venerdì 10 gennaio 2014

GIRAFFA E CAMELOPARDALIS: DUE ANIMALI DIVERSI

Una serie di articoli ha annunciato una sensazionale scoperta: a Pompei sono stati trovati resti che dimostrano tra le altre cose la presenza della carne di giraffa nell'alimentazione. 

"Un team di archeologi svela abitudini alimentari finora sconosciute ancora prima di Cristo. Rintracciato il primo resto di carne macellata di questo animale. Tra gli alimenti, anche ricci di mare e spezie esotiche indonesiane. La più antica traccia di cibo risale al IV secolo a. C." 
(letto su Repubblica)

Nei vocabolari di latino si trova il termine camelopardalis, derivato dal greco e tradotto con "giraffa". Esiste inoltre la glossa nabun, con lo stesso significato. Tutto sembrerebbe chiaro: si conosce in particolare qualche dettaglio sull'uccisione di uno di questi animali da parte dell'Imperatore Commodo nel corso di truculenti spettacoli nell'arena.   

L'episodio è riportato da Edward Gibbon, nella famosa Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano. Il brano, tradotto da Nicolò Bettoni, è il seguente:  

Commodo uccise un Camelopardalis, o sia Giraffa (Dione I. LXXII, p. 1211) il più alto, il più docile, ed il più inutile di tutti i quadrupedi. Questo singolare animale, che nasce soltanto nelle parti interne dell'Affrica, non è stato veduto in Europa dopo il risorgimento delle lettere, e benché il Buffon Stor. Nat. tom. XIII abbia procurato di descriverlo, non si è arrischiato a darne il disegno.   

Il brano citato a cui Gibbon fa riferimento è consultabile online, e lo riporto:  

Da questo liberati i Cesariani, ai quali fu dato capo Cleandro, cominciarono a non tralasciare alcun genere di scelleratezza, a riguardare le cose tutte come venali, a recare ingiuria a chiunque si fosse, ed a vessare tutti con petulanza; mentre Commodo intanto la maggior parte della vita nella voluttà consumava, amante era oltremodo dei cavalli, e pugne d'uomini e di fiere disponeva. Perciocchè, oltre quello che nella propria casa egli faceva, gran numero d'uomini del popolo, e di fiere sovente in pubblico uccideva. Egli solo colle sue mani ammazzò in una volta cinque ippopotami, e in diversi giorni due elefanti, inoltre alcuni rinoceronti ed un camelopardo uccise. Ma di queste inclinazioni di Commodo fin qui parlato abbiamo in generale.   (Della istoria romana di Dione Cassio, Epitome di Giovanni Sifilino, trad. e note di Luigi Bossi)   

Tuttavia, leggendo con attenzione la lunga nota che Luigi Bossi ha aggunto in calce, si capisce che qualcosa non quadra. Le cose non sono affatto così semplici come parrebbe a prima vista:   

"Il camelopardo era stato esposto al pubblico in Roma da Cesare dittatore; ma questo doveva recare maggiore imbarazzo ai critici, i quali però non se ne sono pigliato alcuno. I moderni tutti sotto il nome, greco egualmente che latino, di camelopardalis hanno inteso la giraffa, e fino il celebre Linneo non ha dubitato di formare una specie sotto il nome di camelopardalis girafa, volendo quasi riunire in questa nomenclatura l'antico e il moderno, o per meglio dire il greco e l'arabico. Ma con tutti il rispetto dovuto a quel grand'uomo ed ai moderni scrittori che l'hanno seguitato, con tutta la venerazione per il nostro Forcellini, io credo che la giraffa sia tutt'altra cosa, e per questo io ho tradotto camelopardonon giraffa. Primieramente la giraffa non trovasi che al di là del grado 28 di latitudine meridionale, al quale gli antichi non giunsero giammai; non trovasi oltre il grado 29, in una zona adunque assai ristretta, e non è stato finora provato con buoni argomenti che comuni fossero una volta la giraffa nell'Abissinia e nell'Alto Egitto, nel che forse fu ingannato anche il Ludolfo. Ma se ancora provato fosse che questi animali trovati si fossero in latitudini più elevate; io osservo che le descrizioni date dagli antichi del camelopardo non combinano punto con quella della giraffa, della quale abbiamo sotto gli occhi la figura, ed una spoglia bellissima è stata recentemente acquistata dalla R. Accademia di Torino. Il camelopardo di Varrone era un cammello colla pelle variegata a guisa di quella della pantera; e quello scrittore doveva averlo veduto, giacchè un individuo rammenta al tempo suo condotto da Alessandria; quello di Plinio era simile nel collo ad un cavallo, nei piedi e nelle gambe al bue, nella testa ad un cammello con macchie bianche che distinguevansi sopra un fondo fulvo o lionato, non fiero altronde cosicchè quasi pecora appellavasi. Ora alcuno di que' caratteri esterni non conviene certamente alla giraffa, la quale ha la testa di cervo o di gazella, un collo di sei piedi ed anche più di lunghezza, che non ha punto che fare con quello del cavallo, le gambe sottilissime ed il piede non per altro somigliante a quello del bue, se non perchè l'unghia è fessa e manca di tallone. Del resto le macchie della sua pelle non sono bianche, come quelle dell'animale di Plinio, bensì di colore rossiccio negli individui più giovani, colore che va sempre diventando più bruno negli adulti. Supponiamo però liberamente che non esistano tutte queste disparità tra l'animale descritto da Plinio e la giraffa dei moderni. Questa è un animale così sproporzionato nella sua forma, o per dir meglio di proporzioni e di forme così stravaganti, che i più grandi naturalisti non dubitarono di asserire che la natura in questa produzione deviato aveva dalle sue regole e dalle proporzioni da essa generalmente adottate, e come una bizzarria della natura medesima quell'animale riguardarono. Ora, come mai gli antichi avrebbero potuto non accennare con maraviglia queste apparenti sproporzioni, queste forme affatto strane e singolarissime, gli antichi naturalisti in ispecie, che più ancora del vero lo strano ed il maraviglioso cercavano? Come mai Varrone e Plinio avrebbero passato sotto silenzio la singolarità di un animale che giugne fino a 17 piedi di altezza? Come mai trascurata avrebbero la osservazione di un collo lungo sei piedi, e Plinio paragonato lo avrebbe a quello di un cavallo? Come mai non avrebbero notata la sproporzione grandissima che passa tra le gambe davanti e quelle di dietro della giraffa, delle quali le prime sono tanto più alte, che l'animale seduto sembra tuttavia in piedi? Come mai non avrebbero notato, che in vece di due corna quell'animale ne ha tre, e che queste in vece di essere ossee e nude, o ramose come quelle de' cervi, sono una specie di protuberanze del cranio, rivestite costantemente della pelle col pelo? Come mai non si sarebbero arrestati ad ammirare la singolarità di una specie di corno che spunta in mezzo alla fronte e si prolunga per alcuni pollici, benchè non sia in realtà se non un'escrescenza spugnosa dell'osso frontale, ch'essi avrebbero indubitatamente pigliato per un corno? Come mai non sarebbero rimasti sorpresi al vedere la parte anteriore del corpo larghissima verso le spalle, e la parte posteriore tanto stretta, tanto gracile, che non sembrano potersi nell'animale stesso quelle parti congiungere, e la prima copre interamente e nasconde la seconda, se l'animale è veduto di fronte? Finalmente come avrebbero caratterizzato non fiero, e quasi nominato pecora per i suoi costumi, un animale alto più di tre uomini, che si difende benissimo a calci e riesce a fugare il lione, e soccombe solo talvolta agli artifizj della tigre? A me pare evidente, che se veduta avessero realmente la giraffa, che noi conosciamo bene dacchè si è scoperto il Capo di Buona Speranza, e dacchè i viaggiatori si sono da quella parte internati nelle terre, incognite certamente ai Romani, non ne avrebbero lasciato una così magra descrizione, come è quella di Varrone e di Plinio. Più cauto di Linneo fu per avventura l'Erxleben, che una specie formò sotto il nome di cervus camelopardalis, (e con Isidoro avrebbe potuto anche scrivere camelopardas), sebbene egli abbia sotto quel nome compresa la giraffa medesima del Linneo. Ma quale animale adunque poteva essere questo camelopardo degli antichi? A me basta di avere mostrato che la giraffa non era; difficile sarebbe altronde l'indicare con precisione la specie colla scorta della magrissima descrizione sopraccennata. Forse era qualche specie o qualche varietà di antilope o di gazzella assai grande e colla pelle macchiata, o variegata; e a questa applicare potevansi i costumi ed il nome della pecora; questa mia congettura viene confermata nel vedere che gli antichi nel loro camelopardo riconobbero alcuni caratteri del cervo, e senza progredire nelle loro ricerche, al cammello lo paragonarono per la grandezza, alla pantera per le macchie della pelle. Forse una specie di grande gazzella era il nabo degli Etiopi, menzionato da Plinio; e quello ch'io ho annotato finora in proposito del camelopardo di Dione e degli istorici greci e latini in generale, potrebbe probabilmente applicarsi al camelopardo che nominato trovasi nel Deuteronomio." 

Questo è il testo originale di Plinio, fonte della glossa nabun, a cui Luigi Bossi fa riferimento nella sua dotta trattazione:  

Nabun Aethiopes vocant collo similem equo, pedibus et cruribus bovi, camelo capite, albis maculis rutilum colorem distinguentibus, unde appellata camelopardalis, dictatoris Caesaris circensibus ludis primun visa Romae. Ex eo subinde cernitur, aspectu magis quam feritate conspicua, quare etiam ovis ferae nomen invenit.   

Il termine nabun, evidentemente una parola africana tratta da una lingua non ancora identificata, si ritrova in caratteri greci nella forma NABOYC (ossia NABOUS, pron. nabus) sul mosaico di Palestrina, che mostra un animale dalla forma in tutto e per tutto simile alla descrizione di Plinio, e completamente diverso dalla giraffa a noi ben nota - al punto da somigliare a un dromedario. Sono stati fatti maldestri tentativi di ritenere la glossa di Plinio un errore di trascrizione del termine arabo namir, che indica il leopardo, ma proprio il fatto che la parola ricorra come NABOUS a Palestrina dimostra l'assoluta inconsistenza di tale proposta. Cos'era realmente il camelopardalis? Non lo sappiamo. Si tratta evidentemente di una specie estinta: non dimentichiamoci che i Romani portarono al tracollo numerosi ecosistemi a causa della loro insana passione per il massacro di animali (venationes). Ad esempio, in Africa Settentrionale esisteva una specie di elefante che fu portata all'estinzione, e anche gli orsi, ai tempi numerosissimi nell'Atlante, finirono pressoché sterminati. 

Appurato che le traduzioni dei lemmi camelopardalis e nabun che si trovano nei dizionari latini sono errate, perché tali nomi non designano la giraffa, a questo punto ci si dovrebbe porre qualche domanda. Se a Pompei si mangiava carne di giraffa, com'è possibile che dell'animale non sia restata alcuna menzione nelle opere di Plinio o di altri autori? Com'è possibile che destasse tanto scalpore il camelopardo di Plinio e che nessuno abbia parlato della giraffa? Forse le descrizioni esistevano e non ci sono giunte? Forse a Pompei la carne dell'animale veniva importata sotto sale? Ritengo plausibile che l'animale non venisse macellato in Italia, ma effettivamente importato sotto forma di salume. Gli archeologi che hanno effettuato la scoperta parlano dell'osso di una coscia, ma non aggiungono altro. Forse era un prosciutto di giraffa, e chi lo mangiava neanche aveva idea dell'aspetto dell'animale che aveva fornito tale cibo. In ogni caso, le scoperte fatte a Pompei sono alquanto disturbanti e non riescono a fugare del tutto i dubbi sull'attendibilità e sull'accuratezza degli autori antichi

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