si rivelarono contrastanti - a mio parere a causa dell'ottusità di un mondo scientifico così schiavo dei pregiudizi. A una prima analisi, Oliver rivelò un corredo composto da soli 47 cromosomi, uno in meno dei normali scimpanzé e uno in più degli esseri umani. Un secondo test effettuato all'Università di Chicago dichiarò invece, con infinita pruderie, che il sospetto ibrido avrebbe invece avuto 48 cromosomi. Il Dottor David Lebletter scrisse che "La presenza di 47 cromosomi nel suo DNA può essere spiegata come un'interpretazione errata dei dati, o semplicemente una rappresentazione schematica modificata". La dottrina soggiacente è la stessa usata dagli scettici ad oltranza che vedendo un oggetto inspiegabile in cielo sbottano "è un pallone sonda". Qualsiasi cosa sia, avesse anche la forma di un sigaro o di un rombo composto da luci separate, deve essere un pallone sonda - così come per i villici di distretti isolati deve essere la Madonna.

Qualche scienziato più moderato ha fatto invece notare come siano nati altri scimpanzé bizzarri con caratteristiche simili a quelle di Oliver, formulando l'idea che si debba trattare di una nuova specie o sottospecie del tutto naturale.

Sono convinto che Oliver sia il prodotto di un coito ferino tra uno scimpanzé maschio e una femmina umana. Infatti il rapporto tra un maschio umano e una femmina di scimpanzé darebbe più difficilmente frutto, per via della diversa struttura dell'utero. Se i cavalli montano le asine dando origine ai bardotti, se gli asini montano le cavalle dando origine ai muli, perché mai non dovrebbero essere possibili ibridi uomo-scimmia? Le differenze di corredo genetico tra uomo e scimpanzé sono molto minori di quelle che sussistono tra animali come cavalli e asini, cavalli e zebre, tigri e leoni, CHE PRODUCONO SICURAMENTE IBRIDI! E si badi bene, non sto parlando di esperimenti, di inseminazioni in vitro: parlo invece di copule! Il problema è che il mondo scientifico, che è corrotto, teme di rivelare questi arcani, per paura di rappresaglie da parte del mondo religioso!

Voglio mostrare che l'universo è una fornace di orrori e di miserie insopportabili! Voglio distruggere i dogmi buonisti della società cattolicizzata! Voglio dimostrare che l'uomo non fu fatto a immagine e somiglianza di Dio, ma di Satana! E se è possibile fecondare un ventre umano con lo sperma di esseri subumani, questo dimostra l'origine diabolica, non divina, del corpo e della fecondità!

Riporto le vibranti parole di Lovecraft, tratte da "La verità sul defunto Arthur Jermyn e la sua famiglia" e capaci di illuminare questa tenebra:

La vita è una cosa orribile e dietro le nostre esigue conoscenze si affacciano sinistri barlumi  di verità che la rendono ancora più mostruosa. La scienza, già oggi sconvolgente nelle sue terribili rivelazioni, rappresenterà la fine della razza umana - ammesso pure che siamo una specie autonoma - quando fornirà alla nostra mente la chiave di orrori insopportabili che un giorno dilagheranno nel mondo. Se sapessimo ciò che veramente siamo, dovremmo seguire l'esempio di Arthur Jermyn: e Arthur Jermyn si cosparse di benzina e si diede fuoco nel cuore della notte.

venerdì 7 aprile 2017

UNA STRATEGIA ACCADEMICA: LA RIMOZIONE DEI DATI SCOMODI


Ormai è in voga di questi tempi una tendenza funesta, che purtroppo appare sempre più consolidarsi. Quando dalle attività di ricerca su cui si fonda la Scienza emergono dati che potrebbero portare a mettere in discussione dogmi accademici formati in precedenza, fortissima è la tendenza ad operarne la rimozione. Subito appare qualcuno che semplicemente nega l'esistenza stessa della scoperta, giurando e spergiurando, attaccando a destra e a manca, riducendo il tutto a una qualche banalità partorita dalla sua mente ottusa. L'operato di questa specie di pseudo-studiosi d'assalto è assimilabile in modo sorprendente a quello dei troll. Occorre però precisare che questi troll non sono complottisti nati come muffe negli angiporti del Web. La loro genesi avviene all'interno dello stesso mondo accademico.  

Facciamo un esempio concreto, tratto dalla paleontologia. Nel 2003 sono stati scoperti i resti di un singolare e bizzarrissimo ominide alto poco più di un metro, che viveva fino a tempi abbastanza recenti nell'isola indonesiana di Flores, essendosi estinto in un periodo che va dai 50.000 ai 12.000 anni fa. Questo nuovo ominide è stato battezzato in via provvisoria Homo floresiensis e classificato come una specie diversa dalla nostra e particolarmente arcaica, con caratteri simili a quelli di Homo erectus. A causa delle sue dimensioni ridotte, minuscole, è stato considerato un caso di nanismo insulare. I media lo hanno chiamato subito Hobbit. Rammento un articolo in cui si affermava che la conformazione delle ossa dei piedi di Homo floresiens mostra addirittura somiglianze con quelle dello scimpanzé (Pan troglodytes). Le cose purtroppo non sono andate per il verso giusto. Per molto tempo chiunque fosse interessato all'argomento ha dovuto sopportare i nocivi sproloqui di un molestissimo troll pseudoscientifico, certo Teuku Jacob, che è persino presentato come "paleoantropologo indonesiano" in un'apposita pagina di Wikipedia. Questo perturbatore era posseduto da un'idea fissa e proclamava che i resti dell'Homo floresiensis appartessero in realtà ad esemplari di Homo sapiens affetti da microcefalia e da rachitismo. Questa era la sua procedura pseudologica: 

1) Non è possibile che nell'Indonesia di alcune decine di migliaia di anni fa esistesse un ominide riconducibile a Homo erectus, perché nei manuali sta scritto che Homo erectus si è estinto molto prima; 
2) Dato che all'epoca trattata doveva esistere unicamente Homo sapiens, i reperti devono essere per forza riconducibili a Homo sapiens.

Il principio fondante era quello della prevalenza delle informazioni contenute nei manuali su qualunque dato di fatto venuto nel frattempo alla luce. Non contento di sferrare attacchi trollosi, nel 2005 questo figuro ha persino cercato di distruggere i resti di Homo floresiensis, pensando così di eliminare ogni evidenza fisica contraria al suo castello di fantasie. Anche dopo la sua morte, avvenuta nel 2007, qualcuno ha continuato a portare avanti la sua opera deleteria. Un certo Robert B. Eckhardt, a quanto pare dell'Università di Pennsylvania, ha formulato una nuova ipotesi: anziché la microcefalia postulata da Jacob, tirava in ballo la sindrome di Down, insistendo con le sue fissazioni pur non potendo spiegare le caratteristiche scimmiesche dell'ominide. Ancora nel 2014 spandeva le sue idee aberranti nel Web, facendole percolare nei media online. 

Nel frattempo lo scenario diventava sempre più confuso: alcuni sostenevano che i fossili dell'ominide di Flores dovessero essere retrodatati: il cosiddetto Hobbit avrebbe occupato le grotte in cui ha lasciato fossili per un periodo compreso tra 190.000 a 50.000 anni fa. Mentre questo avveniva, i troll si moltiplicavano e affermavano che gli esemplari di Homo sapiens giunti in Indonesia 50.000 anni fa fossero austronesiani indistinguibili dai moderni abitanti dell'arcipelago. Proiettavano indietro nel tempo la situazione attuale e continuava a sostenere che i resti di Flores fossero da ascriversi ad austronesiani disabili. Quando qualcuno cercava di controbattere, questi troll reagivano con insulti, sputacchi e attacchi ad personam. Sembrava che non si sarebbe mai riusciti a liberarsi da questa spina nei testicoli, quando all'improvviso nel 2016 è giunta una splendida notizia: da approfonditi studi genetici è emersa la prova inconfutabile del fatto che Homo floresiensis e Homo sapiens sono due specie diverse! La meritoria opera è di Karen Baab, della Midwestern University. La riporto in formato pdf:


Non sempre le cose finiscono bene. Non sono rari i casi in cui i troll pseudoscientifici hanno la meglio e riescono ad orientare il mondo accademico, causando danni che durano per decenni. Come conseguenza di quest'opera di persuasione, spesso cessa ogni dibattito su numerosi argomenti e si consolidano i pregiudizi. 

Non basta. Indagando sull'Homo floresiensis aka Hobbit, si viene facilmente a scoprire leggende delle genti di Flores che parlano di una creatura sorprendentemente simile nell'aspetto alla ricostruzione fatta dai paleontologi. Questo essere, che ben potrebbe essere il nostro ominide, è chiamato Ebu Gogo. Nella nativa lingua austronesiana, ebu significa "nonna", mentre gogo significa "che mangia tutto". Le descrizioni sono così dettagliate che devono per forza di cose avere almeno un nucleo di verità oggettiva. A quanto si dice, questo Ebu Gogo sarebbe scomparso in epoca abbastanza recente, collocata dopo l'arrivo dei Portoghesi (XVII secolo), secondo alcuni narratori addirittura nel corso del XX secolo. Creatura sfuggente e onnivora, l'Ebu Gogo non disdegnava persino di rapire bambini per nutrirsi delle loro carni, proprio come il Gollum. Per questo motivo le genti di Flores avrebbero organizzato spedizioni di sterminio, tanto che alla fine sarebbe stata persa ogni traccia dello strano essere silvestre. Quello che più mi incuriosiche sono le narrazioni sul linguaggio degli Ebu Gogo, composto da cicalecci e assolutamente incomprensibile. Inoltre queste creature sarebbero state in grado di ripetere in modo pappagallesco le vocalizzazioni degli umani. Chi mai si inventerebbe simili narrazioni? Racconti di creature affini all'Ebu Gogo si trovano anche in altre isole indonesiane. Ad esempio possiamo citare la creatura chiamata Orang Pendek, ossia "Uomo Piccolo", che è descritta dalle genti di Sumatra come un orango bipede dal pelame grigio. I Kerinci nella loro lingua lo chiamano Uhang Pandak (stesso etimo). Con ogni probabilità si tratta di un ominide e non mi sorprenderebbe se un giorno si riuscisse a scoprire alcuni esemplari viventi. Altri nomi di criptidi indonesiani sono Sedapa, Sedabo (stesso etimo di Sedapa), Atoe Pandak, Atoe Rimbo, Goegoeh (stesso etimo di Ebu Gogo), Umang, Orang Gugu (stesso etimo di Ebu Gogo), Orang Letjo, Ijaoe. Se esistono ancora superstiti, potrebbero un giorno essere scoperti e studiati, con buona pace dei pestilenziali troll che infestano il mondo accademico. Poter studiare una lingua di una specie diversa da Homo sapiens sarebbe davvero una ricompensa inattesa dopo tanto patire! 

giovedì 8 ottobre 2015

I RINOGRADI, ANIMALI FANTASTICI CHE CAMMINAVANO CON IL NASO




Titolo: I rinogradi di Harald Stümpke e la zoologia fantastica
Autore: Massimo Pandolfi 
Anno: 1992
Lingua: Italiano
Genere: Zoologia
Sottogenere: Fantazoologia, fantabiologia
Editore: Franco Muzzio Editore
Collana: Scienze Naturali Testi
Data uscita: 01/1992
Pagine: 152 pagg.
Formato: Illustrato
Curatore: Massimo Pandolfi
Altri contributi: Stefano Benni, Giorgio Celli, Marco Ferrari,
     Alessandro Minelli, Aldo Zullini 
Codice ISBN: 88-7021-485-0
Codice EAN: 9788870214857
Traduttore (fantomatico): A. von Hardenberg

Tutto ebbe origine dall'impresa dello svedese Einar Pettersson-Skämtkvist, prigioniero di guerra dei Giapponesi, che nel 1941 riuscì a fuggire e raggiunse un arcipelago sconosciuto del Pacifico Meridionale, sbarcando sull'isola chiamata dagli indigeni Hiduddify (Aidadaifi). Queste isole, le Hi-iay (il cui nome è a volte trascritto Hi-yi-yi o Aiaiai), erano state completamente separate dalle più vicine masse continentali fin dal Cretaceo, e per questo avevano evoluto una fauna priva di connessioni con alcunché di noto. La scoperta sensazionale di Pettersson-Skämtkvist fu un ordine di mammmiferi fino ad allora del tutto sconosciuto: i Rinogradi (Rhinogradentia), detti anche Nasuti, così battezzati per via del naso, sviluppatissimo e fornito di tutta una serie di funzioni mai viste in altri organismi viventi. Tra questi usi non convenzionali del naso, si menzionano la deambulazione e la caccia. L'ordine dei Rinogradi fu diviso in due grandi generi, corrispondenti a due diverse linee evolutive: da una parte i Monorrini (Monorrhina), provvisti di un'unica appendice nasale, dall'altra i Polirrini (Polyrrhina), provvisti di molteplici appendici nasali. L'antenato comune, speculò lo studioso svedese, doveva essere un minuscolo mammifero affine al toporagno. 


Nell'introduzione scritta da Gerolf Steiner agli scritti di Harald Stümpke, che trattano in dettaglio questi argomenti, si legge:

"L'ordine dei Rinogradi ha particolare importanza poiché in esso compaiono principi strutturali, moduli comportamentali e tipi ecologici a noi sconosciuti non solo per i mammiferi ma per i vertebrati in genere."

Questi sono i generi dei Rinogradi:

Monorrhina:

Archirrhinos
Rhinolimacius
Emunctator
Dulcicauda
Columnifax
Rhinotaenia
Rhinosiphonia
Rhinostentor
Rhinotalpa
Enterorrhinus
Holorrhinus
Remanonasus
Phyllohoppla
Hopsorrhinus
Mercatorrhinus
Otopteryx
Orchidiopsis

Liliopsis

Polyrrhina:

Nasobema
Stella
Tyrannonasus
Eledonopsis
Hexanthus
Cephalanthus
Mammontops
Phinochilopus
Larvanasus
Rhizoidonasus
Nudirhinus

I Rinogradi non erano tra l'altro le uniche meraviglie della fauna locale: esistevano numerosi insetti endemici, vere e proprie reliquie del Paleozoico, e persino un bizzarrissimo uccello-megafono.


L'arcipelago delle Hi-iay era abitato da una piccola e pacifica popolazione umana, gli Hooakha-Hutchi. Sulle loro lingua non si sa nulla: a parte gli impenetrabili e complessi toponimi non risulta nemmeno una lista di parole del lessico di base che possa valere a spiegarne misteri ed eventuali parentele; dato l'assoluto isolamento di quelle genti, c'è da aspettarsi che parlassero una lingua del tutto priva di somiglianze con qualsiasi altra. È scritto che la popolazione aborigena fu colpita da una spaventosa epidemia di raffreddore dopo i primi contatti con Pettersson-Skämtkvist, estinguendosi in breve tempo senza lasciare tracce. Trovo a dir poco sorprendente che gli etnologi e i linguisti non abbiano potuto raccogliere alcun dato utile, né abbiano mostrato a quanto pare alcun interesse a farlo. Lapidario il commento dello stesso Steiner su questi misteriosi aborigeni: 

"Gli abitanti dell'arcipelago - scrive ancora lo zoologo Stümpke - sono ormai estinti per colpa del raffreddore, introdotto involontariamente dall'evaso svedese."

In pratica, oltre al nome dell'arcipelago e all'endoetnico delle genti aborigene ci restano quasi soltanto i nomi delle diciotto isole, scritti in una rudimentale ortografia anglosassone: 

Annoorussawubbissy 
Awkoavussa 
Hiddudify 
Koavussa 
Lowlukha 
Lownunnoia 
Mara 
Miroovilly 
Mittuddinna 
Naty 
Nawissy 
Noorubbissy 
Osovitissy 
Ownavussa 
Owsuddowsa 
Shanelukha 
Towteng-Awko
Vinsy. 

I dati sono davvero troppo scarsi per cercare di ricostruire qualcosa di sensato: evidentemente lo scopritore (e involontario sterminatore) della popolazione locale non ebbe nemmeno il tempo di raccogliere informazioni sensate prima che accadesse l'irreparabile. Si nota che diversi nomi di isole terminano in -issy o in -ussa, ma non sappiamo attribuire una funzione a questi morfi. Oltre ai toponimi di cui sopra, sono stato in gradi di reperire nel Web il nome nativo di un rinogrado, il Nasobema lyricum: honatata.

 

Per 16 anni, le Hi-iay furono visitate in gran segreto da biologi specializzati nello studio dei Rinogradi, tanto che vi venne fondato un nuovo ramo della zoologia: la Rinogradologia. Allo scopo di studiare in modo approfondito i bizzarri animaletti, furono create istituzioni scientifiche in gran numero, ovviamente in un tale clima di riservatezza che in nessuna parte del mondo il pubblico ha potuto usufruire della benché minima fuga di notizie. 

Nel 1957 una catastrofe improvvisa si abbatté sulle isole Hi-iay, spazzandole via e cancellandone ogni traccia: l'esplosione di un ordigno nucleare di inusitata potenza, esploso a centinaia di chilometri di distanza, ha provocato uno tsunami imponente. Come per coincidenza, tutti i rinogradologi del pianeta Terra si trovavano nell'arcipelago proprio in quel frangente per un congresso internazionale, perendo nel modo più misero assieme all'intero ecosistema locale. Un'unica testimonianza dell'esistenza dei Rinogradi riuscì a scampare allo spaventoso disastro: si tratta di un manoscritto dello zoologo tedesco Harald Stümpke, ex curatore del museo dell'Istituto Darwin di Hi-iay. Il prezioso testo è stato rielaborato e pubblicato dal dottor Gerolf Steiner, professore di Zoologia dell'Università di Heldelberg. In Italia è stato pubblicato col titolo "I Rinogradi di Harald Stümpke e la zoologia fantastica". Oltre allo stesso Steiner, il volume contiene interessanti interventi sulla zoologia alternativa, ad opera di personaggi di spicco del mondo accademico e della narrativa: Stefano Benni (scrittore), Giorgio Celli (professore ordinario di Tecniche di lotta biologica, Università di Bologna), Marco Ferrari (biologo e giornalista scientifico), Alessandro Minelli (professore ordinazio di Zoologia, Università di Padova), Massimo Pandolfi (professore incaricato di Ecologia, Università di Urbino), Aldo Zullini (professore ordinario di Zoologia, Università di Milano). 

Qualcuno si chiederà a questo punto come mai non gli sia mai giunta voce dei Rinogradi e delle isole Hi-iay. Ebbene, riporterò la verità in modo molto semplice: si tratta di parti della fantasia, creati proprio dal professor Gerolf Steiner da Heidelberg. L'arcipelago delle Hi-iay non è mai esistito, così come non sono mai esistiti i Nasuti, e neppure gli aborigeni Hooakha-Hutchi. Non c'è mai stato nessun maremoto provocato da un folle esperimento nucleare americano all'origine dello sprofondamento in stile atlantideo dell'arcipelago immaginario. Eppure sappiamo che alcuni membri del mondo accademico hanno abboccato e hanno creduto alla veridicità delle creazioni di Steiner. Nonostante i dettagli anatomici dei Rinogradi siano assolutamente improbabili, la cosa non ha impedito a qualcuno di prendere tutto molto sul serio. Se vogliamo, possiamo dire di trovarci di fronte a una vera e propria truffa scientifica. Poco importa che le intenzioni dello stesso Steiner fossero bonarie, goliardiche e persino edificanti, volendo egli sensibilizzare le genti sul tema del drammatico declino della biodiversità: il meme dei Rinogradi e delle isole Hi-iay è stato inoculato nell'immaginario del genere umano. 

Mettiamoci ora nei panni di un complottista. In tempi in cui si parla tanto di Rettiliani, in cui riemergono antiche teorie sulla Terra piatta, sulla Terra cava di hitleriana memoria, e addirittura sulla Terra cubica dei Monty Python, non sorprenderà se qualcuno si metterà ad elucubrare, producendo una razionalizzazione di questo tipo: "Le Hi-iay e i Rinogradi sono davvero esistiti, il Governo degli USA è davvero responsabile della loro distruzione e ha insabbiato tutto, mettendo poi in giro la voce che sia stata tutta un'invenzione". Come confutare questo meme? Sarò molto schietto: richiederebbe uno sforzo ciclopico e non convincerebbe nessuno. Mostrare che i geni coinvolti nella formazione del naso del toporagno non potrebbero mai produrre appendici nasali tanto specializzate e in alcuni casi fornite persino di scheletro e di articolazioni, trascende le mie conoscenze di genetica e richiederebbe uno studio che non ho il tempo di intraprendere. Anche se riuscissi nell'impresa, a che servirebbe? Farebbe desistere qualcuno dalla propagazione memetica? No, perché nessun lettore convinto dell'esistenza dei Rinogradi acquisirebbe le necessarie conoscenze di genetica solo allo scopo di leggere una confutazione. Allora è meglio lasciar perdere, tanto si tratta di una masturbazione mentale abbastanza innocua. 

Intanto vengo a scoprire la possibile esistenza di rinogradologi annidati nell'Unità di Analisi e Gestione delle Risorse Ambientali dell'Università dell'Insubria, come parrebbero mostrare i seguenti documenti:


venerdì 10 gennaio 2014

GIRAFFA E CAMELOPARDALIS: DUE ANIMALI DIVERSI

Una serie di articoli ha annunciato una sensazionale scoperta: a Pompei sono stati trovati resti che dimostrano tra le altre cose la presenza della carne di giraffa nell'alimentazione. 

"Un team di archeologi svela abitudini alimentari finora sconosciute ancora prima di Cristo. Rintracciato il primo resto di carne macellata di questo animale. Tra gli alimenti, anche ricci di mare e spezie esotiche indonesiane. La più antica traccia di cibo risale al IV secolo a. C." 
(letto su Repubblica)

Nei vocabolari di latino si trova il termine camelopardalis, derivato dal greco e tradotto con "giraffa". Esiste inoltre la glossa nabun, con lo stesso significato. Tutto sembrerebbe chiaro: si conosce in particolare qualche dettaglio sull'uccisione di uno di questi animali da parte dell'Imperatore Commodo nel corso di truculenti spettacoli nell'arena.   

L'episodio è riportato da Edward Gibbon, nella famosa Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano. Il brano, tradotto da Nicolò Bettoni, è il seguente:  

Commodo uccise un Camelopardalis, o sia Giraffa (Dione I. LXXII, p. 1211) il più alto, il più docile, ed il più inutile di tutti i quadrupedi. Questo singolare animale, che nasce soltanto nelle parti interne dell'Affrica, non è stato veduto in Europa dopo il risorgimento delle lettere, e benché il Buffon Stor. Nat. tom. XIII abbia procurato di descriverlo, non si è arrischiato a darne il disegno.   

Il brano citato a cui Gibbon fa riferimento è consultabile online, e lo riporto:  

Da questo liberati i Cesariani, ai quali fu dato capo Cleandro, cominciarono a non tralasciare alcun genere di scelleratezza, a riguardare le cose tutte come venali, a recare ingiuria a chiunque si fosse, ed a vessare tutti con petulanza; mentre Commodo intanto la maggior parte della vita nella voluttà consumava, amante era oltremodo dei cavalli, e pugne d'uomini e di fiere disponeva. Perciocchè, oltre quello che nella propria casa egli faceva, gran numero d'uomini del popolo, e di fiere sovente in pubblico uccideva. Egli solo colle sue mani ammazzò in una volta cinque ippopotami, e in diversi giorni due elefanti, inoltre alcuni rinoceronti ed un camelopardo uccise. Ma di queste inclinazioni di Commodo fin qui parlato abbiamo in generale.   (Della istoria romana di Dione Cassio, Epitome di Giovanni Sifilino, trad. e note di Luigi Bossi)   

Tuttavia, leggendo con attenzione la lunga nota che Luigi Bossi ha aggunto in calce, si capisce che qualcosa non quadra. Le cose non sono affatto così semplici come parrebbe a prima vista:   

"Il camelopardo era stato esposto al pubblico in Roma da Cesare dittatore; ma questo doveva recare maggiore imbarazzo ai critici, i quali però non se ne sono pigliato alcuno. I moderni tutti sotto il nome, greco egualmente che latino, di camelopardalis hanno inteso la giraffa, e fino il celebre Linneo non ha dubitato di formare una specie sotto il nome di camelopardalis girafa, volendo quasi riunire in questa nomenclatura l'antico e il moderno, o per meglio dire il greco e l'arabico. Ma con tutti il rispetto dovuto a quel grand'uomo ed ai moderni scrittori che l'hanno seguitato, con tutta la venerazione per il nostro Forcellini, io credo che la giraffa sia tutt'altra cosa, e per questo io ho tradotto camelopardonon giraffa. Primieramente la giraffa non trovasi che al di là del grado 28 di latitudine meridionale, al quale gli antichi non giunsero giammai; non trovasi oltre il grado 29, in una zona adunque assai ristretta, e non è stato finora provato con buoni argomenti che comuni fossero una volta la giraffa nell'Abissinia e nell'Alto Egitto, nel che forse fu ingannato anche il Ludolfo. Ma se ancora provato fosse che questi animali trovati si fossero in latitudini più elevate; io osservo che le descrizioni date dagli antichi del camelopardo non combinano punto con quella della giraffa, della quale abbiamo sotto gli occhi la figura, ed una spoglia bellissima è stata recentemente acquistata dalla R. Accademia di Torino. Il camelopardo di Varrone era un cammello colla pelle variegata a guisa di quella della pantera; e quello scrittore doveva averlo veduto, giacchè un individuo rammenta al tempo suo condotto da Alessandria; quello di Plinio era simile nel collo ad un cavallo, nei piedi e nelle gambe al bue, nella testa ad un cammello con macchie bianche che distinguevansi sopra un fondo fulvo o lionato, non fiero altronde cosicchè quasi pecora appellavasi. Ora alcuno di que' caratteri esterni non conviene certamente alla giraffa, la quale ha la testa di cervo o di gazella, un collo di sei piedi ed anche più di lunghezza, che non ha punto che fare con quello del cavallo, le gambe sottilissime ed il piede non per altro somigliante a quello del bue, se non perchè l'unghia è fessa e manca di tallone. Del resto le macchie della sua pelle non sono bianche, come quelle dell'animale di Plinio, bensì di colore rossiccio negli individui più giovani, colore che va sempre diventando più bruno negli adulti. Supponiamo però liberamente che non esistano tutte queste disparità tra l'animale descritto da Plinio e la giraffa dei moderni. Questa è un animale così sproporzionato nella sua forma, o per dir meglio di proporzioni e di forme così stravaganti, che i più grandi naturalisti non dubitarono di asserire che la natura in questa produzione deviato aveva dalle sue regole e dalle proporzioni da essa generalmente adottate, e come una bizzarria della natura medesima quell'animale riguardarono. Ora, come mai gli antichi avrebbero potuto non accennare con maraviglia queste apparenti sproporzioni, queste forme affatto strane e singolarissime, gli antichi naturalisti in ispecie, che più ancora del vero lo strano ed il maraviglioso cercavano? Come mai Varrone e Plinio avrebbero passato sotto silenzio la singolarità di un animale che giugne fino a 17 piedi di altezza? Come mai trascurata avrebbero la osservazione di un collo lungo sei piedi, e Plinio paragonato lo avrebbe a quello di un cavallo? Come mai non avrebbero notata la sproporzione grandissima che passa tra le gambe davanti e quelle di dietro della giraffa, delle quali le prime sono tanto più alte, che l'animale seduto sembra tuttavia in piedi? Come mai non avrebbero notato, che in vece di due corna quell'animale ne ha tre, e che queste in vece di essere ossee e nude, o ramose come quelle de' cervi, sono una specie di protuberanze del cranio, rivestite costantemente della pelle col pelo? Come mai non si sarebbero arrestati ad ammirare la singolarità di una specie di corno che spunta in mezzo alla fronte e si prolunga per alcuni pollici, benchè non sia in realtà se non un'escrescenza spugnosa dell'osso frontale, ch'essi avrebbero indubitatamente pigliato per un corno? Come mai non sarebbero rimasti sorpresi al vedere la parte anteriore del corpo larghissima verso le spalle, e la parte posteriore tanto stretta, tanto gracile, che non sembrano potersi nell'animale stesso quelle parti congiungere, e la prima copre interamente e nasconde la seconda, se l'animale è veduto di fronte? Finalmente come avrebbero caratterizzato non fiero, e quasi nominato pecora per i suoi costumi, un animale alto più di tre uomini, che si difende benissimo a calci e riesce a fugare il lione, e soccombe solo talvolta agli artifizj della tigre? A me pare evidente, che se veduta avessero realmente la giraffa, che noi conosciamo bene dacchè si è scoperto il Capo di Buona Speranza, e dacchè i viaggiatori si sono da quella parte internati nelle terre, incognite certamente ai Romani, non ne avrebbero lasciato una così magra descrizione, come è quella di Varrone e di Plinio. Più cauto di Linneo fu per avventura l'Erxleben, che una specie formò sotto il nome di cervus camelopardalis, (e con Isidoro avrebbe potuto anche scrivere camelopardas), sebbene egli abbia sotto quel nome compresa la giraffa medesima del Linneo. Ma quale animale adunque poteva essere questo camelopardo degli antichi? A me basta di avere mostrato che la giraffa non era; difficile sarebbe altronde l'indicare con precisione la specie colla scorta della magrissima descrizione sopraccennata. Forse era qualche specie o qualche varietà di antilope o di gazzella assai grande e colla pelle macchiata, o variegata; e a questa applicare potevansi i costumi ed il nome della pecora; questa mia congettura viene confermata nel vedere che gli antichi nel loro camelopardo riconobbero alcuni caratteri del cervo, e senza progredire nelle loro ricerche, al cammello lo paragonarono per la grandezza, alla pantera per le macchie della pelle. Forse una specie di grande gazzella era il nabo degli Etiopi, menzionato da Plinio; e quello ch'io ho annotato finora in proposito del camelopardo di Dione e degli istorici greci e latini in generale, potrebbe probabilmente applicarsi al camelopardo che nominato trovasi nel Deuteronomio." 

Questo è il testo originale di Plinio, fonte della glossa nabun, a cui Luigi Bossi fa riferimento nella sua dotta trattazione:  

Nabun Aethiopes vocant collo similem equo, pedibus et cruribus bovi, camelo capite, albis maculis rutilum colorem distinguentibus, unde appellata camelopardalis, dictatoris Caesaris circensibus ludis primun visa Romae. Ex eo subinde cernitur, aspectu magis quam feritate conspicua, quare etiam ovis ferae nomen invenit.   

Il termine nabun, evidentemente una parola africana tratta da una lingua non ancora identificata, si ritrova in caratteri greci nella forma NABOYC (ossia NABOUS, pron. nabus) sul mosaico di Palestrina, che mostra un animale dalla forma in tutto e per tutto simile alla descrizione di Plinio, e completamente diverso dalla giraffa a noi ben nota - al punto da somigliare a un dromedario. Sono stati fatti maldestri tentativi di ritenere la glossa di Plinio un errore di trascrizione del termine arabo namir, che indica il leopardo, ma proprio il fatto che la parola ricorra come NABOUS a Palestrina dimostra l'assoluta inconsistenza di tale proposta. Cos'era realmente il camelopardalis? Non lo sappiamo. Si tratta evidentemente di una specie estinta: non dimentichiamoci che i Romani portarono al tracollo numerosi ecosistemi a causa della loro insana passione per il massacro di animali (venationes). Ad esempio, in Africa Settentrionale esisteva una specie di elefante che fu portata all'estinzione, e anche gli orsi, ai tempi numerosissimi nell'Atlante, finirono pressoché sterminati. 

Appurato che le traduzioni dei lemmi camelopardalis e nabun che si trovano nei dizionari latini sono errate, perché tali nomi non designano la giraffa, a questo punto ci si dovrebbe porre qualche domanda. Se a Pompei si mangiava carne di giraffa, com'è possibile che dell'animale non sia restata alcuna menzione nelle opere di Plinio o di altri autori? Com'è possibile che destasse tanto scalpore il camelopardo di Plinio e che nessuno abbia parlato della giraffa? Forse le descrizioni esistevano e non ci sono giunte? Forse a Pompei la carne dell'animale veniva importata sotto sale? Ritengo plausibile che l'animale non venisse macellato in Italia, ma effettivamente importato sotto forma di salume. Gli archeologi che hanno effettuato la scoperta parlano dell'osso di una coscia, ma non aggiungono altro. Forse era un prosciutto di giraffa, e chi lo mangiava neanche aveva idea dell'aspetto dell'animale che aveva fornito tale cibo. In ogni caso, le scoperte fatte a Pompei sono alquanto disturbanti e non riescono a fugare del tutto i dubbi sull'attendibilità e sull'accuratezza degli autori antichi