Visualizzazione post con etichetta lingua aramaica. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta lingua aramaica. Mostra tutti i post

venerdì 31 agosto 2018


IL PROCESSO DI SAN CRISTÓBAL

Titolo originale: The Portage to San Cristóbal of A.H.  
Autore: George Steiner
Anno: 1981
Paese: Regno Unito
Lingua: Inglese
Tipologia narrativa: Romanzo
Genere: Fantapolitica, romanzo filosofico 
Editori: 
   Faber and Faber (UK)
   Simon & Schuster (USA)
Date di pubblicazione:   

  Maggio 1981 (UK)
  Aprile 1982 (USA)
Pagine: 128 (prima edizione)

Trama:

Emmanuel Lieber è un sopravvissuto all'Olocausto, che dalla sua base a Tel Aviv dirige un gruppo di cacciatori di nazisti. È un uomo spiritato, sorretto unicamente dalla sua fede incrollabile nel fatto che Adolf Hitler sia ancora in vita e si nasconda in un'impervia regione dell'Amazzonia. Questi sono i cacciatori, anche loro sopravvissuti all'Olocausto tranne uno: 

1) Simeon, comandante del gruppo e braccio destro di Lieber; 
2) Gideon Benasseraf, un uomo febbricitante, che si è unito a Lieber dopo essere stato dimesso da un sanatorio; 
3) Elie Barach, ebreo ortodosso e rabbino cabalista;
4) Isaac Amsel, un diciottenne, figlio di Isaac Amsel senior, morto in una precedente spedizione in Sudamerica; 
5) John Asher, che sotto il Reich sarebbe stato definito Mischling - ossia ebreo per metà; affascinato dalla cattura di Martin Bormann si è rivolto al cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal, venendo così presentato a Lieber.

Dopo mesi estenuanti, i cacciatori raggiungono finalmente l'uomo di Braunau am Inn, lo sorprendono in una radura e lo catturano. A questo punto cominciano le difficoltà serie. L'intenzione è quella di portare l'illustre prigioniero fino al più vicino campo aereo, Orosso, ma il gruppo perde il contatto radio con Lieber e la sola opzione possibile è un percorso massacrante attraverso la giungla e le paludi. Lieber aveva intimato ai suoi uomini di non lasciar parlare Hitler per nessun motivo, e questo per paura che potesse incantare i suoi carcerieri con le sue arti magiche, veicolate dalla parola. Invece viene deciso, contro questo imperativo, di raggiungere San Cristóbal e di istituire un tribunale per processare il Führer. A presiedere il tribunale è Simeon, mentre l'indigeno Teku funge da testimone indipendente. A questo punto Hitler pronuncia un discorso, articolando la propria difesa in quattro punti. Queste sono le tesi esposte:

i) Adolf Hitler prese le sue dottrine razziali dagli stessi Ebrei, modellandole sul concetto di Popolo Eletto e di purezza ("Il mio razzismo è una parodia del vostro");
ii) Adolf Hitler giustifica la Soluzione Finale con la necessità di porre fine al ricatto morale di un Dio che pretende dall'essere umano più di quanto questi posssa per sua natura dare ("Il virus dell'utopia deve essere fermato"); 
iii) Adolf Hitler afferma di non essere l'origine del Male, dato che Stalin ha portato il concetto di genocidio a un grado di perfezione inimmaginabile, al cui confronto i crimini del Reich rimpiccioliscono, si fanno nani;
iv)
Adolf Hitler afferma che il suo Reich ha generato lo Stato di Israele e sostiene di essere il Messia, "le cui infami azioni sono state permesse da Dio allo scopo di far tornare a casa il Suo popolo".

Teku non comprende una sola sillaba dell'arringa di Hitler, che ascolta però con grande attenzione, rimanendono molto impressionato. Alla fine salta e urla una sola parola: "Giudicato!" ("Proven!" nel testo originale). A questo punto irrompe il rumore assordante delle pale degli elicotteri e l'ombra copre ogni cosa.


Recensione:

Il romanzo è una robusta ucronia che si legge sempre volentieri, anche se non va nascosto che è scritto in un modo un po' pesante. Talvolta si fa fatica a seguire i dialoghi, ci sono repentini cambiamenti di scena, non sempre facili da comprendere. Nonostante questi limiti stilistici, le sue pagine dicono la Verità nuda e cruda. Se la narrazione può essere spigolosa e a tratti indigeribile, nondimeno ha il grandissimo pregio di osare affermare che lo Stato di Israele deve la sua esistenza soltanto a una persona: Adolf Hitler. Ha anche un altro pregio, a parer mio incommersurabile: quello di aver mostrato le spinose connessioni tra le dottrine nazionalsocialiste e l'Antico Testamento, contrastando con vigore la stoltezza di coloro che vedono Hitler come un alieno piovuto sulla Terra dal Nulla. George Steiner non è un antisemita raccattato in un social complottista: è un genuino israelita, avversato proprio perché le sue idee sono controcorrente e scomode. Si è sempre mostrato critico nei confronti delle dottrine sioniste, giungendo a considerare tirannico lo Stato di Israele e per contro ad esaltare le culture ebraiche nate dalla Diaspora, che in Medio Oriente hanno trovato la loro dissoluzione. Egli sostiene che la vera anima del popolo ebraico è proprio la sua condizione apolide. Una cultura che fiorisce quando gli Israeliti sono ospiti e vagabondi tra i Gentili, mentre appassisce sotto la dura oppressione dell'ideologia sionista, che imponendo l'uso della lingua neoebraica ha contribuito alla cancellazione dello Yiddish e di un gran numero di altre idiomi.

La materializzazione di Adolf Hitler 

L'autore ci illumina sull'esistenza di una bizzarra superstizione, a quanto pare assai diffusa tra gli Israeliti. Essi credono che Dio abbia creato il mondo attraverso il Verbo, ma che al contempo abbia creato anche un anti-Verbo, un potere maligno che è "la morte e il vomito della vita". Così come sono convinti che Dio per creare tutto ciò che esiste si sia servito di una parola, delle lettere usate per scriverla e del suo suono, allo stesso modo sono convinti che esista un'altra parola in grado, se pronunciata con odio, di mandare l'Universo in frantumi. Essi credono anche che Adolf Hitler incarnasse il potere dell'anti-Verbo e che conoscesse quella fatidica parola. Ecco perché sono pervasi dal terrore che Hitler possa materializzarsi! Ecco perché lo vedono presente sotto ogni sasso! Nata nelle comunità ebraiche, ormai questa è diventanta una superstizione che affligge l'intero Occidente. Torme di isterici e di isteriche strepitano giorno e notte, ogni istante delle loro vane vite dalla nascita alla morte, comportandosi come se Hitler fosse vivo e vegeto e dominasse ancora la Germania sommersa dalle svastiche. Il figlio di Klara Pölzl, folgorato da un proiettile nel cranio e dal cianuro, giacque cadavere nel bunker di Berlino, nel lontano 1945. Eppure in un modo misterioso egli è ritenuto immortale, come se si aggirasse ai nostri giorni per le vie del mondo, in carne ed ossa, seminando morte.  

La grammatica infernale 

Secondo Elie Barach, il rabbino che fa parte della spedizione di cacciatori, Hitler conoscerebbe l'equivalente satanico del Kaddish: una preghiera demoniaca, che recitata costantemente contribuirebbe all'annientamento della Creazione. Così come il testo del Kaddish recitato dagli ebrei loda e magnifica l'opera dell'Artefice, la formula recitata da Hitler ne maledice ogni dettaglio. È il Kaddish Nero. Il cabalista chiama questa litania distruttiva l'altro Kaddish, precisando che le sue 109 sillabe portano la morte e la Fine dei Tempi. A dire il vero il termine Kaddish non è adatto a descrivere la formula esiziale: la parola ebraica significa "santificazione" e proviene dalla stessa radice di qadosh "santo". A rigor di logica si dovrebbe usare un vocabolo del tutto diverso. Anche se la terminologia esposta da Steiner lascia a desiderare, la sola possibilità che esista qualcosa del genere mi fa sognare. Un insieme di parole in grado di insinuare nell'opera del Malvagio Creatore il germe dell'annichilimento! Fosse vero! Avrei uno scopo sacrosanto nella vita: recuperare la formula del Kaddish Nero e recitarla ogni mattina quando mi alzo e ogni sera quando mi corico!

Violenza emozionale   

Il delirante Lieber scandisce con voce salmodiante le disgrazie che si sono abbattute su ogni singolo ebreo perseguitato dal Nazionalsocialismo e annientato dall'Olocausto. Cita nomi e cognomi, riassumento gli eventi più atroci, non senza particolari grotteschi e scatologici, interrompendosi poi ogni volta prima di finire la narrazione, così, nel bel mezzo di una frase, per poi passare al successivo martire. In questo modo veniamo a sapere di Mordechai Zathsmar, il figlio più giovane di un cantore, che a Salonicco fu costretto a mangiare escrementi. La dottoressa Ruth Levin e sua figlia, trascinate in una stazione di polizia, furono costrette a pulire con i loro capelli le latrine sporche di diarrea. Nathansohn venne appeso per i piedi a Bialistok e frustato per nove ore, il sangue che sprizzava dalle sue ferite come vino novello. I Küllman vennero trascinati via dalla propria ricca dimora, e il loro cagnolino, lasciato solo a morire di fame e di sete, morse una ciabatta del padrone, finendo col deperire ed estinguersi in assoluta immobilità. Il figlio piccolo dei Küllman, che essi pensavano fosse riuscito a mettersi in salvo, fu catturato mentre tentava di fuggire e fu gettato sotto un treno, finendo maciullato: due contadini paccianeschi mangiarono proprio accanto al suo corpo devastato e a un certo punto si misero a defecare lì vicino, mossi da assoluto odio misto a disprezzo. Un ricercatore, Salomon Rheinfeld, venne prelevato mentre lavorava a una grammatica della lingua hittita. Il suo assistente Egon Schleicher, ovviamente perfido e ariano, gli rubò il lavoro ma non fu in grado di finirlo, avendo le capacità di un subnormale. Notevole la coincidenza tra il cognome dell'assistente di Rheinfeld e quello dell'indoeuropeista August Schleicher (1821-1868). Sarà casuale? Un ricco signore, Georges Walter, stava mangiando un filetto di vitella da latte, quando i nazisti irruppero nella sua casa, lo trascinarono via, lo colpirono in faccia col calcio di un fucile fino a mandargli i denti in frantumi: lui non capiva e continuò a chiedersi il perché quando la porta delle docce si chiuse e udì il sibilo del Zyklon B. A David Pollachek furono rotte le dita quando si seppe che era primo violino. Immagini allucinanti fanno irruzione tra una narrazione e l'altra. Similli fiori non sono rari nel linguaggio di Lieber, che a un certo punto ci folgora il cervello con una fila di crani rasati affioranti dal terriccio e coperti di stronzi di uccelli in un campo di sterminio. Ogni tanto, il superstite salmodia usando una parola bizzarra che non sono stato in grado di capire: Hagadio. Di certo non è dall'ebraico hagedi (haggedi) "il capretto", che non ha il vocalismo adatto, oltre a non avere alcun senso nel contesto. Non sembra connesso con haggadah "narrazione; leggenda; servizio della notte di Pasqua". Non può nemmeno essere un derivato di gad "fortuna". Non si trova da nessuna parte, nemmeno nell'ipotetica variante *haggadio, in alcun luogo di Google: infatti la ricerca di Google Books distorce e visualizza come *haggadio la forma haggadic in testi in inglese. Ricerche con i caratteri ebraici non hanno sortito risultati utili. Non ho trovato nulla sul dizionario di Eliezer Ben-Yehuda, a cui spesso ricorro in caso di dubbi. A un certo punto ho persino pensato che fosse ladino (giudeo-spagnolo) e che stesse per haga Dio, ossia "faccia Dio". Non sono riuscito a giungere a una conclusione su questo parto steineriano. 

Storia manipolata

Il Lamento di Lieber dà origine a un singolare paradosso che non ha soluzione. Se questi nomi dei perseguitati sono veri, la recita è immorale, perché rende eterno il dolore delle vittime proclamandone a gran voce i nomi - quando è cosa pietosa lasciar riposare i morti, che anelano l'oscurità e il silenzio. Senza contare il dolore dei superstiti, costretti a rivivere il martirio dei loro cari, senza sosta né remissione. Se questi nomi dei perseguitati non sono veri, la recita è ancora più immorale, perché in qualche modo manipola la Storia. Certamente il testo steineriano è in sé realistico: le persecuzioni furono qualcosa di terrificante. Però la vicenda del linguista Salomon Rheinfeld e del suo assistente Egon Schleicher non è mai esistita, come abbiamo potuto dimostrare. Gli unici riferimenti che si trovano di questi personaggi rimandano ancora al Processo di San Cristóbal. Di certo moltissime persone innocenti sono state massacrate e trattate in modo atroce, assolutamente disumano. Tuttavia i singoli segmenti evocati da Lieber nel testo sono stati assemblati da Steiner. Così mi domando: in questi casi è lecito parlare di "vero poetico" come faceva il Manzoni? Una storia verosimile i cui dettagli sono fabbricati è comunque una storia autentica? Può essere il "vero poetico" assimilato al "vero storico", cioè a quello che realmente accadde? L'aporia non dà scampo, non può essere trovata via d'uscita.

La Magia Nera di Emmanuel Lieber

Il punto è che Lieber era pienamente consapevole del Male e operava magicamente per perpetuarlo, come un negromante. Così vediamo che la recita dei nomi dei martiri aveva nelle sue intenzioni lo scopo di formare il Nome Segreto di Dio. Una cosa tremenda, che rende conto del potere maligno del Tetragrammaton, il peggore tra i Demoni. Se Dio ha come vero nome quello che è un insieme compattato di nomi di perseguitati e di assassinati, significa che la stessa essenza del suo essere è costituita dalla Persecuzione e dall'Assassinio: egli è il Boia Cosmico. Siccome poi, a rigor di logica, il Nome Segreto di Dio deve essere tale dall'Eternità e non dipendente da eventi storici accaduti nel tempo, significherebbe che le persecuzioni e gli eccidi patiti dagli Israeliti sarebbero una sorta di codice eterno con cui è scritto l'Universo. Ecco la sostanza delle dottrine di Lieber: l'accettazione della mostruosità di Dio, esaltata come costituente primo di tutto ciò che esiste. Se Dio fonda la sua essenza nella tortura e nella morte dei suoi figli, significa che elegge e predilige i loro carnefici, creati dall'Eternità per annientare le vittime sacrificali di Moloch! Perché Dio È Moloch.

Yehuda Bauer riconobbe il Manicheismo

Yehuda Bauer disse che Dio o è Satana o è un Nebbish, ossia una nullità. Ebbene, tutto è chiaro. Il Dio che ha creato questo Universo, il Signore dei Corpi, è Satana, è il Primo Omicida, è un aguzzino efferatissimo che si nutre del dolore dei Viventi. Maledetta è ogni opera che proviene da lui, la cui essenza è il Male Assoluto. Il Creatore Malvagio ha scelto le vittime e ha esaltato i loro macellai, a cui ha attribuito poteri sacerdotali. Ogni potere diverso e antagonista a Satana è estraneo a questo Universo, quindi nel nostro mondo è soltanto un Nebbish, una vana ombra, perché non può arrivare a fare nulla. Yehuda Bauer, che fu un grande sapiente, affermò una verità di cui i sistemi scolastici delle nazioni europee non parlano di certo: "In quanto ebreo, devo convivere con il fatto che la cultura che ho ereditato comprende il concetto di genocidio nei suoi canoni". Parole immortali e solide come il diamante, che in nessuna scuola si sentiranno mai pronunciare.

Il singolare ruolo dell'indio Teku

Nell'opera di Steiner nulla è affidato al caso o alla mera improvvisazione. Ogni nome ha il suo significato occulto. Così apprendiamo che la guida indigena porta un nome densissimo di suggestioni esoteriche: Teku. Sarebbe vano cercare il bandolo della matassa nella molteplicità delle lingue amazzoniche, e questo per un motivo molto semplice. Il nome Teku è una parola ebraica moderna assai singolare, che appartiene al vocabolario basilare talmudico e può essere tradotta come "domanda non risposta" o "la domanda rimane senza risposta". Varianti ortografiche: teiku, teyku, taiku. In caratteri ebraici non vocalizzati si scrive תיקו. Il vocabolo ha origine aramaica e si trova anche in Yiddish. La usano coloro che si definiscono Ortodossi e osservano la halacha (legge ebraica).


Vediamo così che il nome Teku attribuito a una guida autoctona è uno dei tanti segnali in codice che Steiner ha disseminato nel suo libro. La parola pronunciata dall'indio al termine dell'intervento di Adolf Hitler vuol dire tutto e non vuol dire niente. Significa che l'anziano Führer è stato giudicato colpevole? Significa invece che è stato giudicato innocente? Ecco, lo vedete? L'autore ci dice che queste domande sono intrinsecamente... teku! Senza risposta per l'Eternità. 

George Steiner e le origini di Adolf Hitler

Gideon Benasseraf in preda alle febbri malariche parla di continuo delle origini ebraiche di Hitler, facendo tremare nel midollo il rabbino Barach. Questo è un argomento assai controverso che dà un profondo fastidio alle masse lobotomizzate dal sistema scolastico e dalla sua propaganda deleteria. Per ovvie ragioni, dà anche fastidio a coloro che si illudono di poter resuscitare il Nazionalsocialismo. Eppure, nonostante tutto, la voce è insistente, non si estingue e continua a saltare fuori. Nel romanzo di Steiner l'ipotesi disturbante viene lasciata cadere: lo stesso Hitler spiega nel finale di aver conoscuto un ebreo durante i tempi di sofferenza a Vienna, che l'avrebbe profondamente influenzato e ispirato. In questo modo l'autore nasconde la mano dopo aver tirato il sasso. Una mossa che non convince affatto. Sapete perché l'ipotesi delle origini israelitiche dell'uomo di Braunau è un tale pungolo avversativo e agita gli animi? Perché corrisponde al vero! La dimostrazione è estremamente semplice. Anche se il Volk del Reich lo ignorava, il nonno paterno di Hitler non si chiamava Hitler. A dire il vero, nemmeno suo padre era nato col cognome Hitler. Il suo vero cognome era infatti Schicklgruber. L'etimologia non è difficile. Significa "Sotterratore di Sicli". Il siclo era la moneta d'argento dell'antica Israele. La forma ebraica è sheqel, e questa è precisamente l'origine della prima parte del cognome del padre di Adolf, Alois. Sappiamo che Schicklgruber era un cognome attribuito di frequente agli ebrei convertiti dell'Austria. Ovviamente qualcuno dirà che si è ebrei da parte di madre e che la discendenza paterna non conta nulla. Invece contava per le Leggi di Norimberga, che definivano la condizione degli Israeliti nel Reich. Intanto Schicklgruber era in realtà il vero cognome... della madre di Alois (a quanto pare registrato come Aloys). Infatti questa era una contadina nata Maria Anna Schicklgruber, che ebbe il figlio fuori dal matrimonio e lo fece così registrare col proprio cognome. Valgono queste proposizioni inconfutabili:

1) La nonna paterna di Adolf Hitler portava un cognome ebraico;
2) Il padre di Alois Schicklgruber era sconosciuto e avrebbe potuto benissimo essere stato un ebreo.

Conseguenze:

Adolf Hitler non poté mai produrre un certificato di pura origine ariana. Secondo le Leggi di Norimberga (Nürnberger Gesetze), per definire qualcuno ebreo, questi doveva avere tre o quattro nonni ebrei. Se ne aveva uno o due era considerato mezzo ebreo o meticcio (Mischling). Da lungo tempo si ipotizza che il vero padre di Alois Schicklgruber fosse un possidente di nome Leopold Frankenberger, presso la cui dimora signorile a Graz sua madre aveva lavorato per un periodo come domestica, o addirittura un Barone Rothschild. Quindi Alois avrebbe potuto avere tre nonni ebrei ed essere considerato ebreo. La madre di Maria Anna Schicklgruber si chiamava Theresia Pfeisinger, un cognome non ebraico. Ma il padre della donna avrebbe potuto avere tre o quattro nonni ebrei ed essere quindi ebreo, cosa di cui è forte indizio il cognome. Tre nonni ebrei per Alois Schicklgruber: egli era dunque ebreo. Adolf Hitler, già senza considerare il ramo materno, sarebbe stato catalogato come Mischling. L'arianità di Adolf Hitler è tremendamente precaria!

N.B.
Vana è l'obiezione di chi sostiene che nel 1937, quando Alois nacque, non era permessa la stabile residenza di ebrei in Stiria. Non è detto che la legge, risalente alla fine del XV secolo e abolita nel 1848, fosse applicata rigidamente. I convertiti erano considerati cattolici a tutti gli effetti. Vani sono gli argomenti di chi dice che non si è trovato alcun Frankenberger a Graz o altrove in Stiria. Il Reich ha avuto tutto il tempo per far sparire ogni traccia compromettente! Ovviamente fu fabbricata una genealogia in cui il padre illegittimo di Alois Schicklgruber era proprio Johann Georg Hiedler: anche Google ci rimanda a questa nozione falsa. Johann Georg Hiedler era il padre adottivo di Alois: il suo cognome sarebbe poi stato adottato dal figliastro e scritto Hitler. Un padre adottivo non dovrebbe mai essere chiamato "padre".

Adattamenti teatrali e polemiche

Nel 1982 Il processo di San Cristóbal è stato adattato per il teatro dal drammaturgo inglese Christopher Hampton. È stato portato sulle scene nell'aprile dello stesso anno nel Mermaid Theatre di Londra sotto la direzione di John Dexter, con Alec McCowen nella parte di  Adolf Hitler. McCowen ha vinto l'edizione del 1982 dell'Evening Standard Theatre Award per il migliore attore. Subito si sono scatenate immani tempeste di merda. Si sono levati cori di giornalisti isterici, sputacchianti, dagli occhi iniettati di sangue, che hanno inveito come se avessero visto lo statista austriaco ancora vivo, proprio lì sul palco. Strappandosi i capelli e facendo arrivare i loro strilli fino al cielo hanno accusato Hampton di aver concesso al Führer 25 minuti per presentare le proprie ragioni, facendolo vincere e immanentizzando così il Reich Millenario sulla Terra. Una certa Bettina Knapp ha detto qualcosa di sconcertante, che lo spettatore viene messo di fronte a un angosciante quesito: "Cosa fareste se Hitler riemergesse oggi?" Sono proprio curioso di saperlo, mi piacerebbe vederlo con i miei occhi.    

Altre recensioni e reazioni nel Web

Riporto il link a una recensione, comparsa nel 2014 sul blog Monteverdelegge, ospitato sulla piattaforma Blogger aka Blogspot: 


Il blogger Vlad Tepes (nick sommamente meritorio) scrive cose di estremo interesse che invito tutti a leggere. In particolare riporto la testimonianza della censura imperante che ha colpito il libro. 

"Nonostante George Steiner sia uno dei maggiori intellettuali viventi e accolga in sé, umanamente, qualsiasi obiezione all'antisemitismo (ebreo francese, fu costretto all'esilio nel 1940, dopo la presa nazista di Parigi), il romanzo (e la versione teatrale d'esso) fu attaccato minuziosamente e ferocemente, sin alla tacitazione." 

E ancora: 

"In Italia la cosa si risolse senza troppa canea: il libro scomparve quasi subito e non fu mai più ristampato.
Nella regione Lazio, presso biblioteche pubbliche, ne esistono quattro copie, di cui solo due consultabili."

Nel sistema bibliotecario della Brianza ne esiste una copia, che ho potuto prendere in prestito e leggere con attenzione. Ad oggi, nel 2018, non esiste una pagina nella Wikipedia in italiano dedicata al romanzo di Steiner: c'è soltanto nelle versioni in inglese e in francese. 

Lettura online

A questo url si può leggere comodamente il testo in lingua originale, previa registrazione a JSTOR.org

martedì 6 settembre 2016

ANCORA SULLA LONTANANZA DELLA LINGUA NEOEBRAICA DA QUELLA SCRITTURALE

Riporto in questa sede la mia traduzione dell'abstract di un articolo oltremodo interessante di Ghil'ad Zuckermann dell'Università di Adelaide, intitolato Hybridity versus Revivability: Multiple Causations, Forms and Patterns.   


«Lo scopo di questo articolo è suggerire che per via di causazioni multiple ubiquitarie, il revival di una lingua non più parlata è improbabile senza la fertilizzazione incrociata dalla lingua (o dalle lingue) del revivalista. Così, ci si aspetta che gli sforzi di rivitalizzazione risultino in una lingua con una struttura genetica e tipologica ibrida. L'articolo evidenzia costruzioni morfologiche e categorie salienti, illustrando la difficoltà nel determinare una singola fonte per la grammatica della lingua di Israele. L'impatto europeo in queste caratteristiche è evidente tra le altre cose nella struttura, nella semantica e nella produttività. Essendo un articolo piuttosto che non un lungo libro, questo scritto non tenta di essere grammaticalmente esaustivo, ma piuttosto di gettare nuova luce sul parziale successo del revival linguistico in generale, e in particolare sulla genetica della lingua israeliana.
La causazione multipla è manifesta nel Principio di Congruenza, secondo il quale se una caratteristica esiste in più di una lingua che contribuisce <alla lingua rivitalizzata>, è più plausibile che persista nella lingua emergente. Questo articolo discute la causazione multipla
(1) nell'ordine costitutivo,
(2) nel sistema dei tempi verbali,
(3) nell'accrescimento della copula,
(4) nei calchi, e
(5) nella corrispondenza fono-semantica in israeliano (Zuckermann 1999, in modo un po' equivoco a.k.a. ‘ebraico rivitalizzato’ / ‘ebraico moderno’).
Ciò suggerisce che la realtà della genesi linguistica è di gran lunga più complessa di quanto permesso da un semplice sistema di albero familiare. È improbabile che le lingue ‘rivitalizzate’ abbiano un solo genitore. Parlando in generale, mentre la maggior parte delle forme dell'israeliano sono semitiche, molti dei suoi schemi sono europei. Si assume che
(1) mentre l'ebraico era sintetico, l'israeliano – seguendo lo Yiddish ecc. – è molto più analitico;
(2) l'israeliano è una lingua "habere" (cf. latino habere ‘avere’, che regge l'oggetto diretto), in forte contrasto con l'ebraico(*);
(3) le lingue europee talvolta dettano il genere delle parole israeliane coniate;
(4) la produttività (nascosta) e la semantica del sistema dei modelli verbali dell'israeliano, presumibilmente completamente ebraico sono, di fatto, spesso europee;
(5) in ebraico c'era una polarità di concordanza di genere tra nomi e numerali, es. ‘éser banót ‘dieci ragazze’(**) contro ‘asar-á baním ‘dieci ragazzi’(***) (femminile). In israeliano c'è un più semplice sistema europeo, es. éser banót ‘dieci ragazze’, éser baním ‘dieci ragazzi’;
(6) lo Yiddish ha plasmato la semantica del sistema verbale israeliano nel caso dell'incoatività;
(7) seguendo lo ‘standard medio europeo’, le proclitiche israeliane be- ‘in’, le- ‘a’ e mi-/me ‘da’, così come la congiunzione coordinata ve- ‘e’, sono fonologicamente meno dipendenti che in ebraico;
(8) la formazione di parole in israeliano abbonda di meccanismi europei come le parole macedonia.»

(*) Le lingue "habere" indicano il possesso con un verbo, mentre le lingue "non-habere" utilizzano una frase esistenziale (NdT)
(**) Più propriamente 'dieci figlie' (NdT)
(***) Più propriamente 'dieci figli' (NdT) 

Alcuni esempi concreti 

Lo stato costrutto non è più realmente produttivo, così anziché dire 'em ha-yéled "la madre del bambino", si dice ha-íma shel ha-yéled.

Abbondano costruzioni verbali analitiche che nella lingua biblica sono inconcepibili. Così sam tseaká "urlò" (lett. "mise un urlo"), natán mabát "guardò" (lett. "diede uno sguardo"), heíf mabát "guardò" (lett. "gettò uno sguardo"). Si tratta palesemente di calchi dallo Yiddish, es. gébṇ a kuk "dare uno sguardo" per "guardare".

Lo Yiddish ha dato un'infinità di calchi nella fraseologia corrente. Le radici usate sono genuinamente ebraiche, ma il loro uso idiomatico è Yiddish e non ha nulla a che vedere con la mentalità di un antico parlante di una lingua semitica. 
m
á nishmá "come stai?" (lett. "cosa si sente?"),
     cfr. Yiddish vos hert zikh
khamúda-le "ragazza carina", formato da khamuda
     "carina"
 e dal suffisso Yiddhish -le;
miluim-nik "riservista", formato da milu
ím
     "riserva"
  (lett. "riempimento") e dal suffisso
     Yiddish -nik.

Esiste un massiccio uso di mezzi produttivi internazionali (suffissi e prefissi):
bitkhon-
íst "uno che valuta tutto dalla prospettiva
     della sicurezza nazionale"
: suffisso -ist 
kiso-lógya "arte di trovarsi un seggio in
     parlamento"
: suffisso -logya 
anti-hitnatkut "anti-disimpegno" : prefisso anti-
post-milkhamt
í "postbellico": prefisso post- 
pro-arav
í "pro-arabo": prefisso pro-
Alle orecchie del Re Davide questi elementi sarebbero suonati alieni come se fossero giunti dalla lingua delle genti di Altair o di Vega: non avrebbe avuto nemmeno la minima idea della natura di queste sillabe o della loro origine. 

Le forme ebraiche sono state riplasmate, reinterpretate per adattarsi agli schemi delle lingue europee. Così anziché il corretto yesh l-i ha-séfer ha-zè "è a me questo libro" (i.e. "io ho questo libro) - in cui ha-séfer ha-zè "questo libro" è il soggetto - si dice yesh l-i et ha-séfer ha-zè "io ho questo libro" - in cui et ha-séfer ha-zè "questo libro" è l'oggetto, come si evince anche dall'uso della particella accusativa et. La forma yesh l-i "è a me" non sembra essere più compresa ed è vista come traduzione dello Yiddish ikh hob, khob "io ho"

Si ha un uso massiccio di prestiti dallo Yiddish per formare verbi:
la-khróp "russare" < Yiddish khr
ópṇ 
le-fargén "non invidiare" < Yiddish farg
ínən 
le-hafl
ík "schiaffeggiare" < Yiddish flik "buffetto"
le-hashpr
íts "spruzzare" < Yiddish shprits "spruzzo"
le-hashv
íts "vantarsi" < Yiddish shvits "sudore"
le-katér "gemere" < Yiddish kótər "gatto maschio" 

Si ha un uso massiccio di prestiti internazionali (in genere inglesi) per formare verbi: 
le-daskés "discutere" < discuss
le-fakés "focalizzare" < focus
le-flartét "flirtare" < flirt
le-hasn
íf "sniffare coca" < sniff
le-natrél "neutralizzare" < neutralize
le-tarpéd "sabotare" < torpedo

Rispetto ai contenuti dell'articolo, aggiungo alcune note sulla consunzione fonetica. Nella lingua parlata in Israele in questi tempi si sono prodotte numerose e singolari contrazioni che la renderebbero assolutamente incomprensibile agli Antichi. Così avviene che il termine biblico avikhem "vostro padre" è sostituito da aba shelkhem, che a rigor di logica, stando alla pronuncia vigente, dovrebbe suonare /a'ba ʃel'xem/. Invece è in auge una sua contrazione /abaʃ'xem/. Ditemi voi cosa avrebbe capito Isaia.

Commenti e considerazioni

Noi ci opponiamo ad ogni interazione tra la lingua madre del revivalista e la lingua oggetto di rivitalizzazione. Un buon prodotto non deve mostrare calchi che non sarebbero comprensibili a un parlante della lingua estinta su cui quella da rivitalizzare si fonda. Noi rifiutiamo il concetto di carattere genetico e tipologico ibrido. Soprattutto insidiosi sono i calchi grammaticali, specialmente quelli di natura sintattica. Il caso del neoebraico insegna. La conlang neoebraica è una lingua profondamente differente da quella biblica e non può in nessun caso essere vista come un suo sviluppo naturale nell'ambito di un'evoluzione storica continua. È una creazione artificiale in larga misura abusiva. Se ignorassi la natura irreversibile di ogni evento e di ogni processo di questo mondo, direi che il neoebraico necessiterebbe di un profondo processo di riforma. Sono tuttavia pienamente consapevole che un simile progetto fallirebbe prima ancora di cominciare. 

Una soluzione semplice

È chiaro che ormai la lingua di Israele è ben consolidata nell'uso e che evolverà seguendo il suo percorso, finendo col divenire ancor più irriconoscibile. In ogni caso non posso fare a meno di notare che molti problemi sarebbero stati evitati se fosse stato scelto l'aramaico come lingua ufficiale dello Stato di Israele.

domenica 8 maggio 2016

PROVE ESTERNE E INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: LA TRASCRIZIONE DELL'ARAMAICO KEFA

Ricordo ancora quando Jacopo D., figlio del più noto pittore Valentino D., mi parlò dell'Apostolo Pietro, dicendo che era soprannominato Cefa e aggiungendo che tale nomignolo significa Pietra. Secondo Jacopo, Pietro doveva tale denominazione al fatto di essere duro di comprendonio, piuttosto che per via delle parole di Gesù: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa" (Mt 16:18-19).
Jacopo aveva pronunciato Cefa come le due sillabe iniziali della parola "cefalo", ossia /'tʃefa/, con un suono palatale. Lì per lì non pensai più al discorso pseudognostico del compagno di sventure universitarie, ma mi curai di mettere l'informazione in un banco di memoria nelle profondità del mio archivio neuronico. Un banco di memoria che presto divenne stagnante. La bizzarra pronuncia di Cefa venne fuori un paio di volte in seguito.

Quando ero impegnato con la tesi mi rilassavo studiando l'ebraico. Nel dizionario di Ben Yehuda, che usavo per verificare i lemmi appresi e per approfondirne altri, mi sono imbattuto per caso nella parola כף kēph /ke:φ/ "pietra", ma anche "roccia cava". Capii in un lampo che era proprio il Cefa di tanti anni prima, anche se il suono iniziale è chiaramente diverso. La forma כיפא kêfâ che ha dato il soprannome di Pietro è aramaica. In seguito ho potuto constatare che in Basco esiste un particolare aranismo, ossia un conio artificioso del nazionalista Sabino Arana: Kepa "Pietro". Evidentemente è un semplice adattamento del lemma aramaico.

Com'è quindi accaduto che la forma che si legge nelle Scritture sia Cefa con la c di cena, ossia con una consonante postalveolare? Semplice: è una pronuncia ortografica. Il nome fu innanzitutto adattato in greco come Κηφᾶς, anche se molti testi hanno Πέτρος (Petros). L'autore del testo latino della Vulgata trascrisse la parola aramaica come Cephas in alcuni passi: Giovanni 1,42; Prima lettera ai Corinzi, 1,12; Lettera ai Galati 1,18. 

Col passar dei secoli, ecco che i chierici, che avevano completamente dimenticato l'esistenza stessa della pronuncia antica della lingua latina, diedero alla consonante iniziale di questo nome una pronuncia palatale, uscendosene con l'innaturale Cefa /'tʃefa/. Innaturale perché non può avere nulla a che fare con la fonetica delle lingue semitiche.

Ora, cosa avrebbe mai spinto San Girolamo, di lingua latina, a usare la grafia Cephas? Evidentemente egli sapeva bene qual era la pronuncia classica della lingua e non credeva necessario usare un carattere particolare, come ad esempio la kappa, per esprimere una semplicissima occlusiva velare /k/ davanti a una vocale anteriore /e/. Non dimentichiamoci che in un famoso scritto umoristico (Epistulae, XXII. Ad Eustochium, 30) si immaginava di essere rapito in spirito e di giungere al tribunale divino: avendo egli affermato di essere cristiano, il Giudice lo apostrofava accusandolo di essere piuttosto un ciceroniano.

sabato 9 aprile 2016

ROMANESCO COATTO MARANGA, MARANCA 'TEPPISTELLO'

A Roma la parola maranga (variante maranca) indica un bullo che, a differenza del coatto, ha la sua ragion d'essere nella vigliacca persecuzione delle persone più deboli e su queste infierisce senza pietà. Alcuni la traducono semplicemente con "teppistello". La sua origine è ritenuta oscurissima: l'unico tentativo etimologico che ho trovato non risulta davvero convincente. Circola infatti nel Web l'idea che il vocabolo abbia un'origine onomatopeica: "termine d'etimologia incerta, probabilmente con accostamento bestiale scimmiesco". Veniamo così ad apprendere, con grande stupore, che le scimmie urlando articolano i seguenti suoni: "Marang! Marang!" Peccato che tutto ciò sia incredibilmente stupido. Occorre cercare qualcosa che sia più sensato di queste proposte farlocche, che sono come sterpi ed erbacce.

In realtà l'origine ultima di maranga, maranca "teppistello" (< "individuo brutale") è l'omonimo vocabolo che indicava la scure. Lo slittamento semantico diretto da "scure" a "individuo brutale" sarebbe ben comprensibile, ma l'attestazione di maranga "arruffone, che lavora alla carlona" (Lurati / Pinana, 1983, 276) implica una complessa catena di passaggi, che vediamo di analizzare.

La parola marra "zappa, ascia, scure", documentata già in latino, è di origine preromana. Non esiste alcuna connessione indoeuropea credibile, mentre si trovano paralleli interessanti nell'ambito dell'antico egiziano e dell'accadico: 

antico egiziano (dall'Antico Regno):
mr "zappa", da pronunciarsi /mar/ 

accadico:
marrum "vanga, pala" Si trattava di una lama triangolare che poteva essere usata come zappa o come ventilabro.

siriaco (aramaico):
mar "zappa" < accadico

ebraico mishnaico:
mar "zappa" < accadico

L'origine ultima di questi vocaboli culturali è il sumerico ngar (variante mar) "vanga, pala; ventilabro". Il quella lingua il fonema ng /ŋ/ alterna molto spesso con m (vedi Halloran, Sumerian Lexicon).  

Per tornare a noi, è alquanto probabile che il termine marra avesse una grande diffusione tra le lingue preromane della penisola. Infatti da questa radice deriva *marranca, con un suffisso molto produttivo, -anc-, che è caratteristico dell'antica lingua dei Liguri - anche se in realtà era vitale in un'area ben più estesa.

Tramite il suffisso latino -o (gen. -onis) sono stati formati due discendenti di questo *marranca, che sono ben documentati in territori tra loro molto lontani. Si tratta di marangone "palombaro" e di marangone "falegname".

È chiaro che la denominazione del falegname tragga la sua diretta origine da quella della scure, suo abituale strumento di lavoro. La denominazione del palombaro è un calco del nome del pellicano e di altri uccelli marini. Il latino pelecanus viene dal greco πελεκάν (variante πελεκανός "folaga"), a sua volta da πέλεκυς "ascia", per la forma del suo becco. Così marangone è stato coniato col senso originario di "pellicano" da *marranca, traduzione della parola greca per "ascia". Da "pellicano" (poi "cormorano", "smergo") il vocabolo è giunto a indicare il palombaro a causa degli usi dell'uccello marino, che si immerge tra i flutti per procacciarsi il cibo. Questi slittamenti semantici di certo potranno sembrare poco comprensibili al lettore, ma alla luce della documentazione sembrano indubitabili. Questo perché si tende a valutare lo slittamento a partire dalla forma iniziale e dai risultati finali come se il passaggio fosse avvenuto in un lasso di tempo ristrettissimo, mentre in realtà ci sono voluti molti secoli, il processo essendo avvenuto tramite piccoli passi impercettibili. 

A questo punto si vede come si sia potuto formare maranga "lavoratore grossolano". Da questo significato si è giunti a "individuo rozzo", quindi a "individuo bruto, violento e manesco", che ha dato il lemma coatto. In certi gerghi giovanili la parola è giunta a significare "nordafricano" e ad essere usata come sinonimo delle voci maruego e magrebba, che provengono chiaramente dal nome del Marocco (Maghreb).  

Rimando a questo punto a un articolo bellissimo e completo di Christian Schmitt (Università di Bonn) sull'etimologia di marangone "palombaro" e marangone "falegname", che invito tutti a leggere: