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mercoledì 30 novembre 2016


CESARE MORI - IL PREFETTO DI FERRO
(miniserie televisiva)
 

Titolo: Cesare Mori - Il prefetto di ferro
Paese: Italia
Anno: 2012
Formato: Miniserie TV
Genere: Biografico
Puntate: 2
Durata: 100 min (puntata)
Lingua originale: Italiano
Caratteristiche tecniche:
  Rapporto: 16:9
  Colore: Colore
  Audio: Sonoro
Crediti:
Regia: Gianni Lepre
Soggetto: Antonio Domenici, Pieltro Calderoni,
    Gualtiero Rosella
Sceneggiatura: Pietro Calderoni, Gualtiero Rosella,
    Nicola Ravera Rafele
Interpreti e personaggi:  
    Vincent Pérez: Cesare Mori
    Gabriella Pession: Elena Chiaramonte
    Anna Foglietta: Angelina Mori
    Adolfo Margiotta: Francesco Spanò
    Paolo Ricca: Gaetano Cuccia
    Franco Trevisi: Don Filippo Virzì
    Cosimo Cinieri: Vito Cascio Ferro
    Maurizio Donadoni: Benito Mussolini
    Antonio Serrano: Felice Di Giorgio
    Bruno Bilotta: Michele Carì
    Giovanni Visentin: Dott. Rafele
    Marco Mandarà: Saro
    Luca Bastianello: Morelli
    Giancarlo Zanetti: Prefetto
    Dario Costa: Marco Levati
    Mimmo Mancini: Cusumano
   
Giancarlo Montingelli: Segretario Prefetto
        Bologna

    Paolo Lanza: Avv. Ortoleva 
    Samantha Capitoni: Non identificata
Fotografia: Gino Sgreva
Montaggio: Carlo Fontana
Musiche: Pino Donaggio
Scenografia: Paki Meduri
Costumi: Valter Azzini
Effetti speciali: Metaphyx
Produttore: Giorgio Schöttler
Casa di produzione: Artis, Rai Fiction
Prima visione: Rete televisiva: Rai 1

Trama: 

Nei primi anni del XX secolo, Cesare Mori è commissario in Sicilia. Combatte contro la banda del brigante Carlino, riuscendo infine ad ucciderlo, anche se al prezzo della morte di uno dei suoi agenti migliori. Le indagini lo porteranno alla dimora della Baronessa Chiaramonte, una nobildonna bellissima di sangue normanno. Il Commissario si accorge che lei subisce l'influsso del perfido massaro Cuccia. Presto scopre che proprio il massaro è il vero capo della banda di Carlino. Inizia il processo contro il mafioso, ma Mori non riesce ad avere la meglio e subisce trasferimento a Bologna, dove viene in contrasto con il Fascio e fa di tutto per contenere la violenza dello squadrismo, guadagnandosi il nome di "Prefetto socialista". Quando Mussolini, colpito dall'onestà di Mori, gli propone di tornare in Sicilia a combattere la mafia, lui accetta, consigliato dalla moglie Angelina. Il suo scopo non dichiarato sarebbe quello di ritrovare il figlio adottivo, Saro, che è fuggito dopo aver saputo dal massaro Cuccia che il suo vero padre è stato ucciso proprio da Mori. Ha inizio una strenua lotta contro il suo arcinemico che gli ha strappato Saro e contro il padrino Don Virzì, coinvolto in mille e più porcherie del tutto simili a quelle che si leggono ogni giorno su ogni quotidiano d'Italia. 

Recensione:

Il protagonista che interpreta Cesare Mori se devo essere sincero l'ho trovato un po' moscio. Nell'assegnare le parti, dovrebbero anche tener conto delle peculiarità caratteriali dell'attore. Invece no, di questi tempi è una mera illusione pensare che questo sano principio del buonsenso possa essere applicato almeno per una volta. Così han dato la parte di un uomo inflessibile e risoluto a un attore che proprio non ce la fa a reggerla.

Una narrazione viziata dalle storture
dei nostri tempi 

Errori e incongruenze storiche non mancano di certo. Non si tratta tuttavia di inesattezze prive di conseguenze. Sono infatti alterazioni gravi, tanto da formare una cappa di disinformazione e di falsità che soffoca il genuino nucleo della realtà storica.

All'epoca l'aveva fatto notare Maurizio Gasparri (PdL), che ha dichiarato: "La Rai con questi contenuti viene meno alla sua funzione di servizio pubblico". Alberto Balboni e Enzo Fasano, anche loro del PdL, hanno a loro volta dichiarato: "La storia del prefetto che combatté la mafia fino al punto di sconfiggerla, caso unico nella storia d’Italia, viene piegata a caricatura di un santino con i cattivi, così cattivi, da replicare lo schema della trattativa stato-mafia tanto in voga oggi, manco avessero affidato la consulenza ad Antonio Ingroia e Massimo Ciancimino. Il regista, gli sceneggiatori e l’apparato Rai hanno volutamente annacquato in un antifascismo di maniera quella che nella memoria storica fu la prima e vera liberazione della Sicilia dalla mafia."

Pur non provando alcuna simpatia per questi politici (immagino che sia ancora un diritto), trovo che in questo caso abbiano avuto più di una ragione.

Eroico è l'intervento di Pasquale Squitieri, regista del film capolavoro del 1977: 

“Cominciamo col dire, per esempio, che Cesare Mori non ha mai adottato nessun bambino; ci sono dei falsi storici persino nelle canzoni; e non parliamo delle inesattezze e delle falsità per quanto riguarda i rapporti tra Mori e il fascismo delineati nella fiction. Io ho portato sul grande schermo il vero “prefetto di ferro”, il ritratto in onda sulla Rai è solo uno sceneggiato tv che potrebbe rifarsi anche a qualunque personaggio di fantasia autoriale. Vederla così sputtanata, una personalità straordinaria come quella di Cesare Mori, mi ha davvero disturbato.”

Ebbene sì: condivido appieno e trovo particolarmente vile e biasimevole l'aver attribuito al Prefetto di Ferro un figlio adottivo, per giunta un bambino lasciato orfano all'uccisione del padre, un brigante. Come ha detto Squitieri, Cesare Mori non ha mai adottato nessuno. Non solo: sono convinto che non l'avrebbe mai fatto. Un'altra cosa. Cesare Mori era sposato con Angelina Salvi e questo è tutto sulla sua vita privata. Non andava in giro a farsi sedurre da nobildonne civettuole. Non frequentava baronesse lascive né prostitute. La si deve smettere con questa perniciosa mania di attribuire a personaggi della prima metà del XX secolo storture moderne e postmoderne di ogni genere. In pratica, quella che si racconta nello sceneggiato è un'altra storia. Ovviamente, pochi sono i registi che rinunciano a inficiare una narrazione apportandovi modifiche ingiustificate perché la gente vuole una storia d'amore a tutti i costi, perché il pubblico vuole qualche ammorbante trovata sentimentale.

Uno pseudo-Mussolini berlusconiano 

Non userò mezzi termini. Per motivi propagandistici Mussolini è descritto come una sorta di proto-Berlusconi. Il regista mostra un'orrida compiacenza alla falsificazione storica e all'idea postmoderna, propalata dai buonisti, secondo cui ci sarebbe identità assoluta tra Partito Nazionale Fascista, mafia e ideologia berlusconiana - descritti come entità identiche e intercambiabili simili a certe particelle subatomiche dominate dalle leggi della quantistica. Sono i discorsi dementi in voga nel mondo scolastico e nei centri sociali, fucine di ignoranza dove non entra il benché minimo barlume di conoscenza e di onestà intellettuale. Il discorso del Mussolini berlusconiano al Prefetto è altamente significativo, con il suo invito a non vedere la realtà come bianca o come nera ma a comprendere i "grigi". Diamine, si potrà dire di tutto di Mussolini, ma non che fosse l'uomo dei "grigi"! Vero è che la realtà storica ci mostra la penetrazione della peste mafiosa all'interno del Partito Nazionale Fascista in Sicilia, tanto che le indagini di Mori portarono Mussolini a sciogliere il Fascio di Palermo. Il gerarca Alfredo Cucco, descritto ampiamente dal Petacco, è stato realmente processato per collusione. Vero è che Mussolini era preoccupato da questa situazione gravemente compromettente e che a un certo punto ha pensato di tenerla nascosta, richiamando Mori a Roma e di fatto neutralizzandolo. Queste cose lo stesso Squitieri le mette in evidenza. Tuttavia da questo a ritenere il Duce parte attiva nella diffusione dell'agente patogeno mafioso in Sicilia, a Roma e nel resto d'Italia, ce ne passa. Nella miniserie sembra addirittura di veder proiettare sullo stesso Mussolini l'ombra di una sua possibile iniziazione alla setta. Siamo alle solite: il presente è proiettato nel passato, il passato è forzato nelle categorie del presente. Tutto ciò genera soltanto nocivi equivoci.

L'Assedio di Gangi minimizzato

Non si può fare a meno di mettere in evidenza che il maggior successo di Cesare Mori, l'espugnazione della roccaforte mafiosa e brigantesca di Gangi, viene de facto minimizzato dalla miniserie TV. Una gloriosa pagina di Storia ridotta quasi a zero, trasformata in una retata ordinaria, tanto che il Prefetto intrepretato da Pérez arriva a dire a Spanò che l'operazione non sarebbe stata un successo, in quanto Tano Cuccia è riuscito a fuggire. Quanto grande è il contrasto con le sequenze epiche del film di Pasquale Squitieri! Ancora una volta emerge la tendenza ad addomesticare - se così si può dire - il personaggio di Mori, ad ammansirlo, a mitigarne l'inflessibilità, a ridurlo al moderno senso di garantismo. Ci si dimentica che è proprio il garantismo dilagante ad appestare la società rendendo impossibile la concreta punizione del malfattori, più tutelati ormai dei cittadini onesti. 

Rimozione dei sistemi draconiani e della tortura

Non si fa la benché minima menzione dei sistemi repressivi utilizzati da Cesare Mori, tra cui l'uso di raffinati sistemi di tortura. Giova ricordare ai lettori che l'operato del Prefetto di Ferro fu di una tale e giusta ferocia che per decenni i mafiosi fuggiti in America tramandarono nei loro conciliaboli il ricordo dei trattamenti che erano stati costretti a subire, mostrando paura anche soltanto a nominare Mori. Stomaci e genitali sono stati rovinati: lo spettatore odierno non sa che il torturatore non ha alcuna tutela della salute del torturato e della sua incolumità, così non si astiene affatto dall'apportare danni gravissimi e permanenti. Questa mancata consapevolezza è un altro segnale dello scollamento tra la realtà dei fatti e la finzione televisiva. 

Alcuni meriti della miniserie 

Nonostante ciò che ho mostrato finora, va detto che qualche merito questa miniserie l'ha pure avuto. Infatti indaga sulla vera natura dell'associazione mafiosa, cosa che in precedenza non era stata fatta. Il Prefetto di Ferro viene ad apprendere notizia sull'esistenza di una setta capace di gestire ogni cosa e di mutare la notte in giorno a suo piacimento. Viene usato proprio questo termine: "società segreta". La natura della mafia come organizzazione settaria esoterica non viene soltanto delineata in modo teorico: ne vengono mostrati alcuni esempi concreti. Questo risulta evidente nel convito mafioso che si svolge in una spettrale chiesa a notte fonda. Per improbabile caso Mori vi assiste di nascosto, senza dar segno della sua presenza. L'impianto narrativo è implausibile, ma vi sono elementi interessanti. Durante la drammatica riunione di natura massonica, accade che il notabile Ciccio Racconigi sfida il massaro Cuccia, ammesso alla congrega da poco, sputandogli addosso e ricevendo in cambio una letale coltellata nell'addome. Il massaro viene applaudito dai presenti, che si complimentano per l'uccisione ancora fresca. Di più: nel seguito, anni dopo la morte di Racconigi, viene mostrata un'iniziazione mafiosa in piena regola. Il candidato ha il capo coperto da un cappuccio e l'iniziatore, il massaro Cuccia, gli provoca un taglio al palmo della mano destra, facendo uscire abbondante sangue. Viene posto un santino sulla ferita perché sia intriso di sangue, quindi viene fatto giurare l'iniziando, informato del fatto che il tradimento sarà punito con la morte. L'iniziazione si conclude quando al giovane viene tolto il cappuccio e viene data enfasi al fatto che passa dall'Oscurità alla Luce, con conseguente ammissione e nella sua nuova famiglia. Se non vado errato, il rituale descritto da Joe Valachi è un po' diverso e più complesso. La fuoriuscita di sangue è causata da un ago in un polpastrello (di qui l'iniziato viene chiamato in siciliano "punciutu", ossia "punto"), quindi viene dato fuoco all'immagine - in genere della Madonna di Trapani - con recita della formula in cui si invoca la combustione del traditore. Anche se in forma semplificata, viene presentato questo rito massonico, con grande coraggio e questo credo che possa rimediare alle molte falsità, manipolazioni e storture presenti nella trama. Purtroppo non sembra che la massa degli spettatori abbia capito alcunché.

Gianni Lepre e la sua chiave di lettura

Questo è quanto ha dichiarato il regista a proposito della sua opera:

"Tutto ciò che ha mosso l'operato di Cesare Mori, offre il destro ad una riflessione sul potere e sulla sua gestione ma, dal mio punto di vista, soprattutto sull'ingenuità dell'ideale e sulla strumentalizzazione stessa dell'ideale. Cosa si è disposti a fare, a che compromessi si è costretti a scendere pur di raggiungere il proprio obiettivo? Mori è certo stato un acerrimo nemico della mafia, contro la quale ha sempre lottato, è sceso a patti con il fascismo per avere totale mano libera nella conduzione della sua battaglia? E quanto il fascismo e lo stesso Mussolini hanno potuto sfruttare questa spinta ideale per assecondarla ai propri obiettivi? Su questo dualismo tematico si articolano volutamente molti dei momenti di racconto della miniserie."

Ho trovato giusto riportare queste opinioni.

Nominativi fittizi e nominativi reali 

La Baronessa Chiaramonte porta un cognome reale. I Chiaramonte (o Chiaromonte) appartengono alla nobiltà dei Normanni e hanno la loro origine nei de Clermont della Piccardia. Tuttavia non risulta che una nobildonna di tale casata avesse incrociato la vita e il destino dell'eroico Prefettissimo. Questo per un ottimo motivo: i Chiaramonte furono realmente importantissimi nella storia della Sicilia... del XIV secolo. Stando alle fonti, i loro discendenti usano attualmente il cognome Cardone. Pure il sito Gens Labo mostra che il cognome Chiaramonte risulta tuttora abbastanza diffuso; più rara ma non estinta anche la variante Chiaromonte. Per il resto, il massaro Cuccia e il notabile Ciccio Racconigi appartengono alla fantasia e non hanno il benché minimo appiglio alla realtà dei fatti. Si tratta di invenzione o - se vogliamo dirla con le parole del Manzoni, di vero poetico. Cuccia è un cognome tipicamente siciliano, questo è innegabile. Non solo: il sindaco che nella miniserie è chiamato Don Filippo Virzì in realtà è ispirato alla figura del sindaco di Piana dei Greci, Francesco Cuccia, che disse a Mussolini in occasione di una sua visita: "Voscenza non ha bisogno di tutti questi sbirri, non ha niente da temere finché sarà in mia compagnia." Quindi lo sceneggiatore voleva lanciare un messaggio criptico trasferendo il cognome del sindaco al massaro Cuccia. Del Cuccia originale si parla in un articolo comparso su Repubblica nel 2003. Drammaticamente reale è Vito Cascio Ferro, che Mori fece condannare all'ergastolo per l'uccisione di Joe Petrosino. Prendiamo invece il Racconigi, che esibisce per cognome un toponimo piemonese. A quanto mi consta Racconigi è un borgo della provincia di Cuneo e non ha nulla a che fare con la Sicilia. Le probabilità che ci fosse una famiglia così chiamata e poi estinta sono comunque assai basse. Gens Labo, che non è comunque esaustivo, non fa alcuna menzione di comuni, siciliani o di altre regioni, in cui sia documentato almeno un Racconigi. Qual è la necessità di queste bizzarrie? Ragazzi, ricordatevelo sempre: la filologia è un'arma potentissima e in grado di demolire i castelli della menzogna e di lacerare le coltri della disinformazione! Non va preso alla leggera il suo potere penetrante. 

Il farinaccista e il pivello  

Il farinaccista Alfredo Cucco viene sostituito da Marco Levati, che pare proprio un pivello giunto dal Settentrione e completamente estraneo alla realtà siciliana, piovuto dal cielo come un masso erratico e messo lì proprio perché il contesto gli è del tutto alieno. I motivi della sostituzione sono gli stessi già analizzati nella recensione del film di Squitieri del '77 e sono facilmente comprensibili. Non sembra in ogni caso che Lepre compia una scelta assennata e congruente con i fatti realmente accaduti: Cucco un Levati se lo sarebbe mangiato a colazione. Quindi il quadro dei rapporti tra Cesare Mori e il PNF in Sicilia risulta sostanzialmente distorto.

Un pericoloso fraintendimento

Un'errata lettura che dovrebbe saltare agli occhi riguarda il traffico di stupefacenti. I padrini all'inizio si oppongono alla proposta fatta da elementi italo-americani, che vorrebbero smerciare eroina, ma il demoniaco massaro Cuccia li convince a imbarcarsi nell'impresa, perché porterebbe molti "pìccioli". Questo copione porta avanti il mito della "mafia d'onore" o "tradizionale", autoctona e sostanzialmente "buona", opposta alla "mafia del disonore" o "innovativa", italo-americana e "cattiva", "pervertitrice". In realtà una simile contrapposizione non sussiste. La setta mafiosa non ha mai mostrato scrupolo alcuno a inserirsi dovunque vedesse la benché minima occasione di guadagno. Certamente posticcia è l'ostentata avversione della società segreta al traffico di stupefacenti, che sarebbe emersa in alcune occasioni per motivi contingenti.

Reazioni nel Web

Le poche recensioni reperibili sembrano per la verità piuttosto piatte e insignificanti, riducendosi a conti fatti a descrizioni della trama. A quanto pare la redazione del Fuffington Post ha levato alti lai per il fatto che quando la seconda puntata della miniserie TV è stata trasmessa, un programma con Gad Lerner ha registrato scarso indice d'ascolto. Ancora oggi si trova traccia dell'accaduto negli antri del Web.

Più coloriti alcuni commenti. Questo scrive Kollett (il singolare uso degli spazi è suo):

"Commento la fiction televisiva sul prefetto Mori: Ricostruzione becera,inesatta, di una noia mortale!ma,certamente è una libera ricostruzone e se anche fosse così,avete offeso l'intelligenza degli italiani,questo è rivolto al produttore e al regista! Voto:2"

Questo scrive Taninus:   

"Sono uno storico e la fiction mi ha lasciato perplesso sulle troppe libertà che si sono presi nell’inventare alcuni particolari. Mi è para più un western che una vera storia di polizia. Tuttavia, proprio da studioso della materia, dico che queste fiction fanno solo bene. Mori è presentato nella sua vera essenza, un uomo ligio al dovere, onesto verso lo Stato, il popolo e la propria famiglia. Ha dimostrato che il sacrificio personale è l’unico modo per cambiare, anche poco, un sistema potente." 

Che dire? Da uno storico di professione mi sarei aspettato più senso critico. C'è poi un commento di un utente anglosassone, certo Emuir-1, segno che la fama del Prefetto ha superato i confini dell'Italia: 

"Maybe George W. Bush should have studied history a little better before invading Afghanistan. In the 1920's Cesare Mori was appointed Police Prefect and charged with getting rid of the deeply entrenched Mafia in Sicily. When the people of a town under the thumb of the local Mafia refused to talk (including the local priest who was in with the mob) he set up road blocks and cut off the water and food supply to the town until they cooperated. Told that women and children were starving and going thirsty, he replied that that was the idea. They knew what they could do - as soon as they started talking they could eat. His tactics worked and eventually, he was able to arrest hundreds if not thousands of Mafioso. He almost smashed the Mafia but became too successful and began treading on the wrong toes, fingering high officials and politicians, so Mussolini appointed him Senator and relocated him to Rome."

Più un riassunto dei fatti storici che della miniserie di Gianni Lepre, in ogni caso è di un certo interesse.

lunedì 28 novembre 2016


IL PREFETTO DI FERRO
(film)

Paese di produzione: Italia
Anno: 1977
Durata: 110 min
Colore: colore
Audio: Sonoro
Genere: Drammatico, azione, storico
Regia: Pasquale Squitieri
Soggetto: Ugo Pirro, Arrigo Petacco (romanzo)
Sceneggiatura: Arrigo Petacco, Pasquale Squitieri
Produttore: Gianni Hecht Lucari
Fotografia: Silvano Ippoliti
Musiche:
Ennio Morricone
Scenografia: Giancarlo Bartolini Salimbeni
Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni
Interpreti e personaggi:
    Giuliano Gemma: Cesare Mori
    Stefano Satta Flores: Spanò
    Francisco Rabal: Brigante Albanese
    Claudia Cardinale: Popolana
    Lina Sastri: Donna di Gangi
    Massimo Mollica: Procuratore
    Rik Battaglia: Antonio Capecelatro
    Salvatore Billa: Francesco Dino
Doppiatori italiani:
    Giuseppe Rinaldi: Cesare Mori
Premi:
    David di Donatello 1978: miglior film
Produzione:

Il film venne girato tra Roma, Artena, Tolfa e Colli a Volturno.


Trama:

Anni '20 dello scorso secolo. La Sicilia postbellica si trova in condizioni disastrose. La nobiltà si è indebitata in modo pesante e per far fronte alle difficoltà si è messa a svendere le sue proprietà. Tutto è caduto nelle mani della mafia, non soltanto i latifondi, ma anche attività redditizie come le miniere di zolfo e gli agrumeti. Il prefetto Cesare Mori giunge in Sicilia nel 1925, incaricato da Mussolini di annientare la mafia a qualsiasi costo e fornito allo scopo di poteri speciali. Ad aspettarlo c'è il fedele funzionario di polizia Francesco Spanò, che riesce a raccogliere informazioni confidenziali. Le indagini appena iniziate danno un grande fastidio, così un'intera famiglia viene sterminata come avvertimento. Quando vede i cadaveri nudi di uomini, donne e bambini, Mori capisce subito che gli artefici di quello scempio non sono i briganti, che tutto ciò è opera della mafia. Si trova così ad affrontare il boss Antonio Capecelatro e non usa mezze misure: lo raggiunge sotto casa per arrestarlo e di fronte alla sua resistenza, imbraccia il fucile e gli spara nel cranio uccidendolo sul colpo. Inizia una lotta contro i briganti che infestano la Sicilia occidentale e che agiscono come braccio armato della mafia. L'azione del Prefetto di Ferro culmina nell'assedio di Gangi, un borgo dove si sono arroccati diversi gruppi criminali. Il brigante Albanese, catturato, si suicida dando tremende testate contro la parete della prigione, facendo fuoriuscire il cervello dalla scatola cranica. Tutti i malviventi gangesi vengono rastrellati e incarcerati: ogni famiglia nascondeva un brigante servendosi di vani occulti e di altri nascondigli. Forte del suo trionfo, a questo punto Mori intende colpire la mafia vera e propria, così comincia ad arrestare i cosiddetti "gentiluomini", quelli che non si sporcano le mani. Comprende anche che esistono legami tra la sezione locale del Partito Nazionale Fascista e la mafia, perché la sua guardia del corpo non lo difende durante un attentato a cui riesce a sfuggire per miracolo. Risale all'avvocato Galli, che è a capo del Fascio di Sicilia. Inoltre compie irruzione nello studio del notaio Concetto Tarvisio, sequestrando una gran mole di materiale compromettente in grado di destabilizzare l'intera società siciliana, rendendo possibile l'arresto e l'incriminazione di moltissimi notabili. A questo punto la repressione antimafiosa si è spinta troppo oltre: Mussolini pensa che la sua prosecuzione possa essere più nociva che vantaggiosa, perché darebbe una pessima immagine della Sicilia e dello stesso PNF. Scatta in questo modo la formuletta magica promoveatur ut amoveatur. Mori riceve la nomina regia a senatore ed è costretto a partire per Roma. Il suo posto sarà preso proprio dal colluso Galli. Nulla di nuovo sotto il sole: sembra che già all'epoca dei Faraoni avvenissero fatti simili.

Citazioni: 

"Spanò, qui lo Stato deve fare più paura della mafia."

"Mi sento come un chirurgo che ha operato a metà, che ha fatto soffrire e non ha guarito."

Recensione: 

Un film epico ed esaltante, un capolavoro assoluto capace di trasmette un immenso orgoglio, nonostante il finale abbastanza amaro. Tutto ruota intorno alla magistrale interpretazione di Giuliano Gemma, di gran lunga la migliore della sua carriera, in grado di oscurare tutto il resto come il sole che offusca la luna e le stelle facendole scomparire. Splendida e coinvolgente è la colonna sonora. Le ambientazioni hanno un effetto straniante, tanto somigliano a desolati paesaggi del Far West: del resto già Arrigo Petacco nel suo libro su Mori paragonava le Madonie all'Estremo Occidente americano. Intensa è l'interpretazione di Claudia Cardinale nei panni di una popolana furiosa, tuttavia non posso fare a meno di notare che si tratta di un ruolo abbastanza marginale: un film senza una donna bellissima a quanto pare sarebbe poco gradito dal volgo e risulterebbe inassimilabile. Grande Stefano Satta Flores nel ruolo dell'integerrimo Spanò. Fa la sua bella figura anche Francisco Rabal, che ha interpretato il brigante Albanese.

Incongruenze narrative e onomastiche

Nonostante gli immensi meriti di questa pellicola, è bene tener presente che nella trama ci sono non poche inesattezze. L'assedio di Gangi non si è svolto nella canicola agostana ma in pieno inverno, esattamente il primo giorno dell'anno. Il film ci mostra il brigante Albanese, maledetto dalle comari del paese per non aver dato loro l'acqua promessa. Arrigo Petacco ci riporta nella sua opera che esisteva a Gangi una famiglia Albanese, tuttavia il capo dei briganti si chiamava Ferrarello. Di certo è geniale e splendida la scena in cui il brigante Albanese si uccide in modo orribile cozzando il cranio contro la nuda roccia della parete della cella in cui è stato rinchiuso, tuttavia risulta invece che Ferrarello si sia gettato dalla tromba delle scale a Palermo per sfuggire alla dura prigionia. Vediamo il boss Capecelatro che ferma il treno come favore a Mori, che rimane inorridito dall'interruzione di un servizio dello Stato. In seguito lo stesso padrino viene ucciso con una fucilata nella fronte da Mori in una scena spettacolare in cui si intravede il cranio scoperchiato. Ebbene, tutto ciò sembra un episodio apocrifo: non ne sono riuscito a trovare traccia alcuna nella biografia del Prefetto. La filologia riesce a dare una mano anche quando non si possono consultare le fonti: a quanto mi consta Capecelatro è un cognome campano, non siciliano. I margini di errore sono scarsi, le probabilità che si tratti di un'invenzione sono grandi. Il cognome Tarvisio non risulta nel database di Gens Labo, il che non esclude del tutto la sua esistenza, anche se la dice lunga sulla sua improbabilità. Un cognome locativo tratto da Tarvisio, in Friuli, avrebbe qualcosa di surreale. Il cognome Galli è invece presente in diversi comuni dell'isola e la sua occorrenza non può essere ritenuta strana. 

Possibili ragioni delle discrepanze

Nonostante tutto questo, credo che i meriti del film superino di gran lunga le pecche. Resta comunque da chiedersi come mai si registrino questi scollamenti dalla realtà dei fatti, visto che tra le altre cose Arrigo Petacco è stato sceneggiatore della pellicola. Alcuni suggeriscono che i cambiamenti sarebbero stati introdotti per sfuggire all'eventuale vendetta degli eredi dei boss coinvolti nelle operazioni di repressione portate avanti da Cesare Mori all'epoca: è intuibile che essi agognino silenzio e oblio anche se i fatti sono ormai remoti. Non dobbiamo però dimenticare che il libro di Petacco riporta per filo e per segno nomi autentici e fatti realmente accaduti, parlandone diffusamente senza occultare alcunché, così questa ipotesi parrebbe perdere un po' forza. Veniamo invece al personaggio del gerarca Galli. Non occorre la mente di un'aquila per riconoscere un parallelismo con la figura storica di Alfredo Cucco, che fu avversario del Prefettissimo. Processato per numerosi capi d'imputazione ed infine espulso dal PNF per "indegnità morale" - come riportato dal Petacco -  ritornò infine alla ribalta, riuscendo a rientrare nel Partito e ad avere un ruolo nella Repubblica Sociale Italiana. Finito il conflitto, Cucco sopravvisse e continuò la sua carriera politica, divenendo un segno di continuità tra il regime defunto e quello nuovo. Fu infatti tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano (MSI). Esponente del Fascismo antemarcia, era noto per il suo radicalismo e per le sue posizioni affini a quelle di Roberto Farinacci, tanto da poter essere ritenuto un seguace del farinaccismo. Medico ed oculista, si fece conoscere per una sua singolarissima e bizzarra teoria: sosteneva infatti che il coitus interruptus potesse avere effetti deleteri sulla vista (non sembra comunque farina del suo sacco, la fonte è l'episodio biblico di Onan). Colpito da ictus nel 1963, morì nel 1968. Ebbene, Alfredo Cucco non era precisamente uno sconosciuto. Forse Squitieri non voleva inimicarsi i parenti e gli eredi dell'ex gerarca siciliano, riducendo il più possibile le allusioni nel suo film. 

Pasquale Squitieri, figura controversa 

Poco amato dal popolino, il regista di questo film è spessisimo etichettato come "di destra". In effetti ha militato in Alleanza Nazionale, tuttavia non va taciuto che è partito da Lotta Continua per passare infine al Partito Radicale Transnazionale. In quest'epoca di ipersensibilità verso tutto ciò che riguarda il ventennio fascista, è sufficiente l'apposizione dell'etichetta "di destra", non importa se pertinente, per gettare le genti in uno stato di grande furia e farle strepitare. A dire il vero, su Wikipedia e altrove nel Web si possono leggere notizie su alcuni aspetti controversi della vita del personaggio. Mi limito a riportare in questa sede la pagina wikipediana, rimandando alle note del testo e alla ricerca online per approfondimenti:


I giudizi più tiepidi su Il prefetto di ferro, in cui spesso mi sono imbattuto, si devono con ogni probabilità alla somma di tutti questi fattori. Per quanto mi riguarda, come regista Squitieri si è dimostrato un genio. Il film qui recensito è immortale, eroico e oltremodo meritorio. Questo è tutto ciò che conta, il resto lo considero irrilevante.

Gangi, l'Omphalos del Male 

La cittadina di Gangi è mostrata come impervia, arcaica e fuori dalla Storia, tanto da sembrare un centro di pastori neolitici, più affine alla realtà degli antichi Sicani o della Sardegna nuragica che alla Sicilia del XX secolo. In realtà Gangi tanto isolata e tanto fuori dalla Storia non era. Interessante è notare la presenza in quel borgo di diverse logge massoniche già nel XVIII secolo. Logge massoniche attivissime, protagoniste della vita sociale, politica e religiosa isolana. L'Accademia degli Industriosi aveva il suo centro di irradiazione proprio in quelle case arroccate su un colle e riusciva ad esercitare la sua influenza zombificante da Messina a Palermo, al punto da ridurre la stessa Curia a un mero fantoccio, infiltrando in profondità anche gli ordini monastici e trasformandoli in centri di reclutamento massonico (o "latomico", come dicono i documenti). Gangi covo di briganti e di mafiosi. Gangi covo di massoni. Sarà una coincidenza?


La Ballata del Prefetto Mori 

Testo: Ignazio Buttitta
Musica: Ennio Morricone

Arrangiamento: Rosa Balistreri
Link: http://www.antiwarsongs.org/

« Parti, prifettu!… Parti – ci dissi a Mori Mussolini,
« Metti 'n galera la mafia cu tutti l'assassini..
Vonnu 'u cumannu, vonnu 'u putìri - lu putìri mìu
Ma su' nimici di li fascisti e nimici di Diu! »
E Mori partìu… ed arrivau cu un trenu spicïali
senza sapìri ca ci facìa lu servu ô capitali…

...Di notti ô scuru, li sbirri cuminciàru li ritati
scassànnu 'i porti e tràsinu 'nte casi stracanciati
E sull'istanti curpevulennu genti a la rinfusa
'i tiraru fora e s'i purtàru chi catìni ê pusa.
I matri e i figghi currennu appressu ai patri e a li mariti
vannu chiancènnu... vannu chiancènnu e chiànciri 'i sintiti.

Mi chianci 'u cori, ora ca terminavu di cantari
'sta storia vera - si pensu ca la mafia è na l'altari..

e addisunùra 'sta terra onesta nun voli e chi voli 

pani e travagghiu, la libbirtà, giustizia e li scoli.

Ah no a mafia! E no alla liggi infami da lupara!
e no unùri! Unùri e gloria a cu arrobba e spara!
Chistu gridamu, è nostra 'a vuci ca arruspìgghia i morti
ca stanchi semu, e vulemu canciàri vita e sorti...


Traduzione:

« Parti, prefetto!... Parti – Mussolini disse a Mori,
Metti in galera la mafia e gli assassini..
Vogliono comando e potere – il potere mio ! -
e sono nemici dei fascisti e di Dio »
E Mori partì... ed arrivò con un treno speciale
inconsapevole strumento del capitale...

...Di notte al buio, i poliziotti cominciarono le retate
forzando le porte entrano nelle case trasfigurati
e lì per lì colpevolizzando gente alla rinfusa
li tirarono fuori e se li portarono con le catene ai polsi.
Le madri e i figli correndo dietro ai padri e ai mariti
piangono...piangono, e piangere li potete sentire..

A me piange il cuore, ora che finito di cantare
questa storia vera – se penso che la mafia è ancora al potere
e disonora questa terra onesta che non la vuole, ma vuole
pane, lavoro, libertà, giustizie e scuole.

E no alla mafia! No alla infame legge della lupara!
e no all'onore! Onore e gloria a chi ruba e spara!
Questo gridiamo con la nostra voce che risuscita i morti
che siamo stanchi, e vogliamo cambiar vita e destino...

Altre recensioni e reazioni nel Web 

Consiglio la lettura di questa scheda dedicata al film, visionabile e scaricabile dal sito www.apav.it: 


Questa è la recensione di Robydick, che pure contiene inesattezze (es. Cesare Mori non era friulano, era pavese): 


A proposito di questo utente, faccio notare il suo curioso uso di scrivere "mussolini" con la minuscola, che trovo infantile e poco razionale. Immaginatevi cosa accadrebbe se tutti gli studiosi si rifiutassero di usare le maiuscole nel citare i nominativi loro sgraditi: sarebbe il caos! 

giovedì 24 novembre 2016


IL PREFETTO DI FERRO 

Titolo originale: Il Prefetto di Ferro. L'uomo di
     Mussolini che mise in ginocchio la mafia
Autore: Arrigo Petacco
Lingua originale: Italiana
Editore: Mondadori
Collana: Oscar storia
Pagine: 237, brossura
Codice ISBN: 978-88-04-53275-0
I edizione Le Scie: Settembre 1975
I edizione Oscar Storia: Giugno 2004

Indice:

Prefazione - pag. 3

I        Mori, Mori, tu devi morire... - pag. 9
II       Qui ci vuole un uomo... - pag. 35
III      Il figlio di nessuno - pag. 45
IV      Il Far West delle Madonie - pag. 69
V       La mafia è una vecchia puttana... - pag. 83
VI      L'assedio di Gangi - pag. 95
VII     Un prefetto d'assalto - pag. 115
VIII    Fatti la fama e curcati... - pag. 135
IX       Un killer da Chicago - pag. 151
X        Il nemico esce dall'ombra - pag. 161
XI       L'eroe del tracoma - pag. 175
XII      Signori, è tempo ormai ch'io vi riveli la
           mafia... - pag. 187
XIII    Qui riposa in pace... - pag. 203
XIV    Ma la mafia non è morta - pag. 221

Appendice

I pensieri del prefetto - pag. 233
Ringraziamento - pag. 239

Sinossi:

In questo libro Arrigo Petacco ci racconta la verità sulle gesta quasi leggendarie del prefetto Cesare Mori, incorruttibile funzionario "piemontese" inviato dal governo fascista in Sicilia per debellare la mafia. Compito che svolse fin da subito con grande efficacia, anche grazie a metodi non sempre ortodossi e alle ingenti forze di cui era stato dotato: un vero piccolo esercito, l'intera Procura di Palermo a sua disposizione, poteri straordinari che utilizzò oltre i limiti della legge. La sua azione energica permise di distruggere quasi interamente la struttura di base della malavita organizzata siciliana e offrì a Mussolini un argomento per la sua propaganda. Ma quando Mori iniziò a diventare troppo famoso e soprattutto a indagare troppo in alto, venne messo da parte, e le tracce del suo lavoro accuratamente eliminate. Quella del "prefetto di ferro" è una storia tipicamente italiana, incentrata su un personaggio prima mitizzato poi dimenticato, che Petacco restituisce finalmente alla sua verità storica.

Recensione:

Il Prefetto di Ferro è la biografia di un eroe del XX secolo, un vero gigante. Eppure quando ho letto il libro di Petacco, mi sono stupito della sua natura eccessivamente sintetica e discorsiva. Non sono stato soddisfatto appieno, ho avuto come l'impressione di essermi immerso con aspettative eccessive in un'opera incompleta e a tratti superficiale. In molte occasioni la narrazione dei fatti viene presentata come un romanzo, con tanto di dialoghi, mentre di molte cose a mio avviso importanti non si fa menzione alcuna. In seguito ad alcuni approfondimenti, il volume, seppur pregevole, si è in effetti dimostrato bucherellato da crateri e da lacune come la superficie della luna.

Il Prefettissimo e il suoi metodi di lotta   

Non è un'esagerazione né un luogo comune dire che Cesare Mori fu l'unico uomo su questo pianeta che sconfisse la mafia. Certo, al giorno d'oggi pochi se ne ricordano. Anche se Petacco ha la tendenza a edulcorare i fatti e a nascondere i dettagli più cruenti, dirò che Mori non ottenne le sue vittorie con la retorica, ma con sistemi draconiani. Non esitò a servirsi di alcuni metodi di tortura usati dal Tokugawa: stritolamento dei genitali in tenaglie e acqua in pressione nello stomaco. Incatenò, torturò, incarcerò e arrivò a imbracciare senza esitazione il fucile. Il suo principio era molto chiaro: lo Stato deve fare più paura della mafia. Portò avanti questa idea con la massima determinazione. Posso soltanto esprimere la mia massima stima per la sua persona. Le sue gloriose imprese devono essere salvate dall'Oblio e tramandate fino alla Fine dei Tempi. A tutti coloro che si domandano come si possa sconfiggere la mafia, dirò che può riuscirci soltanto un uomo impavido, dotato di poteri assoluti e di volontà ferrea, proprio come l'eroico Ezzelino che ispirava più terrore dello stesso Diavolo. 

Il Prefetto di Ferro, Falcone e Borsellino

Anche se le giovani generazioni lo ignorano, Falcone e Borsellino divennero magistrati ispirati dall'esempio e dall'eroismo di Cesare Mori. Non erano affatto persone di sinistra come il volgo crede a causa degli inganni e delle mistificazioni propalate dalla scuola e dai media nel corso degli anni. Le loro biografie postume sono state manipolate, rimuovendo ogni riferimento alla loro stima per il Prefetto di Ferro. Duole che Falcone e Borsellino non abbiano potuto usufruire dei mezzi quasi illimitati di cui poté servirsi Mori: già alla loro epoca le pastoie dell'umanitarismo buonista rendevano ogni azione praticamente impossibile. Quello che la gente non sembra capire è che proprio la democrazia ha reso impossibile per sua intrinseca natura la vittoria sulla setta mafiosa. 

Una cronistoria

Ugo Di Girolamo nel suo libro "Mafie, politica, pubblica amministrazione. È possibile sradicare il fenomeno mafioso dall'Italia?" fa una sintesi sui tentativi compiuti dallo Stato per estinguere il crimine organizzato nel corso del XX secolo. Non riporto qui alcuni brani molto interessanti, dato che l'editore concede la riproduzione di parti del volume a pagamento e dietro richiesta formale, così mi limiterò a riassumerli e a riformularli, aggiungendo note per spiegare concetti non approfonditi dall'autore. 

Si parte con i primi tentativi di repressione rivolti contro la camorra a Napoli: Silvio Spaventa nel 1860 cominciò a sciogliere la guardia cittadina, che era una sorta di "polizia camorrista", e ad arrestare 90 camorristi, che salirono a 1175 dopo tre anni di operazioni (1).
Segue la seconda ondata repressiva nel 1877, ad opera del prefetto di Palermo Antonio Molusardi, che in due anni debellò i briganti in Sicilia occidentale, non riuscendo in alcun modo ad intaccare la mafia (2).
La terza ondata repressiva colpì Napoli nel 1907: il Capitano dei Carabinieri Fabroni effettuò rastrellamenti, imprigionando circa 400 camorristi. Promosso, fu allontanato da Napoli (3).
La quarta ondata repressiva fu portata avanti da Cesare Mori nel suo primo soggiorno in Sicilia, negli anni dal 1915 al 1917. Utilizzò il metodo di rastrellamento inaugurato da Fabroni, riuscendo a catturare molti briganti.
Lo stesso Prefetto di Ferro comprese in seguito che la sua azione non aveva in realtà colpito la mafia. Seguirono promozione e allontanamento.
La quinta ondata repressiva ebbe ancora Cesare Mori per protagonista, questa volta inviato da Benito Mussolini. Siamo nel 1926. Di Girolamo riporta un fatto taciuto dal Petacco: l'operazione non riguardò soltanto la Sicilia, ma anche altri distretti del Meridione, colpendo duramente Napoli e Caserta.
La sesta e ultima ondata repressiva ha avuto inizio tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 dello scorso secolo, portata avanti da Falcone e da Borsellino. I risultati sono stati i seguenti: un migliaio di persone tuttora in carcere per mafia, tra cui circa settecento sotto regime di carcere duro (41 bis).
Il libro a questo punto fa notare che nessuna delle azioni descritte ha avuto successo nell'opera di eradicazione del fenomeno mafioso in Italia. Utilizzando le metafore batteriologiche da me tanto apprezzate, l'autore non esita a usare parole come "province infettate", "province meridionali infette", "peste". Qui non abbiamo a che fare con cittadini che sbagliano a causa del disagio, come vorrebbero i buonisti e gli psicologi malfattori, ma con un vero e proprio morbo epidemico simile a quello prodotto da Yersinia pestis. Quello che viene tenuto nascosto è che i rimedi di Mori stavano funzionando e che la pestilenza è tornata a crescere grazie all'imporsi della democrazia, che ne costituisce il naturale terreno di coltura. 

(1) Che l'operazione si sia poi fermata non deve stupire. Si omette ovviamente di citare le origini massoniche delle società mafiose e il ruolo di Garibaldi nella massoneria italiana.
(2) All'epoca la confusione tra brigantaggio e mafia era pressoché totale, tanto che solo Mori poté cominciare a far chiarezza.
(3) Promoveatur ut amoveatur. Un destino che toccò anche a Mori. Vedi nota (1).

Setta mafiosa e setta massonica

Data l'epoca in cui visse, Cesare Mori non aveva la benché minima idea dei rituali di iniziazione della congrega mafiosa. Soltanto in seguito alle confessioni di Joe Valachi, nel 1963, si poterono avere notizie concrete su questi rituali esoterici, che sono risultati essere di chiarissima derivazione massonica. Arrigo Petacco non fa la benché minima menzione ai rapporti tra mafia e setta massonica nel suo volume. Ugo di Girolamo invece parla del rapporto tra le organizzazioni in questione, facendo riflessioni interessanti. A suo avviso la massoneria sarebbe un mezzo usato dalle mafie per entrare in contatto con le istituzioni, con la politica e con gli imprenditori. Sarebbe in altre parole come il sistema linfatico di un corpo umano, che può essere usato dalle cellule tumorali per muoversi liberamente e portare ovunque le metastasi. Di certo questa è una buona descrizione, eppure a parer mio c'è dell'altro. Queste cellule tumorali infatti sono generate a ritmo continuo dallo stesso sistema linfatico che ne permette poi lo spostamento e la diffusione. La mafia è un braccio armato della setta massonica, un suo strumento operativo.

Reazioni nel Web

Sulla scheda del libro di Petacco su www.ibs.it è possibile leggere numerosi commenti interessanti.


Concordo appieno con Pierluigi, che scrive quanto segue: 

"Come tutti i libri scritti da Petacco anche questo ha una sintassi veramente eccezionale. Cosa che inizia a diventare purtroppo rara negli autori contemporanei. Gia questo basterebbe a farne un buon libro senza badare troppo al contenuto. Nella fattispecie ne "Il prefetto di ferro" manca forse qualche spunto ulteriore nella descrizione della lotta alla mafia "sul campo". Il lavoro è incentrato più sui retroscena e sulle macchinazioni del Palazzo per eliminare questa persona scomoda. Ne esce fuori alla fine un libro che più che parlare di Cesare Mori a fondo da una descrizione del clima e di alcune metodologie che hanno contraddistinto il ventennio fascista. Se Petacco avesse dedicato più spazio al Prefettissimo e meno al "contesto fascista" ci avrebbe regalato sicuramente un piccolo capolavoro." 

Critico è Maurizio, che scrive: 

"Il difetto maggiore sta nel titolo: di sicuro Mori mise a freno la mafia di quel periodo che non fu però esattamente messa in ginocchio ma, intelligentemente, ando "in letargo" per uscirne ad acque chetate. Il pugno di ferro andava di pari passo con una dilagante corruzione e lo stesso Mori usò quest'occasione per disfarsi di alcuni nemici. L'immagine dello Stato in Sicilia e per i siciliani ne uscì ulteriormente deteriorata e la mafia rifiorì"

Ovviamente Maurizio non comprende bene l'accaduto. Glielo spiegherò con parole semplici. Alcuni bacilli pestosi che avevano trovato scampo in America hanno fatto ritorno, aiutando gli Alleati nello sbarco in Sicilia e favorendo l'instaurazione di un ambiente adatto alla loro pullulazione, che tuttora perdura. Chiaro che se fosse dipeso da Mori tutto ciò non sarebbe mai avvenuto. 

Roberto Nanni scrive, in modo molto assennato (ma con qualche refuso): 

"Secondo me sono storie in quanto se il Povero Generale Dalla Chiesa avesse solo avuto la metà dei poteri di Mori, la mafia avrebbe avuto colpi durissimi già negli anni 80.Oggigiorno sicuramente una figura come Mori è impossibile trovarla in quanto egli anteponeva lo stato a tuttoed a tutti cosa che i politici degli ultimi 30 anni si sono ben guardati dal farlo."

Gli consiglio di leggere bene le mie considerazioni sulla setta massonica e sulle origini della setta mafiosa, così capirà perché la politica italiana abbia lasciato soli gli eroi e prodotto abominazioni in grande copia. 

Renzo Montagnoli e Mattia ricordano che Cesare Mori fu politicamente indipendente, in quanto erede della tradizione liberale. Mussolini gli diede l'incarico di debellare la mafia perché lo stimava per la sua grandissima onestà. Una domanda. Quale politico odierno darebbe mai un incarico così importante a un esponente di idee molto diverse dalle sue, come ha fatto Mussolini con Mori?

domenica 10 maggio 2015


LA PROMESSA DELL'ASSASSINO 

Titolo originale: Eastern Promises
Paese di produzione: USA, UK, Canada
Anno: 2007
Durata: 100 min
Colore: colore
Audio: sonoro
Genere: thriller
Regia: David Cronenberg
Sceneggiatura: Steven Knight
Distribuzione (Italia): Eagle Pictures
Fotografia: Peter Suschitzky
Montaggio: Ronald Sanders
Musiche: Howard Shore
Scenografia: Carol Spier
Costumi: Denise Cronenberg
Trucco: Stephan Dupuis

Interpreti e personaggi

Viggo Mortensen: Nikolai Luzhin
Naomi Watts: Anna Khitrova
Vincent Cassel: Kirill
Armin Mueller-Stahl: Semyon
Sinéad Cusack: Helen
Donald Sumpter: Yuri
Jerzy Skolimowski: Stepan
Josef Altin: Ekrem
Mina E. Mina: Azim
Aleksandar Mikic: Soyka
Sarah-Jeanne Labrosse: Tatiana
Lalita Ahmed: Cliente
Badi Uzzaman: Farmacista
Raza Jaffrey: Dottor Aziz

Doppiatori italiani

Pino Insegno: Nikolai Luzhin
Barbara De Bortoli: Anna Khitrova
Riccardo Rossi: Kirill
Franco Zucca: Seymon
Aurora Cancian: Helen
Sandro Iovino: Yuri
Dario Penne: Stepan
Flavio Aquilone: Ekrem
Carlo Reali: Azim
Michele D'Anca: Soyka
Giulia Tarquini: Tatiana

Riporto una magistrale recensione di 7di9, pubblicata all'epoca su Real Dark Dream e a fatica sottratta all'Oblio:

Dopo il convincente A History of Violence, La Promessa dell’Assassino segna il ritorno del regista canadese David Cronenberg al genere noir.
Ambientato in una Londra piovosa e grigia, l’ultimo parto del padre della “nuova carne” è un thriller dalla trama piuttosto semplice, lineare, ma che riesce ad imporsi con tensione visiva e grande eleganza registica grazie a diversi fattori, primo tra tutti la notevole interpretazione del cast attoriale, dal quale emerge con possanza il camaleontico Viggo Mortensen, già protagonista del precedente lavoro di Cronenberg, A History of Violence, e che come in quest’ultimo veste i panni di una personaggio ambiguo, dai contorni morali indefiniti e difficilmente codificabili. Tra gli altri interpreti, è d’obbligo evidenziare Vincent Cassel, perfettamente a suo agio nel ruolo di un mafioso un po’ toccato e dalle scelte avventate; Naomi Watts, la cui sensualità traspare da ogni fotogramma, anche nei momenti di maggiore statica; e il bravissimo Armin Mueller-Stahl, veterano della settima arte capace di dare vita ad un boss della mala tra i più convincenti visti al cinema negli ultimi anni.
David Cronenberg, sin dalle sue prime opere, ha segnato il mondo del cinema con i suoi horror per nulla convenzionali, giocati sul rapporto tra normalità ed infezione, nel senso di contaminazione del vivere quotidiano, di decostruzione della realtà così come convenzionalmente percepita. La sua poetica è spesso attraversata dal concetto del doppio: a cominciare dal dittico Il demone sotto la pelle / Rabid - Sete di sangue, che analizza gli effetti causati dall’introduzione di una variabile virulenta nel tessuto della quotidianità, capace di toccare le corde più basse – e primitive – della natura umana; il duo filmico Scanners / La Zona Morta, strumento di analisi della sete di potere dell’uomo, quando amplificata e deformata da forze di origine sovrumana; Inseparabili (probabilmente il suo capolavoro), storia di due gemelli legati dalla carne e dalla psiche, condannati a condividere gioie, scelte e sofferenza in un inestricabile sistema vitale di alimentazione biunivoca; eXistenZ, film di fantascienza intessuto sulla contrapposizione tra ciò che è ritenuto reale e ciò che invece è considerato virtuale, e sull’ambiguità del concetto di verità ; e infine proprio l’opera gemellare “illegittima” costituita da A History of Violence e da La Promessa dell’Assassino.
Storia sulla disintegrazione del sogno americano il primo, con il suo messaggio anti-mediatico e per nulla rassicurante, La Promessa dell’Assassino è invece un noir puro, la storia di un mistero metropolitano.
Anna, levatrice in un ospedale di Londra, dopo aver assistito alla morte post-parto di una giovane quattordicenne, ritrova tra gli effetti personali della stessa un diario, scritto in russo. Con l’aiuto di un suo zio originario della Russia – ed ex membro del KGB, il servizio segreto sovietico – ne tradurrà le pagine, scoprendo un intrico di relazioni torbide ed inquietanti tra gli ambienti della mafia russa e il mondo della prostituzione.
Lo script è di buona fattura, anche se pecca sul versante psicologico, lasciando in ombra la personalità e il background di molti personaggi, primo tra tutti del “becchino” Nikolai. Un altro difetto della sceneggiatura, questa volta relativo alla costruzione dell’intreccio, riguarda la risoluzione dei principali snodi narrativi della trama, la quale in alcuni tratti appare piuttosto forzata, quasi un’applicazione frettolosa e sbrigativa della tecnica del deus ex machina. È evidente, sin dalle prime fasi del film, come il regista non abbia voluto porre l’accento sulla complessità del plot o sul suo intreccio, quanto invece sullo scorrere inesorabile e oscuro della staticità del quotidiano verso mondi nascosti dietro anche il più insignificante e insospettabile degli eventi. Nonostante questo però, Steven Knight, dopo la pregevole prova offerta con la sceneggiatura di Piccoli affari sporchi – per la regia di Stephen Frears – si dimostra comunque ancora una volta perfettamente a suo agio tra i sentieri sotterranei e fumosi di una Londra che nasconde più di quanto mostra, regalando al pubblico una narrazione efficace e sostenuta da un cast in stato di grazia.
Il nero, il grigio e il rosso sono i colori predominanti della pellicola. Il rosso del sangue – che scorre, ma che non eccede in quantità , e che per questo si fa strumento, evitando l’esagerazione, l’ipertrofia – il nero degli abiti, e infine il grigio, dell’ambiente londinese così come dei tatuaggi, i quali si pongono come veicolo metacinematografico di narrazione, ponte comunicativo atipico che lega – ma spesso allontana – i personaggi della storia.
Altro elemento visivo che caratterizza e che definisce La Promessa dell’Assassino è costituito dalla fisicità. A tal proposito, risulta perfetta ed emblematica la scena di nudo integrale di Viggo Mortensen, nei panni di un faccendiere della mafia, costretto ad affrontare due sicari della criminalità russa mentre si trova all’interno di un bagno turco. La scena, girata senza alcun accompagnamento musicale, è la sublime dimostrazione di due elementi: la bravura indiscussa di un attore, Viggo Mortensen, in grado di “parlare” con la sola mimica del viso, con il movimento del corpo, con il sangue, e di un regista, che in pochi minuti riesce a regalare un climax narrativo che coinvolge la mente, per l’eleganza registica; le viscere, per la truculenza del combattimento e i rumori naturali prodotti dall’impatto dei corpi; e i sensi, per la sensualità perversa e trascinante capaci di imporsi con un movimento di macchina che in apparenza indugia esclusivamente su Viggo Mortensen, ma che in realtà è pura e semplice adorazione dell’estetica cinematografica e del “vero” rivelato attraverso lo scontro delle carni. Quello di Cronenberg è l’atto d’amore di un cultore della contaminazione – dei corpi, dei mondi – che diviene mezzo di trasmissione che trascende il limite comunicativo dell’arte fine a se stessa, e che si pone come unico punto di contatto tra la percezione addomesticata dello spettatore medio e il nucleo stesso dell’umano.
La Promessa dell’Assassino è un capolavoro del cinema moderno, la conferma della grandezza artistica di un regista in continua evoluzione – come i protagonisti delle sue storie – perfettamente a suo agio con la cinematografia mainstream, ma sempre fedele alle coordinate della propria poetica. Un regista capace di dirigere ottimamente un cast multietnico, di far convivere un numero enorme di sensibilità e stili recitativi, e a un tempo di sostenere con mestiere il fardello della coerenza artistica, della rappresentazione della propria visione del cinema, senza compromessi di alcun tipo: solo espressione, immagine, nuda e cruda. 

Considerazioni: 
Aggiungo all'intervento di 7di9 alcune note, soprattutto di carattere antropologico, su questa cupissima pellicola, il cui effetto è quello di un pugno nel plesso solare.

La mafia russa e la sodomia

L'intero film è pervaso dall'odio mafioso verso i sodomiti passivi. Sarebbe troppo banale parlare di "omofobia", come si fa in quest'epoca. Non si tratta infatti di una fobia, ossia di una paura. Si tratta invece di volontà di torturare e annientare una vittima, definita in base a feroci tabù tribali. In un simile ecosistema criminale l'omosessuale che subisce penetrazione nel retto non ha diritto di esistere: se viene trovato non ha pace nemmeno da morto, il suo cadavere viene mutilato e lasciato senza sepoltura. Viene cosparso di sputi e ingiuriato. Eppure lo stupro sodomitico è una forma ritualizzata di punizione nei confronti di chi ha infranto la legge. John Carpenter ha dato la più acuta definizione di demone: "un essere che esiste al solo scopo di infliggere dolore e morte a qualcuno". Queste cose sono troppo orribili per la futile società odierna, che cerca di rimuoverle blaterando di "paura".   

Le origini della mafia russa

Pochi sanno che la mafia russa ha le sue radici nella camorra napoletana. Nel corso della guerra di Crimea (1853 - 1856) accadde che alcuni prigionieri russi vennero in contatto con camorristi campani che li iniziarono ai propri riti e trasmisero tra le altre cose la costumanza dei tatuaggi, destinata a subire un'evoluzione propria nel corso dei decenni. La conoscenza di questa origine camorrista viene in qualche modo ostacolata dal Web: sono numerosi i siti che attribuiscono ai tatuaggi criminali russi una genesi diversa, ad opera dei marinai inglesi nel primo dopoguerra. I sostenitori dell'origine inglese non sono tuttavia in grado di spiegare la natura esoterica dei simboli. Nel film di Cronenberg è mostrata l'iniziazione del killer russo al rango di Padrino: gli vengono tatuate sul corpo alcune stelle nere, simbolo del suo potere demoniaco. Queste opere d'arte corporea gli sono praticate con un'apposita penna, mentre ai carcerati va molto peggio, essendo i loro corpi decorati con una mistura di orina, cenere e gomma bruciata, in condizioni non precisamente asettiche. A qualcuno va male e si becca una cancrena.

Il linguaggio dei tatuaggi

Nella mafia russa gli elaborati tatuaggi degli affiliati esprimono concetti anche molto complessi. Costituiscono un vera e propria selva di simbolismi, una forma di codice comunicativo non verbale. Si potrebbe dire che riassumano per sommi capi l'intera storia del soggetto che li porta. Quando un uomo viene incarcerato in Russia, subito i suoi compagni di cella, che sono lì da più tempo, gli chiedono di mostrare i propri tatuaggi. Se ne possiede, esaminano ogni dettaglio, quindi gli domandano: "I tatuaggi dicono il vero su di te?" Si informano con cura sul suo curriculum criminale. Se dovesse emergere che il carcerato in questione è solo uno sbruffone che si è fatto tatuare senza averne il diritto, gli abradono ogni lembo di pelle tatuata servendosi di cocci di vetro, di carta vetrata o di coltelli. Colui che copia i tatuaggi altrui viene punito con la morte.

Razzismo sovietico

La protagonista ha un'accesa discussione col padre, un vecchio russo tutto d'un pezzo ed estremamente testardo, che millanta l'appartenenza al KGB. La donna, avendo avuto un aborto dal suo precedente compagno, si sente rivolgere dal genitore una sanguinosa accusa: la gravidanza non è andata a buon fine perché il seme di un uomo non russo non sarebbe mai potuto attecchire nell'utero di una donna russa. Come se russi e non russi fossero due specie diverse, separate da un abisso di differenze genetiche incolmabili. Come se l'unione tra una donna russa e un uomo non russo fosse un atto di bestialità, simile al sesso con un animale. E non è forse questa una forma di feroce razzismo?       

Sequenze memorabili

La ragazza incinta che perde sangue in una farmacia, irritando il gerente che la crede una tossicomane; il momento in cui si scopre che il vecchio boss ha un bordello privato in cui le prostitute sono ragazzine, e lo frequenta assiduamente; il killer costretto dal figlio del boss a possedere carnalmente da tergo una giovane prostituta ucraina, per dimostrare di non essere un sodomita; il cadavere di un gangster rivale, sputato dal figlio del boss e apostrofato come "pederast!", prima di essere gettato in un canale.

sabato 31 gennaio 2015


CONTRATTO PER UCCIDERE

TITOLO ORIGINALE: The Killers
     (Ernest Hemingway's The Killers)
REGIA: Don SIEGEL
PRODUZIONE: U.S.A.
ANNO: 1964
GENERE: Drammatico, thriller, noir, poliziesco
DURATA: 90'

INTERPRETI E PERSONAGGI:
 Lee Marvin: Charlie Strom
 Angie Dickinson: Sheila Farr 
 John Cassavetes: Johnny North 
 Clu Gulager: Lee
 Claude Akins: Earl Sylvester
 Norman Fell: Mickey Farmer
 Ronald Reagan: Jack Browning
 Virginia Christine: Miss Watson
 Don Haggerty: Postino
 Robert Phillips: George Flemming
 Kathleen O'Malley: Maggiordomo
 Ted Jacques: Assistente ginnico
 Jimmy Joyce: Commesso
 Davis Roberts: Maitre D'
 Seymour Cassel

SCENEGGIATURA: Gene L. Coon
     (da un racconto di Ernest Hemingway)
FOTOGRAFIA: Richard L. Rawlings
SCENOGRAFIA: Frank Arrigo, George B. Chan
MONTAGGIO: Richard Beling
COSTUMI: Helen Colvig 
MUSICHE: John Williams

Recensione di 7di9:

Charlie Strom e Lee sono due assassini professionisti. Il loro ultimo contratto prevede l’uccisione di un ex pilota di corse automobilistiche, Johnny North, impersonato da John Cassavettes. Tutto fila liscio. Eppure il killer interpretato da Lee Marvin non riesce a liberarsi di un dubbio che lo assilla: perché la vittima non ha tentato la fuga dinanzi alle canne da fuoco silenziate dei suoi aguzzini? 

Sono queste le premesse di Contratto per uccidere, splendido noir diretto dal regista Don Siegel e ispirato al racconto The Killers di Ernest Hemingway, nonché remake di The Killers, film diretto nel 1943 da Robert Siodmak e sempre ispirato all’opera dello scrittore statunitense. 

I due assassini sono creature spietate, fredde. La scena iniziale li relega immediatamente, senza possibilità di appello, nel girone dei criminali incalliti; Charlie Strom e Lee sono due portatori di morte immuni a qualunque morale, guidati dal solo istinto omicida e dalla prospettiva del guadagno. Fino alla loro ultima missione. 

Il film venne commissionato dalla rete televisiva NBC. Giudicato troppo violento per il piccolo schermo, fu successivamente distribuito nella sale con il titolo di Ernest Hemingway’s The Killers

Considerazioni: 

Aggiungo all'intervento di 7di9 alcune note, soprattutto di carattere antropologico.

La luce e le falene

Il microcosmo del gangsterismo è come un abisso di oscurità assoluta in cui spicca subito ogni sorgente di luce, per quanto fievole possa essere. Così la donna bellissima e fascinosa è come un lampione che attira a sé nugoli di falene, condannandole presto all'impazzimento e alla morte. Per questi insetti l'unica possibilità di salvezza sarebbe fuggire lontano dalla luce e rintanarsi negli anfratti più tenebrosi. Invece cadono nell'inganno, si ammassano attorno al lume e vengono divorati dai pipistrelli. Eppure non c'è speranza nemmeno per chi comprende la natura della trappola luminosa, se ha la disgrazia di aver a che fare con qualcuno che ne è stato attratto!   

La Mantide

Non bisogna lasciarsi ingannare dall'aspetto esile e delicato della maliarda, che è una terribile predatrice. Il pilota si ritiene forte e virile, così si avvicina a lei per avere contatto col suo corpo vellutato. Un contatto che crede salvifico. Le conseguenze di questo errore di valutazione sono fatali e non tardano a manifestarsi: l'amata non è affatto un oggetto di conquista, come il volgo stoltamente crede. Non appena ha intrappolato la sua preda, la blocca e la dilania, la squarcia, ne beve l'anima e ne causa l'annientamento.   

Un caso di sospetta censura

Nel finale vediamo che il killer più anziano, magistralmente interpretato da Lee Marvin, prima di spirare spara e abbatte la bellissima pupa piantandole un proiettile nel cranio. La pistola ha il silenziatore. Si sente solo che lei cade, ma la sua morte non viene ripresa, è fuori campo. Uno spreco assurdo, direi. Ricordo una sequenza simile in un telefilm italiano con Giuliano Gemma, in cui una pornodiva bionda veniva fulminata da un colpo in testa, sparato da un'arma col silenziatore. Si vedeva cadere a terra la donna, morta all'istante. La cosa aveva un effetto straniante, lasciava attoniti. Non c'è nulla di più assurdo e sorprendente di un passaggio improvviso e imprevedibile dalla vita all'assenza di vita. Perché dunque nel film di Don Siegel non si vede nulla? Posso supporre che sia stata la censura a tagliare quei fotogrammi, ritenuti troppo traumatizzanti e conturbanti.

Gangster, pupe e sodomia

Non ci sono dubbi. Emerge la natura sodomitica dei due killer. Ovviamente alla cosa non si poteva alludere a quei tempi, ma sembra che sia una conclusione abbastanza ovvia. Tutto il film è pervaso dall'omosessualità, anche se non viene mai menzionata in modo esplicito. Nel contesto malavitoso era una cosa che doveva essere tenuta nascosta, ma neanche il pubblico ne voleva sentir parlare. Ecco la mia analisi. Sylvester è un omosessuale passivo, che sognava di fellare il pilota, rimanendo annichilito quando il suo oggetto del desiderio si è perso dietro alla splendida pupa. L'odio di Sylvester verso le pupe è fortissimo e misto a gelosia. Non che l'avversione misogina dei due sicari sia minore.

Feticismo dei piedi nel '64

In una scena il pilota accarezza un piede alla sua amante. Strano che i censori incaricati di applicare il Codice Hays non si siano accorti di questo dettaglio pruriginoso. Sono convinto che questo contatto tra l'uomo e la donna non sia affatto qualcosa di casuale. Siegel ha studiato tutto nei minimi particolari. Voleva che lo spettatore venisse a conoscenza della natura della maliarda, che è una dominatrice. L'uomo la adora. Le tributa onori divini perché la propria essenza è stata svuotata dall'interno. Egli sopravvive come un mero simulacro. Soltanto la donna dà senso alla sua esistenza. Proprio come l'eroina dà senso all'esistenza di un tossicomane. Poi all'improvviso la droga gli viene portata via ed ecco che il nero Drago della Disperazione spalanca le proprie fauci per divorarlo!