domenica 8 maggio 2016

PROVE ESTERNE E INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: LA TRASCRIZIONE DELL'ARAMAICO KEFA

Ricordo ancora quando Jacopo D., figlio del più noto pittore Valentino D., mi parlò dell'Apostolo Pietro, dicendo che era soprannominato Cefa e aggiungendo che tale nomignolo significa Pietra. Secondo Jacopo, Pietro doveva tale denominazione al fatto di essere duro di comprendonio, piuttosto che per via delle parole di Gesù: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa" (Mt 16:18-19).
Jacopo aveva pronunciato Cefa come le due sillabe iniziali della parola "cefalo", ossia /'tʃefa/, con un suono palatale. Lì per lì non pensai più al discorso pseudognostico del compagno di sventure universitarie, ma mi curai di mettere l'informazione in un banco di memoria nelle profondità del mio archivio neuronico. Un banco di memoria che presto divenne stagnante. La bizzarra pronuncia di Cefa venne fuori un paio di volte in seguito.

Quando ero impegnato con la tesi mi rilassavo studiando l'ebraico. Nel dizionario di Ben Yehuda, che usavo per verificare i lemmi appresi e per approfondirne altri, mi sono imbattuto per caso nella parola כף kēph /ke:φ/ "pietra", ma anche "roccia cava". Capii in un lampo che era proprio il Cefa di tanti anni prima, anche se il suono iniziale è chiaramente diverso. La forma כיפא kêfâ che ha dato il soprannome di Pietro è aramaica. In seguito ho potuto constatare che in Basco esiste un particolare aranismo, ossia un conio artificioso del nazionalista Sabino Arana: Kepa "Pietro". Evidentemente è un semplice adattamento del lemma aramaico.

Com'è quindi accaduto che la forma che si legge nelle Scritture sia Cefa con la c di cena, ossia con una consonante postalveolare? Semplice: è una pronuncia ortografica. Il nome fu innanzitutto adattato in greco come Κηφᾶς, anche se molti testi hanno Πέτρος (Petros). L'autore del testo latino della Vulgata trascrisse la parola aramaica come Cephas in alcuni passi: Giovanni 1,42; Prima lettera ai Corinzi, 1,12; Lettera ai Galati 1,18. 

Col passar dei secoli, ecco che i chierici, che avevano completamente dimenticato l'esistenza stessa della pronuncia antica della lingua latina, diedero alla consonante iniziale di questo nome una pronuncia palatale, uscendosene con l'innaturale Cefa /'tʃefa/. Innaturale perché non può avere nulla a che fare con la fonetica delle lingue semitiche.

Ora, cosa avrebbe mai spinto San Girolamo, di lingua latina, a usare la grafia Cephas? Evidentemente egli sapeva bene qual era la pronuncia classica della lingua e non credeva necessario usare un carattere particolare, come ad esempio la kappa, per esprimere una semplicissima occlusiva velare /k/ davanti a una vocale anteriore /e/. Non dimentichiamoci che in un famoso scritto umoristico (Epistulae, XXII. Ad Eustochium, 30) si immaginava di essere rapito in spirito e di giungere al tribunale divino: avendo egli affermato di essere cristiano, il Giudice lo apostrofava accusandolo di essere piuttosto un ciceroniano.

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