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mercoledì 14 ottobre 2020

ETIMOLOGIA DI NODENS

Nodens è un dio celtico associato al mare, ai cani, alla caccia e alle guarigioni. Il suo nome è documentato con le varianti Nudens e Nodons. Nell'interpretatio romana è associato a Marte, a Nettuno e a Silvano. Il suo culto era diffuso in Britannia, dove ne abbiamo testimonianze nel complesso di templi di Lydney Park (Gloucestershire, Inghilterra), collocato nei pressi dell'estuario del fiume Severn. Nel 1920 il sito fu scavato dall'archeologo Sir Mortimer Wheeler, che ritrovò numerose iscrizioni in latino con dediche a Nodens. 
 
Questo è il testo di una maledizione inciso su una tavoletta di piombo, ritrovato nel complesso di Lydney:  
 
DEVO NODENTI SILVIANVS ANILVM PERDEDIT DEMEDIAM PARTEM DONAVIT NODENTI INTER QVIBVS NOMEN SENICIANI NOLLIS PETMITTAS SANITATEM DONEC PERFERA(T) VSQVE TEMPLVM (NO)DENTIS 
 
Traduzione: 
"Per il dio Nodens. Silviano ha perso un anello e ha donato metà [del suo valore] a Nodens. Tra coloro che sono chiamati Seniciano non permettere alcuna guarigione finché non sarà restituito al tempio di Nodens."

Le lettere tra parentesi si trovavano sul bordo eroso della lamina, così non sono leggibili, anche se le si può reintegrare con sicurezza. 
 

A fare la defissione deve essere stato un romano, Silviano, il cui anello era stato rubato da un certo Seniciano. Un britanno avrebbe scritto il testo in lingua celtica, che coesisteva col latino nello stesso ambiente. Non era raro per un cittadino romano ricorrere a divinità dei popoli presso cui risiedeva. Il fatto curioso è che l'anello di Silviano fu poi ritrovato nel 1785 in un luogo distante, a Silchester, nello Hampshire. Il prezioso reca un'iscrizione: SENECIANE VIVAS IIN DE<O> (la preposizione IN è scritta con due I e manca la vocale finale di DEO). Il ladro era cristiano! 
 
Una piastra di bronzo, sempre da Lydney, riporta questa iscrizione: 
 
D(EO) M(ARTI) NODONTI FLAVIVS BLANDINVS ARMATVRA V(OTUM) S(OLVIT) L(IBENS) M(ERITO) 
 
Traduzione:
Al dio Marte Nodons, Flavio Blandino l'istruttore d'arme adempie volentieri e meritatamente al suo voto. 
 

Su un'altra piastra di bronzo, assieme all'immagine di un cane compare la seguente iscrizione:  
 
PECTILLVS VOTVM QVOD PROMISSIT DEO NVDENTE M(ARTI) DEDIT 
 
Traduzione:
Pettillo dedica questa offerta votiva che aveva promesso al dio Nudens Marte. 


La ricostruzione delle forme celtiche britanniche è molto agevole. Sono le seguenti:

nom. *Noudons, *Noudens 
gen. *Noudontos, *Noudentos
dat. *Noudontī, *Noudentī 
acc. *Noudontan, *Noudentan 
voc. *Noudons, *Noudens

Il dittongo celtico /ou/ aveva un suono chiuso ed era spesso reso nelle trascrizioni latine con /o:/ (scritto -o-) o con /u:/ (scritto -u-), sia in Britannia che nelle Gallie. 
 
La forma accusativa è in -*an. La protolingua vocalizzava le antiche sonanti /ṃ/ e /ṇ/ dell'indoeuropeo con una vocale centrale.
 
L'adattamento di queste forme alla III declinazione in latino è immediata, data la somiglianza tra le due lingue, dovuta alla comune origine indoeuropea: 
 
nom. NODONS, NODENS, NVDENS 
gen. NODONTIS, NODENTIS, NVDENTIS 
dat. NODONTI, NODENTI, NVDENTI 
acc. *NODONTEM, *NODENTEM, *NVDENTEM
voc. *NODONS, NODENS, *NVDENS 
abl. *NODONTE, *NODENTE, *NVDENTE 

Troviamo un'occorrenza di NVDENTE come dativo, in luogo di NVDENTI. Potrei non disporre della totalità delle iscrizioni in cui il teonimo è presente, tuttavia è verosimile che i testi non contengano le forme accusative, vocative e ablative. 

Nodens in Irlanda 
 
Fu J. R. R. Tolkien il primo autore ad accorgersi dell'identità tra le forme britanniche attestate nelle iscrizioni in latino e il teonimo irlandese Nuadha (antico irlandese Nuaḋu, Nuaḋo, Nuaḋa, attualmente scritto Nuadu, Nuada), che designava il primo sovrano del popolo divino dei Túatha Dé Dánann.  

Questa è la declinazione del teonimo:

nom. Nuaḋu, Nuaḋo 
gen. Nuaḋat 
dat. Nuaḋait 
acc. Nuaḋat n-
voc. Nuaḋu, Nuaḋo
 
Queste sono le protoforme da cui sono derivate le forme iberniche riportate: 
 
nom. *Noudons 
gen. *Noudontos 
dat. *Noudontī
acc. *Noudonten
voc. *Noudons 
 
Il dittongo /ou/ (dai dittonghi protoceltici /ou/ e /eu/) si è evoluto naturalmente in /ua/, in cui l'accento cade sulla prima vocale. La consonante /d/ si è lenita in /ð/ (la pronuncia è come nell'inglese the ed è scritta ). In irlandese moderno questa consonante è sparita, così Nuadha si pronuncia /nuə/
 
La forma accusativa è in -*en, che in antico irlandese sparisce lasciando una pronuncia palatale della consonante precedente. La protolingua vocalizzava le antiche sonanti /ṃ/ e /ṇ/ dell'indoeuropeo con una vocale anteriore. 
 
Un chiaro esito moderno dell'antroponimo Nuadha è il cognome gaelico irlandese Ó Nuadhain (anglicizzato in Noon o Noone). Si trova soprattutto nelle Contee di Galway, Mayo e Roscommon.
 
Epiteti del Re Nuadu 
 
Il Re Nuadu dei Túatha Dé Danann era chiamato Airgetláṁ, ossia "Mano d'Argento" o "Braccio d'Argento". La protoforma ricostruibile è *Argentolāmos (da *argenton "argento" e *lāmā "mano; braccio"). Aveva tuttavia anche un altro notevolissimo nome: Nechtan. Questa denominazione lo qualifica come divinità delle acque ed ha la stessa origine del latino Neptūnus. In protoceltico l'antico gruppo consonantico /-pt-/ è diventato /-χt/, con un suono fortemente aspirato come -ch nel tedesco nach. Così Nechtan deriva da un precedente *Neχtonos, a sua volta da *Neptonos. Questo prova che Nuadu era una divinità molto venerata dai Picti, con il nome di Nechtan, dato che questo compare come antroponimo. Nelle iscrizioni ogamiche in lingua pictica (non indoeuropea ma con notevoli prestiti celtici) ne abbiamo varie attestazioni:  
 
NEHHTONS (iscrizione di Lunnasting),  
NAHHTO... (iscrizione di Latheron),  
NEHHT(VROBBACCENNEVV) (iscrizione di Aboyne), 
NAHHTVVDDAḌḌS (iscrizione di Bressay). 
 
Beda il Venerabile ci tramanda questo nome come Naiton. In antico irlandese, oltre a Nechtan, è attestata anche la denominazione Nuadu Necht, che potremmo tradurre con "Nuadu delle Acque", da *Noudons Neχton, a riprova del fatto che nel linguaggio druidico doveva esistere il vocabolo necht "acqua", da *neχton "acqua" (genitivo plurale *neχton "delle acque"). Simili arcaismi sono preziosi, eppure non mi risulta che siano molto studiati dal mondo accademico. 
 
Un altro epiteto del Re Nuadu Braccio d'Argento, che dimostra la sua natura ambigua, era Elcṁar (in irlandese attuale Ealcmhar), che significa "Funesto". La protoforma ricostruibile è *Elcomāros. L'aggettivo -māros "grande" era usato come intensivo e si trova ampiamente nell'antroponimia celtica, ad esempio nelle Gallie. Solo per fare un esempio, il nome del capo degli Insubri Viridomarus (adattamento di *Viridomāros) significa "Molto Virile". 
 
Il Re Braccio d'Argento nel Galles 
 
Il Re Nuadu Airgetlám nella letteratura gallese medievale è l'eroe Ludd Llaw Ereint, il cui nome era in origine Nudd Llaw Ereint. L'epiteto Llaw Ereint significa "Mano d'Argento" o "Braccio d'Argento". Vediamo subito che llaw "mano; braccio" viene dal britannico *lāmā, a sua volta da *plāmā (cfr. latino palma), mentre ereint viene dal britannico *argantijā "d'argento", aggettivo femm. derivato da *arganton "argento". Nudd è proprio l'evoluzione regolare di *Noudons, *Noudens. La sua successiva trasformazione in Lludd si può spiegare con una sorta di tabù, una plausibile reazione cristiana a contenuti pagani di cui permaneva qualche consapevolezza - oppure la sequenza Nudd Llaw Ereint sarebbe stata mutata in Llud Llaw Ereint per semplice assimilazione attillterante.   
 
Un possibile parallelo in Renania 
 
Un dio NOADATUS (o più probabilmente NOADAS) è stato identificato in un'iscrizone trovata a Magonza, incisa su blocco di arenaria. L'enigmatica divinità è identificata con Marte. Questo è il testo: 

DEO MAR(TI) / NOADAT(O?) / [F]L(AVIVS?) MVCATR/ALIS VET(ERANVS) LEG(IONI) / XXII EX VOT[O] / [POSV]IT 

La lettura NOADAT(O) potrebbe non essere corretta. Ritengo molto probabile che si debba invece leggere NOADAT(I). Se ciò fosse confermato, avremmo il dativo di un tema in consonante (sia in latino che in celtico terminava in -i). Il teonimo si spiegherebbe come una derivazione da un precedente *Noudons seguendo una trasformazione simile a quella che si è verificata in irlandese. La cosa sorprende non poco, dato che l'altare risale ai primi decenni del III secolo d.C. (datazione probabile: 200 - 230 d.C.). Si potrebbe pensare a una comunità alloctona, deportata dai Romani da una regione lontana, probabilmente l'Ibernia o la Caledonia. Questa comunità trapiantata non deve essere stata effimera. Si noterà che nella terminologia legale dei Merovingi restano tracce di una lingua celtica con caratteri simili a quelli dell'antico irlandese.  
 
Il significato della radice indoeuropea *neud- 
 
Le protoforme ricostruibili con sicurezza dai dati a disposizione (iscrizioni in latino, esiti nelle lingue celtiche medievali) puntano a una radice *noud-, *neud-, di cui il teonimo Nodens è un participio presente attivo. Cosa significa questa radice? Qual è la sua provenienza? Per rispondere a questa domanda è necessario fare riferimento ad altre lingue indoeuropee. Pokorny ha ricostruito una forma protoindoeuropea *neu-d- "acquisire, far uso di qualcosa". Pokorny ha ipotizzato *neu-d- "acquisire, utilizzare; pescare". In tempi più recenti, Starostin ricostruisce *neud- "godere di qualcosa, utilizzare". Il principale parallelo del teonimo celtico è il protogermanico *neutanan "utilizzare". In gotico abbiamo niutan "utilizzare", unnuts "stupido; inutile" (un- è il prefisso negativo), ma soprattutto nuta "pescatore" (la locuzione evangelica "pescatori di uomini" è resa da Wulfila con nutans manne). A parer mio il significato originario era "afferrare; catturare", da cui "cacciare; pescare", con naturale slittamento semantico. Esistono anche corrispondenti in baltico e in slavo. Si tratta quindi di una radice tipica dell'indoeuropeo occidentale, che potrebbe essere a sua volta un prestito antichissimo da una lingua di origine sconosciuta. Tutto questo è tuttavia di somma utilità: ci permette di capire che Nodens è proprio la fonte da cui è derivato il mito del Re Pescatore. Il Ciclo di Artù è derivato da un'assimilazione cristiana di materiale celtico. 
 
Nodens e il sassone Saxnot 
 
La divinità nazionale dei Sassoni era il guerriero Saxnōt, che è attestato in antico inglese come Seaxnēat. Si tratta di un teonimo formato a partire dal nome della spada corta, una sorta di gladio: antico sassone sax, antico inglese seax. Proprio come il nome stesso dei Sassoni. Possiamo facilmente comprendere che è un antico parente del latino saxum "sasso"; l'etimologia dall'indoeuropeo *sek- "tagliare" (da cui il latino secāre) è fallace e non spiega il vocalismo. Il vocabolo in questione rimanda all'epoca neolitica in cui le armi erano fatte di ossidiana. Così Saxnōt significa "Che usa il gladio", "Che afferra il gladio". La seconda parte del composto punta a una protoforma *naut-, che è proprio dal verbo *neutanan di cui abbiamo parlato in precedenza. 
 
Nodens e H. P. Lovecraft 
 
Molti conoscono Nodens soltanto per via delle sue menzioni nell'opera del Solitario di Providence. Nodens è chiamato "Il Cacciatore" e "Il Signore del Grande Abisso" (Lord of the Great Abyss). Considerato una divinità del Ciclo dei Sogni, è annoverato tra i Grandi Antichi. I suoi servitori sono i Magri Notturni (Nights Gaunts, Nightgaunts) In qualche modo è dipinto come benevolo, se non altro perché si oppone a Nyarlathotep, il Caos Strisciante. Compare nel romanzo fantastico La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath (The Dream-Quest of Unknown Kadath), scritto nel 1926-1927 e pubblicato postumo nel 1943. Si trova anche nel racconto horror La casa misteriosa lassù nella nebbia (The Strange High House in the Mist), scritto nel 1926 e pubblicato nel 1931 su Weird Tales:  
 
"And upon dolphin’s backs was balanced a vast crenelate shell wherein rode the grey and awful form of primal Nodens. Lord of the Great Abyss…. Then hoary Nodens reached forth a wizened hand and helped Olney and his host into the vast shell" 
 
Il suo aspetto è quello di un uomo canuto con la barba grigia, anziano ma robusto e vitale. Viaggia su una specie di carro costituito da una grande conchiglia marina e trainato da un cetaceo. Sembra quasi rassicurante, in confronto all'insondabile orrore alieno di Cthulhu e di Yog-Sothoth. Per il resto, sono sconosciuti i suoi poteri, così come le sue reali intenzioni.  

Nodens e J. R. R. Tolkien 

Sembra evidente che lo scrittore sudafricano sia rimasto molto colpito dalla scoperta delle iscrizioni di Lydney e dall'allusione all'anello di Silviano rubato dal perfido Seneciano. Da questi fatti deve aver sviluppato una vera e propria ossessione per gli anelli! Una cosa è certa: senza Nodens non avremmo Il Signore degli Anelli. Si è tanto insistito sull'adesione di Tolkien alla religione della Chiesa di Roma, eppure non si menziona quasi mai la pervasività dell'influenza delle antichità pagane nella sua formazione e nella sua opera.

giovedì 4 luglio 2019


PARTS: THE CLONUS HORROR 

Titolo originale: Parts: The Clonus Horror
AKA: The Clonus Horror; Clonus
Anno: 1979
Data di uscita (USA): Agosto 1979
Paese: Stati Uniti
Lingua: Inglese
Durata: 90 min
Regia: Robert S. Fiveson
Genere: Fantascienza, horror
Sottogenere: Distopia
Produzione: Robert S. Fiveson, Myrl A. Schreibman
Co-produttore: Michael D. Lee
Casa di produzione: Clonus Associated
Soggetto: Bob Sullivan (storia)
     Ron Smith (screenplay),
     Myrl A. Schreibman
     Robert S. Fiveson (adattamento)
Musiche: Hod David Schudson

Scenografia: Max Beaufort
Fotografia: Max Beaufort
Costumi: Durinda Wood
Montaggio: Robert Gordon
Distribuzione: Group 1 International Distribution
    Organization Ltd.

Personaggi e interpreti: 
   Tim Donnelly: Richard Knight Junior
    Paulette Breen: Lena
    Dick Sargent: Dottor Jameson
    David Hooks: Il professor Richard P. Knight 
    Peter Graves: Jeffrey Knight
    James Mantell: Ricky Knight
    Keenan Wynn: Jake Noble
    Lauren Tuttle: Anna Noble
    Frank Ashmore: George Walker 
    Zale Kessler: Dottor Nelson
    William Bufkin: Clone
    Tony Haig: Jack
    Eileen Dietz: Dana
    Boyd Holister: Il senatore
    Eddy Carroll: Un medico
    John Donovan: Una guida
    Joel Lawrence: Una guida
    Keith Langsdale: Una guida
    Larry Manning: Una guida
    Ricky DiAngelo: Una guida
    Eugene Robert Glazer: Una guida
Titoli tradotti: 
    Spagnolo: El horror de Clonus
Budget: 257.000 dollari US
Premi: Saturn Awards for Science Fiction, Fantasy and
    Horror Films, 1980 (nomination, miglior film con budget
    inferiore a 1 milione di dollari US) 


Trama:
La vicenda inizia in un complesso abitativo isolato chiamato Clonus, situato nel bel mezzo di una regione desertica. In questa struttura vengono allevati uomini e donne, che sono tutti cloni di persone del mondo esterno: la finalità del progetto è quella di fornire organi di ricambio per i trapianti. Ovviamente nessuna dei confinati a Clonus sa nulla di tutto questo. Per non far sorgere velleità di esplorazione o di fuga, viene fatto loro credere che uno alla volta saranno scelti per raggiungere una paradisiaca destinazione finale, una terra prospera e felice chiamata America. Richard ha un carattere diverso da quello dei suoi simili. Si pone domande ed è curioso, inquieto. Durante una corsa incontra casualmente Lena, una bellissima ragazza bionda che appartiene al suo stesso gruppo di controllo (riconoscibile dal particolare orecchino) e inizia una relazione con lei. A un certo punto qualcosa nel mondo di Richard si incrina. Mentre passeggia lungo il fiume, scopre una lattina con la scritta Milwaukee - il nome della marca della birra. Non conoscendo la parola, che gli suona aliena, comincia a irritare tutti con le sue domande. Non è soddisfatto dalla risposta che riceve da un meccanismo simile a un confessionale funzionante come un'enciclopedia - secondo cui il Milwaukee sarebbe una specie di minerale. Le febbrili indagini del giovane lo portano infine a un ufficio incustodito, in cui trova abbondante materiale cartaceo ed audiovisivo capace di spiegargli l'orrenda verità sul progetto Clonus. Così apprende di essere un clone, destinato a fare una ben brutta fine, macellato per salvare la vita del suo originale. In preda al terrore, Richard si dà alla fuga e riesce ad evadere da Clonus, inseguito dagli aguzzini. Giunge così in una cittadina che si trova oltre la distesa desertica, alla ricerca dell'uomo di cui è una copia. Presto scopre che le autorità di Clonus non hanno rinunciato a braccarlo: sa troppe cose compromettenti e non gli deve essere permesso in nessun modo di rivelarle. Caso vuole che a soccorrere il povero Richard, finito in un cumulo di immondizia per sfuggire agli inseguitori, sia proprio un giornalista in pensione, Jack Noble. Questi porta il clone dal suo promotore, che risulta essere Richard Knight, fratello del più noto Jeffrey, un cinico politicante in corsa per la presidenza degli States. Ebbene, si scopre subito che proprio Richard Knight è l'originale del clone che porta il suo stesso nome. Oltre ai problemi etici e filosofici (il fuggitivo è o meno un essere umano?), sorge una situazione di gravissimo pericolo, perché Jeffrey Knight, finanziatore occulto del progetto Clonus, non vuole certo che la verità si risappia... Sequenze ad alta tensione, fino all'epilogo annichilente.


Recensione:
Ho trovato il film interessante e godibile, anche se mi ha fatto uno strano effetto visionarlo con l'audio in spagnolo, non essendo stato in grado di reperirne una copia in italiano. All'epoca nessuno avrebbe mai pensato che si sarebbe arrivati in così poco tempo a disporre della capacità di clonare anche soltanto un topo. Si era dunque nel campo della fantascienza profonda. In un mondo di lettori e di spettatori ossessionati da robot, astronavi e alieni, il tema della clonazione era tutto sommato poco sentito. I film sui cloni erano rari ancora nei primi anni '90: sono diventati più numerosi a partire dal 1996, anno in cui è stata clonata la famosa pecora Dolly. Negli anni '70 il concetto di clone era ancora così poco familiare alle masse da ingenerare equivoci esilaranti. Nel doppiaggio in italiano di Guerre Stellari (George Lucas, 1977), la Guerra dei Cloni diventa un'incomprensibile Guerra dei Quoti, per via di un'epidemia di raffreddore che tra le altre cose trasformò Darth Vader in Darth Fener. Ne Il dormiglione (Woody Allen, 1973), una prosperosa fellatrice capisce "incoronazione" anziché "clonazione". Proprio il film del segaligno ashkenazita occhialuto parrebbe la prima attestazione rilevante di questo argomento nella SF; di lì a pochi anni sarebbe stato reso appena più popolare da I ragazzi venuti dal Brasile (Franklin J. Schnaffner, 1978) - più che altro per via del potere traumatizzante del dottor Josef Mengele. 

Riporto una lista di film sulla clonazione umana, tratta dalla Wikipedia in italiano e di certo non esaustiva: 


Il film di Woody Allen non è riportato, ma Clonus fa bella figura tra le più antiche e autorevoli pellicole sui cloni, preceduta solo da quella sulle prodezze di un Mengele galvanizzato, interpretato in modo superbo da Gregory Peck. Si noterà che nell'elenco non esiste nemmeno un'opera cinematografica che sia anteriore agli anni '70. Neanche una. 

Etica, trapianti e cloni 

Il tema dei trapianti di organi era molto sentito nei tardi anni '70 e nei primi anni '80. Ricordo dibattiti furibondi al liceo. L'insegnante di italiano ci aveva proposto un tema sul caso di una bambina a cui era stato trapiantato il cuore di una scimmia. Uno intervento che risultò fallimentare, scatenando però un vespaio a livello mondiale, soprattutto tra i religiosi. Il mio scarno componimento era stato giudicato "scioccante", avendo "lasciato inevasa la questione morale". In pratica ero ritenuto una specie di piccolo Mengele. Se tuttavia avessi osato parlare di clonazione - dopo aver spiegato il concetto - sarei stato ritenuto un pazzo, alla meglio mi avrebbero apostrofato: "Leggi troppi libri di fantascienza!" Il che era già considerato un primo indizio di psicosi. Eppure il tema di un possibile trapianto di cervello non era ritenuto fantascienza e destava un incontenibile terrore al solo menzionarlo. Oltre ai "problemi etici", basati sui borborigmi della divinità biblica e sull'esagerato valore dato alla vita umana dai moderni ("sacralità della persona", "inviolabilità", "progetto divino", etc.), c'era anche un'altra criticità impellente: il rigetto! Ebbene, nel film di Fiveson è suggerita una soluzione. Un organo fornito da un'altra persona o da un animale non è sempre compatibile. L'organismo può non accettarlo, riconoscendolo come un corpo estraneo. Spesso ne nascono reazioni che possono condurre alla morte. Se però il donatore dell'organo è un clone del paziente, con lo stesso identico genoma, non si può presentare alcun rigetto. A questo punto si pone un ulteriore problema, non facilmente eludibile: per donare un organo, il clone deve essere messo a morte. Non si tratta qui di rischiare la vita di qualcuno per un troppo audace amor della Scienza o di estrarre organi da un corpo condannato al coma vegetativo: la soppressione del clone è a tutti gli effetti un omicidio a sangue freddo. 

Assuefazione all'Orrore 

Richard Knight, l'uomo che ha fornito il materiale genetico da cui è stato prodotto il suo omonimo clone, prova un'istintiva ripugnanza morale per il progetto che ha permesso a suo fratello Jeffrey di avere un cuore nuovo di zecca. Lo paragona ad Auschwitz (nella pronuncia spagnola il toponimo è adattato in Áujvij, con due suoni aspirati). Vengono da lui evocati anche i fantasmi di Stalin e di Hitler (nell'ordine della classifica degli antisociali, io risulterei al terzo posto). Il suo malvagio fratello Jeffrey cerca di convincerlo della liceità dell'obbrobrioso progetto Clonus con un argomento assai audace: i cloni non sarebbero in realtà esseri umani e dovrebbero essere giudicati oggetti (non animali, si badi bene: non devono poter suscitare empatia). Ecco riesumate tonnellate di paccottiglia biblica adattata in modo posticcio alle dottrine scientifiche del presente. I cloni non avrebbero quella cosa imponderabile chiamata "anima" o "spirito", pur essendo capaci di parlare e possedendo tutte le facoltà mentali di qualsiasi essere umano. La prima preoccupazione dell'Homo americanus è fare i conti con la Bibbia. All'inzio Richard Knight reputa atroci e inaccettabili i discorsi di Jeffrey sulla non umanità dei cloni. Poi fa uno sforzo per accettarli (un fratello è sempre un fratello) e nel suo salotto afferma - pur non credendoci fino in fondo - che in realtà i cloni sarebbero mostri, scherzi della Natura. Il Richard clonato sbuca a questo punto da una porta urlando: "Sono umano come voi!!" Il pathos è gestito con somma maestria da Fiveson. La scena non si dimentica facilmente. 

La condizione di semi-immortalità 

La fuga di Logan (Michael Anderson, 1976) costituisce il prototipo dell'ontologia narrativa di Clonus, anche se l'ambientazione è molto diversa. Il tema cardine è sempre quello del Fuggitivo, un uomo nato e cresciuto in un contesto innaturale di isolamento, votato a un destino miserrimo, che riesce ad evadere dalla sua prigionia per venirsi a trovarsi perso in un mondo ignoto. Senz'altro è un tipo di storia di grande fecondità e versatilità, che può adattarsi ai più svariati contesti storici, assumendo sempre nuove forme. Mentre nell'opera di Anderson il tema opprimente era quello della brevità della vita biologica, la cui durata era amministrata con impietosa severità da una Macchina-Carnefice, Fiveson ci presenta l'anelito di eternità dei politicanti, della stramaledetta classe dirigente. Quel verminaio immondo che si è formato già nel Neolitico e che continua ad opprimerci, non accetta e non accetterà mai i limiti imposti dalla biologia: desidera perpetuare l'esistenza materiale fino alla Fine dei Secoli. Quello che il fondatore del progetto Clonus mira ad ottenere è una condizione che potremmo chiamare semi-immortalità. Non è proprio l'abolizione della Morte e dei limiti imposti dalla disgregazione dei tessuti; direi però che è qualcosa che si avvicina in modo sorprendente a tutto questo. Un essere vivente, uomo o donna che sia, può sostituire tutto ciò che nel suo corpo è difettoso, eliminando ogni fonte di entropia e di marasma, eludendo così l'exitus. Lo può fare, a rigor di logica, un gran numero di volte, arrivando a durare nei secoli - a discapito degli agnelli sacrificali da cui saranno ricavati i pezzi di ricambio. Non basta essere ricchi per ottenere simili privilegi biologici: occorre essere super-ricchi. Autentici plutocrati, i cui averi sono tanto cospicui da far apparire il tirannello della Corte di Hardcore un semplice provincialotto. E con questo ho detto tutto.

Atrocità

Il trucco scenico dello smascheramento finale del cattivo in realtà non apporta alcun sollievo allo spettatore. Certo, alla conferenza stampa del neoinsediato presidente Jeffrey Knight fanno irruzione due giornalisti che gli chiedono di parlare di Clonus, con la videocassetta compromettente alla mano. Per quella prova schiacciante, il presidente ha fatto uccidere suo fratello assieme al figlio. Prima di macchiarsi di tali spaventosi delitti, aveva affermanto che l'orrore del progetto Clonus è qualcosa che vale la pena. Un simile mostro merita di essere annientato dalla furia degli Elementi. Perché il film non è dunque da considerarsi a lieto fine e ottimista? La risposta è semplice: la Nemesi di Jeffrey Knight non riesce a salvare i cloni Richard e Lena, che fanno una fine atroce. Il ritorno di Richard nel campus di Clonus non è vittorioso come il ritorno di Logan 5 nella città controllata dal Computer Centrale. Attirato dalla vista dell'amata Lena alla finestra della sua stanza, il giovane clone viene subito catturato. Con orrore scopre che la bionda ragazza è stata lobotomizzata. Quando lei si volta, lui resta raggelato dal suo aspetto: il sorriso ebete, lo sguardo allucinato e perso nel vuoto, la cicatrice sulla fronte, proprio dove il trapano ha tagliato l'osso per ledere il lobo frontale. Nei fotogrammi finali si vede Richard congelato come un merluzzo, appeso e sventrato. Eppure è cosciente: da un occhio gli esce una lacrima.

Clonus e The Island 

Ovviamente non poteva mancare il remake. Famoso è il caso di The Island (Michael Bay, 2005), che riprende punto per punto l'intera impalcatura filmica di Clonus. Si tratta di un remake non autorizzato, che diede origine a un'aspra battaglia legale. Tra i due film si riscontrano tuttavia alcune differenze non da poco. In Clonus il progetto di clonazione è segreto e noto solo a pochissimi politici, oltre che agli scienziati che vi lavorano e al personale coinvolto (infermiere sadiche, psichiatri assassini, lobotomizzatori, gorilla e affini). Tutto viene tenuto nascosto, si fa capire che la produzione di un Übermensch semi-immortale desterebbe nella massa americana un tale sdegno da causare rivolte violentissime. Invece The Island ci mostra una società in cui tutti sanno della produzione di organi di ricambio tramite clonazione. L'industria che gestisce il processo è ritenuta la punta di diamante della tecnologia umana, perché viene tenuta nascosta la verità sulla soppressione dei cloni. Si fa bere a tutti, volgo e notabili, la scemenza colossale degli agnati privi di consapevolezza, in pratica embrioni troppo cresciuti e incapaci di interpretare il mondo.      

Curiosità varie 

Il titolo del film doveva essere semplicemente Clonus. La casa di distribuzione pretendeva  che fosse cambiato in Parts. Siccome il regista si opponeva, fu deciso di assemblare le due opzioni, dando così vita al definitivo Parts: The Clonus Horror

La casa con la piscina è una dimora reale, non un semplice set in cartapesta. L'indirizzo è 3366 Scadlock Lane, Los Angeles, California, US. Se vi sia avvenuto davvero qualche omicidio è una cosa che ignoro. Certo, tutto è possibile. Una dimora famosa negli States può sempre ospitare stravaganti festini e balli in maschera dalle conseguenze imprevedibili...

Che altro dire? Non si trovano molti trivia nel Web su Clonus. Forse perché la gente non vuole pensare. Troppo grande è il flusso di aberrazioni stomachevoli. A nessuno piace soffermarsi troppo su tematiche tanto avvilenti. Vorrà dire che faremo un bilancio nel prossimo futuro.  

Un cognome di origine pictica

Fiveson è un cognome molto peculiare. Ai tempi della sua formazione era un patronimico. Il suffisso -son è chiaramente norreno (sonr, -son "figlio"), ma la base proviene da un'altra lingua, ben misteriosa: l'idioma dei Picti. Infatti uno degli eponimi di tale popolo dell'antica Scozia è proprio Fib, nome di un re figlio di Cruithne. Proprio da questo Fib ha tratto il suo nome il regno di Fife.

domenica 18 marzo 2018

NOTE SUL LAVORO DI MOSENKIS

Iurii Leonidovych Mosenkis (Università Nazionale Taras Shevchenko di Kiev, Ucraina) è l'autore del lavoro Paleo-West European Languages, che con molto coraggio tratta quelle lingue considerate paria dal mondo accademico, idiomi antichi e misteriosi che sono tutto ciò che rimane di continenti culturali scomparsi, la sola luce residua che giunge a noi da una preistoria sconosciuta e sprofondata nell'Oblio. Purtroppo la trattazione è poco approfondita e alcune sue ipotesi presentano gravi criticità. Lo studio è consultabile e scaricabile liberamente al seguente link: 


Questo è l'abstract, da me tradotto in italiano:

"Le lingue aborigene delle isole Canarie (Guanche) appartenevano chiaramente alla macrofamiglia afro-asiatica. Tuttavia, in aggiunta all'idea tradizionale delle lingue dei Guanche come berbere-libiche, sono dimostrati legami guanche-chadici.
La lingua pictica potrebbe essere vicina alle lingue siberiane Yenissei, cfr. il possibile sostrato Yenissei in proto-germanico e il proto-hattico come lingua sino-caucasica (di possibile origine indoeuropea occidentale) strettamente imparentata con lo Yenissei.
Resti di sostrato pre-ugrofinnico in Saami/Lappone (connesso all'aplogruppo I1?) mostra somiglianze con il sostrato pre-rumeno (connesso all'aplogruppo I2?). Potrebbe essere una traccia di una lingua d'origine dall'aplogruppo maschile I."
 

Le lingue dei Canari

Da tempo sospettavo che le lingue dei Guanche delle Canarie non fossero semplici dialetti berberi. Esistono sostrati molto difficili da trattare. Se ci sono numerose parole ascrivibili al ceppo berbero, non va nascosto che ne esistono altre che presentano caratteristiche incompatibili con tale origine - anche nel lessico di base. Alcuni dei raffronti proposti da Mosenkis sono fondati e oltremodo interessanti, altri mi lasciano perplesso, altri ancora sono di certo da rigettarsi. A quanto mi è parso di capire, non è stata tentata la ricerca di corrispondenze fonetiche regolari. Talvolta si trovano corrispondenze in antico egiziano, in chadico e in cuscitico, ma non in berbero. In alcuni casi sono riportate anche possibili corrispondenze con il basco, non sempre a proposito. Riporto alcune considerazioni:

1) Guance cel /tsel/ "luna" viene ricondotto al proto-afroasiatico *ṭilVʕ- "sorgere (della luna)", che ha dato esiti in semitico (solo in arabo, col senso di "sorgere del sole"), in chadico occidentale (col senso di "sole") e in chadico centrale (col senso di "luna"). Mosenkis connette a questa radice il cretese talos "sole" (glossa di Esichio) e il proto-basco *hil- "luna" (in realtà è *(h)iL-, con la liquida forte). Si noterà che la forma basca potrebbe essere benissimo un prestito dal proto-afroasiatico *hilal- "luna" (con esiti in semitico e in berbero), ben diverso da *ṭilVʕ-. Al momento, la questione non può essere facilmente risolta.  
2) Guanche tea "pino" sembra derivato dal latino taeda "pino resinoso; torcia" (cfr. berbero taida "pino"). In spagnolo vive ancora la parola tea "torcia", sempre da taeda, così alcuni decostruzionisti hanno ritenuto che la voce Guanche in realtà sia un ispanismo equivocato. A parer mio può ben trattarsi di una mera convergenza fonetica, essendo l'origine ultima la stessa. Non mi sembra necessario ricorrere a un proto-afroasiatico *tVʔal "albero, cespuglio". Esistono antichi prestiti dal latino nelle Canarie (il toponimo Afur a Tenerife, < lat. furnus) e anche iscrizioni rupestri in caratteri romani.
3) Guanche guirre /'girre/ "avvoltoio" a parer mio corrisponde alla perfezione al berbero igider "aquila": il mutamento è stato /*i'gidre//'girre/. L'etimologia data da Mosenkis (proto-afroasiatico ʔac̣ir- "uccello da preda") mi pare vana, non rendendo conto della consonante /g/ iniziale, che ben difficilmente potrebbe risalire a PAA c̣ /tsʔ/. I decostruzionisti vorrebbero ricondurre guirre allo spagnolo buitre "avvoltoio" (esito del lat. vultur), cosa che è impossibile per motivi fonetici e priva di qualsiasi senso. 4) Guanche mayec "madre" viene ricondotto al proto-afroasiatico *maH- "madre". Il paragone con il basco emazte "donna" è da rigettarsi non soltanto per motivi semantici, ma per l'errata etimologia: non è lecito ritagliare da tale parola una radice -ma-, dato che è un composto di eme "femmina" e di gazte "giovane", la protoforma essendo *ema-gazte. A parer mio eme viene da *enbe ed è un termine nativo, anche se la massima parte dei vasconisti lo ritiene un prestito dal guascone hemna "femmina" (< lat. fēmina) - cosa che porrebbe gravi problemi fonetici. 5) Guanche cancha "cane" (Tenerife) è fatto risalire da Mosenkis al proto-afroasiatico *kwVHen-, che ha dato esiti solo in omotico e in chadico. Tuttavia la stessa radice è diffusa in moltissime lingue nostratiche, come ad esempio nel proto-indoeuropeo. È ben difficile capirne il percorso. Si noterà che oltre a cancha è documentato anche cuna "cane", che ipotizzo essere un prestito dal celtiberico < *kunam (acc.). La cosa non è così folle come potrebbe sembrare: è possibile che ci siano state spedizioni dall'Iberia alle Canarie nel corso dei secoli. Esistono anche altre voci che potrebbero essere prestiti: si veda magua, maguada, magada "vergine" (Gran Canaria), che rimanda al proto-germanico *maγaθi- "vergine"

La lingua dei Picti 

La lingua dei Picti è una crux per gli studiosi. I decostruzionisti cercano con ogni mezzo di negarne l'esistenza, servendosi di argomenti derridiani futili e capziosi. Con buona pace di questi propagatori di virus memetici, è chiaro che esiste un residuo di lingua non indoeuropea, un nucleo che non può essere spiegato a partire dal celtico.

1) Il nome dei Picti viene ricondotto al proto-Yenisei *pixe- "essere umano" (-x- è una forte aspirazione), che ha dato in Yug fik. Tuttavia, per quanto ne sappiamo, il nome non era un endoetnico. La spiegazione tradizionale vuole che i Picti siano semplicemente dei "dipinti", per via dei loro tatuaggi, ma questa sembra proprio una falsa etimologia. Per alcuni, la riprova starebbe nel fatto che Picti ha l'aria di essere una traduzione della denominazione gaelica Cruithne e di quella gallese Prydein (< *Pritanī < *Kwritanī). In antico irlandese abbiamo cruith "forma" e in gallese pryd "forma". Da questa fonte sarebbe derivato il nome dei Britanni, pur con una consonante iniziale di difficile spiegazione. Resta poi da colmare la distanza semantica tra "forma" e "dipinto, tatuaggio". Potrebbe anche essere sensata l'ipotesi di una somiglianza col nome della popolazione celtica dei Pictavi (Pictones) della Gallia Transalpina, che potrebbe ben risalire a piχto- "quinto" (sinonimo del più comune pinpetos "quinto", attestato nella forma piχte "come un quinto"). Al momento attuale delle conoscenze, non scomoderei le lingue paleosiberiane.
2) Interessante il tentativo di accostare il nome degli Scotti, donde deriva quello della Scozia, agli etnonimi Yenissei Ket e Kott. La stessa origine avrebbe anche il nome dei misterioso popolo antropofago degli Attacotti (e varianti), sempre formato da una radice *kott-. Va detto che a quanto pare, i nomi paleosiberiani Ket e Kott non avrebbero la stessa etimologia. 
3
) Mosenkis fornisce un'etimologia Yenissei per il termine IPE, con ogni probabilità da tradurre con "figlio". Questa parola enigmatica è attestata in due iscrizioni - la più famosa riporta DROSTEN IPE UORET ETT FORCUS. L'autore fa risalire questo IPE al Ket hyp "figlio". Si noterà però che poi prende Fip (variante Fibe), nome di un figlio di Cruithne, l'antenato mitico dei Picti, e lo correla allo Yug fyp "figlio". Dalla ricostruzione fatta da Starostin, risulta chiarissimo che il Ket hyp e lo Yug fyp risalgono alla stessa protoforma. Quindi è difficile ammettere che nella lingua non indoeuropea dei Picti esistessero entrambe le forme. Per quanto riguarda ETT, Mosenkis l'analizza come un suffisso del genitivo con corrispondenze in Ket. Credo più probabile che si tratti del latino et, preso come prestito. Si tradurrà dunque "Drosten figlio di Uoret, e Forcus". Non sussiste infatti traccia alcuna di un ETT interpretabile come genitivo in altre iscrizioni. Quelli di Mosenkis sembrano voli pindarici. Dal canto suo, Theo Vennemann fa risalire IPE a una protoforma semitica (donde ebraico bēn, arabo ibn). Si noterà che la parola pictica più comune per "figlio" è MAQQ, un evidente prestito dal goidelico.

La scarsità di materiale è un fattore limitante e non è facile capire se queste proposte di Mosenkis hanno un senso. Per quanto mi riguarda, credo che il pictico fosse una lingua imparentata alla lontana con il proto-basco, ma con una fonotassi radicalmente dissimile in quanto ha subìto mutamenti divergenti. Mi propongo di esporre le mie teorie e relative prove in altra sede; posso tuttavia anticipare di aver trovato una certa quantità di materiale interessante nello Shelta, la lingua degli stagnini itineranti irlandesi, che conserva un gran numero di vocaboli finora inspiegabili.

La lingua pre-Saami e
la lingua paleobalcanica

L'autore tenta una classificazione delle parole del sostrato pre-Saami, basandosi sulla loro somiglianza con materiale di altre lingue, in particolare cercando connessioni con vocaboli problematici comuni all'albanese e al rumeno. Questo è il riassunto proposto dall'accademico ucraino, in cui le voci trattate sono qui riportate tal quali:

1) Parole di aspetto indoeuropeo comune: viske "giallo", ken'te "uccidere"
2) Parole di aspetto indoeuropeo satem: sar'D' "cuore di cervo"
3) Parole di aspetto iranico: s'avn'e "diventare scuro";
4) Parole di aspetto germanico: ur'm "tafano"
5) Parole di aspetto russo antico: v'arv "cappio, occhiello"*
6) Parole di aspetto basco: niŋgлes' "femminile", nizan "donna"
7) Parole di aspetto urartaico: šuɛn'n' "palude"
8) Parole di aspetto "pre-inglese": odgi "giovane volpe"
9) Parole di aspetto albanese o "carpatico": beaski "passo montano", roahpi montagna rocciosa"
10) Parole che hanno aspetto paleo-balcanico: čearr "vetta", čerr "cresta" (cfr. mediterraneo kar "pietra"); abbr' "pioggia" (pre-rumeno abur, albanese avull "vapore"); k'ed'd'k "pietra" (pre-rumeno codru "foresta densa", albanese kodër, kodrë "collina").

*L'autore riporta "loop" come traduzione, senza specificare altro. Ho cercato senza successo la parola lappone, perdendo tempo senza arrivare a nulla. Non so quindi se il lemma sia corretto. Questo rende l'idea di quanta approssimazione regni nel mondo accademico dei paesi slavi.

Resterebbe da spiegare cosa si intenda per "parola di aspetto pre-inglese". Si dovrebbe anche specificare che la radice kar- è ricostruita a partire da vocaboli residuali di varie lingue e da toponimi, da come viene posta sembra invece che kar- sia "mediterraneo" attestato, cosa ovviamente non possibile. Questa approssimazione può rendere difficile per molti accademici cogliere quanto di interessante c'è nella trattazione, che reputo senza dubbio utile. Per maggiori dettagli rimando ai lavori del finlandese Ante Aikio e alle mie note sull'argomento.

Limiti del lavoro

Non nascondo la mia grande sfiducia nell'archeolinguistica fondata sulla genetica. La storia ci insegna che numerosi gruppi umani possono cambiare lingua nel corso dei secoli: non c'è ragione alcuna per pensare che le cose andassero diversamente nella preistoria. Così come un afroamericano di Harlem si esprime in un bizzarro inglese e non in Yoruba, è possibile che persino un sostrato linguistico antichissimo non fosse in realtà la lingua originale di un dato popolo identificabile dall'analisi degli aplogruppi. Non dimentichiamoci che i Pigmei dell'Africa e i Negritos dell'Indonesia hanno abbandonato le loro lingue d'origine da tempo immemorabile, per adottare quelle dei popoli stanziali con cui vivevano a contatto.