mercoledì 5 dicembre 2018



LA TOMBA DI LIGEIA 

Titolo originale: The Tomb of Ligeia
Paese di produzione: Gran Bretagna
Anno: 1964
Lingua: Inglese
Durata: 79 minuti
Genere: Orrore
Regia: Roger Corman
Soggetto: Edgar Allan Poe, dai racconti Ligeia e
      Il gatto nero
Sceneggiatura:
Robert Towne
Fotografia: Arthur Grant
Montaggio: Alfred Cox
Musiche: Kenneth V. Jones
Interpreti e personaggi  

    Vincent Price: Verden Fell
    Elizabeth Shepherd: Lady Rowena / Lady Ligeia
    John Westbrook: Christopher Gough
    Derek Francis: Lord Trevanion
    Oliver Johnston: Kenrick
    Richard Vernon: dottor Vivian
    Frank Thornton: Peperel
    Ronald Adam: pastore al funerale
    Densi Gilmore: ragazzo con il cesto
    Penelope Lee: cameriera di Lady Rowena
Doppiatori italiani  

    Renato Turi: Verden Fell
    Maria Pia Di Meo: Lady Rowena Trevanion /
          Lady Ligeia
    Cesare Barbetti: Christopher Gough
    Manlio Busoni: Lord Trevanion
    Gino Baghetti: Kenrick
    Nino Pavese: Dott. Vivian
    Manlio De Angelis: Peperel
    Arturo Dominici: pastore al funerale
    Roberto Chevalier: ragazzo con il cesto
    Miranda Bonansea: cameriera di Lady Rowena

Trama: 

Il nobile Verden Fell è distrutto dalla morte di sua moglie, Ligeia. Il pastore si rifiuta di celebrare il funerale, perché la defunta non era cristiana. La donna era nativa dell'Egitto e sembrava un masso erratico piovuto dall'epoca dei Faraoni, come se le migliaia di anni trascorsi dall'epoca della regina Nitokris fossero stati soltanto un sogno. Dotata di poteri magici, la sua presenza continua ad infestare come un fantasma le spettrali rovine dell'abbazia dove Verden Fell aveva vissuto con lei e abita tuttora. L'uomo vive nel lutto e nella macerazione, veste di nero come un becchino e porta occhiali neri di forma molto particolare, che gli conferiscono un aspetto lugubre. Un giorno una dama dai capelli rossi, Lady Rowena Trevanion de Tremaine, si sinistra un piede cadendo da cavallo e viene soccorsa da Verden, che la porta nella propria dimora. La cura e le mostra la sua collezione di reperti egizi, che consiste in un gran numero di busti e di teste di antichi sovrani della Terra Nera del Nilo. La giovane donna ne rimane impressionata. Affascinata dal nobiluomo, torna a visitarlo e presto prende corpo un progetto di matrimonio. Il suo precedente fidanzato, Christopher Gough, deve rassegnarsi alla determinazione dell'amata. Contro ogni buon senno, il conte-becchino e la rossa amazzone convolano a nozze, nonostante la differenza di età. Presto si addensano sinistre ombre sulla vita della sposa. Ligeia sembra una presenza concreta, solida e reale. I sonni di Lady Rowena sono funestati dalla presenza di un diabolico gatto dal pelo nero come la pece, i cui versi strazianti le fanno accapponare la pelle e raggelare il sangue. Verden non può dirsi un marito presente e affettuoso, in lui sembra abitare il gelo dell'Abisso e non ci sono evidenze che il matrimonio sia stato consumato. Durante le notti insonni, fredde e solitarie, la donna si rende conto che il marito cammina in stato di sonnambulismo e si reca nottetempo alla tomba di Ligeia. Gli eventi precipitano: si scopre un passaggio segreto che conduce a una stanza occulta in cui Verden Fell ha conservato il corpo incorrotto della sua moglie egiziana, avendo cura di mantenere un fuoco sacro che non si spegne mai, come il Fuoco di Vesta, offrendole sacrifici e tributandole adorazione. Il corpo sepolto nella tomba era soltanto un manichino di cera! Il film raggiunge il suo apice tragico quando lo spirito di Ligeia, nella forma del gatto nero che perseguita la moglie di Verden, si scaglia contro di lui e gli strazia gli occhi, accecandolo! Ne scaturisce un incendio che consuma l'abbazia, mentre Lady Rowena riesce ad allontanarsi, tratta in salvo dall'ex fidanzato Christopher, con cui ora è libera di cominciare una nuova vita.  


Recensione: 

Il film mostra una labile somiglianza con Ligeia, il famoso racconto di Edgar Allan Poe. A parer mio è avvenuta una profonda contaminazione con un altro racconto tra i più celebri dello stesso glorioso autore: Il gatto nero (The Black Cat). Anche se a livello di trama non sussistono significative analogie, gli elementi presi a prestito da questa opera inquietante sono tuttavia altamente significativi: il gatto furioso e l'incendio che divora la casa. Sulla Wikipedia in inglese sono riportate alcune informazioni interessanti sulla genesi del film di Corman. Towne, lo sceneggiatore, si rese presto conto che il racconto Ligeia era troppo breve e che sarebbe stato difficile trarne un film articolato. Per questo motivo lesse tutta l'opera di Poe per avere le idee più chiare. Decise così di espandere la trama di Ligeia innestandovi alcuni temi caratteristici della produzione dello scrittore di Boston: il mesmerismo e la necrofilia. Così fu concepita l'idea portante del film, il cui protagonista era stato mesmerizzato dalla sua prima moglie, e spinto dal comando ipnotico che era stato inserito nell'inconscio, conservava il corpo di lei e lo concupiva, congiungendosi alle sue carni estinte. Una nozione che per l'epoca era spaventosa e terrificante (attualmente, essendo la filosofia laveyana percolata ovunque, non sembra più una cosa così folle) - eppure del tutto consistente con il sentire di Poe. Certo, non possiamo aspettarci che nel film compaiano atti di necrofilia espliciti, la cosa è soltanto suggerita dalla perfetta conservazone del corpo di Ligeia, che non mostra segno di corruzione, nemmeno un livido, che evidentemente non è stato penetrato dal gelo della tomba e indurito dal rigor mortis. Siamo di fronte a un caso di edulcorazione della necrofilia. Il cadavere non esala lezzi, è fresco, quindi desiderabile come se fosse una creatura vivente. Tanto più che a un certo punto si anima: la morte è come se fosse finta. In modo abbastanza criptico e misterioso, Towne commentò: "Ho cercato di avere la mia torta e di mangiarmela pure." Secondo la vulgata, lo sceneggiatore alludeva al risultato ottenuto, ossia una storia in cui era possibile spiegare gli eventi sia in chiave naturale (con l'ipnotismo) che in chiave soprannaturale (con la possessione diabolica). Certo, la costruzione narrativa è geniale. Completamente zombificato, Verden Fell è controllato da questa persona morta, o meglio non-morta, non-spirata, un vero e proprio Nosferatu, che probabilmente era stata davvero viva su questa Terra fin dal tempo della costruzione delle Piramidi, che aveva bevuto vino alla corte di Cheope e poi di Ramesse il Grande, che aveva visto Mosè con i propri occhi, che aveva regnato sull'Egitto con i nomi di Hatshepsut e di Nitokris, senza mai invecchiare col trascorrere dei secoli. Di fronte a un simile potere, nessuno penserebbe di essere in grado di conservare la propria volontà, nessuno si illuderebbe di avere la capacità di gestire la propria esistenza. Alla fine della Ligeia di Poe resta ben poco: da donna coltissima e sensibile è stata trasformata in un demone, in una persecutrice.

Grottesche controversie 

La cosa che più mi sorprende è l'ostinazione con cui Roger Corman si oppose alla scelta dell'ottimo Vincent Price nel ruolo del protagonista. A quanto ci è tramandato, avrebbe preferito Richard Chamberlain. Proprio lui, il prete di Uccelli Divoro, pardon, Uccelli di Rovo. Non avrebbe potuto esserci al mondo scelta peggiore. Il film ne sarebbe uscito menomato. Le perplessità di Corman, a sua detta, riguardavano l'età di Price, troppo vecchio per interpretare un personaggio che avrebbe dovuto avere una trentina d'anni, che avrebbe potuto attrarre le attenzioni di una giovane donna. Tutti pretesti. Se al giorno d'oggi un amore tra un uomo maturo e una ragazza desta scandalo, un tempo era cosa del tutto normale, matrimoni di questo tipo non erano affatto rari. Towne se ne uscì in seguito con affermazioni alquanto singolari, che lasciano basiti: "Il film era un po' noioso. Penso che sarebbe stato meglio se fosse stato con un uomo che non sembrava un necrofilo, tanto per cominciare... Amo Vincent. È molto dolce. Ma, per proseguire, sospetti che Vincent possa scoparsi gatti, galline, ragazze, cani, tutto. Senti che la necrofilia potrebbe essere una delle sue cose basilari. Avevo sentito che il ruolo richiedeva un ragazzo quasi innaturalmente bello di cui la seconda moglie potesse facilmente innamorarsi. Ci dovrebbe anche essere un senso del tabù sul legame stretto che aveva con la sua prima moglie - come se fosse qualcosa di incestuoso, due metà della stessa persona." Non c'è che dire: un bel calderone di morbosità! Alla fine la questione fu risolta allo stesso modo in cui Alessandro il Grande sciolse il Nodo di Gordio: la casa di produzione cinematografica AIP impose tra le sue condizioni proprio di assegnare a Vincent Price il ruolo di Verden Fell, così Roger Corman fu ridotto al silenzio. 


Etimologia di Rowena

Il nome Rowena è di incerta origine. Potrebbe essere derivato dall'antico inglese Hrōðwina, con la variante Hrōðwyn. Il primo membro del composto è hrōð "fama", molto produttivo nell'onomastica germanica, mentre il secondo è wine "amica". Meno probabile è che il secondo membro possa essere wynn "gioia", come taluni sostengono. C'è chi, insoddisfatto da un'origine germanica dell'antroponimo, ha proposto un'etimologia dal celtico insulare: si tratterebbe di un composto delle parole gallesi rhon "giavellotto, lancia" e gwen "bianca" (< *winda:). In gallese medievale Ron era il nome della lancia di Artù. La parola significava anche "coda". L'origine ultima dovrebbe essere nella preposizione indoeuropea *pro- "in avanti", che compare anche nel latino pro:nus "chino in avanti". Abbiamo quindi Rhonwen (< *Rono-winda:) "Lancia Bianca", che a detta di alcuni sarebbe un reale nome di donna gallese. Meno plausibile la derivazione dal gallese rhawn "crine di cavallo" (< *ra:no-). La vocale finale della forma Rowena, priva di chiara giustificazione nell'ambito del celtico insulare, non è di ostacolo. Giova notare che Rowena compare per la prima volta nell'opera di Goffredo di Monmouth, Historia Regum Britanniae (XII secolo): è una donna sassone figlia del condottiero Hengist e moglie del capo britanno Vortigern. Un personaggio molto negativo, una traditrice: è improbabile che il suo nome sia divenuto popolare. Infatti sia Rowena che Rhonwen entrano nell'uso a partire dalla letteratura romantica. Tutto ciò insegna quanto sia grande il potere del tempo, che è Ignoranza: il futuro è offuscamento e il passato è perdita di informazioni. Eppure su scala storica è passato sultanto un attimo!    

Etimologia dei cognomi Trevanion e Tremaine 

I cognomi Trevanion e Tremaine hanno entrambi la loro origine nella lingua celtica della Cornovaglia. Trevanion è attestato con le varianti Trevannion e Trevanning. Si tratta di un composto, il cui primo membro è tref "villaggio; fattoria" (varianti trev, tre). Il secondo membro è stato mal riconosciuto da molti autori. Alcuni pensano che sia guag "cavità" (prestito dal latino vacuum "spazio vuoto"), ma questo è impossibile per ragioni fonetiche. Altri interpretano il cognome come "luogo tra due fiumi", ma nemmeno questo è possibile. In cornico la parola avon "fiume" ha le forme plurali avoniow e avenow, che non spiegano il cognome. Anche in gallese afon "fiume" ha un plurale inadatto, afonydd. Così si scopre che Trevanion è formato a partire dal nome del padrone dell'antica fattoria di origine, Anian, attestato anche nella forma latinizzata Anianus, portato da due vescovi e corrispondente al gallese medievale eniawn "giusto". Tremaine è attestato come cognome con numerose varianti: Tremain, Tremayne, Treamain, Treaman, Treamann, Traemann, Traeman, Tramain, Tramaine, Traimain, Treamayne, Tramayne, Traymaine, Terman, etc. La forma Tremain compare seppur raramente persino come nome di battesimo. Chiaramente anche questo è un composto formato a partire da tref "villaggio; fattoria". Il secondo membro è però diverso: si tratta con ogni probabilità del cornico mên "pietra" (gallese maen). Il significato quindi sarebbe "Fattoria sulla Pietra". Un altro cognome cornico formato in modo simile è Trevena, con la variante Trevenna, in cui il secondo membro è il cornico menydh "montagna" (gallese menydd): "Fattoria sulla Montagna". Certamente Poe formò il cognome nobiliare Trevanion of Tremain giocando sull'assonanza tra le due parti che lo compongono. 

Etimologia di Verden 

L'origine del nome del nobile interpretato da Vincent Price è il cognome baronale Verden, anticamente Verdon o Verdun, introdotto in Inghilterra con la conquista normanna. Deriva chiaramente dal nome della cittadina francese di Verdun, tristemente nota per le ecatombi che ebbero luogo nella Grande Guerra. Il toponimo Verdun risale al celtico *Wi:ro-du:non, trascritto in latino come Virodunum o Verodunum. Il significato è "Città Forte" (da *wi:ro- "vero", ossia "saldo, forte", corradicale del latino ve:rus). In antico alto tedesco il nome appare come Wirten, forma che non ha dato discendenti nel tedesco attuale. Non c'è relazione col nome della città tedesca di Verden, il luogo dove ci fu il massacro dei Sassoni che non volevano abbandonare i culti pagani (ha una fricativa sorda /f/ iniziale)


Amnesia e reminiscenza 

Il 30 novembre 2018 scrivevo su Facebook la seguente nota: 

Un caso davvero bizzarro. La scorsa notte ho visto il film "La tomba di Ligeia" di Roger Corman, con Vincent Price (1964). Mi sono accorto di averlo senza dubbio già visto da giovane. Il fatto singolare è questo: ho compreso all’improvviso di averne rimosso completamente il ricordo a causa del trauma che mi aveva provocato. Ho riconosciuto il film come causa diretta di molti incubi atroci che mi hanno perseguitato per anni e da cui in seguito ho tratto ispirazione per il racconto "L'artiglio del Nullifico". Tali incubi, pieni di gatti inferociti, contenevano spesso ambientazioni che ricordavano quelle del film. In uno di questi ero un nobile e mi ero appena sposato: nel cuore della notte un terribile gatto nero saltava in faccia alla sposa, dilaniandole il volto e accecandola. Quello che più mi ha sorpreso è constatare che sia io che la sposa avevamo le stesse sembianze dei protagonisti del film di Corman! Lei era fulva e magra, e indossava un abito bianco simile a quello indossato da Lady Rowena, sembrava proprio lei. Attraversando un corridoio pieno di specchi, mi sono visto in volto. Ero proprio il Verden Fell del film e portavo gli stessi strani occhiali neri! Solo (ri)vedendo il film ho compreso il perché di ogni dettaglio di quel sogno spaventoso e funesto, che ha impresso un marchio indelebile nella mia memoria. In un altro incubo i gatti mi costringevano a trovare rifugio in una bara posta in un loculo sotterraneo. Quando sento i versi notturni dei gatti in calore che litigano, ancora oggi mi si gela il sangue nelle vene.