sabato 31 gennaio 2015


CONTRATTO PER UCCIDERE

TITOLO ORIGINALE: The Killers
     (Ernest Hemingway's The Killers)
REGIA: Don SIEGEL
PRODUZIONE: U.S.A.
ANNO: 1964
GENERE: Drammatico, thriller, noir, poliziesco
DURATA: 90'

INTERPRETI E PERSONAGGI:
 Lee Marvin: Charlie Strom
 Angie Dickinson: Sheila Farr 
 John Cassavetes: Johnny North 
 Clu Gulager: Lee
 Claude Akins: Earl Sylvester
 Norman Fell: Mickey Farmer
 Ronald Reagan: Jack Browning
 Virginia Christine: Miss Watson
 Don Haggerty: Postino
 Robert Phillips: George Flemming
 Kathleen O'Malley: Maggiordomo
 Ted Jacques: Assistente ginnico
 Jimmy Joyce: Commesso
 Davis Roberts: Maitre D'
 Seymour Cassel

SCENEGGIATURA: Gene L. Coon
     (da un racconto di Ernest Hemingway)
FOTOGRAFIA: Richard L. Rawlings
SCENOGRAFIA: Frank Arrigo, George B. Chan
MONTAGGIO: Richard Beling
COSTUMI: Helen Colvig 
MUSICHE: John Williams

Recensione di 7di9:

Charlie Strom e Lee sono due assassini professionisti. Il loro ultimo contratto prevede l’uccisione di un ex pilota di corse automobilistiche, Johnny North, impersonato da John Cassavettes. Tutto fila liscio. Eppure il killer interpretato da Lee Marvin non riesce a liberarsi di un dubbio che lo assilla: perché la vittima non ha tentato la fuga dinanzi alle canne da fuoco silenziate dei suoi aguzzini? 

Sono queste le premesse di Contratto per uccidere, splendido noir diretto dal regista Don Siegel e ispirato al racconto The Killers di Ernest Hemingway, nonché remake di The Killers, film diretto nel 1943 da Robert Siodmak e sempre ispirato all’opera dello scrittore statunitense. 

I due assassini sono creature spietate, fredde. La scena iniziale li relega immediatamente, senza possibilità di appello, nel girone dei criminali incalliti; Charlie Strom e Lee sono due portatori di morte immuni a qualunque morale, guidati dal solo istinto omicida e dalla prospettiva del guadagno. Fino alla loro ultima missione. 

Il film venne commissionato dalla rete televisiva NBC. Giudicato troppo violento per il piccolo schermo, fu successivamente distribuito nella sale con il titolo di Ernest Hemingway’s The Killers

Considerazioni: 

Aggiungo all'intervento di 7di9 alcune note, soprattutto di carattere antropologico.

La luce e le falene

Il microcosmo del gangsterismo è come un abisso di oscurità assoluta in cui spicca subito ogni sorgente di luce, per quanto fievole possa essere. Così la donna bellissima e fascinosa è come un lampione che attira a sé nugoli di falene, condannandole presto all'impazzimento e alla morte. Per questi insetti l'unica possibilità di salvezza sarebbe fuggire lontano dalla luce e rintanarsi negli anfratti più tenebrosi. Invece cadono nell'inganno, si ammassano attorno al lume e vengono divorati dai pipistrelli. Eppure non c'è speranza nemmeno per chi comprende la natura della trappola luminosa, se ha la disgrazia di aver a che fare con qualcuno che ne è stato attratto!   

La Mantide

Non bisogna lasciarsi ingannare dall'aspetto esile e delicato della maliarda, che è una terribile predatrice. Il pilota si ritiene forte e virile, così si avvicina a lei per avere contatto col suo corpo vellutato. Un contatto che crede salvifico. Le conseguenze di questo errore di valutazione sono fatali e non tardano a manifestarsi: l'amata non è affatto un oggetto di conquista, come il volgo stoltamente crede. Non appena ha intrappolato la sua preda, la blocca e la dilania, la squarcia, ne beve l'anima e ne causa l'annientamento.   

Un caso di sospetta censura

Nel finale vediamo che il killer più anziano, magistralmente interpretato da Lee Marvin, prima di spirare spara e abbatte la bellissima pupa piantandole un proiettile nel cranio. La pistola ha il silenziatore. Si sente solo che lei cade, ma la sua morte non viene ripresa, è fuori campo. Uno spreco assurdo, direi. Ricordo una sequenza simile in un telefilm italiano con Giuliano Gemma, in cui una pornodiva bionda veniva fulminata da un colpo in testa, sparato da un'arma col silenziatore. Si vedeva cadere a terra la donna, morta all'istante. La cosa aveva un effetto straniante, lasciava attoniti. Non c'è nulla di più assurdo e sorprendente di un passaggio improvviso e imprevedibile dalla vita all'assenza di vita. Perché dunque nel film di Don Siegel non si vede nulla? Posso supporre che sia stata la censura a tagliare quei fotogrammi, ritenuti troppo traumatizzanti e conturbanti.

Gangster, pupe e sodomia

Non ci sono dubbi. Emerge la natura sodomitica dei due killer. Ovviamente alla cosa non si poteva alludere a quei tempi, ma sembra che sia una conclusione abbastanza ovvia. Tutto il film è pervaso dall'omosessualità, anche se non viene mai menzionata in modo esplicito. Nel contesto malavitoso era una cosa che doveva essere tenuta nascosta, ma neanche il pubblico ne voleva sentir parlare. Ecco la mia analisi. Sylvester è un omosessuale passivo, che sognava di fellare il pilota, rimanendo annichilito quando il suo oggetto del desiderio si è perso dietro alla splendida pupa. L'odio di Sylvester verso le pupe è fortissimo e misto a gelosia. Non che l'avversione misogina dei due sicari sia minore.

Feticismo dei piedi nel '64

In una scena il pilota accarezza un piede alla sua amante. Strano che i censori incaricati di applicare il Codice Hays non si siano accorti di questo dettaglio pruriginoso. Sono convinto che questo contatto tra l'uomo e la donna non sia affatto qualcosa di casuale. Siegel ha studiato tutto nei minimi particolari. Voleva che lo spettatore venisse a conoscenza della natura della maliarda, che è una dominatrice. L'uomo la adora. Le tributa onori divini perché la propria essenza è stata svuotata dall'interno. Egli sopravvive come un mero simulacro. Soltanto la donna dà senso alla sua esistenza. Proprio come l'eroina dà senso all'esistenza di un tossicomane. Poi all'improvviso la droga gli viene portata via ed ecco che il nero Drago della Disperazione spalanca le proprie fauci per divorarlo!

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