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mercoledì 18 dicembre 2019


L'ORRIBILE SEGRETO DEL DOTTOR HICHCOCK

Titolo originale: L'orribile segreto del dottor Hichcock
AKA: L'orribile segreto del dr. Hichcock; L'orribile segreto
     del dott. Hichcock
Titolo inglese: The Horrible Dr. Hichcock
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Italia
Anno: 1962
Durata: 88 min
Rapporto: 2,35:1
Genere: Orrore
Regia: Riccardo Freda (con lo pseudonimo di Robert
     Hampton)
Aiuto regista: John M. Farquhar
Soggetto: Ernesto Gastaldi (come Julian Berry)
Sceneggiatura: Ernesto Gastaldi
Produttore: Luigi Carpentieri, Ermanno Donati (per Panda
     Cinematografica)
Distribuzione in italiano: Warner Bros.
Fotografia: Raffaele Masciocchi (come Donald Green)
Montaggio: Ornella Micheli (come Donna Christie)
Musiche: Roman Vlad
Scenografia: Franco Fumagalli (come Frank Smokecocks)
Fonico: Jackson McGregor
Trucco: Bud Steiner, Annette Winter
Costumi: Inoa Starly
Interpreti e personaggi:
    Barbara Steele: Cynthia Hichcock
    Robert Flemyng (come Robert Fleming): dott. Bernard
       Hichcock
    Harriet White: Martha, la domestica
    Silvano Tranquilli (come Montgomery Glenn): dott. Kurt
       Lowe
    Maria Teresa Vianello (come Teresa Fitzgerald):
       Margaretha Hichcock
    Evaristo Signorini (come Evar Simpson): Ispettore Scott
    Neil Robinson (non accredato): assistente del dott.
       Hichcock
    Spencer Williams
    Al Christianson
    Nat Harley
Doppiatori originali:
    Maria Pia Di Meo: Cynthia Hichcock
    Gualtiero De Angelis: Bernard Hichcock
    Micaela Giustiniani: Martha
    Wanda Tettoni: Margaretha Hichcock
Distribuzione della pellicola: 
    Uscita in Italia Italia: 30 giugno 1962
    Uscita negli Stati Uniti Stati Uniti: 2 dicembre 1964
    Uscita in Francia Francia: 9 dicembre 1964
Incassi (botteghino italiano): 142 milioni di lire

Trama: 
Inghilterra, Anno del Signore 1885. Siamo in piena epoca vittoriana, a Londra. Il dottor Bernard Hichcock è un famoso medico e chirurgo che nasconde un terribile quanto insospettabile segreto: la necrofilia. A dire il vero la sua è una necrofilia non troppo spinta, dato che ad attrarlo è più che altro l'assenza di sensi dell'oggetto della sua concupiscenza. In altre parole, si accoppia soltanto con donne esanimi o morte da poco, non con cadaveri in decomposizione. Non ama inalare i lezzi mercaptanici, si limita ad eccitarsi all'idea che la vita abbia appena abbandonato il corpo che sta stringendo. La fama del luminare è dovuta all'impiego di un anestetico innovativo da lui stesso inventato e sperimentato con successo in diversi interventi. La sostanza, un liquido ambrato e iniettabile, non gli serve soltanto nella sala operatoria. Ne fa uso anche nel talamo coniugale con la moglie Margaretha. I giochi sessuali della coppia sarebbero considerati piuttosto deprimenti dalle donne moderne. In pratica le cose funzionano così: il dottor Hichcock inietta l'anestetico alla bionda consorte facendola sprofondare in uno stato che simula la morte, quindi la possiede carnalmente fino ad immetterle il genetico nel canale procreativo. Un giorno qualcosa va storto: la bellissima Margaretha non si risveglia. Muore così, all'improvviso, senza che nell'accaduto si possa trovare un senso. Il dottore necrofilo ha una terribile crisi e decide di abbandonare all'improvviso la sua dimora signorile, in cui ogni cosa gli ricorda la consorte morta in modo così assurdo. Lascia Londra dopo aver affittato la casa alla domestica Martha, a cui lascia anche il gatto. Dopo dodici anni esatti, nel 1897, il dottor Hichcock fa ritorno nella città, portando con sé la sua nuova moglie, Cynthia, che è una brunetta magrissima con qualche problema mentale. Il chirurgo conduce la consorte nella sua lussuosa abitazione, la stessa in cui un tempo viveva con Margaretha. Ad accogliere la coppia c'è Martha, con il gatto miracolosamente ancora vivo e vegeto dopo tanti anni. Subito accade qualcosa di inquietante. Si sentono urla disumane, che la domestica giustifica prontamente attribuendole a una sua sorella demente, venuta a vivere con lei durante gli anni di assenza del dottore. Subito promette anche che provvederà a metterla in un ricovero già il giorno dopo. Nel corso della notte, durante una tempesta, Cynthia sente dei passi rumorosi in corridoio, mentre qualcuno cerca di aprire la porta della camera chiusa a chiave. L'accaduto le scuote i nervi. Il mattino, a colazione, il marito non dà peso al suo racconto, liquidandolo come una fantasia isterica. Una sera, durante un ricevimento, Cynthia conosce il giovane dottor Kurt Lowe, che tra una galanteria e l'altra afferma di essersi fatto trasferire da Vienna non appena aveva saputo che il dottor Hichcock aveva ripreso il suo posto a Londra. Mentre attraversa il giardino di casa, a notte fonda, la donna sente una voce femminile che proferisce terribili minacce contro di lei. Poco dopo, rincasata, vede Martha che entra in un passaggio segreto. Cynthia lascia passare qualche giorno, quindi va a curiosare nel cunicolo, dove scorge la domestica nell'atto di servire una donna, forse la sorella pazza che non deve essersi mai mossa dal maniero degli Hichcock. La strategia del marito cambia di colpo: adesso fa di tutto per far credere a Cynthia di essere di nuovo sprofondata nella follia. L'atmosfera si fa tesa e insostenibile. In Cynthia nasce un profondo sospetto nei confronti del marito, tanto da credere che voglia avvelenarla. Così fa finta di bere il latte che lui le porta a colazione e lo versa in un vaso mentre nessuno la guarda. Si reca da Kurt e gli chiede di analizzare le tracce del latte rimaste nel bicchiere. Tornata a casa, perde i sensi e si ritrova chiusa in una bara. Muovendosi in preda alla disperazione e al terrore, riesce a far cadere la bara, che si fracassa. Liberatasi, si rende conto di essere nella cripta della famiglia Hichcock. Quella era la cassa che conteneva il corpo di Margaretha! La situazione precipita. Kurt si accorge dalle analisi che il latte conteneva una gran quantità di veleno, così corre al castello. Cynthia viene appesa a testa in giù in una sala adibita a tempio di Satana e interamente tappezzata di tessuto nero. Qui il dottor Hichcock, che è l'ufficiante del culto demoniaco, rivela la verità alla sua vittima. Sua intenzione è di dissanguarla per ridare la giovinezza a Margaretha, che non è affatto morta. Dopo la partenza del chirurgo da Londra, la moglie che credeva essere defunta si è risvegliata nella tomba, urlando come un'ossessa. Martha è così sopraggiunta a liberarla. L'anossia aveva reso demente la povera Margaretha, che era stata curata dalla domestica. Ecco svelato il mistero della fantomatica sorella di Martha. Margaretha ha atteso dodici lunghi anni di ricongiungersi col suo amore necrofilo e fin dalla prima volta che ha visto Cynthia ha desiderato ucciderla in modo atroce. Quando tutto sembra perduto, Kurt fa irruzione nella stanza e interrompe il rito satanico, ingaggiando un'aspra lotta corpo a corpo con il dottor Hichcock. Nella colluttazione si sviluppa un incendio che subito divampa con furia. Kurt fa precipitare il necrofilo dal balcone e getta Margaretha tra le fiamme, quindi fugge portando Cynthia in salvo. Il fuoco catartico consuma il castello maledetto.      


Recensione: 
Senza dubbio questo film horror ha avuto il merito di portare sugli schermi una parafilia molto controversa: l'attrazione sessuale per i cadaveri. Certo, c'è chi dice che ne parla in modo incomprensibile, tra mille nascondimenti e allusioni. Poi c'è chi dà la colpa alla censura se lo spettatore disattento capisce poco. Il punto è che si parla proprio di necrofilia, su questo non ci possono essere dubbi. Quando lessi la voce "necrofilia" sull'Enciclopedia Treccani (ero un liceale foruncoloso, un nerd), vi trovai le parole di un compilatore annientato dall'orrore più assoluto, che riteneva tale pratica la massima depravazione morale documentabile in un esemplare di Homo sapiens. La naturale tendenza degli umani è quella di edulcorare la realtà dei fatti. Per questo motivo si evita di menzionare il fatto che i cadaveri decomposti puzzano di formaggio. Sì, è così, i loro effluvi pestilenziali sanno di formaggio fortissimo misto a merda grassa! Sono come il durian, l'immondo frutto indonesiano. Il dottor Hichcock è un necrofilo non olfattivo. La necessità di descrivere così la sua perversione potrebbe essere nata proprio da un radicato tabù verso gli odori più schifosi, dalla necessità assoluta di rimuovere qualcosa di troppo atroce per poter essere contemplato nel pieno della propria consapevolezza. Per questo la necrofilia si riduce a un'attrazione feticistica verso la mancanza di sensi. 
 
 
Un tema ricorrente 
 
Il dottor Bernard Hichcock trae il suo cognome proprio da quello del mitico Alfred Hitchcock, giusto con una lievissima variante ortogravica (il suono affricato viene reso con -ch- anziché con -tch-). Si tratta di un omaggio all'augusto regista inglese, che era un gentiluomo e ha saputo apprezzare il pensiero. Le ispirazioni hitchcockiane del film di Freda sono molteplici, a partire dalla struttura narrativa, chiaramente tratta da Rebecca - La prima moglie (1940). Un uomo ricchissimo e affascinante fa colpo su una donna, la sposa e la conduce nel proprio castello, ma presto emergono i problemi. C'è un terzo incomodo, un'arcigna governante, e soprattutto l'ingombrante presenza di un fantasma: quello della prima moglie, morta in circostanze drammatiche e tenute nascoste. Se si presta attenzione ai particolari, si scopre che anche in Amanti d'oltretomba di Mario Caiano (1965) si trova qualcosa di molto simile.  

Incoerenze e contraddizioni 

In una celebre e suggestiva scena il dottor Hichcock rimane terrorizzato dal fantasma della sua defunta consorte Margaretha, bionda, esangue e avvolta in una candida camicia da notte che sembra un sudario. La figura femminile giunta dall'Ade suona il pianoforte mentre fuori si scatena una tempesta. Il medico necrofilo la segue nella pioggia battente, ma quando rientra in casa i suoi abiti e i suoi capelli sono perfettamente asciutti. Nel database IMDb è segnalato questo futile errore tecnico, ma nessuno sembra essersi accorto di una più grave inconsistenza logica. Quando si avvicina il finale, ci si rende conto che il dottor Hichcock era sempre stato d'accordo con la sinistra governante Martha, da cui aveva appreso che Margaretha era sopravvissuta alla sepoltura prematura, emergendo demente dalla bara infranta nella cripta umida. Il piano, studiato nei minimi dettagli, aveva proprio il fine di provocare l'impazzimento di Cynthia. Ma allora perché il dottore è inquietato dalla comparsa della prima moglie durante la tempesta e la crede uno spettro? Le due cose non combinano, cozzano tra loro. 
 
La ricostruzione della medicina di epoca vittoriana tentata da Freda non mi sembra plausibile. Nel corso di un intervento, il dottor Hichcock ordina una trasfusione di plasma. Non credo che fosse una pratica così scontata. Anche l'anestetico iniettabile il cui aspetto somiglia a quello del passito di Pantelleria mi pare un po' troppo avveniristico: a quei tempi per le operazioni chirurgiche si usavano piuttosto sostanze inalabili, come l'etere etilico, il cloroformio e il protossido di azoto - e si trattava di scoperte recenti, risalenti giusto a due decenni prima della fuga del luminare necrofilo da Londra. Le proprietà anestetiche del protossido d'azoto furono scoperte già nel 1796 da Priestley e Humphry Davy, ma il primo uso pratico di tale sostanza in un intervento chirurgico si ebbe soltanto nel 1846. Risale agli anni '40 del XIX secolo anche il primo uso dell'etere etilico e del cloroformio come anestetici nelle operazioni. Se si analizzano i dialoghi del film, si scoprono dettagli molto interessanti. A un certo punto il dottor Hichcock afferma quanto segue: "È evidente che il mio anestetico rallenta la dinamica generale dell'organismo." Tutto ciò è anacronistico. Non era nemmeno concepibile che un anestetico potesse funzionare in questo modo.  
 
I rapporti tra i sessi sono molto disinvolti, un po' troppo per una narrazione che si svolge negli anni in cui imperversava la rigida moralità vittoriana. Dubito molto che a una donna sposata sarebbe stato consentito viaggiare in carrozza assieme a un uomo che non fosse suo marito. Lo scandalo che ne sarebbe scaturito sarebbe stato immenso, al punto che nessuna avrebbe mai corso un rischio simile. Non dico che Londra fosse come Kabul sotto i Talebani, ma poco ci mancava. Esistevano realtà spaventose, che al giorno d'oggi sarebbero inconcepibili - e che certo Freda non immaginava nemmeno nei suoi incubi. Non erano rari i casi in cui la masturbazione femminile era curata cauterizzando o asportando chirurgicamente il clitoride. Vi erano uomini che indossavano penose cinture di castità per impedire la benché minima erezione e che ritenevano l'eiaculazione paragonabile all'omicidio perché comportava la morte degli homunculi spermatici.  
 
Erodoto e la necrofilia egiziana 
 
Ero ancora al liceo quando lessi di uno strano costume degli antichi Egiziani, riportato dallo storico greco Erodoto. Quando una bella donna moriva, il suo corpo non veniva consegnato subito agli imbalsamatori: si aspettava che sopraggiungessero il rigor mortis e i primi segni di decomposizione. Questo perché in epoca remota era stato scoperto un imbalsamatore nell'atto di congiungersi sessualmente col cadavere di una donna. Era per così dire un orribile dottor Hichcock ante litteram. Nella Terra dei Faraoni tutto era preso seriamente e un singolo caso poteva dare origine a consuetudini millenarie. Non era come in Italia, dove regnano l'inefficienza e la corruzione, dove imperversa lo sfacelo. Date le loro ossessioni per la purezza, le genti del Nilo pensavano di scongiurare un'insopportabile contatto con l'impurità, seguendo leggi draconiane. Non veniva loro in mente che potessero esistere necrofili di tipo diverso, attratti proprio dai cadaveri putrefatti e capaci di usare entrate diverse dalla vagina (la prima cosa che diventa inutilizzabile post mortem). Eppure sono stati trovati papiri con testimonianze illustrate di sacerdoti estremamente perversi, con buona pace dei loro ipocriti voti di castità, che arrivavano a ingerire gli escrementi delle prostitute e a leccare loro il cunnus dalle grandi labbra escisse. Non mi sorprenderebbe se tra loro ci fosse stato qualche soggetto avvezzo ad avere contatti sessuali coi morti!    
 
Improbabili traduzioni 
 
Ricordo che un tale Vasapolli ebbe il cognome tradotto con Kisschicken, dal momento che in napoletano vasà significa "baciare". In modo simile, lo scenografo Franco Fumagalli ha tradotto il proprio nominativo con Frank Smokecocks. A dire il vero sarebbe stato più coerente tradurre Vasapolli con Chickenkisser, alla lettera "Baciatore di Polli", e Fumagalli con Cocksmoker, alla lettera "Affumicatore di Galli". Secondo alcuni studi etimologici, il capostipite dell'inclita stirpe dei Fumagalli era proprio un affumicatore di galli, ossia un ladruncolo vissuto in epoca medievale che stordiva il pollame col fumo di un rogo, in modo tale da poterlo sottrarre più agevolmente. L'usanza di tradurre il proprio cognome per apparire un nativo americano era molto comune negli anni '60. Non dimentichiamo che il compositore Stelvio Cipriani fu noto con lo pseudonimo di Steve Powders, che si attribuì per falsa etimologia traducendo "cipria" con "powder". Altri pseudonimi anglosassoni non sono invece riconducibili direttamente a un nominativo italiano (es. Robert Hampton per Riccardo Freda, etc.), eppure si capisce all'istante che sono fittizi, grazie a una specie di sesto senso. 

 
Altre recensioni e reazioni nel Web: 
 
Alcuni interventi postati sul Davinotti hanno a mio avviso un certo interesse. Le riporto in questa sede. 
 
 
Homesick ha scritto: 
 
"Classico del gotico italiano, oggi resiste più per le spettrali, raffinate policromie fotografiche che la storia, traballante e imbastita con i tòpoi dei romanzi neri ed elementi hitchcockiani da Rebecca (l’ossessione del marito per la consorte scomparsa) e Il sospetto (il bicchiere di latte). Il cast si adatta a rivestire personaggi fissi del genere: il mad doctor Robert Flemying, la moglie instabile e impaurita Barbara Steele, l’eroe innamorato e decisivo in extremis Silvano Tranquilli e l’ambigua governante Harriet White. Romanticismo e necrofilia in un binomio certo ardito per l’epoca.
MEMORABILE: La discesa nella cripta; viva nella bara."
  
 
Il recensore Homesick avrebbe potuto citare anche un film di Roger Corman in cui una donna viene sepolta viva e si trova all'interno della bara, riuscendo a liberarsi proprio come ha fatto Cynthia: I vivi e i morti (House of Usher, 1960), liberamente tratto dal racconto di Edgar Allan Poe La caduta della casa degli Usher (The Fall of the House of Usher).  
 
Faggi ha scritto: 
 
"Audacia all'italiana squisitamente folle in questo melodramma necrofilo, visionario, dai cromatismi che ipnotizzano, impreziosito dalla dedizione alla causa di attori mossi da fili magici - Barbara Steele iconica, inesorabile, impressionante. Cosa importa dell'intreccio? Quasi nulla; è l'evocativo immaginifico a tessere la tela; è la superficie smaltata di fantasticherie lugubri a colpire con esattezza espressiva - nel cerchio di genere. E infine è impossibile resistere alle curiose citazioni da Hitchcock, un divertimento stanarle." 
 
Nicola81 ha scritto: 
 
"Senza i pesanti interventi della censura sarebbe stato senz'altro più comprensibile e, quindi, probabilmente anche migliore. Dovendo però giudicare quello che ho visto, non posso esprimere un giudizio positivo. Un film curato nelle atmosfere e nella messa in scena (veri e propri marchi di fabbrica del gotico italiano), ma troppo lento e non certo recitato benissimo (neppure l'iconica Steele offre qui una prova memorabile). Per fortuna Freda, con lo pseudosequel Lo spettro, saprà riscattarsi alla grande..." 
 
Trivex ha scritto: 
 
"Tenebroso, sofisticato ed allucinato (le espressioni dipinte sul volto del professore), prodotto dell'epoca creativa italiana. Accompagnato da un tema musicale che sa di morte/o, come una serenata al defunto e al suo odore. È una sottile nenia malata e oscura che conduce alla maledizione ed al trapasso; ma quest'ultimo viene vissuto come una esperienza eccitante e seducente. Non è esplicito (per le risapute ragioni) e per questo non trova il podio tra le pellicole antiche e disturbanti: per qualcuno un pregio, per altri un limite. Genio e sregolatezza." 
 
Jdelarge ha scritto: 
 
"Film coraggioso quello di Freda, che infatti ha dovuto soccombere alle censure dell'epoca, le quali hanno reso la pellicola quasi incomprensibile. Si parla di necrofilia, ma la trama passa in secondo piano (anche per i motivi sopracitati) per lasciare spazio a una fotografia gotica eccezionale, ricca di colori assurdi, aiutata da una bellissima scenografia. I dialoghi sono rarissimi perché è l'atmosfera quella che conta. Il film è d'importanza fondamentale per quanto riguarda il genere; testimoni illustri i primi horror di Argento.
MEMORABILE: I piedi visti dal buco della serratura." 

domenica 15 dicembre 2019


AMANTI D'OLTRETOMBA 

Paese di produzione: Italia
Lingua: Italiano
Anno: 1965
Durata: 105 min
Colore: B/N
Genere: Orrore, thriller
Sottogenere: Horror soprannaturale
Regia: Mario Caiano (come Allen Grünewald)
Soggetto: Mario Caiano, Fabio De Agostini
Sceneggiatura: Mario Caiano, Fabio De Agostini
Produttore: Carlo Caiano
Produttore esecutivo: Mario Cotone
Produttore supervisore: Pietro Nofri  
Casa di produzione: Emmeci
Fotografia: Enzo Barboni
Montaggio: Renato Cinquini
Musiche: Ennio Morricone
Scenografia: Mario Giorsi
Costumi: Mario Giorsi
Trucco: Duilio Giustini
Interpreti e personaggi:
    Barbara Steele: Muriel/Jenny
    Paul Müller: Dottor Stephen Arrowsmith
    Helga Liné: Solange
    Marino Masè (come Lawrence Clift): Dottor Derek Joyce
    Giuseppe Addobbati (come John McDouglas):
        Maggiordomo
    Rik Battaglia: David
Doppiatori italiani:
    Noemi Gifuni: Muriel
    Luisella Visconti: Jenny
    Nino Dal Fabbro: dottor Stephen Arrowsmith 
Titoli in altre lingue: 
   Inglese: Nightmare Castle 
   Francese: Les Amants d'outre-tombe
   Olandese: De griezel minnaar

 
Trama: 
Scozia. Epoca vittoriana. Una terra in cui il sole non giunge. Il dottor Stephen Arrowsmith è un famoso scienziato che vive in un lugubre castello. Ha in moglie la sensualissima Muriel, fedifraga e a sua volta da lui cornificata con la matura assistente Solange. Una assistente più che matura, addirittura passa. Il dottor Arrowsmith non soltanto incarna lo stereotipo dello scienziato pazzo, ma è anche un uomo perverso e ben fornito di istinti sadici: se vivesse ai nostri tempi, sarebbe di certo un produttore di snuff movies. Si diverte a seviziare le rane nel suo laboratorio ctonio, traendo piacere da ogni istante della loro sofferenza, e conduce perigliosi esperimenti con l'elettricità. Per un po' Muriel si consola col cognac, poi passa al sesso col giardiniere, un energumeno che porta un nome tutto sommato abbastanza banale: David. Il dottor Arrowsmith scopre la tresca, così cattura gli amanti e si diverte a torturarli. Mentre David è immobilizzato, Muriel è legata al letto e lo scienziato sadico le fa cadere addosso l'acido, goccia dopo goccia, ustionandole i seni e il ventre, corrodendola, procurandole dolori infernali e godendo del suo strazio. Poi, dopo aver dilaniato atrocemente le carni della donna, la bacia sulla bocca. L'amante, che è un gorilla, freme per la gelosia. In un'estrema convulsione maledice il torturatore e apostrofa Muriel chiamandola "cagna". Tanto è tutto inutile: viene ucciso di torture e sfigurato assieme alla donna, tramite una spietata elettrocuzione. Il dottore diabolico estrae il cuore dal petto dei due amanti e lo ripone in un'urna di vetro, quindi usa il loro sangue per ringiovanire la perfida Solange. Il suo piano è semplice: impadronirsi dell'eredità della defunta consorte, la vera detentrice delle ricchezze. Subentrano alcuni problemi non trascurabili: prima di morire, Muriel ha affermato che le sue cospicue sostanze andranno alla sorellastra Jenny, che è mentalmente instabile e conduce un'esistenza precaria passando da un manicomio all'altro. La soluzione escogitata dallo scienziato pazzo è il matrimonio con Jenny. Non gli sembra difficile far interdire una donna tanto psicolabile e incamerare tutti i suoi averi. Le nozze avvengono come programmato. Una volta entrata nella sua nuova dimora, Jenny comincia ad avere incubi: ode il suono di due cuori che battono e la voce di Muriel che la istiga ad uccidere il marito. Data la situazione congravescente, il dottor Derek Joyce viene invitato al castello per curare la donna. Dopo varie vicissitudini, il giovane medico scopre l'urna con i cuori degli amanti uccisi. Questo fa sì che i due ritornino dall'Oltretomba come orridi spettri assetati di vendetta, riuscendo ad ottenerla. Muriel brucia vivo il dottor Arrowsmith nei sotterranei dove straziava le rane, mentre David priva Solange del sangue fino a ridurla a uno scheletro. A questo punto il dottor Joyce pone fine all'infestazione sovrannaturale distruggendo i due cuori tra le fiamme del camino, quindi fugge assieme a Jenny da quel luogo infernale.  

 
Recensione:
Il bianco e nero opprimente e plumbeo è stato una manna per questa pellicola, che altrimenti avrebbe rischiato la damnatio memoriae come tanti altri prodotti degli anni '60. Ottima la colonna sonora composta da Ennio Morricone. Mentre le sequenze si avviano alla conclusione, ci si aspetterebbe uno splendido incendio, sola forza purificatrice in grado di spazzare via ogni maledizione e ogni impurità. Questo purtroppo non avviene, dato che per malaugurata scelta del regista piove a dirotto e le fiamme non potrebbero attecchire. Nascondendo in me l'essenza di un piromane simile a Nerone, non posso tacere la mia delusione per questo finale mancato. Ci sono soltanto i due cuori degli amanti, trafitti da uno stiletto, che ardono una volta gettati nel camino. L'elemento sovrannaturale degli spettri sanguinanti è a parer mio un po' troppo invadente, stride quasi con il razionalismo illuministico del sadico dottor Arrowsmith. Questo personaggio, per certi versi squallido, è il vero elemento innovatore della pellicola. Introduce qualcosa di originale, del tutto inaspettato ai tempi in cui il film fu girato: l'uso voluttuario della tortura. Al giorno d'oggi non si potrebbero mai girare scene simili. Le femministe e i buonisti politically correct insorgerebbero, tuonando contro la rappresentazione di atti di violenza su una donna (costoro riterrebbero il giardiniere irrilevante in quanto di sesso maschile). Poi si leverebbe qualche altra Erinni ad accusare a destra e a manca di apologia della tortura, etc. etc. Ne nascerebbe un caso mediatico, un casino inenarrabile. Poi ci si stupisce, Diabole Domine, se la Settima Arte è fottutamente morta, affogata in un lago di liquame fatto di remake fecali. Poi ci si stupisce se in fondo in fondo si rivorrebbero i vecchi trash. 
 

Alcune note sui personaggi femminili 
 
Barbara Steele si sdoppia: da una parte la versione corvina e infera, Muriel, dall'altra la versione bionda e angelica, Jenny. Francamente preferisco di gran lunga Muriel, con tutto il suo carico di potere seduttivo misto a malvagità. Jenny mi sembra piuttosto insostanziale, non ha mordente, sembra essere appena abbozzata. Questo non è certo l'unico caso di doppia interpretazione dell'attrice in uno stesso film: la vediamo impegnata in un doppio ruolo anche in altre pellicole gotiche, come La maschera del demonio (aka Black Sunday, di Mario Bava, 1960), I lunghi capelli della morte (1966) e Un angelo per Satana (1966). Teo Mora nel suo ponderoso saggio Storia del cinema dell'orrore (Fanucci Editore, 1977) commentò Amanti d'oltretomba con queste parole: 
 
"Se la donna è la protagonista incontrastata dell'horror italiano, non lo è mai come in questo film, dove Barbara Steele si sdoppia nei due ruoli tipici dell'eroina perseguitata e ridotta alla follia e della vendicatrice implacabile."
 
C'è anche un altro personaggio femminile degno di nota. La vampirica Solange, interpretata da Helga Liné, è un enigma. Non sono state spese molte parole su di lei, eppure è abbastanza rilevante nella trama. Custodisce segreti oscuri, ricatta, manovra, trasforma in Male ogni cosa con cui viene a contatto. Non si sa da dove provenga, non si capisce come sia entrata nella vita del dottor Arrowsmith (che a quanto pare preferisce la sua compagnia a quella della moglie). L'unica cosa certa è la sua immensa avidità, la sua bramosia di impadronirsi del denaro e della vita altrui, il che mi fa supporre un'origine slava. Deve trattarsi di un vurdalak o di qualcosa del genere.  


Il boia sadico 

È certamente notevole l'interpretazione di Paul Müller nei panni del dottor Aerosmith. Me lo immagino coi capelli rossi come il fuoco. Mentre infligge spaventosi tormenti alle sue vittime, i suoi occhi brillano come tizzoni infernali. Sarebbe un errore assimilare questo personaggio ad altri scienziati pazzi di celluloide. A muoverlo non è il desiderio di emulare Prometeo, bensì l'unione tra il proprio innato sadismo e un istinto primordiale quanto invincibile: la vendetta. A scatenare la sua ira e la sua volontà distruttrice è stato il disprezzo provato nei suoi confronti dalla moglie, una donna che odia in modo profondo l'intelligenza dell'uomo, essendo invece attratta dalla bruta animalità. Più simile al Divino Marchese che a Victor Frankenstein, il torturatore scozzese ha una complessità di cui forse nemmeno gli artefici della pellicola erano consapevoli.    

Curiosità 

Il regista Mario Caiano aveva avuto la brillante idea di evidenziare le scene truculente con una pacchiana colorazione rossa. Per fortuna il budget piuttosto scarno lo ha convinto a desistere dall'insano proposito. Se la sua trovata fosse stata realizzata, oggi avremmo qualcosa di veramente inguardabile. 
 
La sceneggiatura originale si intitolava Orgasmo. Cosa abbastanza assurda, dato che non c'è molto di erotico nel film. L'idea dei cuori degli amanti estirpati, trafitti e in seguito combusti, richiama in modo abbastanza vago il racconto di Edgar Allan Poe intitolato Il cuore rivelatore (The Tell-Tale Heart). 
 
Caiano disse che l'ispirazione per questo film  gli venne dall'amore per l'attrice Barbara Steele e per il genere gotico, a cui si avvicinò leggendo per la prima volta l'opera di Poe, nel 1943. Affermò anche di non essere stato influenzato da Mario Bava e di non ricordare di aver visto alcun suo film in quell'epoca, forse con una sola eccezione, La maschera del demonio. Se devo esser franco, mi sa tanto di excusatio non petita
 
Lo pseudonimo Allan Grünewald usato da Mario Caiano per firmare il film ha una spiegazione molto semplice e razionale: Allan è il secondo nome di Edgar Allan Poe, mentre il cognome è quello di Matthias Grünewald (1480 - 1528), un pittore rinascimentale famoso per le tinte cupe usate nei suoi dipinti. Joris-Karl Huysmans ne era ossessionato e descrisse con parole indimenticabili la Crocifissione di Issenheim nel romanzo Là-bas (L'abisso, 1891).  

 
Altre recensioni e reazioni nel Web: 

Nel mondo anglosassone e non solo, Amanti d'oltretomba ha avuto un buon riscontro, mentre in Italia è sprofondato quasi subito nell'Oblio.
 
«Come sottolineato in altre occasioni, la fantascienza all'italiana è un genere cinematografico che non ha mai incontrato grandi consensi presso il pubblico nostrano (specialmente quando ad occuparsene sono stati produttori di Cinecittà, poveri di mezzi e talora anche di fantasia) e che raramente è andato oltre il fenomeno d'imitazione. Più remunerativo è stato invece il sottogenere della fantamedicina che meglio si conciliava con il timido permissivismo degli anni '60 e consentiva di reinterpretare i collaudati schemi dell'horror, del feuilleton e del thriller. In questo senso, il film di Mario Caiano è uno dei prodotti più interessanti del periodo e più conosciuti all'estero.»
(Fantafilm)

Lo stesso Paul Müller ha dichiarato: «Per me questo era un ottimo film ma non ha avuto successo forse perché era troppo fatto bene e diverso per il genere del film dell'orrore".» 
 
Si trovano alcuni interventi interessanti sul Davinotti. Ne riporto alcuni in questa sede, a pubblica edificazione. 
 

Faggi ha scritto:

"Horror melodrammatico o melodramma macabro - comunque folle - dove, come in un fumetto horror all'italiana di quelli che verranno (il pensiero va, non a caso, al rinomato "Oltretomba"), può accadere di tutto infischiandosene della logica; lasciando che il clima e il tono - cupi, morbosi, lugubri, erotici, squisitamente fuori controllo - giochino tutta la partita. Barbara Steele imprescindibile, languida e spiritata; notevole Helga Liné; paul Muller ha l'essenziale fisico del ruolo. Caiano, in cabina di regia, fa il burattinaio magico." 
 
Stefania ha scritto: 
 
"Nessuna sorpresa, piacevolissime conferme in questo gotico sorretto dalle vecchie e solide colonne della "vendetta tramite doppio inconsapevole" e neo-vampirismo pseudo-scientifico (eterna giovinezza tramite trasfusioni sanguigne, con macchinario ad hoc!). Ma la Steele in versione demone nero-angelo biondo, gli squarci di sadismo e l'immaginifico finale rendono la visione un intrattenimento di buon livello. Metem-psicotico! 
MEMORABILE: Le torture ai due amanti; il congegno per folgorare la Steele nella vasca da bagno (e poi ci rimette le penne qualcun altro!)."
 
Lythops ha scritto: 
 
"Un gotico italiano d'altri tempi, con una narrazione molto televisiva, lento in alcuni punti al limite della noia, ma con una bravura di fondo che riesce a salvarlo anche per merito di Paul Muller, che riesce a essere irritante e odioso nel dar vita al suo personaggio basandosi soprattutto sullo sguardo e la movenza. Troppo caricata Barbara Steel, per quanto bella. Fredda la Liné. Buone le musiche di Morricone, ma stranamente invadenti. Grandi i doppiatori.
MEMORABILE: "Ti spoglierò dei desideri volgari per dartene altri più raffinati" "Non capisco" "Non importa".
 

Etimologia di Muriel 

Il nome femminile Muriel è di chiara origine celtica: deriva dal gaelico Muirgheal, che significa "Splendore del Mare". Infatti è un composto di muir "mare" (gallico more, mori-, che ha la stessa origine del latino mare) e di geal "splendore" (la cui radice si trova nel nome di Virgilio, ossia Vergilius "Molto Splendente", col prefisso gallico ver- che ha la stessa origine del latino super-).

lunedì 8 aprile 2019


EXISTENZ

Titolo originale: eXistenZ
Paese di produzione: Canada, Regno Unito, Francia
Anno: 1999
Lingua originale: Inglese
Durata: 97 min
Genere: Fantascienza, thriller
Regia: David Cronenberg
Soggetto: David Cronenberg
Sceneggiatura: David Cronenberg
Produttori:
    David Cronenberg
    András Hámori
    Robert Lantos
Compagnie di produzione:
    Canadian Television Fund
    Dimension Films
    Harold Greenberg Fund
    The Movie Network
    Natural Nylon
    Téléfilm Canada
    Serendipity Point Films
    UGC
Distriduzione:
    Miramax Films (US)
    Momentum Pictures (UK)
    Alliance Atlantis (CAN)
    Cecchi Gori (Italia)
Fotografia: Peter Suschitzky
Montaggio: Ronald Sanders
Effetti speciali: Jim Isaac
Musiche: Howard Shore
Scenografia: Carol Spier
Interpreti e personaggi
    Jennifer Jason Leigh: Allegra Geller
    Jude Law: Ted Pikul
    Ian Holm: Kiri Vinokur
    Willem Dafoe: Gas
    Don McKellar: Yevgeny Nourish
    Callum Keith Rennie: Hugo Carlaw
    Kris Lemche: Noel Dichter
Doppiatori italiani
    Chiara Colizzi: Allegra Geller
    Riccardo Niseem Onorato: Ted Pikul
    Ettore Conti: Kiri Vinokur
    Ennio Coltorti: Gas
    Massimo Lodolo: Yevgeny Nourish
    Pasquale Anselmo: Hugo Carlaw
Riconoscimenti:
    Festival di Berlino
        Orso d'argento per l'eccezionale contributo artistico
Budget: 15 milioni di dollari USA
        (31 milioni di dollari canadesi)
Incassi al botteghino (USA): 2,9 milioni di dollari 


Trama: 

Ci troviamo in un futuro non meglio specificato, in apparenza molto simile alla realtà in cui siamo costretti a vivere, anche se appare fin dall'inizio ben più cupo e angosciante. Due compagnie produttrici di videogiochi che simulano la realtà, la Antenna Research e la Cortical Systematics, si combattono senza esclusione di colpi. La bionda Allegra Geller è una famosa creatrice di videogiochi della Antenna Research. La sua ultima creazione, eXistenZ, ha una notevole densità e permette a chi vi partecipa di calarsi in un mondo così realistico da non poter essere facilmente riconosciuto come finzione. Una sera la Geller presenta eXistenZ, offrendone una dimostrazione pratica al pubblico convenuto in una specie di auditorium, il relitto di una chiesa protestante da tempo dismessa per mancanza di fedeli. A un certo punto qualcosa va storto: irrompe un terrorista appartenente alla setta dei Realisti, un'organizzazione clandestina che si oppone alla manipolazione della realtà, combattendo entrambe le compagnie di videogiochi. L'attentatore, che si presenta col nome di Noel Dichter, colpisce la programmatrice a una spalla servendosi di una spettrale pistola organica simile a uno scafandro di pollo spolpato e bavoso. Viene abbattuto sul colpo dalla guardia del corpo, Ted Pikul, che si allontana nella notte con la ragazza. Allegra porta con sé la sua creatura, che è fatta di tessuto organico e ha l'aspetto di un osceno simbionte, chiamato "pod" in gergo. Il suo timore è che questo videogioco di carne modificata sia rimasto danneggiato nello scontro, così cerca di convincere Pikul ad aiutarla a testarlo. La posta in gioco è troppo alta. L'unico modo è caricare eXistenZ su una cavia umana e lanciarlo, ma per farlo è necessario che l'uomo si faccia installare una bioporta nella spina dorsale, dal momento che non he ha una (la sua condizione è una sorta di verginità). Tramite tale accesso al sistema nervoso, la giovane conta di inserire il cordone ombelicale del simbionte per verificare lo stato del programma. C'è soltanto un punto: Pikul non ha nessuna intenzione di rinunciare alla sua verginità spinale, anche perché in un piccolissimo numero di casi l'operazione di innesto della bioporta ha come simpatico effetto collaterale la paralisi della parte inferiore del corpo. La Geller però con la sua vocina stridula continua a martellare l'uomo fino allo sfinimento, fracassandogli gli zebedei al punto da convincerlo a fare qualsiasi cosa pur di liberarsi dall'afflizione. A questo punto si pone un altro problema: l'operazione deve avvenire in condizioni di clandestinità, dal momento che i due sono braccati sia dai terroristi che dalla Cortical Systematics. L'impianto viene quindi eseguito nell'officina meccanica di una stazione di servizio dal losco gestore, Gas, ambiguo amico della bionda e coinvolto nel mercato nero. Gli eventi precipitano: Gas rivela presto le sue intenzioni ostili e rimane ucciso da Pikul in una sparatoria. La bioporta installata si rivela difettosa e necessita di essere sostituita quanto prima. Così ha inizio una nuova sequenza ciclica di accadimenti pericolosi: la Geller porta l'uomo da un suo conoscente per sostituire la connessione neuronale difettosa. Questa volta si tratta del suo ex mentore Kiri Vinokur. Tutto sembra ripetersi, anche se le persone coinvolte e le situazioni sono diverse. Prima la coppia si immerge in un mondo virtuale per poter riparare la bioporta e curare il software, avendo subito qualche difficoltà in un ristorante cinese specializzato nel cucinare disgustosi mutanti. Uno schiavo di nome Yevgeny Nourish afferma di essere un contatto Realista, ma è difficile fidarsi di lui. Il cameriere cinese è una spia. Oppure no? Tanto finisce ucciso dallo stesso Pikul, che agisce come se fosse posseduto da una forza esterna. La ragazza si ammala a causa del pod infetto. Pikul taglia il cordone ombelicale, tentando di salvarla, ma lei si mette a sanguinare. Irrompe Nourish, che brucia il pod con un lanciafiamme, facendone scaturire nugoli di spore nere aggressive come calabroni furiosi. Poi la coppia si sveglia da tale livello di realtà infina, scoprendo che i Realisti stanno facendo irruzione nel resort sciistico di Vinokur, mitragliando a destra e a manca. Lo stesso Vinokur risulta una spia e raggiunge il cameriere cinese nell'Ade virtuale per mano della Geller, adirata perché si è accorta che egli ha approfittato del suo sonno per copiarle il gioco. Ma in sostanza, cosa cambia in tutti questi flash? Ecco pronto un nuovo loop, nella sostanza assimilabile al precedente. Ad ogni fuga per il rotto della cuffia, con l'adrenalina a mille, corrisponde l'ingresso in un incubo inatteso ma simile a quanto già vissuto, fino a giungere al finale, decisamente sconcertante. La frattura nel tessuto della realtà, introdotta da eXistenZ sembra sul punto di ricomporsi. Pikul e la Geller si risvegliano nell'Auditorium. Tutto era dunque soltanto un sogno? No, perché subito si insinua un elemento stonato e disturbante. Tra il pubblico si vede il cinese che faceva il cameriere, spaesato e delirante. Il videogame viene presentato da Nourish - e non dalla Geller, che è una semplice spettatrice - soltanto che non si chiama eXistenZ, bensì transCendenZ! Come posseduti, la ragazza e il suo compagno insorgono, agendo da terroristi Realisti, e tutto ricomincia!  

Recensione:

Un film di un onirismo potente, che non si dimentica facilmente. Alcune scene restano particolarmente impresse, come una manciata di coriandoli incandescenti e radioattivi cosparsi da una mano aliena sulle meningi. Si ha l'impressione assai nitida di essere caduti in un denso labirinto di illusioni da cui non ci si riesce a liberare. Il filo conduttore è l'imporsi universale di una Nuova Carne Tecnologica, in cui le sequenze genetiche alterate fatte di xeno-DNA sintetico si sostituiscono agli ormai desueti diodi e transistor. Senza dubbio è una Rivoluzione pervasiva, che trasforma le sequenze cromosomiche in circuiti, delegando ai mitocondri e ai nuclei cellulari ciò che i sogni del XX secolo proiettavano in un Cielo Elettronico.  


La bioporta e l'anilingus 

Il protagonista, sovraccarico e teso come un argano di balestra da campo, si trova in camera da letto con Allegra, che mette in bella mostra la sua schiena nuda. Un orifizio preternaturale spicca sulla morbida pelle della giovane donna: è la bioporta, il punto in cui le è stato installato nel midollo spinale un software di realtà virtuale tramite un'iniezione ad aria compressa. Quell'apertura è sensuale e seducente, proprio come uno sfintere anale, così il giovane, sommamente arrapato, protende la lingua verso quel ben di Dio e si mette a leccare con avidità, simulando quello che in Spagna chiamano beso negro! Lei trasale, evidentemente nessuno glielo aveva mai fatto prima. Lui emette il seme nelle mutande prima di ritrarsi sorpreso dalla propria audacia e di chiederle scusa, ne sono certo... Certo che Jude Law, con quel suo peculiare faccione ampio come la luna piena, interpreta alla perfezione il ruolo di avido leccatore di bioporte, capace di tradurre ogni fantasia in realtà! L'avessi avuto io quel somatismo bizzarro, sarei stato un autentico tombeur de femmes e non avrei sognato l'inverarsi dell'Apocalisse! 


Dare e ricevere 

Non ricordo bene il punto in cui la sequenza si colloca, ma nonostante ciò mi è rimasta impressa nei banchi di memoria stagnante. Forse per ricambiare il leccamento dell'ano preternaturale, a sua volta la bella Allegra soffia nel cordone ombelicale della sua creatura, innestata nello sfintere dorsale del suo compagno e collegato al suo sistema nervoso, simulando un rapporto orale particolarmente insano! Il suo ruolo di fellatrice non è rivolto verso il materiale genetico di Homo sapiens, bensì verso le sequenze cromosomiche artificiali del suo amato pod, da lei vezzeggiato al contempo come un amante e come un bambino partorito dal suo grembo. 


La Xenogenesi domina! 

Una lucertola bicipite guizza davanti alla bella Allegra e allo stupefatto Ted Pikul: si è formata da sé in una discarica di frammenti autoaggreganti di genomi impazziti, proprio come i pesci aberranti che il cuoco cinese cucina e serve ai clienti del suo ristorante. Se non ricordo male, la programmatrice etichettava l'animale aberrante come "salamandra" anziché come "lucertola", ma la sostanza non cambia molto, nonostante l'abisso che separa gli anfibi dai rettili, ed entrambi dalle opere della manipolazione genetica. Questa accelerazione evolutiva capace di dare nuova vita è una delle conseguenze più appariscenti della Nuova Carne Tecnologica, un dono estremo quanto grottesco delle forze vive della Xenogenesi! 

Un problema definitorio 

Come potremmo definire questo film? Ne sono convinto, si tratta di un grandissimo film olomanista. Cosa significa questa parola? Così mi chiederete, voi pochi lettori. Ecco, se avrete la pazienza di leggere il seguito, vedrete che la vostra curiosità sarà senz'altro soddisfatta.   

I princìpi dell'Olomanismo 

Nel corso della storia di questo sciagurato pianeta è emersa in alcune occasioni una strana idea, secondo cui l'intera esistenza sarebbe una creazione di chi la percepisce. Un'idea bislacca, sì, ma anche inconfutabile. Si è parlato di Idealismo o di Solipsismo. Cartesio e il suo genio beffardo, tanto per intenderci. In particolare, Solipsismo deriva dalle parole latine ipse "egli stesso" e solus "solo", per indicare una condizione di totale estraniazione dagli altri esseri viventi e più in generale dalla realtà esterna al proprio essere. Per il Solipsista, chi percepisce è il Creatore di tutto e gli altri non sono che una sua proiezione. Alcune sètte, come ad esempio la Chiesa di Satana di LaVey, percepiscono nel Solipsismo un grave pericolo per la propria sopravvivenza e quindi lo condannano duramente, con inusitata veemenza. "Il Solipsismo può essere molto pericoloso per i Satanisti", sentenziava lo stesso Anton LaVey, al punto da definirlo uno dei Nove Peccati Satanici. Poi però dava prova di intendere con Solipsismo qualcosa di poco consistente e di non comprendere bene il problema: "Proiettare le tue reazioni, risposte e sensibilità su qualcuno che è probabilmente molto meno in sintonia di te. È l'errore di aspettarsi che le persone ti prestino la stessa considerazione, cortesia e rispetto che dai loro naturalmente. Non lo faranno. Invece, i Satanisti devono sforzarsi di applicare il detto "Fai agli altri come fanno a te". È un lavoro per la maggior parte di noi e richiede una costante vigilanza affinché tu non scivoli in una comoda illusione di tutti come te. Come è stato detto, alcune utopie sarebbero ideali in una nazione di filosofi, ma purtroppo (o forse per fortuna dal punto di vista machiavellico) siamo lontani da quel punto". Il punto è che non intendo ciò che intendeva l'Organista di San Francisco. Non alludo all'aspettarsi qualcosa dalle persone, ma al negare la loro stessa esistenza, riducendole a ombre da me fatte scaturire dal mio Abisso Interiore. Termini come Solipsismo e Idealismo sono assolutamente riduttivi. Così utilizzerò una diversa parola, coniata da un carissimo e fraterno amico, che ha definito questa filosofia Olomanismo. Poi, a distanza di anni, ho scoperto che questo termine ha una chiarissima etimologia nella lingua Enochiana. Deriva infatti da OL OMAN "conosco da me stesso". OL è il pronome di prima persona singolare, mentre OM è la radice che indica l'atto di conoscere, di comprendere. Questi sono i princìpi cardinali dell'Olomanismo:

1) Io solo esisto.  
2) Tutto ciò che è al di fuori di me è solo una mia proiezione. 
3) Non esiste altro essere senziente all'infuori di me medesimo.


Questa è in estrema sintesi la narrazione mitologica su cui si fonda l'Olomanismo: 

In Principio Io ero una stella che splendeva nel Nulla Assoluto.
Nulla era all'infuori di Me.
Non potendo sopportare questa Eternità di Niente, sono caduto in uno stato di illusione.
In questa illusione ho cominciato a sognare, creando i mondi. 


Nessuno può confutare questo assunto. Non esistono argomentazioni che possano dimostrare la sua falsità. Certo, non posso provare agli altri che quanto affermo in questa occasione corrisponda al vero, ma chi ha davvero bisogno di provare qualcosa alle ombre? Nessuno, immagino. Dovrei mettermi forse a disquisire con un teatrino fatto di Nulla? In ogni caso ho la replica pronta, anche se so che non servirà a niente. Così risponderei a chi tentasse di usare violenza nei miei confronti per convincermi: "Ho sognato che un gangster mi stava uccidendo, ma poi mi sono svegliato. Il gangster non esisteva. Allo stesso modo, se verrò ucciso, mi sveglierò in un altro universo più denso, da me stesso creato e proiettato."

Si vede come il Solipsismo e l'Idealismo dei filosofi di questo mondo siano alquanto deboli in confronto all'immemsa potenza dell'Olomanismo, che mi vanto di avere introdotto nel mondo, sperando che faccia tutto il suo distruttivo corso fino a portare al genere umano la sua Nemesi! Un giorno potrebbe sempre giungere alla Casa Bianca un Presidente Olomanista, capace di lanciare in una notte l'intero arsenale nucleare degli Stati Uniti d'America. Se questo accadesse nel corso della mia esistenza terrena, ultimo ed estremo inganno dei miei sensi allucinati, allora tremerei di gioia e riderei come un Pazzo di Dio! 

Una difficile situazione linguistica 

Nonostante i nomi eminentemente anglosassoni delle aziende sfornatrici di videogames che alterano la realtà, sembrerebbe che nel mondo di Allegra Geller e di Ted Pikul si parli tedesco, o meglio una forma di neotedesco. Anche eXistenZ (Existenz) e transCendenZ (Transzendenz) sono parole tedesche dotte, di chiara origine latina. Se la guardia interpretata da Jude Law porta un nome insignificante che potrebbe avere qualunque origine, la bionda artefice di illusioni non stonerebbe nel mondo dell'Ispettore Derrick. Ma davvero il cognome Pikul è tanto irrilevante? Non ne sono del tutto sicuro. Dovrebbe essere una variante ortografica di picul, che indica un'unità di peso tipica del Sud Est asiatico, corrispondente circa a 60 kg. Non riesco ad andare più a fondo nell'analisi etimologica. Scopriamo infinte un fatto sorprendente: in tocario la parola pikul esiste e significa "anno". Si nota nel mondo costruito da Cronenberg una presenza slava considerevole: il gangsterismo russo evocato dalla pellicola sembra quasi profetizzare il dominio feudale di Putin e della sua compagine criminale. Guardando le sequenze di eXistenZ e immergendomi in quella distopia incubica, non mi sembra  proprio di trovarmi in America.

Altre recensioni e reazioni nel Web 

Un interessante intervento di Elisa Battistini è comparso nel sito Quinlan.it (Rivista di critica cinematografica):  


"eXistenZ è una spirale di 92 minuti, in cui il regista riesce a compiere un viaggio attorno alla natura umana e alla sua condizione esistenziale. David Cronenberg realizza una pietra miliare del suo cinema, un grande omaggio alla fantascienza cyberpunk, uno dei suoi film più distopici e complessi. E rivisto oggi uno dei più terrorizzanti."

Anche la Chiesa Romana si interessa ad eXistenZ. Si segnala questo intervento, che combina osservazioni interessanti a conclusioni di una sconcertante banalità: 


"Nel mondo immaginato da 'eXistenZ' non ci sono 'segni' di modernità. Tutto si svolge all'interno di scenari di anonima, squallida, anche anacronistica quotidianità: la sala riunioni di una chiesa, una disordinata officina, la catena di montaggio di una fabbrica da sfruttamento tayloristico, un ristorante cinese da sconsigliare decisamente. Vi è assente, e di sicuro non a caso, l'elemento ludico che è all'origine dell'attrazione esercitata dai videogiochi".
(Francesco Bolzoni, 'Avvenire', 6 gennaio 2000) 

Sul sito Aletrium Collection si cita Edgar Allan Poe, riportando i suoi versi immortali: 

“Tutto quel che vediamo, quel che sembriamo
  non è che un sogno dentro un sogno?” 
 


Nel sito si parla delle origini del film, da un'idea nata nel 1995 in seguito a un'intervista fatta dallo stesso Cronenberg allo scrittore inglese di origine indiana Salman Rushdie, che nel 1988 pubblicò il suo romanzo Versi Satanici (The Satanic Verses), attirandosi l'ira del mondo islamico. Dal Marocco all'Indonesia, orde di Haradrim inferociti friggevano dalla voglia di uccidere l'autore del testo considerato blasfemo e sacrilego. L'Ayatollah Khomeini pronunciò una fatwa, condannando a morte lo scrittore per la sua profanazione dell'Islam. Così l'indiano condannato a morte in contumacia visse per anni nascosto, comunicando col mondo esterno esclusivamente tramite computer. Questo fornì a Cronenberg lo spunto per la sua narrazione onirica. Eppure esistono nel Web moltissime foto che dimostrano l'immensa fortuna che Rushdie ebbe sempre con le donne. Nonostante il suo aspetto poco entusiasmante, le attirava come il miele attira le mosche! Evidentemente la sua miglior dote non è il suo volto grassoccio, e neppure la sua barba a cernecchi: deve essere provvisto di un poderoso, gigantesco e instancabile Schwanzstücker!

mercoledì 5 dicembre 2018



LA TOMBA DI LIGEIA 

Titolo originale: The Tomb of Ligeia
Paese di produzione: Gran Bretagna
Anno: 1964
Lingua: Inglese
Durata: 79 minuti
Genere: Orrore
Regia: Roger Corman
Soggetto: Edgar Allan Poe, dai racconti Ligeia e
      Il gatto nero
Sceneggiatura:
Robert Towne
Fotografia: Arthur Grant
Montaggio: Alfred Cox
Musiche: Kenneth V. Jones
Interpreti e personaggi  

    Vincent Price: Verden Fell
    Elizabeth Shepherd: Lady Rowena / Lady Ligeia
    John Westbrook: Christopher Gough
    Derek Francis: Lord Trevanion
    Oliver Johnston: Kenrick
    Richard Vernon: dottor Vivian
    Frank Thornton: Peperel
    Ronald Adam: pastore al funerale
    Densi Gilmore: ragazzo con il cesto
    Penelope Lee: cameriera di Lady Rowena
Doppiatori italiani  

    Renato Turi: Verden Fell
    Maria Pia Di Meo: Lady Rowena Trevanion /
          Lady Ligeia
    Cesare Barbetti: Christopher Gough
    Manlio Busoni: Lord Trevanion
    Gino Baghetti: Kenrick
    Nino Pavese: Dott. Vivian
    Manlio De Angelis: Peperel
    Arturo Dominici: pastore al funerale
    Roberto Chevalier: ragazzo con il cesto
    Miranda Bonansea: cameriera di Lady Rowena

Trama: 

Il nobile Verden Fell è distrutto dalla morte di sua moglie, Ligeia. Il pastore si rifiuta di celebrare il funerale, perché la defunta non era cristiana. La donna era nativa dell'Egitto e sembrava un masso erratico piovuto dall'epoca dei Faraoni, come se le migliaia di anni trascorsi dall'epoca della regina Nitokris fossero stati soltanto un sogno. Dotata di poteri magici, la sua presenza continua ad infestare come un fantasma le spettrali rovine dell'abbazia dove Verden Fell aveva vissuto con lei e abita tuttora. L'uomo vive nel lutto e nella macerazione, veste di nero come un becchino e porta occhiali neri di forma molto particolare, che gli conferiscono un aspetto lugubre. Un giorno una dama dai capelli rossi, Lady Rowena Trevanion de Tremaine, si sinistra un piede cadendo da cavallo e viene soccorsa da Verden, che la porta nella propria dimora. La cura e le mostra la sua collezione di reperti egizi, che consiste in un gran numero di busti e di teste di antichi sovrani della Terra Nera del Nilo. La giovane donna ne rimane impressionata. Affascinata dal nobiluomo, torna a visitarlo e presto prende corpo un progetto di matrimonio. Il suo precedente fidanzato, Christopher Gough, deve rassegnarsi alla determinazione dell'amata. Contro ogni buon senno, il conte-becchino e la rossa amazzone convolano a nozze, nonostante la differenza di età. Presto si addensano sinistre ombre sulla vita della sposa. Ligeia sembra una presenza concreta, solida e reale. I sonni di Lady Rowena sono funestati dalla presenza di un diabolico gatto dal pelo nero come la pece, i cui versi strazianti le fanno accapponare la pelle e raggelare il sangue. Verden non può dirsi un marito presente e affettuoso, in lui sembra abitare il gelo dell'Abisso e non ci sono evidenze che il matrimonio sia stato consumato. Durante le notti insonni, fredde e solitarie, la donna si rende conto che il marito cammina in stato di sonnambulismo e si reca nottetempo alla tomba di Ligeia. Gli eventi precipitano: si scopre un passaggio segreto che conduce a una stanza occulta in cui Verden Fell ha conservato il corpo incorrotto della sua moglie egiziana, avendo cura di mantenere un fuoco sacro che non si spegne mai, come il Fuoco di Vesta, offrendole sacrifici e tributandole adorazione. Il corpo sepolto nella tomba era soltanto un manichino di cera! Il film raggiunge il suo apice tragico quando lo spirito di Ligeia, nella forma del gatto nero che perseguita la moglie di Verden, si scaglia contro di lui e gli strazia gli occhi, accecandolo! Ne scaturisce un incendio che consuma l'abbazia, mentre Lady Rowena riesce ad allontanarsi, tratta in salvo dall'ex fidanzato Christopher, con cui ora è libera di cominciare una nuova vita.  


Recensione: 

Il film mostra una labile somiglianza con Ligeia, il famoso racconto di Edgar Allan Poe. A parer mio è avvenuta una profonda contaminazione con un altro racconto tra i più celebri dello stesso glorioso autore: Il gatto nero (The Black Cat). Anche se a livello di trama non sussistono significative analogie, gli elementi presi a prestito da questa opera inquietante sono tuttavia altamente significativi: il gatto furioso e l'incendio che divora la casa. Sulla Wikipedia in inglese sono riportate alcune informazioni interessanti sulla genesi del film di Corman. Towne, lo sceneggiatore, si rese presto conto che il racconto Ligeia era troppo breve e che sarebbe stato difficile trarne un film articolato. Per questo motivo lesse tutta l'opera di Poe per avere le idee più chiare. Decise così di espandere la trama di Ligeia innestandovi alcuni temi caratteristici della produzione dello scrittore di Boston: il mesmerismo e la necrofilia. Così fu concepita l'idea portante del film, il cui protagonista era stato mesmerizzato dalla sua prima moglie, e spinto dal comando ipnotico che era stato inserito nell'inconscio, conservava il corpo di lei e lo concupiva, congiungendosi alle sue carni estinte. Una nozione che per l'epoca era spaventosa e terrificante (attualmente, essendo la filosofia laveyana percolata ovunque, non sembra più una cosa così folle) - eppure del tutto consistente con il sentire di Poe. Certo, non possiamo aspettarci che nel film compaiano atti di necrofilia espliciti, la cosa è soltanto suggerita dalla perfetta conservazone del corpo di Ligeia, che non mostra segno di corruzione, nemmeno un livido, che evidentemente non è stato penetrato dal gelo della tomba e indurito dal rigor mortis. Siamo di fronte a un caso di edulcorazione della necrofilia. Il cadavere non esala lezzi, è fresco, quindi desiderabile come se fosse una creatura vivente. Tanto più che a un certo punto si anima: la morte è come se fosse finta. In modo abbastanza criptico e misterioso, Towne commentò: "Ho cercato di avere la mia torta e di mangiarmela pure." Secondo la vulgata, lo sceneggiatore alludeva al risultato ottenuto, ossia una storia in cui era possibile spiegare gli eventi sia in chiave naturale (con l'ipnotismo) che in chiave soprannaturale (con la possessione diabolica). Certo, la costruzione narrativa è geniale. Completamente zombificato, Verden Fell è controllato da questa persona morta, o meglio non-morta, non-spirata, un vero e proprio Nosferatu, che probabilmente era stata davvero viva su questa Terra fin dal tempo della costruzione delle Piramidi, che aveva bevuto vino alla corte di Cheope e poi di Ramesse il Grande, che aveva visto Mosè con i propri occhi, che aveva regnato sull'Egitto con i nomi di Hatshepsut e di Nitokris, senza mai invecchiare col trascorrere dei secoli. Di fronte a un simile potere, nessuno penserebbe di essere in grado di conservare la propria volontà, nessuno si illuderebbe di avere la capacità di gestire la propria esistenza. Alla fine della Ligeia di Poe resta ben poco: da donna coltissima e sensibile è stata trasformata in un demone, in una persecutrice.

Grottesche controversie 

La cosa che più mi sorprende è l'ostinazione con cui Roger Corman si oppose alla scelta dell'ottimo Vincent Price nel ruolo del protagonista. A quanto ci è tramandato, avrebbe preferito Richard Chamberlain. Proprio lui, il prete di Uccelli Divoro, pardon, Uccelli di Rovo. Non avrebbe potuto esserci al mondo scelta peggiore. Il film ne sarebbe uscito menomato. Le perplessità di Corman, a sua detta, riguardavano l'età di Price, troppo vecchio per interpretare un personaggio che avrebbe dovuto avere una trentina d'anni, che avrebbe potuto attrarre le attenzioni di una giovane donna. Tutti pretesti. Se al giorno d'oggi un amore tra un uomo maturo e una ragazza desta scandalo, un tempo era cosa del tutto normale, matrimoni di questo tipo non erano affatto rari. Towne se ne uscì in seguito con affermazioni alquanto singolari, che lasciano basiti: "Il film era un po' noioso. Penso che sarebbe stato meglio se fosse stato con un uomo che non sembrava un necrofilo, tanto per cominciare... Amo Vincent. È molto dolce. Ma, per proseguire, sospetti che Vincent possa scoparsi gatti, galline, ragazze, cani, tutto. Senti che la necrofilia potrebbe essere una delle sue cose basilari. Avevo sentito che il ruolo richiedeva un ragazzo quasi innaturalmente bello di cui la seconda moglie potesse facilmente innamorarsi. Ci dovrebbe anche essere un senso del tabù sul legame stretto che aveva con la sua prima moglie - come se fosse qualcosa di incestuoso, due metà della stessa persona." Non c'è che dire: un bel calderone di morbosità! Alla fine la questione fu risolta allo stesso modo in cui Alessandro il Grande sciolse il Nodo di Gordio: la casa di produzione cinematografica AIP impose tra le sue condizioni proprio di assegnare a Vincent Price il ruolo di Verden Fell, così Roger Corman fu ridotto al silenzio. 


Etimologia di Rowena

Il nome Rowena è di incerta origine. Potrebbe essere derivato dall'antico inglese Hrōðwina, con la variante Hrōðwyn. Il primo membro del composto è hrōð "fama", molto produttivo nell'onomastica germanica, mentre il secondo è wine "amica". Meno probabile è che il secondo membro possa essere wynn "gioia", come taluni sostengono. C'è chi, insoddisfatto da un'origine germanica dell'antroponimo, ha proposto un'etimologia dal celtico insulare: si tratterebbe di un composto delle parole gallesi rhon "giavellotto, lancia" e gwen "bianca" (< *winda:). In gallese medievale Ron era il nome della lancia di Artù. La parola significava anche "coda". L'origine ultima dovrebbe essere nella preposizione indoeuropea *pro- "in avanti", che compare anche nel latino pro:nus "chino in avanti". Abbiamo quindi Rhonwen (< *Rono-winda:) "Lancia Bianca", che a detta di alcuni sarebbe un reale nome di donna gallese. Meno plausibile la derivazione dal gallese rhawn "crine di cavallo" (< *ra:no-). La vocale finale della forma Rowena, priva di chiara giustificazione nell'ambito del celtico insulare, non è di ostacolo. Giova notare che Rowena compare per la prima volta nell'opera di Goffredo di Monmouth, Historia Regum Britanniae (XII secolo): è una donna sassone figlia del condottiero Hengist e moglie del capo britanno Vortigern. Un personaggio molto negativo, una traditrice: è improbabile che il suo nome sia divenuto popolare. Infatti sia Rowena che Rhonwen entrano nell'uso a partire dalla letteratura romantica. Tutto ciò insegna quanto sia grande il potere del tempo, che è Ignoranza: il futuro è offuscamento e il passato è perdita di informazioni. Eppure su scala storica è passato sultanto un attimo!    

Etimologia dei cognomi Trevanion e Tremaine 

I cognomi Trevanion e Tremaine hanno entrambi la loro origine nella lingua celtica della Cornovaglia. Trevanion è attestato con le varianti Trevannion e Trevanning. Si tratta di un composto, il cui primo membro è tref "villaggio; fattoria" (varianti trev, tre). Il secondo membro è stato mal riconosciuto da molti autori. Alcuni pensano che sia guag "cavità" (prestito dal latino vacuum "spazio vuoto"), ma questo è impossibile per ragioni fonetiche. Altri interpretano il cognome come "luogo tra due fiumi", ma nemmeno questo è possibile. In cornico la parola avon "fiume" ha le forme plurali avoniow e avenow, che non spiegano il cognome. Anche in gallese afon "fiume" ha un plurale inadatto, afonydd. Così si scopre che Trevanion è formato a partire dal nome del padrone dell'antica fattoria di origine, Anian, attestato anche nella forma latinizzata Anianus, portato da due vescovi e corrispondente al gallese medievale eniawn "giusto". Tremaine è attestato come cognome con numerose varianti: Tremain, Tremayne, Treamain, Treaman, Treamann, Traemann, Traeman, Tramain, Tramaine, Traimain, Treamayne, Tramayne, Traymaine, Terman, etc. La forma Tremain compare seppur raramente persino come nome di battesimo. Chiaramente anche questo è un composto formato a partire da tref "villaggio; fattoria". Il secondo membro è però diverso: si tratta con ogni probabilità del cornico mên "pietra" (gallese maen). Il significato quindi sarebbe "Fattoria sulla Pietra". Un altro cognome cornico formato in modo simile è Trevena, con la variante Trevenna, in cui il secondo membro è il cornico menydh "montagna" (gallese menydd): "Fattoria sulla Montagna". Certamente Poe formò il cognome nobiliare Trevanion of Tremain giocando sull'assonanza tra le due parti che lo compongono. 

Etimologia di Verden 

L'origine del nome del nobile interpretato da Vincent Price è il cognome baronale Verden, anticamente Verdon o Verdun, introdotto in Inghilterra con la conquista normanna. Deriva chiaramente dal nome della cittadina francese di Verdun, tristemente nota per le ecatombi che ebbero luogo nella Grande Guerra. Il toponimo Verdun risale al celtico *Wi:ro-du:non, trascritto in latino come Virodunum o Verodunum. Il significato è "Città Forte" (da *wi:ro- "vero", ossia "saldo, forte", corradicale del latino ve:rus). In antico alto tedesco il nome appare come Wirten, forma che non ha dato discendenti nel tedesco attuale. Non c'è relazione col nome della città tedesca di Verden, il luogo dove ci fu il massacro dei Sassoni che non volevano abbandonare i culti pagani (ha una fricativa sorda /f/ iniziale)


Amnesia e reminiscenza 

Il 30 novembre 2018 scrivevo su Facebook la seguente nota: 

Un caso davvero bizzarro. La scorsa notte ho visto il film "La tomba di Ligeia" di Roger Corman, con Vincent Price (1964). Mi sono accorto di averlo senza dubbio già visto da giovane. Il fatto singolare è questo: ho compreso all’improvviso di averne rimosso completamente il ricordo a causa del trauma che mi aveva provocato. Ho riconosciuto il film come causa diretta di molti incubi atroci che mi hanno perseguitato per anni e da cui in seguito ho tratto ispirazione per il racconto "L'artiglio del Nullifico". Tali incubi, pieni di gatti inferociti, contenevano spesso ambientazioni che ricordavano quelle del film. In uno di questi ero un nobile e mi ero appena sposato: nel cuore della notte un terribile gatto nero saltava in faccia alla sposa, dilaniandole il volto e accecandola. Quello che più mi ha sorpreso è constatare che sia io che la sposa avevamo le stesse sembianze dei protagonisti del film di Corman! Lei era fulva e magra, e indossava un abito bianco simile a quello indossato da Lady Rowena, sembrava proprio lei. Attraversando un corridoio pieno di specchi, mi sono visto in volto. Ero proprio il Verden Fell del film e portavo gli stessi strani occhiali neri! Solo (ri)vedendo il film ho compreso il perché di ogni dettaglio di quel sogno spaventoso e funesto, che ha impresso un marchio indelebile nella mia memoria. In un altro incubo i gatti mi costringevano a trovare rifugio in una bara posta in un loculo sotterraneo. Quando sento i versi notturni dei gatti in calore che litigano, ancora oggi mi si gela il sangue nelle vene.