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venerdì 20 novembre 2020

 
ENEMY

Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Canada, Spagna
Anno: 2013
Durata: 90 min
Rapporto: 2,39:1
Genere: Thriller, drammatico, grottesco
Regia: Denis Villeneuve
Soggetto: José Saramago (O Homem Duplicado, romanzo)
Sceneggiatura: Javier Gullón
Produttore: Niv Fichman, Miguel A. Faura
Produttore esecutivo: François Ivernel, Cameron
     McCracken, Mark Slone, Victor Loewy
Casa di produzione: Rhombus Media, Roxbury Pictures, 
     micro_scope, Mecanismo Films
Distribuzione in italiano: PFA Films, 102 Distribution
Fotografia: Nicolas Bolduc
Montaggio: Matthew Hannam
Musiche: Danny Bensi, Saunder Jurriaans
Scenografia: Patrice Vermette
Costumi: Renée April
Trucco: Catherine Viot
Interpreti e personaggi:
    Jake Gyllenhaal: Adam Bell / Anthony Claire
    Mélanie Laurent: Mary
    Sarah Gadon: Helen Claire
    Isabella Rossellini: La madre di Adam 
    Joshua Peace: Insegnante
    Tim Post: Concierge di Anthony
    Kedar Brown: Guardia di sicurezza
    Darryl Dinn: Impiegato della videoteca
    Misha Highstead: Signora nella dark room
    Megan Mane: Signora nella dark room
    Alexis Uiga: Signora nella dark room
    Paul Stephen: Gerente della dark room
    Stephen R. Hart: Buttafuori
    Kiran Friesen: Donna triste, distrutta
    Jane Moffat: Eve
    Loretta Yu: Addetta alla reception
Doppiatori italiani:
    Stefano Crescentini: Adam Bell / Anthony Claire
    Gemma Donati: Mary
    Valentina Favazza: Helen Claire
    Roberta Paladini: La madre di Adam 
Titolo in altre lingue: 
    Spagnolo (America latina): El hombre duplicado
 
Trama: 
Incipit erotico. In un club ctonio una donna si esibisce in un numero morboso e sta per schiacciare un grosso ragno dall'addome setoso. Uno squallido professore di storia, certo Adam Bell, si consuma in una spettrale esistenza da larva nella metropoli di Toronto, sotto un cielo di un grigio perenne. Un giorno accade qualcosa che scombina la sua routine: su istigazione di un collega noleggia una videocassetta di un film intitolato Volere è potere. Guardandolo si accorge che una comparsa gli somiglia a tal punto da poter essere un suo clone. Ha quindi inizio un'ossessione: trovare questo Doppelgänger e scoprirne la vera identità. Presto questa idea fissa s'impossessa di lui, al punto che gli diventa impossibile pensare ad altro. Comincia ad indagare, scoprendo che il suo doppione è conosciuto col nome d'arte di Daniel St. Claire, ma in realtà si chiama Anthony Claire e ha al suo attivo soltanto un paio di comparse sullo schermo. Quando Adam si reca all'agenzia per cui lavora Anthony, viene scambiato per lui. Riesce a ritirare una busta destinata all'attore, da cui ricava il suo indirizzo e il numero di telefono. Lo chiama ma non lo trova in casa. Risponde la moglie, Helen che si trova in un avanzato stato di gravidanza e rimane profondamente turbata dal tentativo farneticante del professore di instaurare una conversazione. Credendo di avere le corna, decide di pedinare il marito, scoprendo l'esistenza dell'uomo a lui identico al punto di sembrare un suo clone. La donna scopre l'università dove Adam insegna, ma lui non è consapevole di essere spiato. A un certo punto avviene l'incontro tra i due uomini identici, in una stanza d'albergo. Essi scoprono che non si tratta di una pura e semplice somiglianza: ogni singolo dettaglio dell'uno trova la sua perfetta corrispondenza nel corpo dell'altro, persino una cicatrice. Terrorizzato da questi accadimenti portentosi, Adam dichiara che l'incontro è stato un errore e fugge via. Forse come conseguenza dell'incontro, Adam ed Anthony hanno il sonno funestato dallo stesso incubo, in cui prima appare loro una donna nuda la cui testa è quella di un aracnide, poi vedono un ragno immenso delle dimensioni di un grattacielo che zampetta allegramente tra gli edifici della città. Anthony diventa uno stalker e punta la sua ragazza, Mary. Vuole possederla carnalmente, accusando Adam di essere stato a letto con la gravida Helen, per poi dichiarare di aver agito per vendetta, per mettere i conti in pari. Così contatta Adam e gli chiede di prestargli vestiti e chiavi della macchina per una notte, promettendo che dopo aver avuto questo favore scomparirà per sempre dalla sua vita. Adam accetta, quindi Anthony lo impersona, riesce a portare Mary in un albergo e ha con lei contatti sessuali. La reazione di Adam è semplice: si reca a casa di Anthony e dovo varie piagnucolose vicissitudini Helen accetta di fare l'amore con lui. Nel frattempo Mary, durante il sesso ha una crisi, perché nota che l'uomo ha un segno sulla fede nuziale. Capisce di essere stata ingannata da un uomo somigliante al marito; gli chiede di essere riportata a casa. Durante il viaggio i due litigano furiosamente, causando un terribile incidente in cui muoiono entrambi. Il giorno dopo, Adam si ritrova ad assumere l'identità di Anthony. Indossa i suoi abiti, apre una busta a lui destinata, con la chiave del club erotico ctonio in cui all'inizio del film una donna stava sensualmente schiacciando un pingue ragno. Avvisa che sta per uscire di casa. Helen non gli risponde, quindi lui entra nella sua stanza, vedendo al posto della donna un aracnide nero e peloso, che occupa l'intero spazio.
 
 
Recensione: 
Mentre lo vedevo per la prima volta, mi sembrava un ottimo thriller, pieno di suspense. La tensione era totalizzante, il senso di mistero era assoluto e densissimo. Cosa avrà mai prodotto la comparsa dell'inesplicabile Doppelgänger del protagonista? L'acme viene raggiunto quando, durante l'incontro tra i due uomini, si vede che sono identici a livello genetico e cellulare, avendo persino gli stessi nei! DNA che corrispondono base per base, molecola per molecola! Non solo: i corpi mostrano anche un identico segno non congenito, una cicatrice, che deve essere il prodotto di un identico trauma subìto a un certo punto delle loro esistenze! E com'è possibile una cosa simile? Non può essere una mera coincidenza! Questa è un'idea sorprendente, inquietante, che avrebbe potuto essere sfruttata meglio. Purtroppo Villeneuve è riuscito nella difficile impresa di rovinare tutto in pochi secondi non lontano dai titoli di coda. Ho digrignato i denti per lo sdegno. Non ho dubbio alcuno: quest'uomo benedetto è un regista che ha il tocco di Re Adim! Se il Re Mida trasformava in oro tutto ciò che toccava, vi lascio immaginare quali fossero invece le proprietà del tocco del Re Adim! Proprio quando si ha davanti una torta al cioccolato e si sta per gustarla, ecco che lo chef diabolico ci mette sopra una massa di gorgonzola graveolente e di salsa verde. Vi immaginate lo schifo? Ecco, ora avete una vaga idea di quello che ho provato. Sappiamo tutti che la Settima Arte è defunta. Non si hanno più idee originali. Tutto sta diventando un remake di un remake di un remake, ad infinitum, ad nauseam! Un simile contesto di merda è ciò che si chiama mainstream. Quando hai la fortuna di concepire un'idea innovativa e sconvolgente, non puoi banalizzarla e gettarla via! Se lo fai, è una cosa che urla vendetta al Cielo!    
 
 
Un finale smerdante 
 
Proprio quando il protagonista sta per trovare il bandolo della matassa, accade qualcosa di inaudito. Anziché la moglie trova nella stanza da letto l'orrenda, schifosa suocera che si manifesta a lui nella sua vera natura di titanica tarantola. La critica dice che quella è la moglie di Anthony, Helen, ma io non ci credo affatto. Quella è proprio la suocera. Un aracnide smisurato e peloso, che invade tutta la stanza, che invaderebbe lo stesso Universo, se non fosse confinato tra quattro mura. Un cielo in forma di tarantola, che avvolge ed opprime ogni cosa. L'uomo non sembra rendersi conto della situazione raccapricciante. Anzi, tira un sospiro di sollievo e ride. Sembra quasi che abbia una reminiscenza improvvisa di un pianeta alieno popolato da colossali aracnidi senzienti, di cui anche lui era parte. Questa interpretazione, lasciata allo spettatore, non viene però esplicitamente affermata dal regista. Non si dà un barlume di spiegazione. Si ha l'impressione di assistere al colpo di un'arma spuntata, che fallisce il bersaglio. Nello stesso istante in cui la rivelazione dovrebbe manifestarsi nella sua atrocità, parte invece una fastidiosissima musichetta da commediola. Un'aria futile che cosparge di escrementi l'intera opera, riducendone a nullità la trama e privandola di ogni residuo di significato! Proprio così. Il film di Villeneuve non significa nulla
 
Qual è il confine della Fantascienza?  
 
La domanda è a bruciapelo. Può questo film villeneuviano essere definito un'opera di fantascienza? Certo che sì! Mi rendo conto che la mia affermazione sembrerà blasfema a molti fantascientisti fanatici, ma le cose stanno in questi termini. Se un Doppelgänger di una persona si aggira per la città, non si può affatto escludere che sia un alieno sotto mentite spoglie o il prodotto di una tecnologia occulta, che potrebbe benissimo non essere del nostro pianeta. Certo, se dicessi che L'uomo duplicato di Saramago è un'opera di fantascienza fatta e finita rischierei il linciaggio. Infatti non è probabile che sia stata scritta con tale intento. L'aspetto fantascientifico è stato infuso proprio della trasposizione cinematografica: per come Villeneuve ha presentato le sequenze, la loro classificazione è inevitabile. Non ci sono molte altre spiegazioni possibili. L'idea che Adam ed Anthony siano gemelli omozigoti separati alla nascita si rivela una pura e semplice assurdità proprio a causa del fatto che entrambi hanno la stessa cicatrice. Fallisce la riduzione degli eventi al mondo della razionalità umana, della quotidianità. L'uomo duplicato di Saramago è più che altro attento alla dimensione psicologica. Incredibilmente prolisso, il romanzo è ambientato in un microcosmo portoghese di cui non si trova traccia nella trasposizione cinematografica. Potremmo dire che è una specie di esperimento concettuale, in cui lo scrittore lusitano indaga la reazione di un uomo alla comparsa di un altro essere umano identico a sé, senza che sia data la benché minima importanza all'origine ultima di un simile portento. 
 
Alcune note sul romanzo di Saramago 

Il protagonista porta un nome altisonante: Tertuliano Máximo Afonso. Non riesce ad accettare quel Tertuliano, perché tutti lo pigliano per il culo pronunciando "TERTULI ANO", con un bello stacco che non lascia adito a dubbi, facendo un'associazione immediata allo sfintere da cui sono espulse le feci. Lo stesso giochetto che ho fatto io quando ad Augusta ho visto su un dipinto di Carlo Magno questa imbarazzante dicitura: "NIHIL DEEST CHRISTI ANO" (doveva significare "Nulla manca al cristiano"). La morale era questa: Carlo Magno rispondeva con tali parole a un imperatore politeista, Alessandro Magno, che con un analogo "fumetto" affermava: "NIHIL SUFFICIT PAGANO" (ossia "Nulla basta al pagano"). Il problema è che "CHRISTI ANO" con lo stacco dovuto alla necessità di andare a capo, è passibile di interpretazione blasfema! Mi domano se non fosse una cosa voluta. In modo simile, quando fu chiesto al professor Gianfranco Miglio se fosse un craxiano, lui rispose: "Non sono l'ano di nessuno". L'aggettivo "craxiano" era da lui interpretato con lo stesso spirito del "CHRISTI ANO" evocato da Carlo Magno. Con meno fortuna, Umberto Bossi cercò di riciclare la battuta, dicendo di detestare tutte le parole che teminano per "ano". "Come padano?", ribatté l'intervistatore. Ecco, diciamo che il "TERTULI ANO" di Saramago è il corrispondente portoghese delle amenità da me riportate. E gli hanno anche dato il Nobel!     
 
Il dilemma della macchina duplicatrice 
 
Immaginiamo ora una macchina che funziona in questo modo: scansiona qualsiasi oggetto sia posto nell'apposito vano, riproducendolo atomo per atomo. Potremmo dire che si tratta di una forma molto avanzata di stampante tridimensionale. Non escludo che tra qualche anno qualcosa di simile possa davvero essere realizzabile. Le conseguenze ontologiche sono gravissime. Adesso pongo la fatidica domanda. Cosa accadrebbe se una simile macchina riproducesse un essere umano anziché un oggetto? Produrrebbe una copia perfetta, che non conterrebbe alcun errore genetico, alcuna distorsione di una singola base del DNA. Sarebbe una copia migliore di qualsiasi clone, persino migliore di un gemello omozigote. Il cuore batterebbe, pomperebbe il sangue al cervello, si accenderebbe l'autocoscienza nell'essere umano duplicato. Quale sarebbe la fonte di questa nuova autocoscienza, che prima della duplicazione non esisteva? Il cervello duplicato, come vorrebbero i pierangelisti? Cosa penserebbero i teologi delle varie religioni del mondo? Un teologo tomista crederebbe che tale macchina ha duplicato un'anima immortale che soltanto Dio dovrebbe poter creare? Che ne sarebbe della sostanza aristotelica e dell'ideologia che da essa è derivata? I Dottori della Chiesa ammutolirebbero. I filosofi direbbero che a tutti questi quesiti non c'è ancora una chiara risposta. Quello che invece si può dire per certo è dove sono andati a finire secoli di speculazione e di pensiero religioso del genere umano. Non cito esplicitamente il luogo in questione per non apparire troppo cinico. 
 

Due filosofemi 
 
Le citazioni che compaiono nell'introduzione dell'opera di Saramago sono queste: 

Il caos è un ordine da decifrare.
Libro dei Contrari

Credo sinceramente di avere intercettato molti pensieri che i cieli destinavano a un altro uomo.
Laurence Sterne 

La prima citazione compare all'inizio del film in una forma lievemente diversa proprio dopo la bella inquadratura di una donna nuda incinta: "Chaos is order yet undeciphered" (ossia "Il Caos è ordine non ancora decifrato"). La fonte della sentenza non è specificata e non si fa menzione della frase di Laurence Sterne, scrittore e religioso irlandese nato a Clonmel (Tipperary) nel 1713 e deceduto a Londra nel 1768. Ebbe un matrimonio infelicissimo con una pazza da catena e peggiorò ancor di più la situazione cornificandola accanitamente. Fu afflitto da una salute malferma e da continue difficoltà economiche. Invaghitosi di un'altra donna, viaggiò in Francia e in Italia, scrivendo le prorpie memorie e riuscendo infine a separarsi dalla moglie. Dopo una vita tanto incerta, lo colse la morte per tubercolosi. Non stupisce che si sia sentito attraversare da pensieri alieni, come una radio capace di captare i borborigmi di Azathoth!    

L'Ordine e il Caos 
 
La specie Homo sapiens è formata da due meccanismi: una macchina procreatice e un programma ricercatore di senso. La macchina procreatice ha come scopo l'estrazione del genetico e il suo utilizzo per la fabbricare di nuovi esemplari che portino sulle proprie spalle il gravame di una condizione maledetta. Il programma ricercatore di senso, che Luigi Pirandello definiva "macchinetta infernale", ha come scopo la decrittazione del Caos, la riduzione della sua insensatezza suprema a un ordine comprensibile. Quindi il processo è quello di trasformazione del Caos in Cosmo. Un'opera di Cosmogenesi. Il problema è che il programma ricercatore di senso è intrinsecamente fallimentare. Il senso non si trova, per quanto eroici possano essere gli sforzi. Alla fine Homo sapiens si ritrova nudo, balbuziente e demente di fronte all'Assurdo. Né si deve credere, come pure fanno alcuni, che il desolante tocco dell'Assurdo possa essere ciò che ci assicura la Libertà. Non esiste opinione più farneticante della loro. La Libertà si può trovare soltanto nell'Annientamento dell'Essere. Un vino in grado di estinguere l'Essere e di cancellare l'ombra della vita è la sola cosa che si possa desiderare. Alla Cosmogenesi è necessario opporre la Cosmonemesi.   

 
Un'esegesi ridicola 

La vulgata corrente è questa: il Doppelgänger incarnerebbe il concetto secondo cui l'individuo sarebbe il vero nemico di sé stesso. In questo modo, Anthony sarebbe stato materializzato dall'inconscio di Adam come suo doppione fisico e al contempo come suo opposto caratteriale. Se Adam è un professorucolo timido e schiavo delle convenzioni, Anthony cerca di evadere dalla monogamia, che percepisce come asfittica, contemplando in un club erotico splendide dominatrici che spappolano ragni sotto i piedi. Il finale, sempre a detta dei fan, starebbe a significare che tutto è vano e che nessun mutamento può avvenire a causa delle circostanze, se prima non cambia veramente qualcosa dall'interno. Di tutto questo mi faccio beffe, perché è soltanto un coacervo di stronzate. Nessuno dice che il ragno schiacciato dalla Domina rappresenta il fallo eretto che eiacula a contatto coi piedi femminili nel corso di una sessione di sadomasochismo! 
 
Curiosità  

Un refuso voluto. Il professore tiene una lezione parlando del filosofo tedesco Johann Gottlieb Fichte (1762 - 1814). Tuttavia sulla lavagna si vede che il cognome è scritto erroneamente Fitche. Questa è una tipica manifestazione di germanofobia. 
 
Una squallida trovata pubblicitaria. Il cast ha firmato un accordo di confidenzialità che vietava di parlare ai media del significato dei ragni nel film. Mi domando perché questo accordo sia stato imposto. Quale significato dei ragni nel film? Non c'è nessun significato!  

Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Ho trovato nel Web un certo numero di recensioni tecniche, assai dettagliate, che trovo sommamente irritanti. Passerò oltre. Il Davinotti analizza il film di Villeneuve, riportando che risente dell'influenza di Cronenberg e di Lynch, più qualche altro dato lapalissiano. Gli interventi dei commentatori mi sembrano poco convincenti. mi limito a riportarne un paio.

 
Ira72 ha scritto:

"Pellicola pressoché mono-tono a esaltare la desolazione di una Toronto quasi spettrale, colonna sonora inquietante e incalzante. Buona performance di Gyllenhaal, che riesce a interpretare due persone fisicamente identiche ma caratterialmente oppost, attraverso sottili e impercettibili sfumature mimiche (compito mica facile!). Ma. Quando al subconscio e alla fantasia viene concesso troppo, in particolare da un grottesco finale aperto, il rischio è di restare perplessi, più che piacevolmente stupefatti. I ritmi dilatati, poi, non aiutano." 
 
Deepred89 ha scritto:

"Pellicola straniante e claustrofobica, forse debitrice del Lynch ultima fase. Il gioco che permette il dispiegarsi dell'ottima idea di partenza (l'avvistamento in un film di una comparsa... già vista) è di quelle che fanno scoccare il colpo di fulmine cinefilo. L'intreccio si sviluppa con intelligenza mentre i pesanti filtri della fotografia trasformano la fredda ambientazione in uno sfuggente inferno onirico. Peccato per quella chiusa ermetica: già trent'anni fa Fulci dimostrò che i ragni nelle città dei morti viventi rovinano i finali.
MEMORABILE: Il protagonista visionando un film si accorge di quella comparsa, in tenuta da maggiordomo; La creatura (?) che veglia sulla città." 

giovedì 12 novembre 2020

 
ASSASSINIO AL CIMITERO ETRUSCO 
 
Titolo originale: Assassinio al cimitero etrusco
Titolo in francese: Crime au cimetière étrusque
Titolo in inglese: The Scorpion with Two Tails
Paese di produzione: Italia, Francia
Lingua: Italiano, etrusco
Anno: 1982
Durata: 98 min
Genere: Orrore, thriller
Regia: Christian Plummer (Sergio Martino)
Soggetto: Ernesto Gastaldi, Dardano Sacchetti
Sceneggiatura: Ernesto Gastaldi, Maria Chianetta, Jacques
     Leitienne
Produttore: Luciano Martino
Casa di produzione: Dania Film S.r.l. (Roma), Medusa Film 
    (Roma), Imp.Ex.Ci.Sa (Nizza), Les Filmes Jacques
    Leitienne (Parigi)
Distribuzione in italiano: Medusa Film
Fotografia: Giancarlo Ferrando
Montaggio: Eugenio Alabiso, Daniele Alabiso
Effetti speciali: Paolo Ricci
Musiche: Fabio Frizzi
Scenografia: Antonello Geleng
Costumi: Antonello Geleng
Trucco: Franco Rufini, Giovanni Rufini
Interpreti e personaggi:
    Elvire Audray: Joan Mulligan Barnard
    Paolo Malco: Mike Grant
    Claudio Cassinelli: Archeologo Paolo Dameli
    Marilù Tolo: Contessa Maria Volumna
    Wandisa Guida: Heather Hull
    Gianfranco Barra: Commissario
    Franco Garofalo: Fotografo Gianni Andrucci
    Maurizio Mattioli: Masaccio
    Carlo Monni: Senaldi
    Anita Sagnotti Laurenzi: Prof.ssa Sorensen
    Jacques Stany: Nick Forte
    Luigi Rossi: Vecchio suonatore di aulos
    John Saxon: Arthur Barnard
    Van Johnson: Mulligan, padre di Joan
    Nazzareno Cardinali: Guardia del corpo della Contessa
    Angela Doria: Hilda
    Antonino Maimone: Boss a New York
    Fulvio Mingozzi: Ufficiale doganale
    Lucia Monaco: Julie
    Mario Rovelli (Novelli): Guadia del corpo della Contessa
    Gennarino Pappagalli: Archeologo
    Bruno Alias 
    Giuseppe Marrocco
    Mario Cecchi
    Bruno Rosa
    Ettore Martini
    Anna Maria Perego
Doppiatori originali:
    Paila Pavese: Joan Barnard
    Pino Colizzi: Paolo Dameli
    Sandro Iovino: Arthur Barnard
    Luciano De Ambrosis: padre di Joan, Mulligan
    Vittorio Stagni: Gianni Andrucci
Location: Volterra, Cerveteri, Formello, New York, R.P.A.
     Elios Studios di Roma

Trama: 
Joan, la bionda moglie dell'archeologo americano Arthur Barnard, ha le notti sconvolte da incubi atroci in cui assiste a sacrifici umani officiati dagli Etruschi in un'orrida grotta. Le modalità dell'offerta agli Dei Inferi sono terribili: il sacrificatore afferra il cranio della vittima e lo gira a 180 gradi, facendo sì che la faccia venga trovarsi proprio sopra alla parte posteriore della spina dorsale. Joan è scossa da premonizioni e teme per la vita del flaccido marito, impegnato in importanti scavi. A un certo punto l'uomo le telefona, cercando di dirle qualcosa, ma nel corso della chiamata viene ucciso. L'assassino parla in etrusco nella cornetta: "Ecn turce Šarún". Joan, sconvolta, decide di mettersi in viaggio per l'Italia, determinata a far luce sul mistero. Giunge in una Toscana molto diversa da quella che conosciamo, caratterizzata da fenomeni di vulcanismo, abitata da un'accozzaglia di truci banditi intabarrati e tombaroli. Ne sono certo, non è un frutto di qualche distorsione percettiva: questi manigoldi hanno un aspetto rignanesco! L'aristocrazia ha cognomi di origine etrusca: una tipica nobildonna è la contessa Maria Volumna. Alcuni cognomi dei violenti popolani sono invece di origine longobarda, come ad esempio Senaldi. La statuaria Joan nel corso delle sue indagini si imbatte in diversi personaggi. Incontra l'affascinante contessa Volumna, ma non riesce a ottenere dalla sua conoscenza alcun risultato utile. In bosco trova un vecchio suonatore di flauto doppio, che sa molte cose sugli antichi abitanti di quelle terre, da lui chiamati Raséni. Pian piano emerge la verità, che ha un sapore spiritico. Joan conosce la lingua etrusca senza mai aver compiuto alcuno studio, proprio perché è la reincarnazione di una sacerdotessa. Colpo di scena, non è una vera bionda, in realtà ha i capelli castani! Grazie al potere della reminiscenza l'ardimentosa eroina riesce a ritrovare la grotta che ha visto nei suoi sogni. L'anziano auleta si rivela essere proprio il sacrificatore che all'epoca le ha girato la testa fino a spezzarle il collo. A queste arcane rivelazioni si intrecciano vicende più prosaiche: si scopre che l'ingenuo Arthur nel corso dei sui scavi archeologici è rimasto coinvolto in un brutto affare coi gangster rignaneschi, che depredavano le tombe per poi nascondervi colossali quantità di letale polvere bianca (non certo borotalco o zucchero a velo, è ovvio). Il culmine si ha quando la protagonista raggiunge un luogo occulto, il Sancta Sanctorum degli Etruschi, in cui le stesse leggi della fisica sono violate! 
 
 
 
Recensione: 
Mi si perdonino i francesismi, ma ogni volta che guardo film come questo mi sento immerso in pieno nella stagione degli escrementi di celluloide, veri e propri ammassi di scorie espulsi dall'ano della senescente Settima Arte. Un ano che non è certo sensuale e desiderabile come quello di Rita Hayworth! Credo che non sia poi un caso se lo stesso regista abbia in seguito rinnegato la sua opera, motivando la sua ardua scelta con le seguenti parole: "<Il film> non ha aggiunto nulla alla mia carriera, nemmeno dal punto di vista economico". Detto questo, la pellicola di Martino è uscita dieci anni dopo il capostipite del giallo italiano archeologico, L'etrusco uccide ancora (Armando Crispino, 1972). Sembra quasi che le due opere in questione segnino l'inizio e la fine di un'epoca. In origine Martino intendeva dirigere una serie televisiva in ben otto parti, il cui titolo doveva essere Il mistero degli Etruschi, o in alternativa Lo scorpione a due code. Negli archivi SIAE si trovano due diverse sceneggiature, una di Ernesto Gastaldi e l'altra di Dardano Sacchetti, entrambe risalenti al 1982. Il nome del produttore cinematografico francese, Jacques Leitienne, compare per ragioni legate a un'asfissiante burocrazia. Un dettaglio tecnico: nonostante l'opera martiniana sia stata concepita per essere trasmessa in televisione, è stata girata in 16mm e montata come se dovesse essere proiettata nei cinematografi. La fonte di queste informazioni è Roberto Curti, Italian Gothic Horror Films, 1980-1989, McFarland, 2019. Gli sviluppi successivi sono stati prettamente berlusconiani: il film, acquistato da Reteitalia, è stato trasformato in una miniserie TV per essere trasmesso in due puntate su Canale 5. Questo riarrangiamento, firmato da Claudio Lattanzi, non è tuttavia mai stato trasmesso, né sulle reti di Berlusconi né altrove. In buona sostanza, Assassinio al cimitero etrusco è un pastone acido che mescola elementi polizieschi e horror come se fosse stato vomitato da un gigante ingozzatosi di trash. Non ha affatto goduto dello stato di cult raggiunto dal film di Crispino, pur dando un contributo all'immagine degli Etruschi sepolcrali, lugubri, posseduti dall'ossessione del proprio annientamento nell'Ade. In realtà non tutto è da buttare, qualche trovata buona c'è: ad esempio il senso della putrefazione immanente connessa alla reminiscenza, un orrore ontologico che prende forma tramite i cagnotti. Molto bella la musica, composta da Fabio Frizzi, storico collaboratore di Lucio Fulci: a cui si deve la colonna sonora di film horror fulciani come Zombi 2 (1979) Paura nella città dei morti viventi (1980), ... e tu vivrai nel terrore! - L'aldilà (1981).
 
 
Il fantaetrusco di Gastaldi-Chianetta  

La caratteristica precipua della lingua etrusca ricostruita dagli sceneggiatori è la trasformazione delle consonanti velari in palatali davanti alle vocali anteriori -e-, -i-. Così turce "donò", che i Rasna pronunciavano /'turke/, suona invece /'turtʃe/, con la cosiddetta "c di cena". Allo stesso modo muluvanice "donò, diede in dono" viene pronunciato /mulu'vanitʃe/. Manca la benché minima nozione di grammatica. Locuzioni corrette come tular Rasnal "i confini dell'Etruria" sono ripetute durante il rito che si vede all'inizio del film, soltanto perché sono prese di peso dalle attestazioni reali e incorporate nella trama. Quando si tratta di costruire una frasettina, tutto è sbagliato: non viene nemmeno compreso il concetto di declinazione. Il capolavoro di Gastaldi-Chianetta è la frase "Ecn turce Šarún", che dovrebbe significare "Egli è stato dato a Šarún". Qualcosa non quadra: il verbo è attivo, il pronome ecn è chiaramente all'accusativo: Šarún non è il destinatario, bensì il soggetto. La frase dovrebbe quindi tradursi con "Šarun lo ha dato", che significa poco. Se ecn "lui" (complemento oggetto) e turce "ha dato" sono ineccepibili (a parte la pronuncia della forma verbale), dovremmo domandarci cosa possa essere Šarún, con quell'accento anomalo sull'ultima sillaba. Stando all'intenzione degli sceneggiatori, Šarún sarebbe una sorta di divinità ctonia dell'Etruria, che presiede ai fenomeni vulcanici. Non stupisce che non risultino corrispondenze né attestazioni, trattandosi di un'invenzione. Se gli sceneggiatori fossero stati furbi, avrebbero usato il nome estrusco di Efesto, Šeθlans, oppure avrebbero formato un teonimo dalla ben nota parola verse "fuoco", qualcosa come Versens (non attestato). Al pubblico le parole con troppe consonanti piacciono poco. Perché una parola sconosciuta che finisce con una o più consonanti possa colpire l'immaginazione, è preferibile che l'accento cada sull'ultima sillaba. Ecco com'è nato l'improbabile Šarún. Con tutti i nomi etruschi di donna che si conoscono, bellissimi e affascinanti, la sacerdotessa ne ha ricevuto uno tutto sommato banale e inverosimile: Cere. Com'è ovvio attendersi è pronunciato come in italiano. Si tratta chiaramente del nome dell'antica città di Cere, in latino Caere, attestato in etrusco come Caisra, Cisra, Ceizr-, Χaire-. Che altro dobbiamo dire? Considerato che la lingua etrusca non ha avuto un'immensa fortuna cinematografica, dovremmo accontentarci e non pretendere troppo. Magari in qualche spettatore incuriosito si sarà acceso il nobile interesse per l'etruscologia!

 
Il mito dei Criptoetruschi  
 
Pellicole di etruscheria spicciola come quella di Martino hanno contribuito a diffondere il mito dei Criptoetruschi, ossia l'idea che da qualche parte, nei distretti più impervi e selvosi della Toscana, sopravvivano ancora oggi in un segreto catacombale persone continuatrici della lingua e della religione etrusca. Ne avevo già parlato qualche anno fa in un mio brevissimo contributo pubblicato su questo stesso portale: 
 

In un paese, credo fosse nel Casentino, si era diffusa una favola. I suoi abitanti si reputavano genuini discendenti degli Etruschi, mantenutisi nei secoli senza senza alcuna contaminazione esterna. In un articolo su una rivista c'erano anche fotografie di queste persone, di cui ricordo le sembianze oltremodo grottesche - cosa che confermerebbe la presenza di una lunga tradizione endogamica. Lovecraft avrebbe di certo preso spunto da queste cose per uno sconvolgente racconto su qualche antichissimo orrore dalla Toscana. Il problema è che la rivista in questione era ben lungi dall'essere fidedigna; con ogni probabilità si trattava di una squallida trovata per attrarre turisti in un borgo remoto e non certo prospero. In ogni caso, non c'è stata alcuna rivendicazione di una pretesa conoscenza della lingua etrusca o della pratica di sacrifici pagani. Come ho già fatto notare nel 2014, si trovano alcuni individui col cognome Rasna in un'area montuosa a nord di Firenze. 
 
Elementi  di fantafisica etrusca 
 
L'accesso dantesco al Sancta Sanctorum degli Etruschi emerge a causa dei sommovimenti di Šarún. Joan vi si inoltra, arrivando a un luogo che potrebbe essere uscito dalla fantasia di H.R. Giger o di Ridley Scott, tanto ricorda il pianeta degli Ingegneri del film Alien: Covenant (2012). Si vedono alcune teste gigantesche scolpite nella nuda roccia, massi a cui sono state date sembianze umanoidi. Le loro proporzioni ciclopiche opprimono e schiacciano chiunque si trovi in quel tempio, illuminato da un enorme diamante appeso al soffitto come un sole artificiale. Arriva anche Paolo Dameli, l'archeologo, che si rivela corrotto e pericolosissimo. Anzi, è proprio l'assassino che ha ucciso Arthur, il marito di Joan. Ecco il surreale dialogo che si svolge nell'arcana cripta:
 
Joan: "L'ultimo grande potere: la Sfera Cosmica, l'Anti-Universo. La Spirale del Tempo."
Paolo: "Joan, dov'è il tesoro? Joan, Joan, il posto è questo, tu l'hai trovato. Il sacro tesoro della Dodecapoli. Dimmi dov'è il tesoro!"
Joan: "I ciechi non sanno che la luce esiste, mostrargliela sarebbe inutile, non la vedrebbero. Paolo, il tesoro è là. Là c'è la Fine e l'Inizio del Tempo e la materia ha il segno contrario e opposto."
Paolo: "Sembra un grosso diamante. Se lo fosse varrebbe più di mille Kon-ai-Noor (sic!). Se riesco..."
Joan: "Non lo toccare, Paolo! Non lo toccare! Antimateria! Antigravità! Se lo tocchi, Paolo, se tu lo tocchi!" 
(- Paolo rimane colpito da una forte scossa, accompagnata da un rumore simile a quello di un gigantesco flipper! -)
Joan: "Il cristallo è completamente avvolto dal vuoto, è protetto da una forza che è contraria alla forza di gravità e respinge via l'aria. Altrimenti non potrebbe esistere, si sarebbe dissolto all'inizio del Tempo. La materia e l'antimateria non potrebbero coesistere se non ci fossero anche la gravità e l'antigravità. Solo così l'Universo può essere."
Paolo: "Da quanto tempo sai tutto questo?"
Joan: "È come se voci antiche mi parlassero dentro. Andiamo via da qui! Qui tutto appartiene agli Immortali!" 
Paolo: "Allora sei tu l'ultima degli Immortali. Sei tu. Adesso mi dirai dov'è il tesoro! E mi dirai la verità questa volta! Altrimenti... ho già spezzato il collo a molta gente e potrei farlo anche a te!"
Joan: "Allora sei tu che hai ucciso Arthur e tutti gli altri!" 
Paolo: "Certo. A volte con l'aiuto di quelli che volevano la droga."
Joan: "E adesso tu vuoi uccidere anche me." 
Paolo: "Se tu sei veramente immortale, non dovresti avere nessuna paura, non credi?"
Joan: "Io sono la Guardiana del Sacro Tesoro!" 
Paolo: "E se non mi dici subito dove si trova, resterai qui per il resto dell'Eternità!"
Joan (esagitata): "L'ultima conoscenza è il Tesoro degli Dei!!"   
 
A questo punto arriva il Deus ex Machina, che salva una situazione catastrofica. Collega di Joan e agente segreto in incognito, Mike Grant fa la sua irruzione, vincendo il malvagio e riportando l'ordine. Direi che la lunga digressione fantafisica della sacerdotessa etrusca reincarnata non era proprio necessaria. 

Dameli o Domelli? 

L'archeologo corrotto si presenta come Paolo Dameli, ma in diversi siti del Web il suo nominativo è scritto Paolo Domelli. Probabilmente Domelli, pronunciato Dameli nella versione in inglese, è stato mantenuto anche nella versione in italiano con la pronuncia americanizzata.
 
Scene memorabili 
 
I cagnotti che escono dagli occhi di un'antica scultura raffigurante un auleta. Pullulano, spingono, trascinano con sé anche alcune ributtanti pupe rossicce, cadono in massa e si spargono dovunque, contorcendosi.
 
Mike Grant che emerge dagli Inferi, simile a uno zombie avvolto dai gas sulfurei del vulcanismo, procedendo in modo retrogrado come un gambero, guidato dalla testa girata sulla schiena.   
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Arrivati a questo punto, non resta che riportare alcuni significativi estratti davinottiani.  
 

Cotola ha scritto: 
 
"Desolante thriller di Martino (che si firma con uno pseudonimo) che non provoca il benché minimo spavento nello spettatore e non avvince per nulla. Che dire poi della pasticciatissima sceneggiatura che serve un finale a dir poco delirante e ridicolo? Meglio stendere un velo pietoso e passare avanti" 
 
Deepred89 ha scritto:  
 
"Mediocre film di Sergio Martino che combina con scarsi risultati thriller, horror e poliziesco. La regia è insolitamente rozza e la sceneggiatura arranca stancamente senza decidere che strada prendere, fino ad un finale con uno dei colpi di scena più ridicoli di tutto l'horror made in Italy. Cast interessante sfruttato nel peggiore dei modi e penalizzato da un doppiaggio indegno. Insufficiente." 
 
Puppigallo ha scritto:
 
"Pagliacciata horror poliziesca con attori dati in pasto a un copione ridicolo, che li trasforma inevitabilmente in macchiette viventi, credibili come l'esistenza di un politico onesto. Se non altro, si sorride quando subentrano le visioni della bionda e, soprattutto quando viene recitata la "raggelante" frase, o formula antica "Echen turce sciarù!". Da non dormire la notte...E non dimentichiamo le uccisioni tramite rottura del collo "Crac!" ed è tutto finito (gli etruschi erano per la rapidità). La colonna sonora è riciclata da vari zombimovie, mentre il resto è O.T. (Original Trash)."
 
Markus ha scritto:
 
"Tra le grotte degli etruschi con qualche rancore di troppo trascinato ai nostri giorni e la modernissima New York si consuma uno pseudo-horror con venature poliziesche. Sergio Martino dirige senza nerbo un film che ha la pecca maggiore nel non suscitare la benché minima paura. Resta però un certo desiderio di vedere come andrà a finire e un secondo tempo stranamente più avvincente del primo, quasi a voler tenere le scene "migliori" per il gran finale. Si nota una certa povertà di mezzi (statue di evidente cartongesso, attori perlopiù mediocri)."

martedì 10 novembre 2020

 
L'ETRUSCO UCCIDE ANCORA 
 
Paese di produzione: Italia, Germania, Jugoslavia
Anno: 1972
Durata: 105
Genere: Thriller, giallo, orrore
Regia: Armando Crispino
Soggetto: Lucio Battistrada, Armando Crispino, Bryan Edgar
     Wallace (storia breve), Lutz Eisholz
Sceneggiatura: Lucio Battistrada, Armando Crispino 
Produttore: Artur Brauner
Casa di produzione: Mondial Te.Fi, Inex Film, CCC
      Filmkunst
Distribuzione in italiano: Titanus
Fotografia: Erico Menczer
Montaggio: Alberto Gallitti
Effetti speciali: Armando Grilli
Musiche: Riz Ortolani
Scenografia: Giantito Burchiellaro
Costumi: Luca Sabatelli
Trucco: Nilo Jacoponi
Interpreti e personaggi
    Alex Cord: Jason Porter
    Samantha Eggar: Myra Shelton
    John Marley: Nikos Samarakis
    Enzo Tarascio: Commissario Giuranna
    Horst Frank: Stephen
    Enzo Cerusico: Alberto
    Carlo De Mejo: Igor Samarakis
    Nadja Tiller: Leni Schongauer Samarakis
    Daniela Surina: Irene
    Vladan Holec (Vladan Milasinovic): Otello, il custode
    Christiane von Blank: Velia
    Mario Maranzana: Brigadiere Vitanza
    Rodolfo Bigotti: Il motociclista
    Wendy D'Olive: Giselle
    Pier Luigi D'Orazio: Minelli
    Ivan Pavicevac: Poliziotto
    Cinzia Bruno: La ragazza del motociclista
    Carla Brait: Una danzatrice
    Carla Mancini
    Rosita Toros
    Alessandro Angeloni
    Pietro Fumelli
Doppiatori italiani
    Michele Kalamera: Jason Porter
    Lorenza Biella: Myra
    Roberto Villa: Nikos Samarakis
    Carlo Valli: Igor Samarakis
    Luciano Melani: Otello 
Traduzioni del titolo: 
    Tedesco: Das Geheimnis des Gelben Grabes
           (lett. Il segreto  della tomba gialla)
    Inglese: The Dead Are Alive (lett. I Morti sono vivi)
    Spagnolo: El dios de la muerte asesina otra vez
 
Trama: 
Jason Porter è un archeologo americano biondiccio ad alta gradazione alcolica, che quindi mi è naturalmente simpatico. Lavora agli scavi di una necropoli etrusca a Cerveteri, dove sono state scoperte da poco alcune tombe. Servendosi di una sonda, Porter riesce a fotografare l'interno di un grande ambiente sepolcrale, scoprendovi un affresco che raffigura il Demone della Morte, Tuchulcha, intento ad uccidere con una gigantesca mazza una coppia di giovani amanti. Presto lo studioso si rende conto di aver subìto un grave furto: la sua preziosa sonda gli è stata sottratta! Come se Tuchulcha si fosse materializzato in pieno XX secolo per un'insondabile maledizione, inizia una serie di uccisioni di coppiette in un'area che va dalla zona degli scavi a Spoleto. I corpi delle vittime sono ritrovati col cranio sfondato, disposti come per un sacrificio ai Demoni. Siccome l'arma del delitto è proprio la sonda sottratta, ecco che il corrotto e incompetente commissario Giuranna nutre il sospetto che proprio Porter possa essere l'autore dei delitti. Non sorprende che in una Toscana rignanesca e paccianesca, mostrata come un luogo più sudicio e turpe della fuliggine, qualsiasi forestiero un po' strano sia in automatico accusato delle peggiori scelleratezze, mentre le azioni dei banditi passano in cavalleria. La polizia di Giuranna, losca e brutale, sembra un'associazione di camorristi. In realtà si capisce presto che la situazione è più complessa di quanto non sembri a prima vista. Il proprietario dei terreni in cui sorge la necropoli è il famoso direttore di orchestra Nikos Samarakis, un vecchio coriaceo che con Porter ha qualcosa a che fare, avendo sposato la sua ex moglie Myra. La bellissima donna fulva aveva lasciato l'archeologo perché non ne sopportava la propensione ad alcolizzarsi e pretendeva di farlo cambiare, di renderlo un salutista. Dal canto suo, pur essendo il matrimonio finito, Porter non si rassegna, è ancora ossessionato da Myra e vorrebbe riconquistarla, arrivando in un'occasione persino a conati di violenza. Oggi, imperversando la narrazione ideologica boldrinesca, sarebbe considerato uno stalker per via della sua insistenza, quindi anche più deprecabile del serial killer. Prima che l'Ispettore Giuranna possa uscire dal buio in cui brancola, gli eventi precipitano e il moderno Tuchulcha si rivela essere qualcuno che è sempre stato vicino a Myra: il figlio pazzo di Nikos Samarakis, Igor. Scoperto e affrontato in un'epica tenzone dal coraggioso Porter, troverà la sua Nemesi, con lo stomaco perforato dall'acuminata scheggia di uno specchio infranto (e non di marmo, come pure si legge nel Web).  

 
Recensione:  
Questo film di Crispino è ricordato come un importante giallo all'italiana che dato origine del filone archeologico, fiorito negli anni '70. È stato anche tra i primi, forse addirittura il primo, ad aver tentato importanti contaminazioni con il genere horror. Senza dubbio potrebbe essere definito un capolavoro, ma del cinema grottesco, analogamente a perle radiose come Non si sevizia un paperino (Lucio Fulci, 1972), quello in cui la Bouchet interpretava il ruolo inquietante di una pedofila. Eppure c'è sempre qualcosa di interessante in questo genere di pellicole, che mi diverto a recuperare per immergermi in un mondo perduto. Qui l'antropologia criminale si fonde con una visione distorta e incubica di un'antica civiltà, da lungo tempo estinta. Non esistono realmente gli Etruschi, esistono i loro fantasmi, dotati di forza propria e in grado di schiacciare l'individuo, di annichilirlo.    

Così ebbe a dire lo stesso regista, oppresso e sconvolto dalla percezione nitida delle oscurissime forze soprannaturali emanate dai luoghi degli Etruschi: 

"Il film è nato da una visita occasionale alla necropoli di Cerveteri. Ho provato una sensazione di disagio, che di solito si prova di fronte a qualcosa che non si conosce."
(Armando Crispino) 
 
Certo, se guardiamo L'etrusco uccide ancora, a distanza di tanti anni ci appare stonato, irreale, a dir poco fragile, quasi senza traccia di coerenza interna. I personaggi non sempre sono convincenti. Talvolta sembrano appena abbozzati. Tra i più degni di attenzione c'è la figura del regista rossiccio e sodomita passivo, chiara allusione a un'importante personalità il cui nome mi astengo dal menzionare, anche se ormai da tempo appartiene ai Quondam. Non ci è difficile intuire quale sia la principale occupazione di questo bizzarro individuo: fellare gli energumeni di cui si circonda! In una sequenza lecca languidamente un gelato, pensando di dedicare le proprie attenzioni al solco balano-prepuziale di un fallo eretto. Vediamo poi Nikos Samarakis, ritratto come un turpe vecchio prostatico, che ha sposato Myra per farsi titillare con la lingua il perineo e lo sbocco naturale del "tristo sacco che merda fa di ciò che si trangugia" (cit.). Geloso e vendicativo, violento e sadiano, quest'uomo malvissuto fa una brutta fine: schiatta per un arresto cardiaco provocato ad arte, liberando l'infelice consorte dalla schiavitù e permettendole di ritornare assieme all'archeologo collerico. Poi c'è Leni Schongauer Samarakis, l'ex moglie del vetusto direttore d'orchestra. All'apparenza è una donna splendida e affascinante, di classe. Nessuno nota qualcosa di disgustoso in lei. Eppure i suoi capelli, nerissimi e pettinati a caschetto, altro non sono che una parrucca, indossata per nascondere le piaghe ripugnanti che le ricoprono il cuoio capelluto. La muove l'odio verso l'ex marito, colpevole di quelle oscene ustioni craniche che l'hanno rovinata per sempre. Questo microcosmo fosco e deforme è accompagnato da una bellissima colonna sonora, densa e penetrante, opera di Riz Ortolani. Alcune scene erotiche sono interessanti. 

Dario Argento sul film di Crispino 
 
Riporto queste parole di Dario Argento, che saranno certo notevoli e molto interessanti, per chi ha in alta stima questo genere di critica: 

"Il giallo italiano non si sa esattamente quando nacque. Uno dei primi film è quello di Camillo Mastrocinque realizzato nel 1948, L'uomo dal guanto grigio, un giallo tipicamente inglese. Nel 1959 Pietro Germi realizzò un giallo stupendo: Un maledetto imbroglio, tratto dal romanzo di Emilio Gadda. Segue La commare secca (1962) di Bernardo Bertolucci, quindi due film di Mario Bava, molto belli e interessanti: La ragazza che sapeva troppo e Sei donne per l'assassino. C'è stato un periodo di interregno, sinché sono usciti i miei film (L'uccello dalle piume di cristallo e Il gatto a nove code) e da allora c'è stato un uragano di imitazioni, sempre con gli animali nel titolo: la farfalla, la lucertola - e così via - che portarono il numero di gialli italiani a circa 200 in pochi anni. Poi, fortunatamente, questo uragano si fermò."
(Dario Argento) 

Mi rammarico di non avere una cultura cinematografica sufficiente ad apprezzare appieno questo torrente di citazioni. Ciò che so del cinema e della sua storia lo accumulo lentamente, film dopo film, recensione dopo recensione. In altre parole, non sono un adepto della religione dei Citazionisti Estremi. Comprendo però l'allusione alla cosiddetta "trilogia zoonomica" di Dario Argento, costituita oltre che da L'uccello dalle piume di cristallo (1970) e da Il gatto a nove code (1971) anche da 4 mosche di velluto grigio (1971). Crispino doveva essere consapevole del problema. Vediamo infatti Otello di Rignano, il custode della necropoli, che si diverte a bruciare animaletti come ragni e locuste, a quanto pare proprio come mezzo simbolico di insurrezione contro la dittatura della "trilogia zoonomica" e delle infinite imitazioni a cui diede origine (si parla addirittura di "generazione di un filone"). Il bellimbusto si accende una sigaretta e col fiammifero cerca di ustionare il pingue addome di esemplare di un ragno vespa (Argiope bruennichi), senza peraltro riuscire ad arrecargli gravi danni. Gode ad infliggere dolore, i suoi occhi sono illuminati dalla luce del sadismo. In realtà sembra essere stato proprio L'etrusco uccide ancora, un giallo di matrice argentiana, ad avere a sua volta influenzato lo stesso Argento, ispirandogli il motivo centrale di Profondo Rosso (1975), quello del trauma infantile di origine sessuale. Eppure pochi sembrano ricordare che proprio in Profondo Rosso c'è una scena di violenza estrema su una lucertola, che viene seviziata con uno spillo da una bambina dai capelli rossi come il fuoco, morbosa e sadica. Quindi, stando alla critica, cosa dovremmo dire? Che Dario Argento ha voluto protestare contro la sua stessa "trilogia zoonomica"? Queste tesi non mi paiono il prodotto di menti lucide.  
 

Trasmigrazioni spiritiche degli Etruschi 

Un bambino è rimasto sconvolto dall'attività sessuale della madre, che è stata scoperta dal cornuto e ha rimediato un'orrida ustione al cranio. Così il giovane cresce odiando ogni in modo viscerale ogni manifestazione della sessalità, finché la tensione insopportabile lo spinge ad uccidere coppiette il cui comportamento gli ricorda il trauma subito. Sviluppa una sua inquietante ritualità, che ha tutti i caratteri dell'ossessione. Come avviene questo passaggio? Cosa lo spinge a un certo punto a tradurre le sue fantasie in azione? Il cambiamento avviene tramite la visione dell'affresco etrusco in cui Tuchulcha ammazza a colpi di clava gli amanti. Ecco che ha luogo una trasmigrazione, a prima vista improbabile: Tuchulcha possiede il ragazzo e ne fa un omicida seriale. L'ossessione diviene azione acquisendo un carattere etrusco, pur mantenendo elementi moderni, come l'uso del Requiem di Verdi e delle scarpette rosse, riconducibili alle memorie dell'assassino. Non si ha quindi una trasmissione culturale di elementi etruschi sopravvissuti in qualche modo al trascorrere dei secoli, come in altri film, bensì un passaggio diretto, in cui la visione di un antico dipinto funge da catalizzatore. Questa trasmigrazione ha l'ontologia della possessione demoniaca: uno spirito che aleggia nell'aria entra nel corpo della vittima, utilizzandolo per muoversi ed operare nel mondo. L'annientamento di giovani vite lo sostenta e lo rafforza, proprio come il sangue offerto da Odisseo alle Ombre dell'Ade le rende dense, consapevoli, memori del proprio passato. Quando l'essenza di Tuchulcha abbandona il posseduto, su questi cade all'improvviso tutto l'immane peso delle atrocità compiute, lasciandogli come unica via di uscita il suicidio!  

Etimologia di Tuchulcha 

Raffigurato nella Tomba dell'Orco, Tuchulcha è ritratto con un aspetto ben più orribile di quello mostrato da Crispino: è un demone alato, con orecchie d'asino, becco da avvoltoio e vipere che gli escono dalle chiome; la sua pelle è giallastra e in mano tiene lunghi serpenti barbuti. Mi inoltro in alcune considerazioni sull'etimologia del nome. Nel Liber Linteus esiste la parola tuχlac, il cui significato è verosimilmente "mortale, funubre". La terminazione -c è un tipico suffisso aggettivale: la radice è tuχla- e doveva esprimere il significato di "morte", "lutto", distruzione". Con un suffisso -χa ecco formato il nome del Demone della Morte, Tuχulχa. Questo suffisso si trova anche in altri casi e doveva servire a formare sostantivi concreti. In un'iscrizione (REE 55 n91) abbiamo ali-χa con il significato di "dono", dal verbo al- "dare". Nel Liber Linteus abbiamo siml-χa, formato in modo simile a Tuχul-χa. Peccato che la radice siml- sia tuttora oscura e non si sia al momento in grado di specificarle il significato. Questo suffisso -χa deve essere nettamente distinto dal pronome ca "questo; egli": non è pensabile allo stato attuale delle conoscenze poter scambiare liberamente le consonanti occlusive con le aspirate, come tendeva a fare in modo ingenuo Pallottino. Nel film di Crispino gli attori pronunciano /tu'kulka/, con l'accento sulla seconda sillaba e la consonante /k/ non aspirata. Una chiara pronuncia ortografica. Si hanno prove del fatto che in etrusco l'accento cadeva sulla prima sillaba delle parole. La pronuncia doveva essere /'tukhulkha/, con l'accento sulla prima sillaba e la consonante /kh/ fortemente aspirata. Si capisce che la vera pronuncia etrusca sarebbe stata difficile, però immaginatevi l'effetto straniante che avrebbe avuto se fosse stata adottata in un giallo-horror italiano! 
 
Citazioni: 
 
"Figli di gran puttana, 'sti etruschi! Loro, sì, sapevano vivere, non si facevano mancare mai niente: mangiare come maiali, bere come cammelli e a letto come mandrilli!"
(Jason Porter) 
 
"Sembra un termitaio ma non lo è. Là sotto ci sono i miei amici etruschi, gli unici veri amici che ho al mondo. Non vedo l'ora di scendere laggiù tra quelle tombe per sentirmi un pò vivo. Sì, sono morti più di duemila anni fa secondo l'anagrafe della storia, ma per me sono più vivi di questa specie di robot che manovra questa trappola volante."
(Jason Porter)  
 
Altre recensioni e reazioni nel Web  
 
Sul sito del Davinotti si leggono moltissimi interventi. Ne riporto alcuni particolarmente significativi. 

 
Rebis ha scritto:

"Melodramma borghese camuffato da thriller esoterico, o viceversa… Crispino è più interessato a fomentarne il volume che la sostanza e informa il narrato in un'architettura fatta di stacchi repentini al montaggio, flashback e flashforward, immagini subliminali: ma lo sprezzo per linearità crea più inverosimiglianza che disorientamento, e il linguaggio avanguardista si fa concretamente enfatico, isterico quando non proprio ridicolo. Samantha Eggar sfoggia in ogni inquadratura un'acconciatura diversa: poteva essere valorizzata con maggiore sottigliezza. Saccheggiato da Dario Argento. Bel finale." 
 
Homesick ha scritto:

"Personale contributo di Crispino al giallo italiano, che prende le distanze dagli imperanti paradigmi di Argento - anzi, arriva a dettarne coordinate future, quali la rappresentazione del trauma infantile accompagnato dalla musica come in Profondo rosso e legato ad un paio di scarpe femminili come in Tenebre - e ammanta del fascino arcano della civiltà etrusca e delle sue necropoli. Molto feroce e sanguinario il primo delitto; personaggi adeguatamente bifronti. Rilevante e insolito per il genere l'inseguimento in stile poliziesco tra le anguste vie.
MEMORABILE: Il primo omicidio con la sonda per fotografare; gli affreschi di Tuchulcha; il confronto finale nella chiesa."

Rufus ha scritto:

"L'ambientazione nella necropoli etrusca è suggestiva (anche il tutto si limita a una superficiale fascinazione), la storia ben congegnata e adeguatamente morbosa; e Crispino sa dirigere i propri attori (bravi Marley, Frank e Tarascio) con l'eccezione del buon Cord, costantemente sopra le righe. Alcuni spunti (l'ossessivo Requiem verdiano, le scarpette rosse) faranno scuola. Peccato per alcune (brevi, ma fastidiose) cadute nella melassa (la liaison Cord-Eggar)." 
 
Markus ha scritto:

"Il grandioso titolo e la bella locandina raffigurante un ipotetico demonio etrusco lasciavan presagire un thriller straordinario, in realtà Crispino non sa gestire l'occasione: il film (tolti pochissimi momenti di tensione che durano pochi secondi) è di una noia mortale e fatica a decollare per la mancanza di ritmo, di colpi di scena che dovrebbero esserci e invece tardano ad arrivare. Lo spettatore è costretto a sorbirsi dialoghi logorroici e passaggi privi di interesse. Resta la piacevole ambientazione nel centro Italia. Mediocre."

mercoledì 18 dicembre 2019


L'ORRIBILE SEGRETO DEL DOTTOR HICHCOCK

Titolo originale: L'orribile segreto del dottor Hichcock
AKA: L'orribile segreto del dr. Hichcock; L'orribile segreto
     del dott. Hichcock
Titolo inglese: The Horrible Dr. Hichcock
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Italia
Anno: 1962
Durata: 88 min
Rapporto: 2,35:1
Genere: Orrore
Regia: Riccardo Freda (con lo pseudonimo di Robert
     Hampton)
Aiuto regista: John M. Farquhar
Soggetto: Ernesto Gastaldi (come Julian Berry)
Sceneggiatura: Ernesto Gastaldi
Produttore: Luigi Carpentieri, Ermanno Donati (per Panda
     Cinematografica)
Distribuzione in italiano: Warner Bros.
Fotografia: Raffaele Masciocchi (come Donald Green)
Montaggio: Ornella Micheli (come Donna Christie)
Musiche: Roman Vlad
Scenografia: Franco Fumagalli (come Frank Smokecocks)
Fonico: Jackson McGregor
Trucco: Bud Steiner, Annette Winter
Costumi: Inoa Starly
Interpreti e personaggi:
    Barbara Steele: Cynthia Hichcock
    Robert Flemyng (come Robert Fleming): dott. Bernard
       Hichcock
    Harriet White: Martha, la domestica
    Silvano Tranquilli (come Montgomery Glenn): dott. Kurt
       Lowe
    Maria Teresa Vianello (come Teresa Fitzgerald):
       Margaretha Hichcock
    Evaristo Signorini (come Evar Simpson): Ispettore Scott
    Neil Robinson (non accredato): assistente del dott.
       Hichcock
    Spencer Williams
    Al Christianson
    Nat Harley
Doppiatori originali:
    Maria Pia Di Meo: Cynthia Hichcock
    Gualtiero De Angelis: Bernard Hichcock
    Micaela Giustiniani: Martha
    Wanda Tettoni: Margaretha Hichcock
Distribuzione della pellicola: 
    Uscita in Italia Italia: 30 giugno 1962
    Uscita negli Stati Uniti Stati Uniti: 2 dicembre 1964
    Uscita in Francia Francia: 9 dicembre 1964
Incassi (botteghino italiano): 142 milioni di lire

Trama: 
Inghilterra, Anno del Signore 1885. Siamo in piena epoca vittoriana, a Londra. Il dottor Bernard Hichcock è un famoso medico e chirurgo che nasconde un terribile quanto insospettabile segreto: la necrofilia. A dire il vero la sua è una necrofilia non troppo spinta, dato che ad attrarlo è più che altro l'assenza di sensi dell'oggetto della sua concupiscenza. In altre parole, si accoppia soltanto con donne esanimi o morte da poco, non con cadaveri in decomposizione. Non ama inalare i lezzi mercaptanici, si limita ad eccitarsi all'idea che la vita abbia appena abbandonato il corpo che sta stringendo. La fama del luminare è dovuta all'impiego di un anestetico innovativo da lui stesso inventato e sperimentato con successo in diversi interventi. La sostanza, un liquido ambrato e iniettabile, non gli serve soltanto nella sala operatoria. Ne fa uso anche nel talamo coniugale con la moglie Margaretha. I giochi sessuali della coppia sarebbero considerati piuttosto deprimenti dalle donne moderne. In pratica le cose funzionano così: il dottor Hichcock inietta l'anestetico alla bionda consorte facendola sprofondare in uno stato che simula la morte, quindi la possiede carnalmente fino ad immetterle il genetico nel canale procreativo. Un giorno qualcosa va storto: la bellissima Margaretha non si risveglia. Muore così, all'improvviso, senza che nell'accaduto si possa trovare un senso. Il dottore necrofilo ha una terribile crisi e decide di abbandonare all'improvviso la sua dimora signorile, in cui ogni cosa gli ricorda la consorte morta in modo così assurdo. Lascia Londra dopo aver affittato la casa alla domestica Martha, a cui lascia anche il gatto. Dopo dodici anni esatti, nel 1897, il dottor Hichcock fa ritorno nella città, portando con sé la sua nuova moglie, Cynthia, che è una brunetta magrissima con qualche problema mentale. Il chirurgo conduce la consorte nella sua lussuosa abitazione, la stessa in cui un tempo viveva con Margaretha. Ad accogliere la coppia c'è Martha, con il gatto miracolosamente ancora vivo e vegeto dopo tanti anni. Subito accade qualcosa di inquietante. Si sentono urla disumane, che la domestica giustifica prontamente attribuendole a una sua sorella demente, venuta a vivere con lei durante gli anni di assenza del dottore. Subito promette anche che provvederà a metterla in un ricovero già il giorno dopo. Nel corso della notte, durante una tempesta, Cynthia sente dei passi rumorosi in corridoio, mentre qualcuno cerca di aprire la porta della camera chiusa a chiave. L'accaduto le scuote i nervi. Il mattino, a colazione, il marito non dà peso al suo racconto, liquidandolo come una fantasia isterica. Una sera, durante un ricevimento, Cynthia conosce il giovane dottor Kurt Lowe, che tra una galanteria e l'altra afferma di essersi fatto trasferire da Vienna non appena aveva saputo che il dottor Hichcock aveva ripreso il suo posto a Londra. Mentre attraversa il giardino di casa, a notte fonda, la donna sente una voce femminile che proferisce terribili minacce contro di lei. Poco dopo, rincasata, vede Martha che entra in un passaggio segreto. Cynthia lascia passare qualche giorno, quindi va a curiosare nel cunicolo, dove scorge la domestica nell'atto di servire una donna, forse la sorella pazza che non deve essersi mai mossa dal maniero degli Hichcock. La strategia del marito cambia di colpo: adesso fa di tutto per far credere a Cynthia di essere di nuovo sprofondata nella follia. L'atmosfera si fa tesa e insostenibile. In Cynthia nasce un profondo sospetto nei confronti del marito, tanto da credere che voglia avvelenarla. Così fa finta di bere il latte che lui le porta a colazione e lo versa in un vaso mentre nessuno la guarda. Si reca da Kurt e gli chiede di analizzare le tracce del latte rimaste nel bicchiere. Tornata a casa, perde i sensi e si ritrova chiusa in una bara. Muovendosi in preda alla disperazione e al terrore, riesce a far cadere la bara, che si fracassa. Liberatasi, si rende conto di essere nella cripta della famiglia Hichcock. Quella era la cassa che conteneva il corpo di Margaretha! La situazione precipita. Kurt si accorge dalle analisi che il latte conteneva una gran quantità di veleno, così corre al castello. Cynthia viene appesa a testa in giù in una sala adibita a tempio di Satana e interamente tappezzata di tessuto nero. Qui il dottor Hichcock, che è l'ufficiante del culto demoniaco, rivela la verità alla sua vittima. Sua intenzione è di dissanguarla per ridare la giovinezza a Margaretha, che non è affatto morta. Dopo la partenza del chirurgo da Londra, la moglie che credeva essere defunta si è risvegliata nella tomba, urlando come un'ossessa. Martha è così sopraggiunta a liberarla. L'anossia aveva reso demente la povera Margaretha, che era stata curata dalla domestica. Ecco svelato il mistero della fantomatica sorella di Martha. Margaretha ha atteso dodici lunghi anni di ricongiungersi col suo amore necrofilo e fin dalla prima volta che ha visto Cynthia ha desiderato ucciderla in modo atroce. Quando tutto sembra perduto, Kurt fa irruzione nella stanza e interrompe il rito satanico, ingaggiando un'aspra lotta corpo a corpo con il dottor Hichcock. Nella colluttazione si sviluppa un incendio che subito divampa con furia. Kurt fa precipitare il necrofilo dal balcone e getta Margaretha tra le fiamme, quindi fugge portando Cynthia in salvo. Il fuoco catartico consuma il castello maledetto.      


Recensione: 
Senza dubbio questo film horror ha avuto il merito di portare sugli schermi una parafilia molto controversa: l'attrazione sessuale per i cadaveri. Certo, c'è chi dice che ne parla in modo incomprensibile, tra mille nascondimenti e allusioni. Poi c'è chi dà la colpa alla censura se lo spettatore disattento capisce poco. Il punto è che si parla proprio di necrofilia, su questo non ci possono essere dubbi. Quando lessi la voce "necrofilia" sull'Enciclopedia Treccani (ero un liceale foruncoloso, un nerd), vi trovai le parole di un compilatore annientato dall'orrore più assoluto, che riteneva tale pratica la massima depravazione morale documentabile in un esemplare di Homo sapiens. La naturale tendenza degli umani è quella di edulcorare la realtà dei fatti. Per questo motivo si evita di menzionare il fatto che i cadaveri decomposti puzzano di formaggio. Sì, è così, i loro effluvi pestilenziali sanno di formaggio fortissimo misto a merda grassa! Sono come il durian, l'immondo frutto indonesiano. Il dottor Hichcock è un necrofilo non olfattivo. La necessità di descrivere così la sua perversione potrebbe essere nata proprio da un radicato tabù verso gli odori più schifosi, dalla necessità assoluta di rimuovere qualcosa di troppo atroce per poter essere contemplato nel pieno della propria consapevolezza. Per questo la necrofilia si riduce a un'attrazione feticistica verso la mancanza di sensi. 
 
 
Un tema ricorrente 
 
Il dottor Bernard Hichcock trae il suo cognome proprio da quello del mitico Alfred Hitchcock, giusto con una lievissima variante ortogravica (il suono affricato viene reso con -ch- anziché con -tch-). Si tratta di un omaggio all'augusto regista inglese, che era un gentiluomo e ha saputo apprezzare il pensiero. Le ispirazioni hitchcockiane del film di Freda sono molteplici, a partire dalla struttura narrativa, chiaramente tratta da Rebecca - La prima moglie (1940). Un uomo ricchissimo e affascinante fa colpo su una donna, la sposa e la conduce nel proprio castello, ma presto emergono i problemi. C'è un terzo incomodo, un'arcigna governante, e soprattutto l'ingombrante presenza di un fantasma: quello della prima moglie, morta in circostanze drammatiche e tenute nascoste. Se si presta attenzione ai particolari, si scopre che anche in Amanti d'oltretomba di Mario Caiano (1965) si trova qualcosa di molto simile.  

Incoerenze e contraddizioni 

In una celebre e suggestiva scena il dottor Hichcock rimane terrorizzato dal fantasma della sua defunta consorte Margaretha, bionda, esangue e avvolta in una candida camicia da notte che sembra un sudario. La figura femminile giunta dall'Ade suona il pianoforte mentre fuori si scatena una tempesta. Il medico necrofilo la segue nella pioggia battente, ma quando rientra in casa i suoi abiti e i suoi capelli sono perfettamente asciutti. Nel database IMDb è segnalato questo futile errore tecnico, ma nessuno sembra essersi accorto di una più grave inconsistenza logica. Quando si avvicina il finale, ci si rende conto che il dottor Hichcock era sempre stato d'accordo con la sinistra governante Martha, da cui aveva appreso che Margaretha era sopravvissuta alla sepoltura prematura, emergendo demente dalla bara infranta nella cripta umida. Il piano, studiato nei minimi dettagli, aveva proprio il fine di provocare l'impazzimento di Cynthia. Ma allora perché il dottore è inquietato dalla comparsa della prima moglie durante la tempesta e la crede uno spettro? Le due cose non combinano, cozzano tra loro. 
 
La ricostruzione della medicina di epoca vittoriana tentata da Freda non mi sembra plausibile. Nel corso di un intervento, il dottor Hichcock ordina una trasfusione di plasma. Non credo che fosse una pratica così scontata. Anche l'anestetico iniettabile il cui aspetto somiglia a quello del passito di Pantelleria mi pare un po' troppo avveniristico: a quei tempi per le operazioni chirurgiche si usavano piuttosto sostanze inalabili, come l'etere etilico, il cloroformio e il protossido di azoto - e si trattava di scoperte recenti, risalenti giusto a due decenni prima della fuga del luminare necrofilo da Londra. Le proprietà anestetiche del protossido d'azoto furono scoperte già nel 1796 da Priestley e Humphry Davy, ma il primo uso pratico di tale sostanza in un intervento chirurgico si ebbe soltanto nel 1846. Risale agli anni '40 del XIX secolo anche il primo uso dell'etere etilico e del cloroformio come anestetici nelle operazioni. Se si analizzano i dialoghi del film, si scoprono dettagli molto interessanti. A un certo punto il dottor Hichcock afferma quanto segue: "È evidente che il mio anestetico rallenta la dinamica generale dell'organismo." Tutto ciò è anacronistico. Non era nemmeno concepibile che un anestetico potesse funzionare in questo modo.  
 
I rapporti tra i sessi sono molto disinvolti, un po' troppo per una narrazione che si svolge negli anni in cui imperversava la rigida moralità vittoriana. Dubito molto che a una donna sposata sarebbe stato consentito viaggiare in carrozza assieme a un uomo che non fosse suo marito. Lo scandalo che ne sarebbe scaturito sarebbe stato immenso, al punto che nessuna avrebbe mai corso un rischio simile. Non dico che Londra fosse come Kabul sotto i Talebani, ma poco ci mancava. Esistevano realtà spaventose, che al giorno d'oggi sarebbero inconcepibili - e che certo Freda non immaginava nemmeno nei suoi incubi. Non erano rari i casi in cui la masturbazione femminile era curata cauterizzando o asportando chirurgicamente il clitoride. Vi erano uomini che indossavano penose cinture di castità per impedire la benché minima erezione e che ritenevano l'eiaculazione paragonabile all'omicidio perché comportava la morte degli homunculi spermatici.  
 
Erodoto e la necrofilia egiziana 
 
Ero ancora al liceo quando lessi di uno strano costume degli antichi Egiziani, riportato dallo storico greco Erodoto. Quando una bella donna moriva, il suo corpo non veniva consegnato subito agli imbalsamatori: si aspettava che sopraggiungessero il rigor mortis e i primi segni di decomposizione. Questo perché in epoca remota era stato scoperto un imbalsamatore nell'atto di congiungersi sessualmente col cadavere di una donna. Era per così dire un orribile dottor Hichcock ante litteram. Nella Terra dei Faraoni tutto era preso seriamente e un singolo caso poteva dare origine a consuetudini millenarie. Non era come in Italia, dove regnano l'inefficienza e la corruzione, dove imperversa lo sfacelo. Date le loro ossessioni per la purezza, le genti del Nilo pensavano di scongiurare un'insopportabile contatto con l'impurità, seguendo leggi draconiane. Non veniva loro in mente che potessero esistere necrofili di tipo diverso, attratti proprio dai cadaveri putrefatti e capaci di usare entrate diverse dalla vagina (la prima cosa che diventa inutilizzabile post mortem). Eppure sono stati trovati papiri con testimonianze illustrate di sacerdoti estremamente perversi, con buona pace dei loro ipocriti voti di castità, che arrivavano a ingerire gli escrementi delle prostitute e a leccare loro il cunnus dalle grandi labbra escisse. Non mi sorprenderebbe se tra loro ci fosse stato qualche soggetto avvezzo ad avere contatti sessuali coi morti!    
 
Improbabili traduzioni 
 
Ricordo che un tale Vasapolli ebbe il cognome tradotto con Kisschicken, dal momento che in napoletano vasà significa "baciare". In modo simile, lo scenografo Franco Fumagalli ha tradotto il proprio nominativo con Frank Smokecocks. A dire il vero sarebbe stato più coerente tradurre Vasapolli con Chickenkisser, alla lettera "Baciatore di Polli", e Fumagalli con Cocksmoker, alla lettera "Affumicatore di Galli". Secondo alcuni studi etimologici, il capostipite dell'inclita stirpe dei Fumagalli era proprio un affumicatore di galli, ossia un ladruncolo vissuto in epoca medievale che stordiva il pollame col fumo di un rogo, in modo tale da poterlo sottrarre più agevolmente. L'usanza di tradurre il proprio cognome per apparire un nativo americano era molto comune negli anni '60. Non dimentichiamo che il compositore Stelvio Cipriani fu noto con lo pseudonimo di Steve Powders, che si attribuì per falsa etimologia traducendo "cipria" con "powder". Altri pseudonimi anglosassoni non sono invece riconducibili direttamente a un nominativo italiano (es. Robert Hampton per Riccardo Freda, etc.), eppure si capisce all'istante che sono fittizi, grazie a una specie di sesto senso. 

 
Altre recensioni e reazioni nel Web: 
 
Alcuni interventi postati sul Davinotti hanno a mio avviso un certo interesse. Le riporto in questa sede. 
 
 
Homesick ha scritto: 
 
"Classico del gotico italiano, oggi resiste più per le spettrali, raffinate policromie fotografiche che la storia, traballante e imbastita con i tòpoi dei romanzi neri ed elementi hitchcockiani da Rebecca (l’ossessione del marito per la consorte scomparsa) e Il sospetto (il bicchiere di latte). Il cast si adatta a rivestire personaggi fissi del genere: il mad doctor Robert Flemying, la moglie instabile e impaurita Barbara Steele, l’eroe innamorato e decisivo in extremis Silvano Tranquilli e l’ambigua governante Harriet White. Romanticismo e necrofilia in un binomio certo ardito per l’epoca.
MEMORABILE: La discesa nella cripta; viva nella bara."
  
 
Il recensore Homesick avrebbe potuto citare anche un film di Roger Corman in cui una donna viene sepolta viva e si trova all'interno della bara, riuscendo a liberarsi proprio come ha fatto Cynthia: I vivi e i morti (House of Usher, 1960), liberamente tratto dal racconto di Edgar Allan Poe La caduta della casa degli Usher (The Fall of the House of Usher).  
 
Faggi ha scritto: 
 
"Audacia all'italiana squisitamente folle in questo melodramma necrofilo, visionario, dai cromatismi che ipnotizzano, impreziosito dalla dedizione alla causa di attori mossi da fili magici - Barbara Steele iconica, inesorabile, impressionante. Cosa importa dell'intreccio? Quasi nulla; è l'evocativo immaginifico a tessere la tela; è la superficie smaltata di fantasticherie lugubri a colpire con esattezza espressiva - nel cerchio di genere. E infine è impossibile resistere alle curiose citazioni da Hitchcock, un divertimento stanarle." 
 
Nicola81 ha scritto: 
 
"Senza i pesanti interventi della censura sarebbe stato senz'altro più comprensibile e, quindi, probabilmente anche migliore. Dovendo però giudicare quello che ho visto, non posso esprimere un giudizio positivo. Un film curato nelle atmosfere e nella messa in scena (veri e propri marchi di fabbrica del gotico italiano), ma troppo lento e non certo recitato benissimo (neppure l'iconica Steele offre qui una prova memorabile). Per fortuna Freda, con lo pseudosequel Lo spettro, saprà riscattarsi alla grande..." 
 
Trivex ha scritto: 
 
"Tenebroso, sofisticato ed allucinato (le espressioni dipinte sul volto del professore), prodotto dell'epoca creativa italiana. Accompagnato da un tema musicale che sa di morte/o, come una serenata al defunto e al suo odore. È una sottile nenia malata e oscura che conduce alla maledizione ed al trapasso; ma quest'ultimo viene vissuto come una esperienza eccitante e seducente. Non è esplicito (per le risapute ragioni) e per questo non trova il podio tra le pellicole antiche e disturbanti: per qualcuno un pregio, per altri un limite. Genio e sregolatezza." 
 
Jdelarge ha scritto: 
 
"Film coraggioso quello di Freda, che infatti ha dovuto soccombere alle censure dell'epoca, le quali hanno reso la pellicola quasi incomprensibile. Si parla di necrofilia, ma la trama passa in secondo piano (anche per i motivi sopracitati) per lasciare spazio a una fotografia gotica eccezionale, ricca di colori assurdi, aiutata da una bellissima scenografia. I dialoghi sono rarissimi perché è l'atmosfera quella che conta. Il film è d'importanza fondamentale per quanto riguarda il genere; testimoni illustri i primi horror di Argento.
MEMORABILE: I piedi visti dal buco della serratura."