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mercoledì 18 novembre 2020

 
ANTROPOPHAGUS 
 
AKA: Anthropophagus: The Beast; The Grim Reaper;
     Savage Island; Man-eater; Man beast
Paese di produzione:
Italia
Anno: 1980
Lingua originale: Inglese
Durata: 87 min
Genere: Orrore 
Sottogenere: Cannibalesco
Regia: Joe D'Amato
Aiuto regista: Donatella Donati
Soggetto: Luigi Montefiori, Aristide Massaccesi
Sceneggiatura: Luigi Montefiori
Produttore: Joe D'Amato, George Eastman, Oscar
      Santaniello 
Casa di produzione: P.C.M. International, Filmirage
Distribuzione in italiano: Cinedaf
Fotografia: Enrico Biribicchi
Montaggio: Ornella Micheli
Musiche: Marcello Giombini
Scenografia: Ennio Michettoni
Costumi: Ennio Michettoni
Trucco: Pietro Tenoglio
Fonico: Goffredo Salvatori
Interpreti e personaggi:
    Tisa Farrow: Julie
    Saverio Vallone: Alan
    Serena Grandi (come Vanessa Steiger): Maggie
    Margaret Mazzantini (come Margaret Donnelly): Ariette 
    Mark Bodin: Daniel
    Bob Larson: Arnold
    George Eastman: Klaus Wortmann, il cannibale
    Rubina Rey: Ruth Wortmann
    Simone Baker: Prima vittima
    Mark Logan: Seconda vittima
    Zora Kerova: Carol
    Joe D'Amato (non accreditato): Uomo che esce dalla
         funivia 
Denominazioni alternative dei personaggi:
    Nella versione in inglese, Alan è chiamato Andy;
    Ariette è chiamata Henriette "Rita".
    In altri paesi, come la Spagna, Klaus Wortmann è
    chiamato Nikos Karamanlis; Ruth Wortmann è chiamata
    Irina Karamanlis.
Titoli in altre lingue: 
   Anthropophagous : L'Anthropophage (Francia) 
   L'Anthropophage (Francia, TV)
   Der Menschenfresser (Germania Ovest) 
   Man Eater - Der Menschenfresser (Germania Ovest,
       X-rated)
   L'homme qui se mange lui-même (Belgio)
   Antropófagos (Argentina, Messico)
   Gomia, terror en el mar Egeo (Spagna)
   Antropófago (Perù)
   Antropofagia (Colombia)
   O antropófago (Brasile, Portogallo)
   Ο ανθρωποφάγος (Grecia)
   Антропофагус (Unione Sovietica)
   Ludożerca (Polonia)
Censura:
     V.M. 18 in Australia, Canada (eccetto il Québec),
     Finlandia, Italia, Regno Unito, Stati Uniti
     V.M. 16 in Francia
     V.M. 14 in Cile
     V.M. 13 in Canada (Québec)
Crediti di produzione DVD: 
   Produttore esecutivo: John Sirabella
   Produttore: William Hellfire

Trama: 
Una coppia di tedeschi in vacanza in Grecia va in spiaggia e viene trucidata da qualcuno che emerge dall'oceano. Intanto cinque viaggiatori hanno l'idea di fare il giro delle isole. Sono Alan e la sorella Carol, Daniel, Arnold e la moglie Maggie. All'ultimo ammettono nella loro comitiva anche Julie, che chiede un passaggio per un'isola fuori dalle rotte, dove vivrebbero alcuni suoi amici. L'unica che si oppone a questo cambiamento del programma è Carol, mossa dai tarocchi a presagire qualcosa di brutto in caso di visita all'isola. Il gruppo salpa comunque per la destinazione stabilita, ma subito qualcosa va storto. Mentre sbarca, Maggie, che è gravida, si distorce una caviglia. Non potendo proseguire rimane sulla barca con il suo proprietario. Un uomo attacca la barca, strappando la testa al marinaio e rapendo Maggie. Gli altri esplorano la cittadina dell'isola, scoprendola disabitata, se si eccettua una sfuggente donna in nero, che scrive "Vai via" su una finestra polverosa. In una casa viene trovato un cadavere in decomposizione che sembra essere stato cannibalizzato. La macabra scoperta spinge tutti a tornare di corsa alla barca, che però è alla deriva. Senza via di scampo, il gruppo si reca nella casa di proprietà degli amici di Julie, dove trovano l'ultima superstite della famiglia, la ragazza cieca Ariette. In preda al panico, dopo aver tirato una coltellata a Daniel, Ariette si calma e si lamenta che c'è per l'isola si aggira un pazzo che emana fetore di sangue corrotto. 
Temendo che la ferita di Daniel possa infettarsi, Alan e Arnold vanno alla ricerca di antibiotici. Carol scopre Daniel che flirta con Julie, ha una crisi isterica e fugge via nella notte. Julie la insegue, ma la perde e incontra Andy e Arnold. Nel frattempo l'assassino sfigurato irrompe nella casa e squarcia la gola di Daniel, lasciando Ariette da sola e fuggendo prima del ritorno degli. Al mattino, il gruppo attraversa l'isola e trova una dimora nobiliare, grande e sfarzosa come un castello. È la villa di Klaus Wortmann. Julie rammenta subito che Klaus, sua moglie e il loro bambino sono scomparsi in un naufragio e considerati morti. La sorella di Klaus, Ruth, sconvolta dalla tragedia, non ha più ritrovato il senno. È proprio lei la donna in nero incontrata all'inizio della sventurata esplorazione dell'isola. Prima che i visitatori entrino nell'edificio, Ruth conforta Carol addormentata e si impicca.  
Alan e Arnold guardano fuori da una finestra e vedono che la barca si è avvicinata alla riva. I due vanno a cercare di recuperarla. Julie trova nella villa un diario semidistrutto, da cui apprende che l'assassino è Klaus e che i corpi di tutte le sue vittime sono in una cripta. Alan e Arnold si separano e quest'ultimo raggiunge una chiesa abbandonata, dove trova Maggie e affronta Klaus, che in un flashback gli rivela la propria tragedia. Bloccato con la famiglia in una zattera alla deriva, Klaus ha cercato di convincere la moglie delle nacessità di mangiare le carni del figlioletto appena deceduto, in modo tale da avere più possibilità di sopravvivenza; la donna si è opposta ed è rimasta ferita dal coltello del marito, che ha subito ingurgitato la sua carne e quella del figlio. Arnold implora pietà per Maggie, ma il cannibale lo pugnala. Quindi strangola la donna incinta e la sventra, le strappa dall'utero il bambino non ancora nato e lo divora davanti agli occhi dell'uomo agonizzante. 
Intanto alla villa succede il disastro: Carol finisce con l'inciampare, morendo sul colpo con la gola recisa; Julie e Ariette si barricano in un soffitto, che finisce sfondato dall'antropofago. Ariette rimane uccisa, ma Julie riesce a far precipitare l'assalitore, che viene raggiunto e colpito da Alan, trovandosi l'addome squarciato da una picconata. Coi suoi ultimi barlumi di vita, il cannibale afferra i propri intestini sanguinolenti portandoli alla bocca e divorandoli, sotto gli occhi dei superstiti annientati!
 
 
Scene memorabili: 
 
L'esplorazione delle catacombe, tra corpi putrefatti e ratti dagli occhi rossi. Un'autentica discesa agli Inferi! 

Il ferale flashback di Klaus Wortmann, che vediamo alla deriva su un canotto giallo assieme alla moglie incinta e al figlio fulvo appena morto di stenti. La donna accarezza in modo insistente la testa del bambino estinto. L'uomo impugna un coltello (ne avevo uno simile, è andato smarrito). "No! Non puoi farlo, è nostro figlio!", geme lei. "È morto. Ora è solo cibo. Cibo per sopravvivere!", ribatte lui, che le caccia il coltello nel ventre, uccidendola. "Mangiami! Mangiami! Maledetto!", sono le ultime parole della moglie, mentre la vita la abbandona. Nella versione inglese "maledetto" è reso con "piece of shit"
 
Il feto estirpato dal ventre della Grandi, da cui non fuoriesce nemmeno una goccia di sangue, sembra un pallone gonfiato dipinto di rosso. Mentre viene masticato, permane nello spettatore l'impressione si tratti di una massa gommosa. L'effetto della sequenza è talmente ridicolo che con gli occhi di oggi non si riesce a comprendere come abbia potuto risultare tanto traumatizzante all'epoca da provocare le ire della censura. 
 
L'estrazione delle viscere dall'addome del cannibale moribondo, con conseguente masticazione! Il sangue rosso brunastro scaturisce a zampillo mentre il mostro si sfila l'intestino tenue. Poi si porta alla bocca il proprio tubo digerente e lo mastica con avidità. Gli occhi giallastri con la pupilla microscopica sembrano luminarie dell'Ade, tizzoni ardenti come quelli di Caronte! 

Recensione: 
La pellicola di D'Amato ha avuto nel corso degli anni un notevole impatto, guadagnandosi lo stato di film cult, anche se limitatamente all'audience dei video di horror di frangia. Gli effetti speciali sono rudimentali, ma questo non ha la benché minima importanza. Secondo Dyers (2015) il film ha raggiunto "un posto notevole negli annali dell'escalation del gore". Eppure secondo la rivista Delirium, questo sarebbe "un film che offre alcuni dei momenti più disgustosi della storia del cinema". Secondo la rivista Nocturno si tratterebbe di "un film controverso nel panorama horror italiano di quegli anni". E ancora: "A metà strada tra il cinema cialtrone di Bruno Mattei e quello più sofisticato di Lucio Fulci, chiaramente influenzato dalla politica del body count di certo slasher americano ma anche dalla visceralità del genere cannibalico di Ruggero Deodato e co., Antropophagus resta ancora oggi pellicola di difficile collocazione e indubbio interesse"

Una cosa colpisce subito: Antropophagus si distacca nettamente dagli altri film del genere horror cannibalesco per il fatto di non essere ambientato in Amazzonia o in Papua Nuova Guinea. Contro l'insulsa opinione corrente, che vuole il cannibalismo come un costume da "abbronzati" o comunque da "non bianchi", esso è vivo e vitale ai nostri giorni soprattutto in nazioni come la Russia, la Germania e l'Inghilterra. La pellicola di Joe D'Amato ha avuto il pregio di far meditare su questo tema, certo un po' scomodo ma reale come l'aria che respiriamo. Il cannibale può abitare nell'appartamento accanto, nel nostro stesso palazzo. Il cannibale non si può distinguere dal colore della pelle. Soltanto una cosa permette di individuarlo: quella particolare luce sadica che gli brilla negli occhi. Gli strizzacervelli potranno anche dire che si tratta di una "parafilia", di una grave alterazione psichica, di una tremenda quanto rara malattia, ma il fatto resta. Basti considerare un esempio. Armin Meiwes di Rotenburg an der Fulda non è liquidabile come un semplice demente. Era un uomo della porta accanto, dotato di grande intelligenza (è stato un tecnico di computer dell'Esercito Federale Tedesco), eppure a un certo punto ha preso contatto con un uomo profondamente masochista, lo ha incontrato, quindi con il suo consenso lo ha sodomizzato, castrato con un coltellaccio, fatto morire per dissanguamento, sgozzato, macellato e divorato. La realtà è che il cannibalismo è un istinto innato nella specie umana e ha un ruolo di primaria importanza nell'immaginario collettivo. Per quanto possa essere soppresso dal potere del Leviatano, non muore, non è mai del tutto estirpato, ma scorre come un fiume carsico sotto la crosta della normalità per poi eruttare all'improvviso nei contesti più inaspettati e menare strage! 

Curiosità tecniche

Le riprese, iniziate nell'aprile 1980, si protrassero in tutto per un mese. Il film, prodotto dall'appena fondata Filmirage di Joe D'Amato e Donatella Donati, fu girato in 16 mm e in seguito espanso in 35 mm. I luoghi delle riprese sono state molteplici: Atene, Sperlonga, Nepi, Sutri e Ponza per la maggior parte degli esterni; il Villino Crespi presso il Colosseo a Roma per gli esterni della villa Wortmann. Diversi interni sono stati girati a Sacrofano in una villa. La sagoma dell'isola greca infestata dal cannibale, avvistata dalla barca, è quella di Ponza. Sempre a Ponza, Cala Feola è proprio il porticciolo dove è stata ormeggiata la barca. 
 
Nella Catacomba di Santa Silvanilla a Nepi sono state girate le scene della grotta in cui imperversa l'antropofago; i resti umani nei loculi sono in parte stati simulati tramite molti teschi ed ossa di plastica affittati per l'occasione. Cosa deprecabile, questi posticci plastici sono stati mescolati in modo sacrilego a resti autentici. Secondo quanto affermato dallo stesso D'Amato, al termine delle riprese sarebbe stato commesso un errore ancor più sacrilego: le ossa autentiche, raccolte assieme a quelle finte, sarebbero state asportate per poi essere conservate nella casa del regista. Sull'autenticità di tutto questo non mi pronuncio, nonostante le parole di D'Amato in un'intervista pubblicata sulla rivista Notturno: potrebbe trattarsi di una semplice leggenda metropolitana diffusa per fare maggior pubblicità al film.  
 
Il film prevedeva un'interessante sequenza in cui Klaus Wortmann sgozzava Zora Kerowa con un coltello, facendola cadere a terra su un mucchio di cadavaveri pieni zeppi di cagnotti. La scena fu effettivamente realizzata, ma purtroppo dovette essere tagliata in fase di montaggio; secondo l'opinione corrente questo accadde a causa di problemi tecnici non meglio specificati con gli effetti speciali. Si segnala anche il tagglio di un'altra scena, in cui uno dei ragazzi in barca, intento a pescare, recuperava dal mare una scarpa che si rivelava contenere un piede mozzato. Tuttavia questa sequenza soppressa è stata in seguito recuperata e la si trova nei contenuti extra del Blu-ray 88 Films. 
 
I ratti grigi razzolanti nelle catacombe sono di una particolare varità, denominata "marten rat" (alla lettera "ratto martora") o "red eyed devil" (alla lettera "diavolo dagli occhi rossi"). Il loro aspetto particolarmente spettrale si deve all'assenza di melanina nelle pupille, che conferisce il tipico color rubino, dovuto al sangue che scorre nei capillari.
 
Il famigerato feto divorato dall'antropofago fu realizzato usando un coniglio scuoiato a cui era stato applicato un budellino per simulare il cordone ombelicale. Nel Regno Unito le autorità credettero assurdamente che si trattasse di un autentico feto umano ucciso per l'occasione, classificando Antropophagus come un autentico snuff movie e di conseguenza vietandolo. Il bando durò a lungo. Secondo questi emeriti minchioni, George Eastman sarebbe stato un vero e proprio cannibale, e magari avrebbe anche immolato il feto a Satana prima di sbranarlo. 
 
La prima proiezione nelle sale si ebbe in Italia il 17 ottobre 1980. La Papua Nuova Guinea, in cui non mancano i consumatori di carne umana, fu il secondo Paese in cui uscì il film, il 17 ottobre 1980; a pochi giorni di distanza uscì in Grecia, il 21 ottobre.  
 
Un genocidio in un'isola microscopica 
 
Un'incoerenza che salta subito agli occhi è la sproporzione tra le dimensioni esigue dell'isola e il grande sviluppo dell'edificato, reso deserto dal cannibale, ma un tempo molto popoloso. Inutile dire che nella realtà non sarebbe mai possibile una concatenazione di eventi come quella narrata dal regista. L'artifizio scenico delle comunicazioni rese impossibili da un guasto è semplicemente patetico. Non mi pare plausibile che un'isola tanto ricca di abitanti possa finire desolata da un mostro senza che ci sia l'intervento dell'esercito. Se l'isola è poco più di uno scoglio sperduto nell'Egeo, come mai vi sorge un'imponente dimora nobiliare come quella della famiglia Wortmann? Possiamo dire che tutta la trama è di una fragilità logica molto spinta. 
 
 
Cannibalismo zombesco! 
 
L'antropofago non è più un essere umano come tutti: l'atto di cibarsi della carne di suo figlio e di sua moglie ha trasformato la sua biologia, facendolo diventare uno zombie! L'idea portante è questa: nell'immaginario collettivo il consumo di carne umana è ritenuto uno dei massimi tabù, quindi un atto contro Dio e la Natura, gravido di terribili conseguenze. Chi lo compie è bollato con un marchio satanico, proprio come il vampiro. Sembra ancora il Mito di Wendigo, che era diffuso tra gli Algonchini. A differenza dei loro vicini Irochesi, gli Algonchini ritenevano tabù l'antropofagia e cercavano di sublimare gli incubi provocati dal suo desiderio proibito incarnandoli in una creatura spaventosa. Il Wendigo era rappresentato come un umanoide irsuto, dotato di immensa forza, velocità e immortalità. Si credeva che queste proprietà sovrannatuali gli fossero conferite proprio dall'ingestione di carne umana. Lo zombie di Antropophagus non è diverso: letale quasi come uno xenomorfo, porta l'annientamento dovunque vada, spopolando l'isola. La realtà dei fatti è molto diversa: la carne umana di per sé non è poi tanto diversa da quella di porco e la sua ingestione non porta alcuna alterazione ontologica in chi se ne nutre. La sindrome cannibalica si scatena a causa di fattori ben più complessi. Se un uomo viene ingannato e mangia carne umana credendola di porco, non si trasformerà in un mostro. Per contro, la metamorfosi in cannibale può avvenire prima ancora di aver ingerito un pasto di carne umana, come se qualcosa di demoniaco si insediasse nel corpo e ne prendesse il controllo, determinandone le azioni. 
 
Altre recensioni e reazioni nel Web: 
 
Viene in generale riconosciuta la mancanza di coerenza logica della trama. Si trovano sia recensioni negative che debolmente positive; non sembrano essere molto comuni i giudizi entusiastici su quest'opera di D'Amato. Gli aggettivi più comunemente usati per etichettare Antropophagus sono questi: "sopravvalutato", "trascurabile", "prevedibile". Ecco un po' di davinottismo spicciolo: 
 
   
Carlitos scrive: 
 
"Un horror sopravvalutato. L’unica cosa che si salva è la musica di Giombini: molto inquietante, quasi mette più ansia delle scene stesse. Per il resto un cast di poco noti fuorché la Grandi. Bella la scenografia. Ritmo molto lento e noioso. Delle scene si salvano solo il finale e la celebre scena del feto. Chissà perché c’è una sorella di Mia Farrow in questo discreto horror. D’Amato sa fare di meglio.
MEMORABILE: La musica che ascolta Mark Logan a inizio film con tanto di enormi cuffiettone." 

Whitesnake scrive: 

"Abbiamo un tizio che rimasto troppo tempo in solitudine al largo in un'isola, dopo aver ucciso sua moglie scopre cibandosene un'attitudine al cannibalismo. Ne farà le spese un gruppo di ignari turisti. Nella parabola del cinema di genere italiano questo film rimane tra quelli trascurabili. Storia di per sé inconsistente e che funge da puro pretesto per un'ondata di splatter pornografico, il tutto corredato da una messa in scena che è poca cosa. Tra le tante crudezze gratuite, la scena dell'estirpazione del feto risulta davvero pessima." 

Anthonivm scrive: 

"Uno dei rari casi in cui D'Amato rinuncia al binomio eros & thanatos e mette in scena un horror "puro". Se da una parte cala la componente sessuale, dall'altra si eccede con la violenza, che è anche la ragione per cui questo titolo è ricordato dagli appassionati. La trama è molto esile, richiama altri film della decade precedente (Perché il dio fenicio continua a uccidere è un esempio), ma è ben costruito e ricco di sequenze memorabili che hanno fatto la storia del genere. Noiosetto nella prima parte, rimonta alla grande nella seconda metà." 
 
Buiomega71 scrive: 
 
"Piuttosto zozzo e malsano, ma anche girato alla meno peggio. Lo zio Aristide sopperisce ai limiti di budget e più che la bassa macelleria con feti e budelli estirpati conta molto la putrida atmosfera, che sia di un villaggio fantasma greco, delle grotte, del cimitero, di magioni polverose, lampi e tuoni, sole battente in mare aperto, cantine sudice con botti contenenti sopravvisute. Massaccesi mutua lo slasher americano e crea un disturbante apologo apocalittico cannibalico (con schegge impazzite quasi da post atomico). Marciscente e lurido quindi cult.
MEMORABILE: Eastman, nel flashback, naufrago impazzito sul canotto, in mare aperto e sole a picco, con cadavere di moglie e figlioletto, non si scorda più..." 

giovedì 12 novembre 2020

 
ASSASSINIO AL CIMITERO ETRUSCO 
 
Titolo originale: Assassinio al cimitero etrusco
Titolo in francese: Crime au cimetière étrusque
Titolo in inglese: The Scorpion with Two Tails
Paese di produzione: Italia, Francia
Lingua: Italiano, etrusco
Anno: 1982
Durata: 98 min
Genere: Orrore, thriller
Regia: Christian Plummer (Sergio Martino)
Soggetto: Ernesto Gastaldi, Dardano Sacchetti
Sceneggiatura: Ernesto Gastaldi, Maria Chianetta, Jacques
     Leitienne
Produttore: Luciano Martino
Casa di produzione: Dania Film S.r.l. (Roma), Medusa Film 
    (Roma), Imp.Ex.Ci.Sa (Nizza), Les Filmes Jacques
    Leitienne (Parigi)
Distribuzione in italiano: Medusa Film
Fotografia: Giancarlo Ferrando
Montaggio: Eugenio Alabiso, Daniele Alabiso
Effetti speciali: Paolo Ricci
Musiche: Fabio Frizzi
Scenografia: Antonello Geleng
Costumi: Antonello Geleng
Trucco: Franco Rufini, Giovanni Rufini
Interpreti e personaggi:
    Elvire Audray: Joan Mulligan Barnard
    Paolo Malco: Mike Grant
    Claudio Cassinelli: Archeologo Paolo Dameli
    Marilù Tolo: Contessa Maria Volumna
    Wandisa Guida: Heather Hull
    Gianfranco Barra: Commissario
    Franco Garofalo: Fotografo Gianni Andrucci
    Maurizio Mattioli: Masaccio
    Carlo Monni: Senaldi
    Anita Sagnotti Laurenzi: Prof.ssa Sorensen
    Jacques Stany: Nick Forte
    Luigi Rossi: Vecchio suonatore di aulos
    John Saxon: Arthur Barnard
    Van Johnson: Mulligan, padre di Joan
    Nazzareno Cardinali: Guardia del corpo della Contessa
    Angela Doria: Hilda
    Antonino Maimone: Boss a New York
    Fulvio Mingozzi: Ufficiale doganale
    Lucia Monaco: Julie
    Mario Rovelli (Novelli): Guadia del corpo della Contessa
    Gennarino Pappagalli: Archeologo
    Bruno Alias 
    Giuseppe Marrocco
    Mario Cecchi
    Bruno Rosa
    Ettore Martini
    Anna Maria Perego
Doppiatori originali:
    Paila Pavese: Joan Barnard
    Pino Colizzi: Paolo Dameli
    Sandro Iovino: Arthur Barnard
    Luciano De Ambrosis: padre di Joan, Mulligan
    Vittorio Stagni: Gianni Andrucci
Location: Volterra, Cerveteri, Formello, New York, R.P.A.
     Elios Studios di Roma

Trama: 
Joan, la bionda moglie dell'archeologo americano Arthur Barnard, ha le notti sconvolte da incubi atroci in cui assiste a sacrifici umani officiati dagli Etruschi in un'orrida grotta. Le modalità dell'offerta agli Dei Inferi sono terribili: il sacrificatore afferra il cranio della vittima e lo gira a 180 gradi, facendo sì che la faccia venga trovarsi proprio sopra alla parte posteriore della spina dorsale. Joan è scossa da premonizioni e teme per la vita del flaccido marito, impegnato in importanti scavi. A un certo punto l'uomo le telefona, cercando di dirle qualcosa, ma nel corso della chiamata viene ucciso. L'assassino parla in etrusco nella cornetta: "Ecn turce Šarún". Joan, sconvolta, decide di mettersi in viaggio per l'Italia, determinata a far luce sul mistero. Giunge in una Toscana molto diversa da quella che conosciamo, caratterizzata da fenomeni di vulcanismo, abitata da un'accozzaglia di truci banditi intabarrati e tombaroli. Ne sono certo, non è un frutto di qualche distorsione percettiva: questi manigoldi hanno un aspetto rignanesco! L'aristocrazia ha cognomi di origine etrusca: una tipica nobildonna è la contessa Maria Volumna. Alcuni cognomi dei violenti popolani sono invece di origine longobarda, come ad esempio Senaldi. La statuaria Joan nel corso delle sue indagini si imbatte in diversi personaggi. Incontra l'affascinante contessa Volumna, ma non riesce a ottenere dalla sua conoscenza alcun risultato utile. In bosco trova un vecchio suonatore di flauto doppio, che sa molte cose sugli antichi abitanti di quelle terre, da lui chiamati Raséni. Pian piano emerge la verità, che ha un sapore spiritico. Joan conosce la lingua etrusca senza mai aver compiuto alcuno studio, proprio perché è la reincarnazione di una sacerdotessa. Colpo di scena, non è una vera bionda, in realtà ha i capelli castani! Grazie al potere della reminiscenza l'ardimentosa eroina riesce a ritrovare la grotta che ha visto nei suoi sogni. L'anziano auleta si rivela essere proprio il sacrificatore che all'epoca le ha girato la testa fino a spezzarle il collo. A queste arcane rivelazioni si intrecciano vicende più prosaiche: si scopre che l'ingenuo Arthur nel corso dei sui scavi archeologici è rimasto coinvolto in un brutto affare coi gangster rignaneschi, che depredavano le tombe per poi nascondervi colossali quantità di letale polvere bianca (non certo borotalco o zucchero a velo, è ovvio). Il culmine si ha quando la protagonista raggiunge un luogo occulto, il Sancta Sanctorum degli Etruschi, in cui le stesse leggi della fisica sono violate! 
 
 
 
Recensione: 
Mi si perdonino i francesismi, ma ogni volta che guardo film come questo mi sento immerso in pieno nella stagione degli escrementi di celluloide, veri e propri ammassi di scorie espulsi dall'ano della senescente Settima Arte. Un ano che non è certo sensuale e desiderabile come quello di Rita Hayworth! Credo che non sia poi un caso se lo stesso regista abbia in seguito rinnegato la sua opera, motivando la sua ardua scelta con le seguenti parole: "<Il film> non ha aggiunto nulla alla mia carriera, nemmeno dal punto di vista economico". Detto questo, la pellicola di Martino è uscita dieci anni dopo il capostipite del giallo italiano archeologico, L'etrusco uccide ancora (Armando Crispino, 1972). Sembra quasi che le due opere in questione segnino l'inizio e la fine di un'epoca. In origine Martino intendeva dirigere una serie televisiva in ben otto parti, il cui titolo doveva essere Il mistero degli Etruschi, o in alternativa Lo scorpione a due code. Negli archivi SIAE si trovano due diverse sceneggiature, una di Ernesto Gastaldi e l'altra di Dardano Sacchetti, entrambe risalenti al 1982. Il nome del produttore cinematografico francese, Jacques Leitienne, compare per ragioni legate a un'asfissiante burocrazia. Un dettaglio tecnico: nonostante l'opera martiniana sia stata concepita per essere trasmessa in televisione, è stata girata in 16mm e montata come se dovesse essere proiettata nei cinematografi. La fonte di queste informazioni è Roberto Curti, Italian Gothic Horror Films, 1980-1989, McFarland, 2019. Gli sviluppi successivi sono stati prettamente berlusconiani: il film, acquistato da Reteitalia, è stato trasformato in una miniserie TV per essere trasmesso in due puntate su Canale 5. Questo riarrangiamento, firmato da Claudio Lattanzi, non è tuttavia mai stato trasmesso, né sulle reti di Berlusconi né altrove. In buona sostanza, Assassinio al cimitero etrusco è un pastone acido che mescola elementi polizieschi e horror come se fosse stato vomitato da un gigante ingozzatosi di trash. Non ha affatto goduto dello stato di cult raggiunto dal film di Crispino, pur dando un contributo all'immagine degli Etruschi sepolcrali, lugubri, posseduti dall'ossessione del proprio annientamento nell'Ade. In realtà non tutto è da buttare, qualche trovata buona c'è: ad esempio il senso della putrefazione immanente connessa alla reminiscenza, un orrore ontologico che prende forma tramite i cagnotti. Molto bella la musica, composta da Fabio Frizzi, storico collaboratore di Lucio Fulci: a cui si deve la colonna sonora di film horror fulciani come Zombi 2 (1979) Paura nella città dei morti viventi (1980), ... e tu vivrai nel terrore! - L'aldilà (1981).
 
 
Il fantaetrusco di Gastaldi-Chianetta  

La caratteristica precipua della lingua etrusca ricostruita dagli sceneggiatori è la trasformazione delle consonanti velari in palatali davanti alle vocali anteriori -e-, -i-. Così turce "donò", che i Rasna pronunciavano /'turke/, suona invece /'turtʃe/, con la cosiddetta "c di cena". Allo stesso modo muluvanice "donò, diede in dono" viene pronunciato /mulu'vanitʃe/. Manca la benché minima nozione di grammatica. Locuzioni corrette come tular Rasnal "i confini dell'Etruria" sono ripetute durante il rito che si vede all'inizio del film, soltanto perché sono prese di peso dalle attestazioni reali e incorporate nella trama. Quando si tratta di costruire una frasettina, tutto è sbagliato: non viene nemmeno compreso il concetto di declinazione. Il capolavoro di Gastaldi-Chianetta è la frase "Ecn turce Šarún", che dovrebbe significare "Egli è stato dato a Šarún". Qualcosa non quadra: il verbo è attivo, il pronome ecn è chiaramente all'accusativo: Šarún non è il destinatario, bensì il soggetto. La frase dovrebbe quindi tradursi con "Šarun lo ha dato", che significa poco. Se ecn "lui" (complemento oggetto) e turce "ha dato" sono ineccepibili (a parte la pronuncia della forma verbale), dovremmo domandarci cosa possa essere Šarún, con quell'accento anomalo sull'ultima sillaba. Stando all'intenzione degli sceneggiatori, Šarún sarebbe una sorta di divinità ctonia dell'Etruria, che presiede ai fenomeni vulcanici. Non stupisce che non risultino corrispondenze né attestazioni, trattandosi di un'invenzione. Se gli sceneggiatori fossero stati furbi, avrebbero usato il nome estrusco di Efesto, Šeθlans, oppure avrebbero formato un teonimo dalla ben nota parola verse "fuoco", qualcosa come Versens (non attestato). Al pubblico le parole con troppe consonanti piacciono poco. Perché una parola sconosciuta che finisce con una o più consonanti possa colpire l'immaginazione, è preferibile che l'accento cada sull'ultima sillaba. Ecco com'è nato l'improbabile Šarún. Con tutti i nomi etruschi di donna che si conoscono, bellissimi e affascinanti, la sacerdotessa ne ha ricevuto uno tutto sommato banale e inverosimile: Cere. Com'è ovvio attendersi è pronunciato come in italiano. Si tratta chiaramente del nome dell'antica città di Cere, in latino Caere, attestato in etrusco come Caisra, Cisra, Ceizr-, Χaire-. Che altro dobbiamo dire? Considerato che la lingua etrusca non ha avuto un'immensa fortuna cinematografica, dovremmo accontentarci e non pretendere troppo. Magari in qualche spettatore incuriosito si sarà acceso il nobile interesse per l'etruscologia!

 
Il mito dei Criptoetruschi  
 
Pellicole di etruscheria spicciola come quella di Martino hanno contribuito a diffondere il mito dei Criptoetruschi, ossia l'idea che da qualche parte, nei distretti più impervi e selvosi della Toscana, sopravvivano ancora oggi in un segreto catacombale persone continuatrici della lingua e della religione etrusca. Ne avevo già parlato qualche anno fa in un mio brevissimo contributo pubblicato su questo stesso portale: 
 

In un paese, credo fosse nel Casentino, si era diffusa una favola. I suoi abitanti si reputavano genuini discendenti degli Etruschi, mantenutisi nei secoli senza senza alcuna contaminazione esterna. In un articolo su una rivista c'erano anche fotografie di queste persone, di cui ricordo le sembianze oltremodo grottesche - cosa che confermerebbe la presenza di una lunga tradizione endogamica. Lovecraft avrebbe di certo preso spunto da queste cose per uno sconvolgente racconto su qualche antichissimo orrore dalla Toscana. Il problema è che la rivista in questione era ben lungi dall'essere fidedigna; con ogni probabilità si trattava di una squallida trovata per attrarre turisti in un borgo remoto e non certo prospero. In ogni caso, non c'è stata alcuna rivendicazione di una pretesa conoscenza della lingua etrusca o della pratica di sacrifici pagani. Come ho già fatto notare nel 2014, si trovano alcuni individui col cognome Rasna in un'area montuosa a nord di Firenze. 
 
Elementi  di fantafisica etrusca 
 
L'accesso dantesco al Sancta Sanctorum degli Etruschi emerge a causa dei sommovimenti di Šarún. Joan vi si inoltra, arrivando a un luogo che potrebbe essere uscito dalla fantasia di H.R. Giger o di Ridley Scott, tanto ricorda il pianeta degli Ingegneri del film Alien: Covenant (2012). Si vedono alcune teste gigantesche scolpite nella nuda roccia, massi a cui sono state date sembianze umanoidi. Le loro proporzioni ciclopiche opprimono e schiacciano chiunque si trovi in quel tempio, illuminato da un enorme diamante appeso al soffitto come un sole artificiale. Arriva anche Paolo Dameli, l'archeologo, che si rivela corrotto e pericolosissimo. Anzi, è proprio l'assassino che ha ucciso Arthur, il marito di Joan. Ecco il surreale dialogo che si svolge nell'arcana cripta:
 
Joan: "L'ultimo grande potere: la Sfera Cosmica, l'Anti-Universo. La Spirale del Tempo."
Paolo: "Joan, dov'è il tesoro? Joan, Joan, il posto è questo, tu l'hai trovato. Il sacro tesoro della Dodecapoli. Dimmi dov'è il tesoro!"
Joan: "I ciechi non sanno che la luce esiste, mostrargliela sarebbe inutile, non la vedrebbero. Paolo, il tesoro è là. Là c'è la Fine e l'Inizio del Tempo e la materia ha il segno contrario e opposto."
Paolo: "Sembra un grosso diamante. Se lo fosse varrebbe più di mille Kon-ai-Noor (sic!). Se riesco..."
Joan: "Non lo toccare, Paolo! Non lo toccare! Antimateria! Antigravità! Se lo tocchi, Paolo, se tu lo tocchi!" 
(- Paolo rimane colpito da una forte scossa, accompagnata da un rumore simile a quello di un gigantesco flipper! -)
Joan: "Il cristallo è completamente avvolto dal vuoto, è protetto da una forza che è contraria alla forza di gravità e respinge via l'aria. Altrimenti non potrebbe esistere, si sarebbe dissolto all'inizio del Tempo. La materia e l'antimateria non potrebbero coesistere se non ci fossero anche la gravità e l'antigravità. Solo così l'Universo può essere."
Paolo: "Da quanto tempo sai tutto questo?"
Joan: "È come se voci antiche mi parlassero dentro. Andiamo via da qui! Qui tutto appartiene agli Immortali!" 
Paolo: "Allora sei tu l'ultima degli Immortali. Sei tu. Adesso mi dirai dov'è il tesoro! E mi dirai la verità questa volta! Altrimenti... ho già spezzato il collo a molta gente e potrei farlo anche a te!"
Joan: "Allora sei tu che hai ucciso Arthur e tutti gli altri!" 
Paolo: "Certo. A volte con l'aiuto di quelli che volevano la droga."
Joan: "E adesso tu vuoi uccidere anche me." 
Paolo: "Se tu sei veramente immortale, non dovresti avere nessuna paura, non credi?"
Joan: "Io sono la Guardiana del Sacro Tesoro!" 
Paolo: "E se non mi dici subito dove si trova, resterai qui per il resto dell'Eternità!"
Joan (esagitata): "L'ultima conoscenza è il Tesoro degli Dei!!"   
 
A questo punto arriva il Deus ex Machina, che salva una situazione catastrofica. Collega di Joan e agente segreto in incognito, Mike Grant fa la sua irruzione, vincendo il malvagio e riportando l'ordine. Direi che la lunga digressione fantafisica della sacerdotessa etrusca reincarnata non era proprio necessaria. 

Dameli o Domelli? 

L'archeologo corrotto si presenta come Paolo Dameli, ma in diversi siti del Web il suo nominativo è scritto Paolo Domelli. Probabilmente Domelli, pronunciato Dameli nella versione in inglese, è stato mantenuto anche nella versione in italiano con la pronuncia americanizzata.
 
Scene memorabili 
 
I cagnotti che escono dagli occhi di un'antica scultura raffigurante un auleta. Pullulano, spingono, trascinano con sé anche alcune ributtanti pupe rossicce, cadono in massa e si spargono dovunque, contorcendosi.
 
Mike Grant che emerge dagli Inferi, simile a uno zombie avvolto dai gas sulfurei del vulcanismo, procedendo in modo retrogrado come un gambero, guidato dalla testa girata sulla schiena.   
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Arrivati a questo punto, non resta che riportare alcuni significativi estratti davinottiani.  
 

Cotola ha scritto: 
 
"Desolante thriller di Martino (che si firma con uno pseudonimo) che non provoca il benché minimo spavento nello spettatore e non avvince per nulla. Che dire poi della pasticciatissima sceneggiatura che serve un finale a dir poco delirante e ridicolo? Meglio stendere un velo pietoso e passare avanti" 
 
Deepred89 ha scritto:  
 
"Mediocre film di Sergio Martino che combina con scarsi risultati thriller, horror e poliziesco. La regia è insolitamente rozza e la sceneggiatura arranca stancamente senza decidere che strada prendere, fino ad un finale con uno dei colpi di scena più ridicoli di tutto l'horror made in Italy. Cast interessante sfruttato nel peggiore dei modi e penalizzato da un doppiaggio indegno. Insufficiente." 
 
Puppigallo ha scritto:
 
"Pagliacciata horror poliziesca con attori dati in pasto a un copione ridicolo, che li trasforma inevitabilmente in macchiette viventi, credibili come l'esistenza di un politico onesto. Se non altro, si sorride quando subentrano le visioni della bionda e, soprattutto quando viene recitata la "raggelante" frase, o formula antica "Echen turce sciarù!". Da non dormire la notte...E non dimentichiamo le uccisioni tramite rottura del collo "Crac!" ed è tutto finito (gli etruschi erano per la rapidità). La colonna sonora è riciclata da vari zombimovie, mentre il resto è O.T. (Original Trash)."
 
Markus ha scritto:
 
"Tra le grotte degli etruschi con qualche rancore di troppo trascinato ai nostri giorni e la modernissima New York si consuma uno pseudo-horror con venature poliziesche. Sergio Martino dirige senza nerbo un film che ha la pecca maggiore nel non suscitare la benché minima paura. Resta però un certo desiderio di vedere come andrà a finire e un secondo tempo stranamente più avvincente del primo, quasi a voler tenere le scene "migliori" per il gran finale. Si nota una certa povertà di mezzi (statue di evidente cartongesso, attori perlopiù mediocri)."

mercoledì 18 dicembre 2019


L'ORRIBILE SEGRETO DEL DOTTOR HICHCOCK

Titolo originale: L'orribile segreto del dottor Hichcock
AKA: L'orribile segreto del dr. Hichcock; L'orribile segreto
     del dott. Hichcock
Titolo inglese: The Horrible Dr. Hichcock
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Italia
Anno: 1962
Durata: 88 min
Rapporto: 2,35:1
Genere: Orrore
Regia: Riccardo Freda (con lo pseudonimo di Robert
     Hampton)
Aiuto regista: John M. Farquhar
Soggetto: Ernesto Gastaldi (come Julian Berry)
Sceneggiatura: Ernesto Gastaldi
Produttore: Luigi Carpentieri, Ermanno Donati (per Panda
     Cinematografica)
Distribuzione in italiano: Warner Bros.
Fotografia: Raffaele Masciocchi (come Donald Green)
Montaggio: Ornella Micheli (come Donna Christie)
Musiche: Roman Vlad
Scenografia: Franco Fumagalli (come Frank Smokecocks)
Fonico: Jackson McGregor
Trucco: Bud Steiner, Annette Winter
Costumi: Inoa Starly
Interpreti e personaggi:
    Barbara Steele: Cynthia Hichcock
    Robert Flemyng (come Robert Fleming): dott. Bernard
       Hichcock
    Harriet White: Martha, la domestica
    Silvano Tranquilli (come Montgomery Glenn): dott. Kurt
       Lowe
    Maria Teresa Vianello (come Teresa Fitzgerald):
       Margaretha Hichcock
    Evaristo Signorini (come Evar Simpson): Ispettore Scott
    Neil Robinson (non accredato): assistente del dott.
       Hichcock
    Spencer Williams
    Al Christianson
    Nat Harley
Doppiatori originali:
    Maria Pia Di Meo: Cynthia Hichcock
    Gualtiero De Angelis: Bernard Hichcock
    Micaela Giustiniani: Martha
    Wanda Tettoni: Margaretha Hichcock
Distribuzione della pellicola: 
    Uscita in Italia Italia: 30 giugno 1962
    Uscita negli Stati Uniti Stati Uniti: 2 dicembre 1964
    Uscita in Francia Francia: 9 dicembre 1964
Incassi (botteghino italiano): 142 milioni di lire

Trama: 
Inghilterra, Anno del Signore 1885. Siamo in piena epoca vittoriana, a Londra. Il dottor Bernard Hichcock è un famoso medico e chirurgo che nasconde un terribile quanto insospettabile segreto: la necrofilia. A dire il vero la sua è una necrofilia non troppo spinta, dato che ad attrarlo è più che altro l'assenza di sensi dell'oggetto della sua concupiscenza. In altre parole, si accoppia soltanto con donne esanimi o morte da poco, non con cadaveri in decomposizione. Non ama inalare i lezzi mercaptanici, si limita ad eccitarsi all'idea che la vita abbia appena abbandonato il corpo che sta stringendo. La fama del luminare è dovuta all'impiego di un anestetico innovativo da lui stesso inventato e sperimentato con successo in diversi interventi. La sostanza, un liquido ambrato e iniettabile, non gli serve soltanto nella sala operatoria. Ne fa uso anche nel talamo coniugale con la moglie Margaretha. I giochi sessuali della coppia sarebbero considerati piuttosto deprimenti dalle donne moderne. In pratica le cose funzionano così: il dottor Hichcock inietta l'anestetico alla bionda consorte facendola sprofondare in uno stato che simula la morte, quindi la possiede carnalmente fino ad immetterle il genetico nel canale procreativo. Un giorno qualcosa va storto: la bellissima Margaretha non si risveglia. Muore così, all'improvviso, senza che nell'accaduto si possa trovare un senso. Il dottore necrofilo ha una terribile crisi e decide di abbandonare all'improvviso la sua dimora signorile, in cui ogni cosa gli ricorda la consorte morta in modo così assurdo. Lascia Londra dopo aver affittato la casa alla domestica Martha, a cui lascia anche il gatto. Dopo dodici anni esatti, nel 1897, il dottor Hichcock fa ritorno nella città, portando con sé la sua nuova moglie, Cynthia, che è una brunetta magrissima con qualche problema mentale. Il chirurgo conduce la consorte nella sua lussuosa abitazione, la stessa in cui un tempo viveva con Margaretha. Ad accogliere la coppia c'è Martha, con il gatto miracolosamente ancora vivo e vegeto dopo tanti anni. Subito accade qualcosa di inquietante. Si sentono urla disumane, che la domestica giustifica prontamente attribuendole a una sua sorella demente, venuta a vivere con lei durante gli anni di assenza del dottore. Subito promette anche che provvederà a metterla in un ricovero già il giorno dopo. Nel corso della notte, durante una tempesta, Cynthia sente dei passi rumorosi in corridoio, mentre qualcuno cerca di aprire la porta della camera chiusa a chiave. L'accaduto le scuote i nervi. Il mattino, a colazione, il marito non dà peso al suo racconto, liquidandolo come una fantasia isterica. Una sera, durante un ricevimento, Cynthia conosce il giovane dottor Kurt Lowe, che tra una galanteria e l'altra afferma di essersi fatto trasferire da Vienna non appena aveva saputo che il dottor Hichcock aveva ripreso il suo posto a Londra. Mentre attraversa il giardino di casa, a notte fonda, la donna sente una voce femminile che proferisce terribili minacce contro di lei. Poco dopo, rincasata, vede Martha che entra in un passaggio segreto. Cynthia lascia passare qualche giorno, quindi va a curiosare nel cunicolo, dove scorge la domestica nell'atto di servire una donna, forse la sorella pazza che non deve essersi mai mossa dal maniero degli Hichcock. La strategia del marito cambia di colpo: adesso fa di tutto per far credere a Cynthia di essere di nuovo sprofondata nella follia. L'atmosfera si fa tesa e insostenibile. In Cynthia nasce un profondo sospetto nei confronti del marito, tanto da credere che voglia avvelenarla. Così fa finta di bere il latte che lui le porta a colazione e lo versa in un vaso mentre nessuno la guarda. Si reca da Kurt e gli chiede di analizzare le tracce del latte rimaste nel bicchiere. Tornata a casa, perde i sensi e si ritrova chiusa in una bara. Muovendosi in preda alla disperazione e al terrore, riesce a far cadere la bara, che si fracassa. Liberatasi, si rende conto di essere nella cripta della famiglia Hichcock. Quella era la cassa che conteneva il corpo di Margaretha! La situazione precipita. Kurt si accorge dalle analisi che il latte conteneva una gran quantità di veleno, così corre al castello. Cynthia viene appesa a testa in giù in una sala adibita a tempio di Satana e interamente tappezzata di tessuto nero. Qui il dottor Hichcock, che è l'ufficiante del culto demoniaco, rivela la verità alla sua vittima. Sua intenzione è di dissanguarla per ridare la giovinezza a Margaretha, che non è affatto morta. Dopo la partenza del chirurgo da Londra, la moglie che credeva essere defunta si è risvegliata nella tomba, urlando come un'ossessa. Martha è così sopraggiunta a liberarla. L'anossia aveva reso demente la povera Margaretha, che era stata curata dalla domestica. Ecco svelato il mistero della fantomatica sorella di Martha. Margaretha ha atteso dodici lunghi anni di ricongiungersi col suo amore necrofilo e fin dalla prima volta che ha visto Cynthia ha desiderato ucciderla in modo atroce. Quando tutto sembra perduto, Kurt fa irruzione nella stanza e interrompe il rito satanico, ingaggiando un'aspra lotta corpo a corpo con il dottor Hichcock. Nella colluttazione si sviluppa un incendio che subito divampa con furia. Kurt fa precipitare il necrofilo dal balcone e getta Margaretha tra le fiamme, quindi fugge portando Cynthia in salvo. Il fuoco catartico consuma il castello maledetto.      


Recensione: 
Senza dubbio questo film horror ha avuto il merito di portare sugli schermi una parafilia molto controversa: l'attrazione sessuale per i cadaveri. Certo, c'è chi dice che ne parla in modo incomprensibile, tra mille nascondimenti e allusioni. Poi c'è chi dà la colpa alla censura se lo spettatore disattento capisce poco. Il punto è che si parla proprio di necrofilia, su questo non ci possono essere dubbi. Quando lessi la voce "necrofilia" sull'Enciclopedia Treccani (ero un liceale foruncoloso, un nerd), vi trovai le parole di un compilatore annientato dall'orrore più assoluto, che riteneva tale pratica la massima depravazione morale documentabile in un esemplare di Homo sapiens. La naturale tendenza degli umani è quella di edulcorare la realtà dei fatti. Per questo motivo si evita di menzionare il fatto che i cadaveri decomposti puzzano di formaggio. Sì, è così, i loro effluvi pestilenziali sanno di formaggio fortissimo misto a merda grassa! Sono come il durian, l'immondo frutto indonesiano. Il dottor Hichcock è un necrofilo non olfattivo. La necessità di descrivere così la sua perversione potrebbe essere nata proprio da un radicato tabù verso gli odori più schifosi, dalla necessità assoluta di rimuovere qualcosa di troppo atroce per poter essere contemplato nel pieno della propria consapevolezza. Per questo la necrofilia si riduce a un'attrazione feticistica verso la mancanza di sensi. 
 
 
Un tema ricorrente 
 
Il dottor Bernard Hichcock trae il suo cognome proprio da quello del mitico Alfred Hitchcock, giusto con una lievissima variante ortogravica (il suono affricato viene reso con -ch- anziché con -tch-). Si tratta di un omaggio all'augusto regista inglese, che era un gentiluomo e ha saputo apprezzare il pensiero. Le ispirazioni hitchcockiane del film di Freda sono molteplici, a partire dalla struttura narrativa, chiaramente tratta da Rebecca - La prima moglie (1940). Un uomo ricchissimo e affascinante fa colpo su una donna, la sposa e la conduce nel proprio castello, ma presto emergono i problemi. C'è un terzo incomodo, un'arcigna governante, e soprattutto l'ingombrante presenza di un fantasma: quello della prima moglie, morta in circostanze drammatiche e tenute nascoste. Se si presta attenzione ai particolari, si scopre che anche in Amanti d'oltretomba di Mario Caiano (1965) si trova qualcosa di molto simile.  

Incoerenze e contraddizioni 

In una celebre e suggestiva scena il dottor Hichcock rimane terrorizzato dal fantasma della sua defunta consorte Margaretha, bionda, esangue e avvolta in una candida camicia da notte che sembra un sudario. La figura femminile giunta dall'Ade suona il pianoforte mentre fuori si scatena una tempesta. Il medico necrofilo la segue nella pioggia battente, ma quando rientra in casa i suoi abiti e i suoi capelli sono perfettamente asciutti. Nel database IMDb è segnalato questo futile errore tecnico, ma nessuno sembra essersi accorto di una più grave inconsistenza logica. Quando si avvicina il finale, ci si rende conto che il dottor Hichcock era sempre stato d'accordo con la sinistra governante Martha, da cui aveva appreso che Margaretha era sopravvissuta alla sepoltura prematura, emergendo demente dalla bara infranta nella cripta umida. Il piano, studiato nei minimi dettagli, aveva proprio il fine di provocare l'impazzimento di Cynthia. Ma allora perché il dottore è inquietato dalla comparsa della prima moglie durante la tempesta e la crede uno spettro? Le due cose non combinano, cozzano tra loro. 
 
La ricostruzione della medicina di epoca vittoriana tentata da Freda non mi sembra plausibile. Nel corso di un intervento, il dottor Hichcock ordina una trasfusione di plasma. Non credo che fosse una pratica così scontata. Anche l'anestetico iniettabile il cui aspetto somiglia a quello del passito di Pantelleria mi pare un po' troppo avveniristico: a quei tempi per le operazioni chirurgiche si usavano piuttosto sostanze inalabili, come l'etere etilico, il cloroformio e il protossido di azoto - e si trattava di scoperte recenti, risalenti giusto a due decenni prima della fuga del luminare necrofilo da Londra. Le proprietà anestetiche del protossido d'azoto furono scoperte già nel 1796 da Priestley e Humphry Davy, ma il primo uso pratico di tale sostanza in un intervento chirurgico si ebbe soltanto nel 1846. Risale agli anni '40 del XIX secolo anche il primo uso dell'etere etilico e del cloroformio come anestetici nelle operazioni. Se si analizzano i dialoghi del film, si scoprono dettagli molto interessanti. A un certo punto il dottor Hichcock afferma quanto segue: "È evidente che il mio anestetico rallenta la dinamica generale dell'organismo." Tutto ciò è anacronistico. Non era nemmeno concepibile che un anestetico potesse funzionare in questo modo.  
 
I rapporti tra i sessi sono molto disinvolti, un po' troppo per una narrazione che si svolge negli anni in cui imperversava la rigida moralità vittoriana. Dubito molto che a una donna sposata sarebbe stato consentito viaggiare in carrozza assieme a un uomo che non fosse suo marito. Lo scandalo che ne sarebbe scaturito sarebbe stato immenso, al punto che nessuna avrebbe mai corso un rischio simile. Non dico che Londra fosse come Kabul sotto i Talebani, ma poco ci mancava. Esistevano realtà spaventose, che al giorno d'oggi sarebbero inconcepibili - e che certo Freda non immaginava nemmeno nei suoi incubi. Non erano rari i casi in cui la masturbazione femminile era curata cauterizzando o asportando chirurgicamente il clitoride. Vi erano uomini che indossavano penose cinture di castità per impedire la benché minima erezione e che ritenevano l'eiaculazione paragonabile all'omicidio perché comportava la morte degli homunculi spermatici.  
 
Erodoto e la necrofilia egiziana 
 
Ero ancora al liceo quando lessi di uno strano costume degli antichi Egiziani, riportato dallo storico greco Erodoto. Quando una bella donna moriva, il suo corpo non veniva consegnato subito agli imbalsamatori: si aspettava che sopraggiungessero il rigor mortis e i primi segni di decomposizione. Questo perché in epoca remota era stato scoperto un imbalsamatore nell'atto di congiungersi sessualmente col cadavere di una donna. Era per così dire un orribile dottor Hichcock ante litteram. Nella Terra dei Faraoni tutto era preso seriamente e un singolo caso poteva dare origine a consuetudini millenarie. Non era come in Italia, dove regnano l'inefficienza e la corruzione, dove imperversa lo sfacelo. Date le loro ossessioni per la purezza, le genti del Nilo pensavano di scongiurare un'insopportabile contatto con l'impurità, seguendo leggi draconiane. Non veniva loro in mente che potessero esistere necrofili di tipo diverso, attratti proprio dai cadaveri putrefatti e capaci di usare entrate diverse dalla vagina (la prima cosa che diventa inutilizzabile post mortem). Eppure sono stati trovati papiri con testimonianze illustrate di sacerdoti estremamente perversi, con buona pace dei loro ipocriti voti di castità, che arrivavano a ingerire gli escrementi delle prostitute e a leccare loro il cunnus dalle grandi labbra escisse. Non mi sorprenderebbe se tra loro ci fosse stato qualche soggetto avvezzo ad avere contatti sessuali coi morti!    
 
Improbabili traduzioni 
 
Ricordo che un tale Vasapolli ebbe il cognome tradotto con Kisschicken, dal momento che in napoletano vasà significa "baciare". In modo simile, lo scenografo Franco Fumagalli ha tradotto il proprio nominativo con Frank Smokecocks. A dire il vero sarebbe stato più coerente tradurre Vasapolli con Chickenkisser, alla lettera "Baciatore di Polli", e Fumagalli con Cocksmoker, alla lettera "Affumicatore di Galli". Secondo alcuni studi etimologici, il capostipite dell'inclita stirpe dei Fumagalli era proprio un affumicatore di galli, ossia un ladruncolo vissuto in epoca medievale che stordiva il pollame col fumo di un rogo, in modo tale da poterlo sottrarre più agevolmente. L'usanza di tradurre il proprio cognome per apparire un nativo americano era molto comune negli anni '60. Non dimentichiamo che il compositore Stelvio Cipriani fu noto con lo pseudonimo di Steve Powders, che si attribuì per falsa etimologia traducendo "cipria" con "powder". Altri pseudonimi anglosassoni non sono invece riconducibili direttamente a un nominativo italiano (es. Robert Hampton per Riccardo Freda, etc.), eppure si capisce all'istante che sono fittizi, grazie a una specie di sesto senso. 

 
Altre recensioni e reazioni nel Web: 
 
Alcuni interventi postati sul Davinotti hanno a mio avviso un certo interesse. Le riporto in questa sede. 
 
 
Homesick ha scritto: 
 
"Classico del gotico italiano, oggi resiste più per le spettrali, raffinate policromie fotografiche che la storia, traballante e imbastita con i tòpoi dei romanzi neri ed elementi hitchcockiani da Rebecca (l’ossessione del marito per la consorte scomparsa) e Il sospetto (il bicchiere di latte). Il cast si adatta a rivestire personaggi fissi del genere: il mad doctor Robert Flemying, la moglie instabile e impaurita Barbara Steele, l’eroe innamorato e decisivo in extremis Silvano Tranquilli e l’ambigua governante Harriet White. Romanticismo e necrofilia in un binomio certo ardito per l’epoca.
MEMORABILE: La discesa nella cripta; viva nella bara."
  
 
Il recensore Homesick avrebbe potuto citare anche un film di Roger Corman in cui una donna viene sepolta viva e si trova all'interno della bara, riuscendo a liberarsi proprio come ha fatto Cynthia: I vivi e i morti (House of Usher, 1960), liberamente tratto dal racconto di Edgar Allan Poe La caduta della casa degli Usher (The Fall of the House of Usher).  
 
Faggi ha scritto: 
 
"Audacia all'italiana squisitamente folle in questo melodramma necrofilo, visionario, dai cromatismi che ipnotizzano, impreziosito dalla dedizione alla causa di attori mossi da fili magici - Barbara Steele iconica, inesorabile, impressionante. Cosa importa dell'intreccio? Quasi nulla; è l'evocativo immaginifico a tessere la tela; è la superficie smaltata di fantasticherie lugubri a colpire con esattezza espressiva - nel cerchio di genere. E infine è impossibile resistere alle curiose citazioni da Hitchcock, un divertimento stanarle." 
 
Nicola81 ha scritto: 
 
"Senza i pesanti interventi della censura sarebbe stato senz'altro più comprensibile e, quindi, probabilmente anche migliore. Dovendo però giudicare quello che ho visto, non posso esprimere un giudizio positivo. Un film curato nelle atmosfere e nella messa in scena (veri e propri marchi di fabbrica del gotico italiano), ma troppo lento e non certo recitato benissimo (neppure l'iconica Steele offre qui una prova memorabile). Per fortuna Freda, con lo pseudosequel Lo spettro, saprà riscattarsi alla grande..." 
 
Trivex ha scritto: 
 
"Tenebroso, sofisticato ed allucinato (le espressioni dipinte sul volto del professore), prodotto dell'epoca creativa italiana. Accompagnato da un tema musicale che sa di morte/o, come una serenata al defunto e al suo odore. È una sottile nenia malata e oscura che conduce alla maledizione ed al trapasso; ma quest'ultimo viene vissuto come una esperienza eccitante e seducente. Non è esplicito (per le risapute ragioni) e per questo non trova il podio tra le pellicole antiche e disturbanti: per qualcuno un pregio, per altri un limite. Genio e sregolatezza." 
 
Jdelarge ha scritto: 
 
"Film coraggioso quello di Freda, che infatti ha dovuto soccombere alle censure dell'epoca, le quali hanno reso la pellicola quasi incomprensibile. Si parla di necrofilia, ma la trama passa in secondo piano (anche per i motivi sopracitati) per lasciare spazio a una fotografia gotica eccezionale, ricca di colori assurdi, aiutata da una bellissima scenografia. I dialoghi sono rarissimi perché è l'atmosfera quella che conta. Il film è d'importanza fondamentale per quanto riguarda il genere; testimoni illustri i primi horror di Argento.
MEMORABILE: I piedi visti dal buco della serratura."