giovedì 24 novembre 2016


IL PREFETTO DI FERRO 

Titolo originale: Il Prefetto di Ferro. L'uomo di
     Mussolini che mise in ginocchio la mafia
Autore: Arrigo Petacco
Lingua originale: Italiana
Editore: Mondadori
Collana: Oscar storia
Pagine: 237, brossura
Codice ISBN: 978-88-04-53275-0
I edizione Le Scie: Settembre 1975
I edizione Oscar Storia: Giugno 2004

Indice:

Prefazione - pag. 3

I        Mori, Mori, tu devi morire... - pag. 9
II       Qui ci vuole un uomo... - pag. 35
III      Il figlio di nessuno - pag. 45
IV      Il Far West delle Madonie - pag. 69
V       La mafia è una vecchia puttana... - pag. 83
VI      L'assedio di Gangi - pag. 95
VII     Un prefetto d'assalto - pag. 115
VIII    Fatti la fama e curcati... - pag. 135
IX       Un killer da Chicago - pag. 151
X        Il nemico esce dall'ombra - pag. 161
XI       L'eroe del tracoma - pag. 175
XII      Signori, è tempo ormai ch'io vi riveli la
           mafia... - pag. 187
XIII    Qui riposa in pace... - pag. 203
XIV    Ma la mafia non è morta - pag. 221

Appendice

I pensieri del prefetto - pag. 233
Ringraziamento - pag. 239

Sinossi:

In questo libro Arrigo Petacco ci racconta la verità sulle gesta quasi leggendarie del prefetto Cesare Mori, incorruttibile funzionario "piemontese" inviato dal governo fascista in Sicilia per debellare la mafia. Compito che svolse fin da subito con grande efficacia, anche grazie a metodi non sempre ortodossi e alle ingenti forze di cui era stato dotato: un vero piccolo esercito, l'intera Procura di Palermo a sua disposizione, poteri straordinari che utilizzò oltre i limiti della legge. La sua azione energica permise di distruggere quasi interamente la struttura di base della malavita organizzata siciliana e offrì a Mussolini un argomento per la sua propaganda. Ma quando Mori iniziò a diventare troppo famoso e soprattutto a indagare troppo in alto, venne messo da parte, e le tracce del suo lavoro accuratamente eliminate. Quella del "prefetto di ferro" è una storia tipicamente italiana, incentrata su un personaggio prima mitizzato poi dimenticato, che Petacco restituisce finalmente alla sua verità storica.

Recensione:

Il Prefetto di Ferro è la biografia di un eroe del XX secolo, un vero gigante. Eppure quando ho letto il libro di Petacco, mi sono stupito della sua natura eccessivamente sintetica e discorsiva. Non sono stato soddisfatto appieno, ho avuto come l'impressione di essermi immerso con aspettative eccessive in un'opera incompleta e a tratti superficiale. In molte occasioni la narrazione dei fatti viene presentata come un romanzo, con tanto di dialoghi, mentre di molte cose a mio avviso importanti non si fa menzione alcuna. In seguito ad alcuni approfondimenti, il volume, seppur pregevole, si è in effetti dimostrato bucherellato da crateri e da lacune come la superficie della luna.

Il Prefettissimo e il suoi metodi di lotta   

Non è un'esagerazione né un luogo comune dire che Cesare Mori fu l'unico uomo su questo pianeta che sconfisse la mafia. Certo, al giorno d'oggi pochi se ne ricordano. Anche se Petacco ha la tendenza a edulcorare i fatti e a nascondere i dettagli più cruenti, dirò che Mori non ottenne le sue vittorie con la retorica, ma con sistemi draconiani. Non esitò a servirsi di alcuni metodi di tortura usati dal Tokugawa: stritolamento dei genitali in tenaglie e acqua in pressione nello stomaco. Incatenò, torturò, incarcerò e arrivò a imbracciare senza esitazione il fucile. Il suo principio era molto chiaro: lo Stato deve fare più paura della mafia. Portò avanti questa idea con la massima determinazione. Posso soltanto esprimere la mia massima stima per la sua persona. Le sue gloriose imprese devono essere salvate dall'Oblio e tramandate fino alla Fine dei Tempi. A tutti coloro che si domandano come si possa sconfiggere la mafia, dirò che può riuscirci soltanto un uomo impavido, dotato di poteri assoluti e di volontà ferrea, proprio come l'eroico Ezzelino che ispirava più terrore dello stesso Diavolo. 

Il Prefetto di Ferro, Falcone e Borsellino

Anche se le giovani generazioni lo ignorano, Falcone e Borsellino divennero magistrati ispirati dall'esempio e dall'eroismo di Cesare Mori. Non erano affatto persone di sinistra come il volgo crede a causa degli inganni e delle mistificazioni propalate dalla scuola e dai media nel corso degli anni. Le loro biografie postume sono state manipolate, rimuovendo ogni riferimento alla loro stima per il Prefetto di Ferro. Duole che Falcone e Borsellino non abbiano potuto usufruire dei mezzi quasi illimitati di cui poté servirsi Mori: già alla loro epoca le pastoie dell'umanitarismo buonista rendevano ogni azione praticamente impossibile. Quello che la gente non sembra capire è che proprio la democrazia ha reso impossibile per sua intrinseca natura la vittoria sulla setta mafiosa. 

Una cronistoria

Ugo Di Girolamo nel suo libro "Mafie, politica, pubblica amministrazione. È possibile sradicare il fenomeno mafioso dall'Italia?" fa una sintesi sui tentativi compiuti dallo Stato per estinguere il crimine organizzato nel corso del XX secolo. Non riporto qui alcuni brani molto interessanti, dato che l'editore concede la riproduzione di parti del volume a pagamento e dietro richiesta formale, così mi limiterò a riassumerli e a riformularli, aggiungendo note per spiegare concetti non approfonditi dall'autore. 

Si parte con i primi tentativi di repressione rivolti contro la camorra a Napoli: Silvio Spaventa nel 1860 cominciò a sciogliere la guardia cittadina, che era una sorta di "polizia camorrista", e ad arrestare 90 camorristi, che salirono a 1175 dopo tre anni di operazioni (1).
Segue la seconda ondata repressiva nel 1877, ad opera del prefetto di Palermo Antonio Molusardi, che in due anni debellò i briganti in Sicilia occidentale, non riuscendo in alcun modo ad intaccare la mafia (2).
La terza ondata repressiva colpì Napoli nel 1907: il Capitano dei Carabinieri Fabroni effettuò rastrellamenti, imprigionando circa 400 camorristi. Promosso, fu allontanato da Napoli (3).
La quarta ondata repressiva fu portata avanti da Cesare Mori nel suo primo soggiorno in Sicilia, negli anni dal 1915 al 1917. Utilizzò il metodo di rastrellamento inaugurato da Fabroni, riuscendo a catturare molti briganti.
Lo stesso Prefetto di Ferro comprese in seguito che la sua azione non aveva in realtà colpito la mafia. Seguirono promozione e allontanamento.
La quinta ondata repressiva ebbe ancora Cesare Mori per protagonista, questa volta inviato da Benito Mussolini. Siamo nel 1926. Di Girolamo riporta un fatto taciuto dal Petacco: l'operazione non riguardò soltanto la Sicilia, ma anche altri distretti del Meridione, colpendo duramente Napoli e Caserta.
La sesta e ultima ondata repressiva ha avuto inizio tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 dello scorso secolo, portata avanti da Falcone e da Borsellino. I risultati sono stati i seguenti: un migliaio di persone tuttora in carcere per mafia, tra cui circa settecento sotto regime di carcere duro (41 bis).
Il libro a questo punto fa notare che nessuna delle azioni descritte ha avuto successo nell'opera di eradicazione del fenomeno mafioso in Italia. Utilizzando le metafore batteriologiche da me tanto apprezzate, l'autore non esita a usare parole come "province infettate", "province meridionali infette", "peste". Qui non abbiamo a che fare con cittadini che sbagliano a causa del disagio, come vorrebbero i buonisti e gli psicologi malfattori, ma con un vero e proprio morbo epidemico simile a quello prodotto da Yersinia pestis. Quello che viene tenuto nascosto è che i rimedi di Mori stavano funzionando e che la pestilenza è tornata a crescere grazie all'imporsi della democrazia, che ne costituisce il naturale terreno di coltura. 

(1) Che l'operazione si sia poi fermata non deve stupire. Si omette ovviamente di citare le origini massoniche delle società mafiose e il ruolo di Garibaldi nella massoneria italiana.
(2) All'epoca la confusione tra brigantaggio e mafia era pressoché totale, tanto che solo Mori poté cominciare a far chiarezza.
(3) Promoveatur ut amoveatur. Un destino che toccò anche a Mori. Vedi nota (1).

Setta mafiosa e setta massonica

Data l'epoca in cui visse, Cesare Mori non aveva la benché minima idea dei rituali di iniziazione della congrega mafiosa. Soltanto in seguito alle confessioni di Joe Valachi, nel 1963, si poterono avere notizie concrete su questi rituali esoterici, che sono risultati essere di chiarissima derivazione massonica. Arrigo Petacco non fa la benché minima menzione ai rapporti tra mafia e setta massonica nel suo volume. Ugo di Girolamo invece parla del rapporto tra le organizzazioni in questione, facendo riflessioni interessanti. A suo avviso la massoneria sarebbe un mezzo usato dalle mafie per entrare in contatto con le istituzioni, con la politica e con gli imprenditori. Sarebbe in altre parole come il sistema linfatico di un corpo umano, che può essere usato dalle cellule tumorali per muoversi liberamente e portare ovunque le metastasi. Di certo questa è una buona descrizione, eppure a parer mio c'è dell'altro. Queste cellule tumorali infatti sono generate a ritmo continuo dallo stesso sistema linfatico che ne permette poi lo spostamento e la diffusione. La mafia è un braccio armato della setta massonica, un suo strumento operativo.

Reazioni nel Web

Sulla scheda del libro di Petacco su www.ibs.it è possibile leggere numerosi commenti interessanti.


Concordo appieno con Pierluigi, che scrive quanto segue: 

"Come tutti i libri scritti da Petacco anche questo ha una sintassi veramente eccezionale. Cosa che inizia a diventare purtroppo rara negli autori contemporanei. Gia questo basterebbe a farne un buon libro senza badare troppo al contenuto. Nella fattispecie ne "Il prefetto di ferro" manca forse qualche spunto ulteriore nella descrizione della lotta alla mafia "sul campo". Il lavoro è incentrato più sui retroscena e sulle macchinazioni del Palazzo per eliminare questa persona scomoda. Ne esce fuori alla fine un libro che più che parlare di Cesare Mori a fondo da una descrizione del clima e di alcune metodologie che hanno contraddistinto il ventennio fascista. Se Petacco avesse dedicato più spazio al Prefettissimo e meno al "contesto fascista" ci avrebbe regalato sicuramente un piccolo capolavoro." 

Critico è Maurizio, che scrive: 

"Il difetto maggiore sta nel titolo: di sicuro Mori mise a freno la mafia di quel periodo che non fu però esattamente messa in ginocchio ma, intelligentemente, ando "in letargo" per uscirne ad acque chetate. Il pugno di ferro andava di pari passo con una dilagante corruzione e lo stesso Mori usò quest'occasione per disfarsi di alcuni nemici. L'immagine dello Stato in Sicilia e per i siciliani ne uscì ulteriormente deteriorata e la mafia rifiorì"

Ovviamente Maurizio non comprende bene l'accaduto. Glielo spiegherò con parole semplici. Alcuni bacilli pestosi che avevano trovato scampo in America hanno fatto ritorno, aiutando gli Alleati nello sbarco in Sicilia e favorendo l'instaurazione di un ambiente adatto alla loro pullulazione, che tuttora perdura. Chiaro che se fosse dipeso da Mori tutto ciò non sarebbe mai avvenuto. 

Roberto Nanni scrive, in modo molto assennato (ma con qualche refuso): 

"Secondo me sono storie in quanto se il Povero Generale Dalla Chiesa avesse solo avuto la metà dei poteri di Mori, la mafia avrebbe avuto colpi durissimi già negli anni 80.Oggigiorno sicuramente una figura come Mori è impossibile trovarla in quanto egli anteponeva lo stato a tuttoed a tutti cosa che i politici degli ultimi 30 anni si sono ben guardati dal farlo."

Gli consiglio di leggere bene le mie considerazioni sulla setta massonica e sulle origini della setta mafiosa, così capirà perché la politica italiana abbia lasciato soli gli eroi e prodotto abominazioni in grande copia. 

Renzo Montagnoli e Mattia ricordano che Cesare Mori fu politicamente indipendente, in quanto erede della tradizione liberale. Mussolini gli diede l'incarico di debellare la mafia perché lo stimava per la sua grandissima onestà. Una domanda. Quale politico odierno darebbe mai un incarico così importante a un esponente di idee molto diverse dalle sue, come ha fatto Mussolini con Mori?

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