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giovedì 26 luglio 2018

PER UN'ANTROPOLOGIA SCATOLOGICA

La domanda la faccio a bruciapelo. Qual era il rapporto che i Sumeri avevano con lo sfintere anale e con le feci? Molti considereranno banale la questione, se non addirittura sconveniente. Nulla di più lontano dal vero. Si può dire di conoscere davvero un popolo se si ignora tutto sul suo modo di vedere gli aspetti più bassi dell'esistenza corporale? E dire che dei Sumeri sappiamo moltissime cose. Solo per fare un esempio, siamo persino a conoscenza del termine che usavano per indicare quella che oggi è nota come "mazzetta", ossia il dono usato per corrompere un ufficiale. Basta consultare il vocabolario Sumerian Lexicon di John A. Halloran, disponibile anche online, e ci vengono rivelati interi mondi. La parola per indicare la "mazzetta", tradotta dall'accademico con "gift, bribe", era KADRA. Halloran suggerisce una derivazione da KAD "legare assieme" + RU "dono" (con -RU > -RA per armonia vocalica), anche se potrebbe trattarsi di una falsa etimologia. Simili vocaboli dovevano essere già antichi agli albori della civiltà. Nulla di nuovo sotto il sole! Non ci sono dubbi: quella era una società giovane, eppure mostrava inconfondibili segni di sfacelo. L'indispensabile opera di Halloran ci viene in aiuto nella nostra ricerca scatologica. L'ano era chiamato BID. La variante BI ci dice che la consonante finale col tempo si è affievolita fino a sparire. La traduzione è accompagnata da un commento dell'autore: "open container with motion away from". Affascinante. La stessa radice, usata come verbo, assumeva il significato di "defecare"; "orinare". La parola per "escremento" era ŠE, mentre quella per "orina" era KAŠ (forse un antico composto di ŠE, qualcosa come "escremento liquido"), entrambe senza alcuna relazione col verbo BID. Senza dubbio possiamo sapere come tradurre correttamente in sumerico il concetto di "leccare il buco del culo". Il verbo per dire "leccare" era EME--ŠUB. La parola EME significa "lingua", mentre la radice verbale è ŠUB "leccare, lambire". In questo tipo di verbi transitivi composti, tra il primo e il secondo membro sono inseriti elementi pronominali e di altro genere, mentre l'oggetto, non marcato, precede la catena. Così BID EME--ŠUB significherà proprio "leccare il buco del culo"; BID EME-GA-NNA-B-ŠUB tradurrà "vorrei leccarle il buco del culo". Pur essendo queste formazioni grammaticalmente corrette, non sappiamo se esistessero veramente. Il problema che ora si pone è questo: come avrebbe reagito un nobiluomo di Ur sentendo pronunciare una frase con questo verbo? La sua reazione sarebbe stata diversa da quella di una nobildonna? E i popolani? Ne sarebbero rimasti sconvolti? Avrebbero riso? Non lo sappiamo. Per quanto possiamo frugare nella letteratura dei Sumeri giunta fino a noi, a quanto ne so, non riusciremmo a trovare nemmeno un brano o un'allusione che ci illumini sull'argomento. Non sappiamo se fosse concepibile, per non dire attuato, l'atto conosciuto in inglese come rimming o rimjob e in latino come anilingus (parola creata dallo psichiatra Richard Freiherr von Krafft-Ebing, non risalente all'antichità). Tempo fa lessi da qualche parte che erano giunte sino a noi alcune raffigurazioni erotica attribuibili alla civiltà sumerica. L'autore dell'articolo commentava con parole di questo tipo: "Nulla di originale, a dire il vero. Del resto, cosa potremmo aspettarci da un popolo la cui capitale si chiamava Ur?" L'ironia è a parer mio malposta: le raffigurazioni in questione mostrano costantemente copule more ferarum, ossia pecorine, con buona pace degli evoluzionisti ciarlatani come Desmond Morris, che contro ogni evidenza affermano l'universalità del sesso faccia a faccia. Queste raffigurazioni dell'atto sessuale sono state ereditate dai Babilonesi, influenzati culturalmente dalla cultura sumera in modo capillare. Non è difficile trovare nel Web immagini di questo tipo e relativa documentazione, ad esempio si veda l'articolo comparso nel 2014 su The Times of Israel. Si hanno prove schiaccianti del fatto che i Sumeri erano molto liberi sessualmente. Quando ero un adolescente mi sono imbattuto in alcuni versi di una poesia sumera, in cui una ragazza dice al suo amato: "Sposo, tu hai preso delizia da me. Dillo a mia madre, lei ti darà leccornie. Dillo a mio padre, lui ti darà dei doni." A dire il vero la ragazza era la Dea Inanna e il suo amato era Dumuzi, quello che poi tra le genti di Babilonia sarebbe stato conosciuto come Tammuz. Tutto molto interessante, però ancora non sappiamo quale fosse il limite concreto al godimento dei corpi tra le genti di Ur. Potrebbe anche darsi che considerassero l'ano una parte del corpo vergognosa e tabù, limitandosi a copulare provocando l'emissione del seme nella vagina, senza fantasia alcuna. Chi colmerà le nostre lacune conoscitive? Dovremo tenerci il prurito fino alla Fine dei Tempi? Forse no, non tutta la speranza è perduta. Se scavassimo con pervicacia, potremmo finalmente trovare un indizio cruciale. Per serendipità mi sono imbattuto in un'informazione di estremo interesse. Il termine sumerico per indicare la mano sinistra era GUB. Halloran appone un singolare commento a questa parola, riconducendola erroneamente a HAB "puzzare; maleodorante" (variante HUB): "the left was the hand that stank from wiping excrements", ossia "la sinistra era la mano che puzzava perché usata per pulirsi dagli escrementi". L'etimologia proposta è falsa perché non è possibile in sumerico scambiare le consonanti G e H, tuttavia l'informazione riportata potrebbe ben essere fondata. Immagino che Halloran abbia attinto a qualche fonte sulle costumanze igieniche, anche se non la menziona. Se quanto dedotto fosse vero, avremmo trovato una risposta alla nostra domanda. Il costume, diffusissimo in Asia, di pulirsi il culo usando la mano sinistra - ritenuta sporca e immonda a causa di questa funzione umiliante - era già conosciuto dai Sumeri. Anzi, potrebbe essere stato proprio una loro invenzione. Quindi possiamo immaginare che, pur non essendo Semiti, le genti di Ur fossero ossessionate dalla purezza del corpo e dalla repulsione verso i suoi reflui. A questo punto l'ipotesi che ritenessero inconcepibili i rapporti oro-anali non è poi così peregrina. I nostri sforzi potrebbero essere premiati se avessimo tempo a disposizione per studiare l'immensa mole di testi dell'antica Mesopotamia, sperando che si incrementi col tempo e che possano scaturirne altre informazioni sorprendenti. 

Tutto questo è soltanto un piccolo frammento di una grande opera di antropologia che sogno di portare a termine nel giro di qualche anno, lacerando i veli con cui l'ipocrita mondo accademico tenta di nascondere la natura vera delle cose.

Su Quora ho posto il seguente quesito:

"Se volessi scrivere un approfondito trattato antropologico sulla storia dei contatti oro-anali e oro-fecali tra i popoli, come potrei reperire il materiale necessario?"

Così mi ha risposto l'utente Ugo Salvatore:

"per l’europa non riusciresti ad andare molto oltre la semplice pornografia, ed in tal senso, avresti informazioni fortemente deviate da tabù o perversioni dei singoli pornografi. già riesci ad andare un pochino oltre con i testi tipo kamasutra o indiani. per altre nazioni, non saprei dirti."

Sul momento mi sono sentito scoraggiato di fronte alle difficoltà. Adesso so che non bisogna mai arrendersi di fronte alla natura impervia dei sentieri della Conoscenza: procedendo passo dopo passo, con metodo e rigore, si possono raggiungere anche le vette più difficili.

giovedì 15 febbraio 2018

CONTRO IL SEMERANISMO

Nel panorama della pseudoscienza linguistica italiana portata avanti da rappresentanti del mondo accademico, un posto di rilievo spetta senza dubbio alle teorie di Giovanni Maria Semerano, nato a Ostuni nel 1911 e deceduto a Firenze nel 2005. Se l'idée fixe di Mario Alinei è l'origine paleolitica dei dialetti europei, il nucleo dell'edificio teorico di Semerano consiste invece nella negazione stessa dell'esistenza di una protolingua indoeuropea e in una sorta di fumoso paleocomparativismo accadico-sumerico. Il suo metodo è tutto incentrato sull'affermazione della paretimologia basata unicamente sull'assonanza. Una volta presa come metro e misura del linguaggio umano la lingua accadica - spesso e volentieri confusa con la lingua sumerica - ogni parola di una qualsiasi altra lingua viene manipolata con arti da prestidigitatore per giungere alla sua fantomatica radice mesopotamica. 

La metodologia semeraniana è particolarmente grossolana, dilettantesca, oserei dire quasi brutale. Solo per fare un esempio, prende il prenome latino Marcus e lo paragona all'accadico māru "figlio", senza nemmeno accertare il suo significato d'origine. Viene ignorato il fatto che Marcus deriva dal nome di Marte (Mars, gen. Martis), e che ha parallelismi ben chiari in osco. Sappiamo, poiché ce lo dicono gli Antichi, che il nome osco di Marte era Mamers, e si capisce subito che da questo è derivato l'antroponimo Mamercus. Quindi Marcus sta a Mars come Mamercus a Mamers. Sappiamo anche che la forma arcaica di Mars era Mauors /'ma:wors/. Così Marcus viene da un precendente *Mauortikos /'ma:wortikos/. Tutto questo è rimosso a priori da Semerano, che non esita a separare una parola da tutti i suoi parenti e a isolarla dalle dinamiche della lingua a cui appartiene per proiettarla in un mondo molto distante nello spazio e nel tempo. 

Un'altra "perla" semeraniana riguarda la parola greca ápeiron "infinito". Per il filologo di Ostuni, ápeiron non avrebbe nulla a che vedere con péras "confine" e non significherebbe "senza confini". La prova sarebbe a parer suo, l'inesplicabile alternanza tra -e- e il dittongo -ei- > /-e:-/. Ora, basta leggersi la grammatica greca di Marucco e Ricci per comprendere che ápeiron "infinito" viene da una precedente forma *ṇ-per-jom, essendo a- < *ṇ- il normalissimo prefisso negativo, ed essendo il dittongo derivato da metatesi dell'originale -j-: il mutamento è -*erj- >-eir- > /-e:r-/. Allo stesso modo mélanja "nera" è diventato mélaina. Queste cose per Semerano non rilevano, dato che la sua conoscenza proveniva essenzialmente dallo spulciare i dizionari raffazzonando assonanze. Ecco che ha inventato una fanfaluca colossale: ápeiron non significherebbe a sentir lui "infinito", bensì "polvere". La parola sarebbe venuta dal babilonese eperu "polvere, terra" e avrebbe acquistato il significato riportato sui dizionari a causa del detto biblico "polvere eri e polvere ritornerai". Tutto questo nonostante non esista un solo barlume di collegamento di ápeiron con significati come "polvere" o "terra" in tutta la letteratura greca. 

Sarebbe troppo lungo esporre in dettaglio le assurdità spacciate per etimologie in totale disprezzo del metodo scientifico. Le parole delle più svariate lingue sono trattate nelle opere di Semerano senza alcun rispetto per la loro struttura, analizzate male e fatte cozzare a dispetto di gravissimi problemi semantici. Accade così che il latino res /re:s/ "cosa" viene "spiegato" con il babilonese rēšu "testa", "capo", ma anche "unità da computare", "beni", passando sopra al fatto che in latino la -s di res è un suffisso del nominativo. Non si vede perché ricorrere ad acrobazie quando il sanscrito rāḥ "ricchezza, proprietà" (acc. sing. rāṃ, rāyaṃ) spiega tutto alla perfezione. Passando in rassegna i vari significati che res assume in latino, vediamo che il suo significato originaro non può avere a che fare col concetto di "testa". Che la parola accadica abbia proprio il significato originario di "testa" lo prova tra l'altro il suo corrispondente ebraico rōš.

Ho letto che Spadolini era preso da una profonda angoscia perché ignorava la vera etimologia di Italia. Così ha chiesto lumi a Semerano, che era per lui una specie di guru. Il filologo ha spiegato al massiccio politico che è da ritenersi errata la tradizionale etimologia che deriva Italia da vitulus "vitello" e traduce il toponimo come "Terra dei Vitelli". Questo perché vitulus ha una -i- breve, mentre la prima i- di Italia è lunga. Così ecco che per magia tira fuori dal cilindro magico un babilonese Atalu "Terra del Tramonto". Certo, non ha senso confrontare una /i/ breve con una /i:/ lunga, ma possiamo immaginarci come migliorino le cose confrontandola con una /a/! Il bello è che Spadolini se l'è bevuta. Il fatto che Esichio riporti una glossa italós "toro" è stato ritenuto irrilevante. Evidentemente è una parola tirrenica priva di relazione con vitulus < IE *wet-. Può essere utile far notare che in osco si ha la forma Víteliú /wi'telljo/ "Italia", chiaramente rimodellata sull'associazione a una parola simile al lat. vitulus. In umbro troviamo vitluf, vitlu "vitelli" (acc. pl.).

La teoria di Alinei è certo molto utile ai movimenti identitari, ai nazionalisti come ai separatisti di vario genere, perché proietta il presente nel passato più lontano postulando una continuità, accentuando così il legame col territorio. Cancella l'Ignoto, pur sostituendolo con qualcosa di falso. Per contro, la teoria di Semerano svolge un compito politico del tutto diverso. Lo stesso autore scrisse: "Le nostre pagine mirano a colpire ideologie deleterie, che sfociano nel razzismo, le stesse che nell'antichità divisero Indoeuropei e popoli antichissimi non-Indoeuropei, tra noi Arii, dominatori, e Semiti “complesso etnico inferiore”." Addirittura arrivò a dire: "Le perfidie etimologiche ebbero l'ardire di appollaiarsi al posto della Storia". In realtà è stato proprio lui a fare propaganda conducendola senza scrupoli, falsificando in modo sistematico la linguistica, la Storia e la stessa logica. Il fine ultimo del becero paleocomparativismo semeraniano è la distruzione della linguistica indoeuropea perché creduta l'origine delle dottrine naziste. Il ragionamento - assolutamente fallace - è molto semplice ed enunciabile in questi termini: "Adolf Hitler ha fondato il mito della razza Ariana e della sua superiorità su ragioni linguistiche, ossia sul concetto di protolingua indoeuropea, quindi cancellando tale concetto ecco che si sconfigge anche l'hitlerismo e ritornano i Puffi". Secondo questi deliri, una protolingua comune ricostruita a livello teorico a partire da lingue attestate implicherebbe per necessità un popolo unitario, compatto e dotato di caratteristiche semidivine. Basta qualche ragionamento sul Nazionalsocialismo e sul contesto in cui nacque per comprendere l'assurdità di queste tesi. Il razzismo scientifico ottocentesco e novecentesco ha la sua chiara origine nelle dottrine evoluzionistiche di Darwin. Hitler non è certo diventato un darwinista sociale e un antisemita radicale studiando grammatiche di sanscrito! In questa Italietta si fa di tutto per banalizzare ciò che si teme e che non si capisce (ecco che i nazisti diventano "quei brutti-cattivi che hanno paura del diverso e non vogliono l'amico negretto a scuola"), così non deve stupire se le mostruose baggianate dell'indoeuropeo come "razzismo linguistico" hanno trovato fertile terreno. Per quanto riguarda il razzismo di origine darwinista, giova notare che quando nacque e crebbe non si conosceva nemmeno l'esistenza del DNA. Nessuno sembra considerare che è cosa a dir poco stolta pensare di combattere un'ideologia servendosi di palesi fabbricazioni.

Non appartengo certo al novero dei neogrammatici e sono il primo a riconoscere l'importanza dei sostrati preindoeuropei. Profondo molte energie nella loro ricostruzione e nel tentativo di comprenderne l'origine ultima. Non condivido coloro che tentano di negare l'esistenza dei sostrati ricostruendo protoforme indoeuropee improbabili per ogni singola oscura parola. I rapporti tra lingue semitiche, protolingua indoeuropea e lingua sumerica devono essere studiati seguendo il metodo scientifico. Lungi da me ogni forma di razzismo linguistico! Proprio per questo riconosco nel semeranismo un grave pericolo. Il Semeranismo, come l'Alineismo, persegue finalità politiche stravolgendo i dati di fatto accertabili e conoscibili, quindi si serve della menzogna e al contempo la serve.

L'accoglienza dell'opera di Semerano in svariati ambienti politici della sinistra italiana è stata putacaso a dir poco entusiastica. Si riporta ad esempio l'opinione di Massimo Cacciari, che esaltò i ponderosi tomi dello studioso di Ostuni come "una festa per l'intelligenza". Altri semeranisti sfegatati sono il filosofo Emanuele Severino, il filosofo Umberto Galimberti, il filologo Luciano Canfora e lo storico Franco Cardini. Anche il defunto esoterista Elémire Zola è ascrivibile a questo novero. Il sostegno alle dannose favole semeraniane è trasversale e più diffuso di quanto non si possa credere. Si segnala la piaggeria stomachevole dei quotidiani, in particolare Repubblica, che ha addirittura avuto l'ardire intitolare un articolo "Il linguista che fa tremare l'accademia". Anche se non sono comuni come i troll alineisti, i troll semeranisti esistono nel Web. Basti guardare la sezione "Discussione" nella pagina della Wikipedia in italiano dedicata a Semerano, in cui un linguista ha subìto aggressioni verbali. In Sardegna, dove il paleocomparativismo regna sovrano, imperversano due fazioni opposte: i feniciomani, che attribuiscono l'origine della lingua sarda ai Fenici, e i sumeromani, che l'attribuiscono invece ai Sumeri. I sumeromani si sono parzialmente sovrapposti ai semeranisti, dando origine a episodi anche poco piacevoli, come i violenti attacchi al linguista Eduardo Blasco Ferrer (R.I.P.), che è stato perseguitato come un martire cristiano sotto Diocleziano.

Ho visto cose che voi umani... Ho visto semeranisti strepitare e tirare in ballo Giordano Bruno, paragonando gli indoeuropeisti all'Inquisizione, il tutto dopo aver coperto di contumelie i loro interlocutori. A questo punto possiamo farci una domanda. Chi ha interesse a fomentare tutta questa pseudoscienza, tutta questa disinformazione linguistica? Eh, penso che sia possibile fare qualche ipotesi. Le radici degli studi di Semerano sono esoteriche. Ricordo che anni fa, un affiliato a una loggia massonica se ne uscì con un'etimologia ridicola: egli separava "dannato" da "dannazione" e da "danno" (latino damnatus, damnatio e damnum rispettivamente), per sostenere a spada tratta che la sua origine sta nel greco thánatos "morte". Per lui l'identità dannato - thánatos era un dato di fatto, a cui aggiungere qualche fumisteria esoterica. Come criticai la sua falsa etimologia, andò su tutte le furie. Era forse un semeranista? No, a quanto pare non aveva mai sentito parlare di Giovanni Semerano. Tuttavia la metodologia di cui faceva sfoggio era identica. C'è da riflettere.

giovedì 8 febbraio 2018

ETRUSCO ZAMTHI- 'ORO' - LATINO SANTERNA 'CRISOCOLLA'

Una fibula d'oro porta la seguente iscrizione in lingua etrusca (ET Cl 2.3): 

mi araθia velaveśnaś zamaθi mamurke mulvenike tursikina

La traduzione è molto semplice:

"io sono l'oro di Arath Velavesna, Mamurce Tursikina <mi> ha donato"

Il lemma zamaθi significa "oro", anche nel senso di "oggetto d'oro", "gioiello d'oro". Anche in italiano si usa "gli ori" in una simile accezione. Purtroppo, dal momento che questo uso della parola "oro" non si trova in inglese, gli accademici anglosassoni si rifiutano di credere a questa traduzione, così insistono col voler tradurre zamaθi con "fibula". Nonostante sia stato fatto notare che un tempo l'inglese gold poteva indicare anche un oggetto d'oro e non soltanto il metallo in sé, nessuno sembra averne preso atto. Ricordo ancora polemiche furibonde nate dalla discussione di questo argomento. Sappiamo che gli anglosassoni hanno la brutta tendenza ad applicare le categorie della propria lingua all'intero Universo, cosa che spesso li porta in un vicolo cieco. Se in una qualsiasi lingua una parola traduce sia "gold" che "golden object" o "golden jewel", ci sono persone che vanno fuori di testa e hanno un subitaneo travaso di bile. Impossibile, essi dicono, arrivando a diventare più paonazzi del fallo di un priapico imbottito di viagra. Seguendo voli pindarici, ci fu persino chi arrivò a ipotizzare una parentela con l'urritico zalamši-, zalmatḫi- "statua" (un prestito dall'accadico ṣalmu "statua") - e questo a dispetto della materialità dell'oggetto (!), come se le difficoltà semantiche fossero irrilevanti.

Ora elenchiamo due dati di fatto incontrovertibili:

1) La radice in analisi compare anche nel Liber Linteus come forma aggettivale zamθi-c "d'oro, aureo" con la variante zamti-c. Il testo ha caperi zamθic (VIII, 10) e caperi zamtic (XII, 12), traducibile come "nel vaso d'oro", nel qual caso dovremmo ammettere un aggettivo indeclinabile. Data la scarsa comprensione di entrambi i passaggi del documento in cui compaiono le riportate attestazioni, potrebbero anche esistere altre soluzioni, anche se risulta evidente che il significato di "fibbia" non ci azzecca proprio per nulla.

2) Esiste in latino il vocabolo santerna "crisocolla", che non viene semplicemente considerato dagli etruscologi, a dispetto della sua terminazione caratteristica. La crisocolla, a scanso di equivoci, è un minerale non pregiato, che all'epoca veniva utilizzato per l'estrazione del rame e per la produzione di un omonimo pigmento, anche noto come colla d'oro, viride, verde di banda, hispanicum, lutea e orobitis. Appartiene alla famiglia dei silicati e ha un bel colore verde brillante o bluastro. La classificazione Strunz è 9.ED.20 e la formula chimica è (Cu,Al)2H1Si2O5(OH)4·n(H2O). Benissimo. Dovrebbe saltare all'occhio che crisocolla (lat. chrysocolla) è dal greco χρυσόκολλα, che deriva direttamente da χρυσός "oro". È del tutto lapalissiano dedurre che il termine santerna è direttamente dall'etrusco *zamθerna e che zamθi- è proprio la traduzione del greco χρυσο-! Fine della dimostrazione. 

Si noterà che l'enigmatico termine greco ξανθός /ksan'thos/ "giallo" è un relitto pre-ellenico imparentato con il lemma etrusco in analisi.

Concludo con una riflessione. Se si dimostra qualcosa con l'uso della logica, giungendo alla certezza dove regnava il dubbio, bisogna far in modo esista un'autorità scientifica in grado di porre la parola fine a ogni disputa e alla proliferazione di inutili quanto nocive ipotesi pseudoscientifiche. Teorie vecchi e superate, ormai smentite dai fatti, non dovrebbero saltare fuori come cadaveri putrefatti da una palude. Invece si nota che manca ogni forma elementare di controllo sulle falsità palesi e di diffusione attiva delle informazioni attendibili, evidentemente perché i settari archeologi si oppongono con ogni mezzo: sembra che ci sia un diffuso interesse a impedire di giungere a una buona conoscenza della lingua dei Rasenna. 

mercoledì 3 agosto 2016

PROVE ESTERNE E INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: LATINO SICERA, GRECO SIKERA, EBRAICO SHEKHAR

In ebraico il termine שכר šēkhār /ʃe:'xa:r/ indicava una bevanda fermentata ottenuta da una decozione di cereali, frutta e miele. Era un potente inebriante, tipico del paese di Canaan. La storia dell'adattamento di questa parola nelle lingue dell'Occidente è antica e complessa. Si può dire che il termine ebraico sia passato in greco divenendo σίκερα (sikera), ma è più probabile che il prestito sia avvenuto già in epoca antica a partire da una lingua semitica diversa, probabilmente l'accadico, in cui la birra d'orzo era chiamata sikaru(m), sikru(m). Infatti l'ebraico mostra una consonante fricativa -kh- derivata dalla lenizione della precedente occlusiva -k-, che invece è conservata in greco. Se il termine fosse passato in greco dall'ebraico in epoca tarda, posteriore alla lenizione, il suono -kh- sarebbe stato reso con un'aspirata greca, scritta con la lettera -χ-. Inolte in Tracia è attestato Σικερηνος (Sikerenos) come epiteto di Apollo: senza dubbio trae il nome dalla bevanda, a dimostrazione dell'antichità del termine. La radice semitica ultima da cui sia la forma accadica che quella ebraica derivano ha il significato di "ubriacarsi", "intossicarsi" (es. ebraico šākhar). La traduzione più propria sarebbe quindi "bevanda intossicante (diversa dal vino)".  

Nella lingua neoebraica parlata oggi in Isreaele, che è una vera conlang creata da Ben Yehuda, la parola שכר šēkhār è usata per indicare la birra, pur essendo questa corrispondenza abbastanza impropria. La bevanda usata nell'antica Israele era forte e non somigliava molto alla debole birra dei nostri tempi. Potrebbe invece essere usata per designare certe birre speciali ad alta gradazione, potenti quasi come il vino.

Dal greco sikera la parola è passata in latino come sicera, e da questa forma deriva l'antico francese cisdre, divenuto poi cidre. Infine dal francese cidre è passato in italiano come sidro e in inglese come cider. Proprio il termine sidro è spesso utilizzato nelle traduzioni bibliche per rendere l'ebraico שכר, per quanto il paragone con il succo di mela fermentato non si molto più sensato del paragone con la birra moderna. Il sito Etimo.it, nonostante contenga non di rado proposte etimologiche datate e non sia esente da errori, per quanto riguarda la parola sidro fa bene il punto della situazione:


"sídro a. fr. cisdre, mod. cidre; sp. sira, ant. sizra (ing. cider; celto: gall. <s>eider : dal lat. SÍCERA = gr. SÍKERA contratto in SIC'RA, d'onde SIDRA) voce venuta dall'oriente: ebr. schêkâr qualunque bevanda fermentata ed esilarante [ebr. schâkar essere avvelenato]
  Specie di bevanda fermentata, che si prepara col succo delle mele: anticamente Cidra e Siccera." 

Ora, i sostenitori della pronuncia ecclesiastica del latino, che credono alla presenza in tale lingua di suoni palatali ab aeterno, devono per necessità postulare che la parola sicera dovesse suonare /'sitʃera/ fin dalla sua comparsa nell'Urbe, contraddicendo così la sua chiarissima etimologia e fallendo una volta di più nei loro vani tentativi di ammettere la natura primitiva del suono /tʃ/. Invece è ben evidente che la forma latina suonasse come in greco /'sikera/, che la palatalizzazione avvenne soltanto in epoca tarda, ponendo le basi della forma francese antica cisdre di cui sopra (chiaramente l'elemento la grafia c- è frutto di ipercorrettismo, mentre l'occlusiva dentale -d- è sorta dallo scontro di -s- con -r-).

sabato 25 giugno 2016

IL MAGONE: UNA FALSA ETIMOLOGIA DA UNA STORIELLA SCOLASTICA

Girando nella Rete, che tanto ha contribuito a diffondere una forma contagiosa di ignoranza, mi sono imbattuto in un'assurda narrazione. Secondo non poche persone, la locuzione "avere il magone", che significa "essere triste", deriverebbe dal nome del generale cartaginese Magone. Per giustificare quest'insana fantasticheria, costoro citano fatti storici estratti a viva forza da qualche manuale scolastico, dando spiegazioni cervellotiche quanto vane. 

Sia ben chiaro, il magone non ha nulla a che spartire col nome del condottiero di Cartagine, fratello di Annibale. Si tratta di una mera assonanza o coincidenza fortuita, cosa non infrequente quando le parole hanno una struttura fonetica abbastanza semplice. 

Il termine magon /ma'gun/ indica nel Nord Italia il ventriglio degli uccelli, ossia il loro stomaco. La locuzione avegh el magon (milanese) ed equivalenti nei vari dialetti galloitalici significa alla lettera "avere il gozzo", quindi "avere un groppo in gola", da cui "essere triste". L'origine germanica del vocabolo è ben chiara. Il termine di partenza deve essere stato il longobardo *mago, gen. *magon, *magun "stomaco, ventriglio". Tuttora vi sono corrispondenze precise in lingue germaniche viventi. Tedesco Magen "stomaco". Inglese maw "ventriglio".

Eppure la vera etimologia è osteggiata in modo aperto e giudicata assurdamente un'etimologia popolare, mentre la paretimologia nata dall'assonanza è ritenuta autentica.

Questo è riportato da Sapere.it, che pure non è un sito di complottisti:


"Il modo di dire "avere il magone" è piuttosto antico e ci sono due possibili spiegazioni, una colta e l’altra popolare; la prima si riferisce a Magone Barca, che comandò la battaglia della Trebbia contro i Cartaginesi durante la II guerra Punica (218 a.C.). Petrarca narrò della morte di Magone, che avvenne durante il suo viaggio verso Cartagine dopo la distruzione di Genova, nel suo poema Africa. 
Ecco perché si è poi attribuito al sostantivo “magone” il significato di triste rimpianto, nodo alla gola che precede il pianto provocato da una brutta notizia."

Segue l'esposizione quasi rituale della spiegazione corretta del magone, giudicata invece come "popolare" e implicitamente come inaffidabile. Ma che affidabilità ha mai la spiegazione "dotta"? Per gli autori di Sapere.it, tutto sarebbe nato dalla poesia di Petrarca, Africa, talmente vivida che chi la lesse si immedesimò nelle genti di Cartagine sconvolte dal lutto per la perdita del loro condottiero. Come dire, quando Napoleone fu sconfitto a Waterloo, si diffuse tra le genti di Francia tale scoramento, che da allora per dire "essere triste" si diffuse una nuova locuzione: "avere il napoleone". Basterebbe il grottesco di una simile barzelletta per esporre la trovata al pubblico ludibrio. 

Assurdità dello stesso tenore, corredate da ulteriori dettagli e da una spiegazione un po' differente, si ritrovano in un articolo apparso sul sito Placidasignora.com


Anche in questo caso, la spiegazione genuina del magone è attaccata e giudicata "popolare", quindi frutto dell'ignoranza, mentre la fanfaluca del generale cartaginese viene osannata, difesa come "dotta" e le viene attribuita una specifica origine genovese. Al contempo, si condannano i dizionari della lingua italiana perché prendono per buona la spiegazione "popolare", per di più "senza dare spiegazioni". Secondo la Placida Signora, una vecchia conoscenza dei tumultuosi tempi di Splinder (ricordo ancora quel suo amico che mi soprannominava "Freikorps"), siccome Magone devastò Genova, avrebbe causato un indelebile trauma ai suoi abitanti, che avrebbero tramandato il suo nome come sinonimo di tutto ciò che è funesto. La logica è ancora una volta posticcia. Come dire, avendo le orde di Hulagu Khan raso al suolo Baghdad apportandovi una spaventosa distruzione, si diffuse tra i superstiti della città annientata un tale scoramento, che da allora per dire "essere triste" si diffuse una nuova locuzione: "avere l'Hulagu Khan". Ancora una volta un'assurdità patente.  

In realtà, eliminare la costruizione scolastica di un'origine da Magone e difendere il parallelismo con il tedesco Magen è una delle più semplici e sensate applicazioni del Rasoio di Occam. Anche se in non poche occasioni tale strumento logico si presta ad abusi, in questo caso la sua applicazione non presenta problema alcuno ed è del tutto legittima. Delle due spiegazioni, la più semplice tende ad essere quella giusta. Se poi si considera che l'origine del magone dalla storiella di Magone è difesa soprattutto da autori di Genova per motivi di fiero campanilismo, il resto segue: è stato un insegnante genovese a fabbricare la falsa etimologia e sono tuttora suoi concittadini a cercare di imporla, perché la sentono legata al patrimonio culturale della loro città. L'origine scolastica è ben chiara. Per essere eufemistici, è ben lecito nutrire seri dubbi sul fatto che i Genovesi ricordino sul serio per trasmissione diretta la distruzione della città ad opera di Magone. Genova non ricorda Magone più di quanto Milano ricordi il goto Uraia. Troppi secoli sono trascorsi, troppe cose sono cambiate. L'antica lingua ligure, di ceppo indoeuropeo e preceltica, che era parlata ancora all'epoca di Seneca, si è estinta ed è stata soppiantata dal latino volgare che si è evoluto in una varietà romanza nel corso dei secoli. 

Il nome del condottiero cartaginese, trascritto Mago /'ma:go:/ o Magon /'ma:go:n/ dai Romani e Μάγων dai Greci, viene chiaramente dal punico: magōn (scritto mgn) significava "scudo". La parola corrisponde in modo perfetto all'ebraico מגן māgēn "scudo". Spesso alla -e:- lunga ebraica il punico rispondeva con -o:- lunga. Così neopunico molchomor "sacrificio di un agnello" (creduto per errore una glossa di Agostino d'Ippona; attestato nelle iscrizioni di N'Gaous) - da pronunciarsi /molχo'mo:r/ - in cui omor /o'mo:r/ "agnello" corrisponde alla perfezione all'ebraico אמר immēr "agnello", accadico immeru "pecora"

sabato 9 aprile 2016

ROMANESCO COATTO MARANGA, MARANCA 'TEPPISTELLO'

A Roma la parola maranga (variante maranca) indica un bullo che, a differenza del coatto, ha la sua ragion d'essere nella vigliacca persecuzione delle persone più deboli e su queste infierisce senza pietà. Alcuni la traducono semplicemente con "teppistello". La sua origine è ritenuta oscurissima: l'unico tentativo etimologico che ho trovato non risulta davvero convincente. Circola infatti nel Web l'idea che il vocabolo abbia un'origine onomatopeica: "termine d'etimologia incerta, probabilmente con accostamento bestiale scimmiesco". Veniamo così ad apprendere, con grande stupore, che le scimmie urlando articolano i seguenti suoni: "Marang! Marang!" Peccato che tutto ciò sia incredibilmente stupido. Occorre cercare qualcosa che sia più sensato di queste proposte farlocche, che sono come sterpi ed erbacce.

In realtà l'origine ultima di maranga, maranca "teppistello" (< "individuo brutale") è l'omonimo vocabolo che indicava la scure. Lo slittamento semantico diretto da "scure" a "individuo brutale" sarebbe ben comprensibile, ma l'attestazione di maranga "arruffone, che lavora alla carlona" (Lurati / Pinana, 1983, 276) implica una complessa catena di passaggi, che vediamo di analizzare.

La parola marra "zappa, ascia, scure", documentata già in latino, è di origine preromana. Non esiste alcuna connessione indoeuropea credibile, mentre si trovano paralleli interessanti nell'ambito dell'antico egiziano e dell'accadico: 

antico egiziano (dall'Antico Regno):
mr "zappa", da pronunciarsi /mar/ 

accadico:
marrum "vanga, pala" Si trattava di una lama triangolare che poteva essere usata come zappa o come ventilabro.

siriaco (aramaico):
mar "zappa" < accadico

ebraico mishnaico:
mar "zappa" < accadico

L'origine ultima di questi vocaboli culturali è il sumerico ngar (variante mar) "vanga, pala; ventilabro". Il quella lingua il fonema ng /ŋ/ alterna molto spesso con m (vedi Halloran, Sumerian Lexicon).  

Per tornare a noi, è alquanto probabile che il termine marra avesse una grande diffusione tra le lingue preromane della penisola. Infatti da questa radice deriva *marranca, con un suffisso molto produttivo, -anc-, che è caratteristico dell'antica lingua dei Liguri - anche se in realtà era vitale in un'area ben più estesa.

Tramite il suffisso latino -o (gen. -onis) sono stati formati due discendenti di questo *marranca, che sono ben documentati in territori tra loro molto lontani. Si tratta di marangone "palombaro" e di marangone "falegname".

È chiaro che la denominazione del falegname tragga la sua diretta origine da quella della scure, suo abituale strumento di lavoro. La denominazione del palombaro è un calco del nome del pellicano e di altri uccelli marini. Il latino pelecanus viene dal greco πελεκάν (variante πελεκανός "folaga"), a sua volta da πέλεκυς "ascia", per la forma del suo becco. Così marangone è stato coniato col senso originario di "pellicano" da *marranca, traduzione della parola greca per "ascia". Da "pellicano" (poi "cormorano", "smergo") il vocabolo è giunto a indicare il palombaro a causa degli usi dell'uccello marino, che si immerge tra i flutti per procacciarsi il cibo. Questi slittamenti semantici di certo potranno sembrare poco comprensibili al lettore, ma alla luce della documentazione sembrano indubitabili. Questo perché si tende a valutare lo slittamento a partire dalla forma iniziale e dai risultati finali come se il passaggio fosse avvenuto in un lasso di tempo ristrettissimo, mentre in realtà ci sono voluti molti secoli, il processo essendo avvenuto tramite piccoli passi impercettibili. 

A questo punto si vede come si sia potuto formare maranga "lavoratore grossolano". Da questo significato si è giunti a "individuo rozzo", quindi a "individuo bruto, violento e manesco", che ha dato il lemma coatto. In certi gerghi giovanili la parola è giunta a significare "nordafricano" e ad essere usata come sinonimo delle voci maruego e magrebba, che provengono chiaramente dal nome del Marocco (Maghreb).  

Rimando a questo punto a un articolo bellissimo e completo di Christian Schmitt (Università di Bonn) sull'etimologia di marangone "palombaro" e marangone "falegname", che invito tutti a leggere: 

mercoledì 31 dicembre 2014

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL'ETIMOLOGIA DI APE

Questo scrisse Watt sul suo scomparso blog Etymos a proposito dell'etimologia della parola ape: 

ape - Di etimo incerto, dice il DELI che tra l'altro riporta il latino ape(m). Mentre qualcosina, ma che può bastare rispetto al nulla, ci racconta Semerano: apis -is: se ne ignorò l'etimologia. Deriva da Accadico apu (punta, spina), appu (punta, insetto). 

Questi sono gli interventi da me apposti all'epoca della pubblicazione dell'intervento di Watt:

1) È un caso davvero oscuro. A parer mio la fonte ultima è l'egiziano antico bjj.t ('ape; miele'), anche se tramite una lingua ignota. Si noti in ogni caso come in etrusco il termine apiana 'camomilla; moscatello' potrebbe contenere la stessa radice. L'esito copto della forma egizia è ebiō 'miele' (con l'accento sulla lunga). Il raffronto dato da Semerano non è convincente: le due forme sembrano isolate, e la semantica è poco chiara.

2) Spiego meglio le difficoltà. In nessuno dei libri a mia disposizione ho trovato le forme date da Semerano; non trovo nulla di simile nell'intero database etimologico di Starostin relativo alle lingue afroasiatiche; le due parole non sembrano essere neppure di origine sumerica. La mia impressione è che si tratti di arcaismi o di lemmi marginali che devono essere studiati attentamente. Tra l'altro non è affatto detto che la parola che indica l'insetto sia imparentata con quelle che indicano la punta, la spina (esistono moltissimi insetti sprovvisti di pungiglione e non si capisce bene quale tipo di artropode fosse chiamato appu in accadico). Le omofonie in accadico sono numerosissime.

A distanza di tempo sono giunto a una conclusione netta: a fungere da tramite tra la forma egiziana e quella latina è stata la lingua etrusca. A partire dal materiale antroponimico, dalle iscrizioni, dalle glosse e dai resti nella lingua latina si può ricostruire quanto segue:

api-, *apei-, *apai- "ape" (1)
api- "dolce" (2)
*ap-ia "appio", lett. "<erba> delle api" (3)
apia-na "camomilla"; "moscatello" (4)
ap(a)ia-tru "melissa"; "gruccione" (5)
apei-na "apiario"; "apicoltore" (6)

(1) La forma base è attestata come gentilizio Api (m.), Ap-ia (f.). Si nota anche Api-e (m.), da un'originaria forma aggettivale.
(2) L'iscrizione θi api-ta (REE 50 n. 103) significa "questa <è> acqua dolce", ossia dolcificata con miele.
(3) È la forma da cui il latino ha tratto apium "appio, sedano selvatico"
(4) Nel senso di "camomilla" è una glossa dello Pseudo Apuleio (ThLE 415). Nel senso di "moscatello" la parola è penetrata in latino. Attestato anche come gentilizio (CIE 6).
(5) È attestato come gentilizio. Traduce latino apiaster "melissa" e apiastrum "gruccione o merope".
(6) È attestato come gentilizio. Traduce latino apiarium "arnia" e apiarius "apicoltore"

Alcune di queste deduzioni sono state fatte dal prof. Massimo Pittau, che ha introdotto un metodo innovativo e molto interessante per approfondire lo studio del lessico etrusco - anche se purtroppo in diversi casi è giunto a conclusioni inattendibili.

Per quanto riguarda Semerano, i suoi lavori sono da collocarsi nel novero delle opere fantalinguistiche. Negano infatti alla radice ogni fondamento del metodo scientifico, essendo basati sul principio dell'assonanza, seguendo una procedura molto comune nel mondo dell'esoterismo. Forniscono esempi eloquenti di questa ermeneutica coloro che separano dannato da dannare, dannazione e danno per connetterlo direttamente con il greco thanatos - oppure coloro che fanno derivare Maddalena dal toponimo Migdal-Eder, ossia Torre del Gregge (Gen. 35, 21), senza nemmeno cercare la voce in un vocabolario di ebraico, che darebbe Magdalith - chiaramente da Magdala. Così considero tutto questo come un tentativo di abolire la chimica moderna per ritornare a Paracelso e a Cornelio Agrippa. Tra i sostenitori di Semerano si può citare Massimo Cacciari, che ha definito tutto questo "una festa per l'intelligenza". È evidente che l'autore in questione gode di ampio credito in molti atenei per via di una fallacia logica chiamata Reductio ad Hitlerum. L'argomento è il seguente: "Siccome il Nazionalsocialismo ha commesso immensi crimini sulla base del concetto di razza ariana, e questo è a sua volta fondato su considerazioni linguistiche, ne consegue che il concetto di lingua indoeuropea debba essere necessariamente falso". È necessario precisare che si tratta di un paralogismo o sillogismo fallace? Sì, penso che sia necessario.