Una fibula d'oro porta la seguente iscrizione in lingua etrusca (ET Cl 2.3):
mi araθia velaveśnaś zamaθi mamurke mulvenike tursikina
La traduzione è molto semplice:
"io sono l'oro di Arath Velavesna, Mamurce Tursikina <mi> ha donato".
Il lemma zamaθi significa "oro", anche nel senso di "oggetto d'oro", "gioiello d'oro". Anche in italiano si usa "gli ori" in una simile accezione. Purtroppo, dal momento che questo uso della parola "oro" non si trova in inglese, gli accademici anglosassoni si rifiutano di credere a questa traduzione, così insistono col voler tradurre zamaθi con "fibula". Nonostante sia stato fatto notare che un tempo l'inglese gold poteva indicare anche un oggetto d'oro e non soltanto il metallo in sé, nessuno sembra averne preso atto. Ricordo ancora polemiche furibonde nate dalla discussione di questo argomento. Sappiamo che gli anglosassoni hanno la brutta tendenza ad applicare le categorie della propria lingua all'intero Universo, cosa che spesso li porta in un vicolo cieco. Se in una qualsiasi lingua una parola traduce sia "gold" che "golden object" o "golden jewel", ci sono persone che vanno fuori di testa e hanno un subitaneo travaso di bile. Impossibile, essi dicono, arrivando a diventare più paonazzi del fallo di un priapico imbottito di viagra. Seguendo voli pindarici, ci fu persino chi arrivò a ipotizzare una parentela con l'urritico zalamši-, zalmatḫi- "statua" (un prestito dall'accadico ṣalmu "statua") - e questo a dispetto della materialità dell'oggetto (!), come se le difficoltà semantiche fossero irrilevanti.
Ora elenchiamo due dati di fatto incontrovertibili:
1) La radice in analisi compare anche nel Liber Linteus come forma aggettivale zamθi-c "d'oro, aureo" con la variante zamti-c. Il testo ha caperi zamθic (VIII, 10) e caperi zamtic (XII, 12), traducibile come "nel vaso d'oro", nel qual caso dovremmo ammettere un aggettivo indeclinabile. Data la scarsa comprensione di entrambi i passaggi del documento in cui compaiono le riportate attestazioni, potrebbero anche esistere altre soluzioni, anche se risulta evidente che il significato di "fibbia" non ci azzecca proprio per nulla.
2) Esiste in latino il vocabolo santerna "crisocolla", che non viene semplicemente considerato dagli etruscologi, a dispetto della sua terminazione caratteristica. La crisocolla, a scanso di equivoci, è un minerale non pregiato, che all'epoca veniva utilizzato per l'estrazione del rame e per la produzione di un omonimo pigmento, anche noto come colla d'oro, viride, verde di banda, hispanicum, lutea e orobitis. Appartiene alla famiglia dei silicati e ha un bel colore verde brillante o bluastro. La classificazione Strunz è 9.ED.20 e la formula chimica è (Cu,Al)2H1Si2O5(OH)4·n(H2O). Benissimo. Dovrebbe saltare all'occhio che crisocolla (lat. chrysocolla) è dal greco χρυσόκολλα, che deriva direttamente da χρυσός "oro". È del tutto lapalissiano dedurre che il termine santerna è direttamente dall'etrusco *zamθerna e che zamθi- è proprio la traduzione del greco χρυσο-! Fine della dimostrazione.
Si noterà che l'enigmatico termine greco ξανθός /ksan'thos/ "giallo" è un relitto pre-ellenico imparentato con il lemma etrusco in analisi.
Concludo con una riflessione. Se si dimostra qualcosa con l'uso della logica, giungendo alla certezza dove regnava il dubbio, bisogna far in modo esista un'autorità scientifica in grado di porre la parola fine a ogni disputa e alla proliferazione di inutili quanto nocive ipotesi pseudoscientifiche. Teorie vecchi e superate, ormai smentite dai fatti, non dovrebbero saltare fuori come cadaveri putrefatti da una palude. Invece si nota che manca ogni forma elementare di controllo sulle falsità palesi e di diffusione attiva delle informazioni attendibili, evidentemente perché i settari archeologi si oppongono con ogni mezzo: sembra che ci sia un diffuso interesse a impedire di giungere a una buona conoscenza della lingua dei Rasenna.
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