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mercoledì 22 aprile 2020

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI ZOMBIE

Sono ossessionato dagli zombie! Non riesco quasi a pensare ad altro, forse perché io stesso sto lentamente trasformandomi in un morto vivente, sprofondato come sono nella mia reclusione da hikikomori. Nulla di più naturale quindi di un'accurata indagine etimologica sulle origini della parola zombie. Spero che fornirà interessanti spunti di riflessione agli eventuali lettori del mio spazio virtuale. 
 
Alcune false etimologie 
 
In inglese la parola zombie è stata documentata per la prima volta nel 1819 dal poeta romantico inglese Roberth Southey (1774 - 1843), in una storia brasiliana. Tuttavia non ci sono dubbi che il centro di diffusione del fatidico vocabolo sia l'isola di Haiti, nel cui creolo è attestato come zonbi
Come spesso accade, i romanisti cercano di ricondurre qualsiasi parola a un'origine romanza. Per quanto possa apparire assurdo, ci hanno provato anche con zombie. Queste sono le due banali teorie romanistiche in cui mi sono imbattuto: 
1) zombie deriverebbe dal francese les ombres "le ombre";
2) zombie deriverebbe  dallo spagnolo sombra "ombra".
Sia la parola francese ombre che quella spagnola sombra derivano in ultima analisi dal latino umbra (la forma spagnola viene da un composto castigliano antico con so "giù", naturale evoluzione del latino sub). Tutti questi balbettamenti sono meritevoli di irrisione e di scherno.  
 
La vera origine africana della parola   

In realtà la parola zombie proviene da una lingua di ceppo bantu dell'Africa Occidentale. La forma più adatta sembra essere il Kikongo zumbi "feticcio". In Kimbundu nzumbi significa "spettro" e più precisamente indica un fantasma che rientra nel mondo dei vivi per tormentarli. In altre lingue del Congo, sempre dello stesso tipo, abbiamo nzambi "divinità", vumbi, mvumbi "ritornante, cadavere che mantiene in sé lo spirito". Il significato originale doveva essere quello di "divinità". Questa è la catena di slittamenti semantici da me postulata: 
 
"divinità, simulacro" => "spirito di un morto" => "corpo che ha in sé lo spirito del morto" => "ritornante, morto vivente"
 
Il tentativo di ricostruzione di una protoforma deve tener conto dell'alternanza tra z- (zumbi, nzambi, etc.) e v- (vumbi, mvumbi), che conduce a una fricativa interdentale sonora dh- /ð/, la stessa che troviamo nell'inglese the, this, etc. Così ricostruisco *ndhuwambi "divinità, simulacro".  
 
Zumbi, lo Spartaco del Brasile 

A questo punto si comprende bene il significato del nome di Zumbi (1655 - 1695), l'ultimo leader del Quilombo di Palmares, in Brasile. Il Quilombo di Palmares era uno stato fondato nel 1600 da schiavi fuggiti dalle piantagioni di zucchero e rifugiatisi nella foresta. Era formato da un certo numero di villaggi fortificati, detti mocambo, e crebbe fino a controllare un'area vasta quanto quella del Portogallo. Zumbi nacque libero proprio a Palmares, ma fu catturato e venduto come schiavo a un prete. Apparteneva al lignaggio dei sovrani del Congo. A quindici anni fuggì e riuscì a ritornare tra la sua gente. Divenne un valoroso guerriero e un abile stratega. Dieci anni dopo il suo ritorno sottrasse il potere allo zio Ganga Zumba, che aveva accettato di sottomettersi al governatore portoghese in cambio di una promessa di libertà per le genti del Quilombo. Dopo 15 anni di fierissima resistenza, Zumbi venne catturato e infine decapitato. La sua testa fu esposta come monito, col pene reciso e collocato in bocca. Il governatore Caetano de Melo e Castro intendeva con questo terrorizzare i neri, dando un'evidente smentita di una strana superstizione che voleva Zumbi immortale. Ora posso dimostrare che questa superstizione aveva il suo fondamento nell'onomastica. Siccome Zumbi significa "divinità, feticcio, spirito", era già soltanto per questo creduto immortale. Gli schiavi in Brasile mantenevano le loro lingue africane ancora nel XVII secolo, come prova il fatto che Zumbi, rapito da piccolo, dovette imparare il portoghese, che non conosceva. Così si dice tuttora in Brasile di questo Spartaco, infaticabile difensore degli oppressi: "Eis o Espírito", ossia "Questo è lo Spirito". Non a caso: si tratta proprio della traduzione in portoghese del nome Zumbi

La zuvembie o zombie femmina
 
Pochi sanno che esiste anche la parola zuvembie "zombie femmina". In realtà è stata introdotta di recente, risalendo a un racconto di Robert E. Howard, Pidgeons from Hell (tradotto in italiano come I colombi dell'inferno), pubblicato postumo nel 1938 su Weird Tales. Howard, il creatore del celeberrimo personaggio di Conan il barbaro, non era esattamente un filologo. Mi domando come possa aver dato vita a una forma che conferma la mia ricostruzione protolinguistica. Bisognerebbe accertare se l'autore fantasy abbia preso la parola da qualche lingua africana o se abbia alterato capricciosamente zombie spinto dal proprio estro creativo. Purtroppo allo stato attuale delle conoscenze non mi è possibile approfondire la questione. Negli anni '70 la Marvel Comics sostituì con zuvembie la parola zombie, proibita dall'asfissiante censura buonista della Comics Code Authority, perché ritenuta "traumatizzante". In questa operazione si è persa l'originaria natura femminile della zuvembie, il cui nome è stato attribuito abusivamente anche a morti viventi resuscitati da cadaveri di maschi. Del resto, la Marvel non è proprio definibile come "Fronte della Cultura"
 
Un remoto prestito neolitico?  
 
Non può sfuggirmi la somiglianza che il nome dello zombie ha con la ricostruzione di una protoforma nordcaucasica, opera di Sergei Starostin, della Scuola di Mosca. Riporto in questa sede i dati, tratti dal database The Tower of Babel (starling.rinet.ru):    
 
Proto-Nord Caucasico: *ǝ̄mbi "dio, divinità" 
 
  Proto-Nakh: *c̣ēbV "divinità"
    Ceceno: c̣ū "divinità pagana"
    Ingush: c̣uw "prete"
    Batsbi: c̣ijb "idolo, dio"

  Proto-Avaro-Andi: *c̣:VbV "divinità" > "grazia"
    Àvaro: c̣:ob "misericordia, grazia"  
    Andi: c̣:ob "dio"

  Lak: c̣imi "grazia, misericordia, pietà"

  Proto-Dargwa: c̣um "pietà"
    Akusha: c̣um "pietà"

    N.B. I significati di "misericordia" e simili devono essersi formati a causa del passaggio all'Islam, che attribuisce a Dio gli epiteti "Misericordioso, Compassionevole". A parer mio non si può far risalire questa semantica alla fase di protolingua nord caucasica, come fa Starostin.
 
Hurritico: ažammi "immagine, figura" (ossia "idolo") 

La forma hurritica, che doveva avere una consonante sonora /ʒ/ e in cui -mm- doveva risalire a un precedente -mb-, è particolarmente simile alle forme africane. 

Questa è la mia ipotesi: da qualche lingua parlata nell'Europa del Neolitico, il nome del feticcio e del morto vivente è stato importato in Africa. La cosa non è poi così assurda come potrebbe sembrare a prima vista: è stata dimostrata l'esistenza di movimenti demici dall'Europa all'Africa, che hanno portato un'enorme quantità di materiale genetico europeo tra le genti africane, anche nelle aree più impervie. Si è potuto appurare che le genti neolitiche che hanno compiuto queste migrazioni, con ogni probabilità sotto la pressione di popoli indoeuropei, erano geneticamente simili agli odierni Sardi. Nel Web si trova molto materiale per approfondimenti. Riporto a titolo di esempio questo link:
 
 
Infine appongo una mia personale considerazione, con fede assoluta e incrollabile: GLI ZOMBIE ESISTONO!! 

martedì 16 gennaio 2018


SILENCE

Titolo originale: Silence
Lingua originale: Inglese, giapponese, latino
Paese di produzione: Stati Uniti, Taiwan, Messico,
     Italia, Regno Unito, Giappone
Anno: 2016
Durata: 161 min
Colore: Colore
Audio: Sonoro
Rapporto: 2.35: 1
Genere: Drammatico, storico
Regia: Martin Scorsese
Soggetto: Shūsaku Endō (romanzo)
Sceneggiatura: Jay Cocks, Martin Scorsese
Produttore: Barbara De Fina, Randall Emmett,
    Vittorio Cecchi Gori, Martin Scorsese, Irwin
    Winkler, Emma Tillinger Koskoff, Gaston
     Pavlovich
Casa di produzione: Cappa Defina Productions,
    Cecchi Gori Pictures, Corsan, Emmett/Furla/
    Oasis Films, Sikelia Productions, AI-Film,
    Fábrica de Cine, SharpSword Films, IM Global
Distribuzione (Italia): 01 Distribution
Fotografia: Rodrigo Prieto
Montaggio: Thelma Schoonmaker
Musiche: Kim Allen Kluge, Kathryn Kluge
Scenografia: Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo
Costumi: Dante Ferretti
Interpreti e personaggi:    
    Andrew Garfield: Padre Sebastião Rodrigues
    Adam Driver: Padre Francisco Garupe
    Liam Neeson: Padre Cristóvão Ferreira
    Tadanobu Asano: interprete
    Ciarán Hinds: Padre Alessandro Valignano
    Shinya Tsukamoto: Mokichi
    Yōsuke Kubozuka: Kichijiro
    Issei Ogata: Inoue Masahige
    Yoshi Oida: Ichizo
    Nana Komatsu: Monica (Haru)
    Ryo Kase: Juan (Chokichi)
    Yasunari Takeshima: Haku
    Tetsuya Igawa: gesuita
    Béla Baptiste: Dieter Albrecht
Doppiatori italiani:   
    Davide Perino: Padre Sebastião Rodrigues
    Gianfranco Miranda: Padre Francisco Garupe
    Alessandro Rossi: Padre Cristóvão Ferreira
    Niseem Onorato: interprete
    Stefano De Sando: Padre Alessandro Valignano
    Taiyo Yamanouchi: Mokichi
    Simone D'Andrea: Kichijiro
    Oliviero Dinelli: Inoue Masahige
    Hal Yamanouchi: Ichizo
    Jun Ichikawa: Monica (Haru)
    Raffaele Carpentieri: Haku
    Massimiliano Manfredi: gesuita
    Alessandro Budroni: Dieter Albrecht

Trama:

Il film inizia con un prologo che mostra il missionario Cristóvão Ferreira deportato assieme a un gran numero di convertiti in una valle piena di sorgenti termali, la cui acqua bollente e caustica è usata come strumento di tortura. Egli è impotente di fronte alle autorità giapponesi, impossibilitato a fornire qualsiasi assistenza ai convertiti. Qualche anno dopo, a Macao, il gesuita italiano Alessandro Valignano riceve una notizia ferale: sottoposto a torture raccapriccianti, Padre Cristóvão Ferreira ha abiurato. I giovani gesuiti portoghesi Sebastião Rodrigues e Francisco Garupe non vogliono crederci e decidono di partire per il Giappone alla ricerca del loro padre spirituale. In una taverna trovano un giapponese, il pescatore alcolizzato Kichijiro, che su compenso accetta di guidarli nell'arcipelago. Arrivati di notte nel villaggio costiero di Tomogi, i due preti sono sorpresi di trovare una comunità di miseri pescatori di fede cristiana che vivono nel terrore, nascosti come topi per sfuggire ai persecutori. Presto i due preti rimangono sconvolti nel vedere che un anziano samurai, conosciuto come "Inquisitore" dai villici, ne cattura alcuni e li fa crocifiggere su una scogliera, in modo che finiscano soffocati dall'alta marea. I martiri affrontano la morte cantando, e quando sono morti, i loro corpi vengono cremati per impedire che i loro resti ricevano esequie cristiane e diventino oggetti di culto. A questo punto Garupe e Rodrigues, credendo che sia stata la loro presenza a sppingere lo Shogunato a terrorizzare le genti di Tomogi, decidono di separarsi. Garupe si reca nell'isola di Hirado (nota ancor oggi per la presenza di albini dai capelli rossi), mentre Rodrigues si reca nell'isola di Goto, dove Ferreira è stato visto per l'ultima volta prima di apostatare. Quando Rodrigues giunge a destinazione, scopre che il villaggio di Goto è stato distrutto. Dopo varie peripezie, il prete viene tradito da Kichijiro, imprigionato e condotto a Nagasaki. Si ritrova in cella con altri convertiti e viene condotto davanti all'Inquisitore, il terribile e potentissimo Inoue Masashige, con cui ha un lungo dialogo. La sua sola possibilità è abiurare la sua fede calpestando una lastra di bronzo con l'immagine di un crocefisso, detta fumi-e in giapponese. Viene sottoposto a crudeli pressioni ed è costretto a vedere il suo compagno Garupe mentre viene affogato, senza poter fare nulla per aiutarlo. Kichijiro, avvezzo al tradimento come all'ubriachezza e al gioco d'azzardo, viene catturato e presto rilasciato dopo aver calpestato senza troppi problemi la fumi-e. La resistenza di Rodrigues è spezzata quando gli vengono mostrati alcuni cristiani che soffocano negli escrementi, appesi a testa in giù. L'Inquisitore gli spiega che essi hanno già rinnegato Cristo più e più volte, e che soltanto la sua apostasia li salverebbe da morte atroce quanto certa. A questo punto il gesuita sente la voce di Cristo che gli dice di cedere, di calpestare l'immagine. "Calpesta pure! È per essere calpestato da voi che sono venuto in questo mondo, è per condividere i vostri dolori che mi sono caricato della croce". Rodrigues viene condotto da Ferreira, che ha cambiato nome e ora si chiama Sawana Chūan. L'ex padre spirituale lavora in un tempio e compone confutazioni della dottrina cattolica. Prende con sé quello che fu il suo allievo e gli spiega l'arcano. Gli dimostra la futilità di ogni tentativo di cristianizzare il Giappone. Passano molti anni. Rodrigues ha sposato la vedova di un samurai, ereditando il nome del defunto, Okada San'emon. Assieme a Ferreira è incaricato di riconoscere gli oggetti cristiani: quelli che mostrano disegni a forma di croce o altre peculiarità usate dai fedeli per testimoniare in modo criptico la loro religione. Alla fine, quando l'ex gesuita muore, viene cremato. Proprio alla fine, prima che il suo corpo sia divorato dalle fiamme, si vede che in una mano tiene un minuscolo crocefisso, proprio quello che gli era stato donato quando era stato accolto a Tomogi.

Recensione: 

Questo film, che considero un capolavoro, è basato su Silenzio (沈黙 Chinmoku), un romanzo dello scrittore giapponese Shūsaku Endō, pubblicato nel 1966. Il tema su cui è incentrata la narrazione è quello di un Dio silenzioso, che non risponde alle invocazioni del credente nelle avversità, pur accompagnandoli. Endō fu influenzato in questo dalle sue dolorose esperienze di discriminazione religiosa in Giappone, di razzismo subìto in Francia e di consunzione causata dalla tubercolosi. Il regista, che pure ha ammesso qualche difficoltà nel rendere i temi spirituali più profondi del romanzo dello scrittore giapponese, riesce a rappresentare bene un Cristo che si annulla per amore degli esseri umani, delle loro debolezze e della loro natura fragilissima. Anche per amore di Giuda e di Kichijiro, pronto a tradire infinite volte e a chiedere con somma sfacciataggine l'assoluzione. Contenuti che di certo stridono con l'arroganza che la Chiesa Romana ha dimostrato nel corso dei secoli dovunque ha avuto il potere.  

Incomunicabilità 

Le difficoltà che le genti del Giappone hanno sempre avuto nel comprendere la natura del Cristianesimo sono ben spiegate da Ferreira a Rodrigues. All'inizio i missionari utilizzarono il termine dainichi per tradurre "Dio", perché pensavano che la parola nipponica esprimesse tale concetto. Il punto è che si sono inganati, in quanto i Giapponesi non comprendevano l'esistenza di un'entità corrispondente a Dio. Il nome dainichi indicava soltanto una personificazione del sole, identificato con Buddha nel corso di un complesso processo di sincretismo. Così fu abbandonato e sostituito con Deusu, adattamento alla fonetica giapponese del latino Deus. Il problema è che per un giapponese il nome Deusu non ha significato alcuno, è soltanto un'etichetta straniera applicata a un contenitore vuoto, come sarebbe per noi il nome Xenu. All'inizio i due gesuiti si illudono di vivere in una comunità paleocristiana dei tempi di Nerone, ma presto si rendono conto che in tutto questo c'è qualcosa di strano. Il loro mondo di illusioni comincia a incrinarsi quando una giovane sposa sostiene di essere in "paraiso", e padre Garupe smentisce seccamente. Il termine "paraiso" non era inteso come una fumosa destinazione ultraterrena, ma come uno stato di estasi puramente terrena provata durante la celebrazione della messa, in presenza del prete, che era considerato un essere soprannaturale.

Cristo, il Buddha dell'Occidente

Il buddhista Zen Sessō Sōsai nella sua opera Taji jasu ron "Repressione della fede nociva" (1648), argomenta che Cristo sarebbe stato un eretico occidentale che operò una sistematica sostituzione lessicale, cambiando Brahma in Deusu; i devas del Cielo di Brahma in anjos (angeli); il Palazzo Celeste (tentō) in Paraiso; il Regno degli Umani (nindō) in Purgatorio; l'Inferno (jigoku) in Inferno; l'unzione (kanjō) in Bautismo; la contrizione (sange) in Confissão; le Dieci Buone Leggi (jūzenkai) nei dieci Mandamentos; le monache (bikuni) in virgem; il bastone del prete (shakujō) in excomungado; il cibo originale (jihi-rintō) in maçã (mela); i grani del rosario buddhista (juzu) in contas. Certo, Sōssai doveva essere molto ingenuo per pensare che Cristo parlasse portoghese; tuttavia, per paradosso, proprio le argomentazioni del monaco anti-kirishitan dimostrano quanto fosse facile per un giapponese dotto assimilare il Cristianesimo al Buddhismo. Quando i missionari sbarcarono nell'arcipelago, la loro religione fu subito considerata una setta buddhista occidentale. Prima che si sviluppasse una feroce reazione alla fede straniera, in Giappone era normale pensare che Cristo fosse semplicemente un Buddha vissuto in terre sconosciute e remote. 

Non è nutella! 

L'unico difetto da me trovato in questo splendido film è relativo alla tortura spaventosa chiamata ana-tsurushi. Non è infatti mostrato chiaramente in cosa consisteva. Le cavità in cui i cristiani venivano messi ad agonizzare erano profonde, ma Scorsese le dipinge come superficiali, appena in grado di contenere la testa. La cosa più importante, tuttavia, è che non si mostra bene il contenuto di tali fosse, che rendeva quella tortura così temuta. In una scena del film si intravede per pochi istanti una sostanza marrone, insolitamente uniforme, cremosa e mantecata, tanto da sembrare golosa nutella. No, ragazzi miei, quella cosa non era nutella: era merda! Nonostante Scorsese si sia adoperato per evitare agli spettatori la scabrosa vista di una massa di sterco e di altre immondizie, ricordo ancora cosa accadde quando vidi il film al cinema: un'anziana signora brianzola rimase comunque inorridita, perché comprese che lì dentro c'erano le feci.

Un'assurda accusa da parte di Ferrara

Cercando recensioni nel Web, appena visto il film, mi sono subito reso conto che Giuliano Ferrara era sul piede di guerra. Sul suo quotidiano online, che evito come la peste, esprimeva opinioni confuse e rabbiose, affermando che nel film i preti avrebbero seguito "logiche mondane". Non ho potuto approfondire la cosa, essendo la piena lettura del quotidiano disponibile solo a pagamento e non avendo la benché minima intenzione di dare a un tale personaggio nemmeno il fantasma di un centesimo forato. Evidentemente la causa di tutto ciò è molto semplice: né Ferrara né i cattolici-belva hanno la benché minima idea di cosa significhi subire una persecuzione feroce. Essi sono forse convinti, credo per un'intossicazione ideologica, che un ecclesiastico non possa in alcun modo rinunciare alla propria fede cattolica. Beh, che dire? Possono strepitare quanto vogliono, ma l'abiura di Ferreira è realtà storica, non opinione. I preti perduti sono realtà storica: la figura di Rodrigues è ispirata al missionario siciliano Giuseppe Chiara. Come è realtà storica l'efficacia dell'opera dei Tokugawa nell'eradicazione della Chiesa Romana dal Giappone.

Il film di Scorsese è un remake

L'opera di Endō era già stata trasposta in pellicola nel lontano 1971. Guardando questo film, a quanto pare disponibile soltanto nell'edizione originale, si ha come l'impressione di vedere una copia "diminuita" e "contratta" del remake del 2016. Tuttavia si nota che molte riprese e ambientazioni devono essere state usate proprio da Scorsese come fonte di ispirazione.


SILENCE (1971)

Titolo originale: Chinmoku (沈黙)
Anno: 1971
Paese: Giappone
Lingua: Giapponese, inglese(1), latino(2)  
Sottotitoli: Giapponese
Regia: Masahiro Shinoda
Soggetto: Sh
ūsaku Endō
Durata: 129 min
Musica: Tōru Takemitsu
Fotografia: Kazuo Miyagawa
Distribuzione: Toho
Interpreti e personaggi:    
    David Lampson: Padre Rodrigues
    Don Kenny: Padre Garrpe(3)
    Tetsuro: Tamba
    Shima Iwashita

(1) Sono in inglese (sottotitolati in giapponese) i dialoghi di Padre Rodrigo con Padre Garrpe, che a rigor di logica avrebbero dovuto essere in portoghese.
(2) Le formule in latino hanno una pronuncia che ricorda quella accademia inglese.
(3) Anche nel romanzo di End
ō si ha Garrpe, che poi Scorsese ha saggiamente mutato in Garupe. La forma Garrpe viola la fonotattica della lingua portoghese ed è possibile che alla sua origine ci sia un refuso ormai non identificabile, che Endō avrebbe propagato.

PRESTITI LATINI E PORTOGHESI NEL LINGUAGGIO DEI CRISTIANI GIAPPONESI

I prestiti latini e portoghesi giunti in Giappone tramite l'attività dei missionari della Chiesa Romana sono chiamati kirishitan: questa parola deriva direttamente dal portoghese cristão ed era il nome dato ai fedeli della nuova religione importata da Occidente. 

La lingua giapponese ha una fonotattica rigidissima. Il sillabario katakana, usato per trascrivere foneticamente i suoni della lingua, comprende le seguenti sillabe:

ア a     イ i     ウ u     エ e     オ o
カ ka   キ ki    ク ku   ケ ke  コ ko     キャ kya    キュ kyu     キョ kyo
サ sa    シ shi   ス su   セ se   ソ so     シャ sha     シュ shu     ショ sho
タ ta    チ chi   ツ tsu  テ te   ト to     チャ cha     チュ chu     チョ cho
ナ na   ニ ni    ヌ nu   ネ ne   ノ no     ニャ nya     ニュ nyu     ニョ nyo
ハ ha   ヒ hi    フ fu    ヘ he    ホ ho    ヒャ hya     ヒュ hyu     ヒョ hyo
マ ma  ミ mi   ム mu  メ me  モ mo   ミャ mya   ミュ myu     ミョ myo
ヤ ya       ユ yu      ヨ yo        

ラ ra   リ ri    ル ru    レ re   ロ ro     リャ rya     リュ ryu     リョ ryo 
 ワ wa  ヰ wi    ヱ we   ヲ wo 

ガ ga   ギ gi    グ gu    ゲ ge   ゴ go     ギャ gya     ギュ gyu     ギョ gyo
ザ za   ジ ji     ズ zu     ゼ ze   ゾ zo     ジャ ja     ジュ ju     ジョ jo
ダ da   ヂ (ji)   ヅ (zu)  デ de ド do     ヂャ (ja)     ヂュ (ju)     ヂョ (jo)
バ ba   ビ bi    ブ bu   ベ be   ボ bo     ビャ bya     ビュ byu     ビョ byo
パ pa   ピ pi    プ pu   ペ pe   ポ po     ピャ pya     ピュ pyu     ピョ pyo

Esiste un solo suono non sillabico, n, scritto col carattere ン, e in aggiunta esistono consonanti sillabe con consonante doppia, causate da antiche contrazioni. Allo stesso modo le vocali lunghe, marcate nella trascrizione in caratteri romani con un trattino sulla lettera, nelle parole native sono nate dalla contrazione di antichi iati.

Si vede quindi che per essere adottata, una parola latina o portoghese ha dovuto piegarsi ai vincoli imposti dalla lingua ospite. Questi sono i cambiamenti automatici delle sillabe per adattare un prestito:

di > ji
du > zu
fa > ha
fe > he
fi > hi
fo > ho
si > shi
 
ti > chi
tu > tsu

Non esistono in giapponese nessi consonantici come /tr/, /kr/, etc. Si inserisce quindi una vocale per rendere pronunciabili questi suoni. Questa vocale può dipendere dalla qualità della vocale che segue la liquida. Gli esiti possono essere complessi, nel caso siano coivolte sillabe impossibili, che subiscono in automatico i mutamenti descritti sopra:

tri > *tiri > chiri
tru > *turu > tsuru
 

Questo è un elenco di prestiti kirishitan dal latino ecclesiastico:

abemaria "Ave Maria" < Ave Maria
anima "anima" < anima
Deusu "Dio" < Deus
dochiriina "dottrina" < doctrina

ekereja
"chiesa"(1) < ecclesia
gur
ōria "gloria" < gloria
hiidesu
"fede" < fides
Iezusu, Iezu, Zezu
"Gesù" < Iesus
keredo "Credo" < Credo
kontemutsusu mundi
"disprezzo del mondo"
     < Contemptus Mundi
miisa
"messa" < missa
orasho "orazione, preghiera" < oratio
Pāteru nausuteru "Padre Nostro"(2) < Pater Noster
perusōna
"persona" < persona
sarube-rejiina "Salve Regina" < Salve Regina
supiritsu(su) "Spirito" < Spiritus

(1) Varianti: ekerejia, ekereshia.
(2)
Varianti: Paaternun
ōsuteru, Haaterunōsuteru.

Questo è un elenco di prestiti kirishitan dal portoghese:

anjo "angelo" < anjo
aruchiigo
"articolo"(3) < artigo
arutaru "altare" < altar
ba(p)uchizumo "battesimo" < baptismo
   (attuale batismo)
bateren "prete" < padre "padre"
bensan "benedizione" < benç
ão
biruzen "vergine" < virgem
bisupo "vescovo" < bispo
chishipirina
"disciplina" < disciplina
Deusu Hiriyo
"Dio Figlio" < Deos Filho
Deusu Paatere "Dio Padre"(4) < Deos Padre
domingo
"domenica" < domingo
esukiritsuura
"scrittura" < escritura
eukarisucha
"eucarestia" < eucaristia
garasa
"grazia" < graça
inheruno "inferno" < inferno 
iruman "frate" < irm
ão "fratello"
jūizo "giudizio" < juizo
karisu
"calice" < calis
katekizumo "catechismo" < catequismo
    (attuale catecismo)
kinta
"giovedì" < quinta (feira)
kirishitan "cristiano" < cristão
Kirisuto "Cristo"(5) < Cristo
konchirisan
"pentimento" < contriç
ão
konhes
ōru "confessore" < confessôr
konhisan "confessione" < confissão
kurusu
"croce" < cruz
kuwarezuma
"quaresima" < quaresma
kuwaruta
"mercoledì" < quarta (feira)
mandamento
"comandamento" < mandamento
mandamentosu
"comandamenti" < mandamentos
maruchiru "martire" < mártir
morutaru "mortale"
(6) < mortal
nataru "Natale" < Natal
osucha, osuchia "ostia" < hóstia
pan "pane eucaristico" < p
ã
paraiso
"Paradiso" < Paraiso
pashon
"passione" < pax
ã (attuale paixão)
pasukuwa
"Pasqua" < Páscoa
pekadoru
"peccatore" < pecador
penitenshia
"penitenza" < penitencia
poroshimo
"prossimo" < pr
óximo
Purugat
ōrio "Purgatorio" < Purgatorio
rozario "rosario" < rosario
sabato
"sabato" < sabbado

sakaramento "sacramento" < sacramento
sakirirejo
"sacrilegio" < sacrilegio
Sanchiishima Chirindaade
"Santissima Trinità"
       < Santíssima Trindade
Santa Maria
"Santa Maria" < Santa Maria
santo "santo" < santo
santosu "santi" < Santos
saserud
ōte "sacerdote" < sacerdote
sekunda
"lunedì" < secunda (feira)
sesuta
"venerdì" < sexta (feira)
supiritsuaru "spirituale" < spiritual
terusha
"martedì" < tercia (feira)
zejun
"digiuno" < jejum
zencho
, zenchiyo "pagano" < gentio

(3) Hiidesu no aruchiigo "articolo di fede".
(4) Forme come Paatere e bateren sono adattamenti diversi della stessa parola, che hanno avuto origine da persone diverse in occasioni diverse. 
(5) Nei testi più antichi si trova Kirishito.
(6) Nanatsu no morutaru toga "i sette peccati mortali".

Dopo la repressione della rivolta di Shimabara, il Cristianesimo smise di avere un'esistenza visibile e divenne catacombale. I suoi fedeli furono conosciuti come Kakure Kirishitan, ossia "Cristiani nascosti". Non esistendo più il clero, la loro religione subì interessanti cambiamenti. Per sopravvivere furono costretti ad adottare le forme esteriori del Buddhismo e dello Shintoismo, cosa che presto influenzò in modo profondo le loro stesse credenze.

Molti dei prestiti latini e portoghesi sopra riportati caddero in disuso. Alcune forme odierne attestate tra i Kakure Kirishitan superstiti sono ancor più stravaganti. Ad esempio, bauchizumo "battesimo" nelle comunità della Prefettura di Nagasaki si è alterato fino ad arrivare a suonare bautsurujima, interpretato con falsa etimologia come "isola che cambia i luoghi". In modo ancor più strano, Paxã (attuale Paixão) "Passione", si è alterato fino a diventare hassen, intrpretato con falsa etimologia come "ottomila". A volte si ha soltanto una vaga idea dell'origine di una parola: Eucaristia è diventato addirittura hachinichi-no-shichiya, interpretato con falsa etimologia come "settima notte dell'ottavo giorno". La parola anjo "angelo" si è mantenuta quasi immutata foneticamente, ma ha assunto un diverso significato, finendo con l'essere scritto coi caratteri che significano "luogo di eremitaggio".

Per approfondimenti rimando al lavoro di Miyazaki Kentaro, consultabile alla seguente pagina: 

sabato 6 agosto 2016

PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: QUERQUERUS - QUERCERUS 'TREMANTE'

Tra le parole latine meno note al pubblico si ha querquerus "tremante". Si tratta di un termine tecnico riferito specialmente alla febbre e al tremore malarico. Il punto è che accanto alla forma più antica querquerus, sussiste anche una variante quercerus, che mostra una dissimilazione molto affine a quella vista per querqueus "di quercia" che ha dato origine al doppione querceus con soltanto una labiovelare. In altre parole, in due contesti fonetici affini si è prodotta la stessa semplificazione di una occlusiva labiovelare /kw/ in un'occlusiva velare semplice /k/ a causa della presenza dell'occlusiva labiovelare iniziale.

Mentre la parola quercus "quercia" è di chiara origine indoeuropea (risaldente alla protoforma *perkw-), il termine querquerus "tremante" trae la sua origine ultima da un'onomatopea, quale che fosse la lingua da cui è giunto in latino (con ogni probabilità l'etrusco). La sequenza quer-quer- comunica in effetti l'idea del tremore. Quando è avvenuta la dissimilazione della seconda /kw/ in /k/, la natura onomatopeica della parola è stata oscurata, come è avvenuto anche in altri casi (es. pi:pio: "piccione" è termine onomatopeico, mentre il suo derivato italiano piccione ha cessato di esserlo a causa della palatalizzazione dell'antico /-pj-/).

Gli antichi come di consueto si addentravano nei pantani delle false etimologie, non disponendo di mezzi filologici validi: "Querqueram frigidam cum tremore a Graeco κάρκαρα certum est dici, unde et carcer." (Lucilio, Satire, Libro V)

Per motivi fonetici, è impossibile postulare una derivazione dal greco καρκαίrω "io tremo", esso stesso un verbo di origine onomatopeica. L'ipotetica forma etrusca da cui il latino avrebbe preso a prestito querquerus doveva avere essa stessa suoni più complessi della forma greca e un diverso vocalismo: ricostruisco così *χverχver-.

Non mi risulta che querquerus / quercerus abbia dato origine a qualche discendente romanzo. Tuttavia la stessa variazione la troviamo nel nome latino di un uccello, l'alzavola, che è verosimilmente derivato dalla stessa radice qui trattata e che ha avuto esiti in diverse lingue romanze:


L'alzavola è un'anatra di dimensioni ridotte, che sverna in Italia. Varrone fa derivare il vocabolo dal greco κερκουρίς. Tale parola greca presenta le varianti κέρκηρις e κερκήδης. Per motivi fonetici, lat. querquedula non può essere un derivato diretto di queste forme greche, che tuttavia hanno l'aria di avere origine comune e chiaramente non indoeuropea. Data la loro variabilità, non sono in grado di ricostruire una protoforma. Questo è quanto riporta il dizionario Etimo.it alla voce dotta querquedula


"querquèdula prov. sercela, fr. cercelle, sp. e port. cerceta; (ted. krickente): = lat. QUERQUÈDULA, che vuolsi tragga da QUÈRQUERUS algido, frigido, perché comparisce nell'inverno.
   Specie di anitra, grossa come una pernice, vestita di piuma di color vivace e nel petto somigliante a una maglia, che vive negli stagni e sul mare."

Se anche il collegamento a querquerus fosse paretimologico, si noterebbero interessanti fenomeni di evoluzione in provenzale, in spagnolo e in portoghese. In tutte queste lingue romanze, è avvenuta la semplificazione di entrambe le consonanti labiovelari latine, con una protoforma *cerce:dula /ker'ke:dula/ < *querquedula /kwer'ke:dula/. Lo spagnolo e il portoghese richiedono una variante *cerce:tta /ker'ke:tta/ < *querque:tta /kwer'kwe:tta/

Chi sostiene la pronuncia ecclesiastica ab aeterno, non è capace di spiegare queste forme: in nessun caso potrebbe sostenere che nell'originale forma latina potessero esistere consonanti palatali anziché le labiovelari attestate.

Si noterà infine che l'inglese to quiver "tremare" non deriva affatto dal latino querquerus, ma dall'anglosassone cwifer- "zelante", attestato ad esempio in cwiferlice "in modo zelante", che ha per forma corradicale cwic "vivo" (donde deriva l'inglese moderno quick "rapido"). Queste sono parole di chiara origine germanica e derivanti dalla stessa radice indoeuropea *gwei(w)- / *gwi:(w)- "vivere" che ha dato il latino vi:vus, vi:vo, vi:ta, etc. 

venerdì 25 dicembre 2015

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI BASCO ABERE 'ANIMALE' E ABERATS 'RICCO'

Il vocabolo basco aberats "ricco" è formato da abere, che attualmente ha il significato di "grande animale domestico", tramite il suffisso -tsu che marca l'abbondanza. Questa è la trafila dei mutamenti: aberats < *aberatsu < *aberetsu. Se supponiamo che abere < lat. habe:re avesse l'originario senso di "proprietà, possesso", ben attestato nella Romània, non sarebbe necessario alcuno slittamento semantico per spiegare aberats. Così *aberetsu "che ha molti averi" si sarebbe sviluppato direttamente nel basco aberats "ricco".

Nel database di Sergei Starostin, il prof. John Bengtson afferma che lo slittamento semantico dal latino habe:re "avere" al basco abere "animale" sarebbe contorto, e suggerisce un'etimologia nord-caucasica:

«Cf. PNC*bü̆ɫV 'horned animal'. The variant abel- appears in compounds such as abel-buru 'head of cattle'. Michelena (1961) derives this word from Lat. habere, though the semantic derivation is tortuous ('to have' > 'possession' > 'animal'), and internal reconstruction brings us to *a(=)bele, phonetically and semantically a straightforward match with PSC *bVɫV.»

Tuttavia noi possiamo notare queste evidenze:

1) Lo slittamento in questione è molto comune in società pastorali;
2) Esistono buoni esempi di simili slittamenti in nomi del bestiame, come il castigliano ganado "bestiame" da ganar "guadagnare", e analogamente il portoghese gado < *ganado
3) Nelle lingue romanze sono ben documentati termini derivanti dal latino habe:re come protoforma produttiva. Riguardo a queste denominazioni del bestiame e di animali, q
uesto è riportato sul dizionario etimologico di Manuel Agud e Antonio Tovar alla voce ABERE:

«Parece estar fuera de duda que es el lat. habere en la acepción sustantivada de 'hacienda', 'bienes', que se halla en lenguas románicas (esp., prov., fr. etc.: Luchaire Origenes 45, Sch. ZRPh 27, 625, Mich. FHV 226 y FLV 17, 193, FEW 4, 364), y más específicamente con la acepción de 'bienes en ganado'. (Cf. lat. pecus / pecunia, esp. ganar / ganado : Corominas 2, 655): haberío, abrío significa 'mula' en Aragón y Ribera de Navarra, 'asno' en Soria, averío en Murcia 'bestias para el trabajo agriesto', en Segovia 'ganado', en Cataluña avería 'cabeza de ganado mayor', en gall. haber 'res vacuna' (GDiego RFE 8, 411 Y Corominas 2, 859 y 655) prov. aver 'animales, rebaño' (con el cual lo relaciona Mich. 1. c.); norm. aver 'animales'; lyon. avair 'enjambre de abejas'; cat. aviram, que ha sido aproximado a avería 'bétail' (Rohlfs Gaseon 63 y RIEV 24, 336; REW 3958) (Corominas 10 da como cruce de los sinónimos aviam (< auiamen) con averza (de habere).»

Come sopra riportato, l'altra obiezione di Bengtson è che abere dà nei composti abel-, e che questo punterebbe a una protoforma *abele. Anch'io sono stato sedotto da simili considerazioni, al punto che ero giunto ad affermare in modo indipendente già anni prima che il lavoro di Bengtson fosse pubblicato. Questo argomento, condiviso con l'amico Octavià Alexandre, ha nel frattempo fatto strada: anche António Marques de Faria nella pubblicazione digitale Crónica de onomástica paleo-hispânica (in portoghese) ha scritto quanto segue:

«Em relação a abel, não podemos deixar de notar que, em contraposição à tradicional etimologia latina unanimemente prescrita para o basco abere ‘animal’, ‘gado’, assente no lat. habere (DEV I, pp. 282–283), foi, em data recente, sugerido por Octavià Alexandre que “el vasco abere supone un pre‑vasco *abele, como muestran la forma combinatoria abel‑ y las inscripciones aquitanas e ibericas”» 


Tuttavia a distanza di anni, dopo aver lasciato sedimentare i miei studi sulla lingua Euskara, mi rendo conto che l'idea di una protoforma *abele è abbastanza inverosimile. Ho riflettuto a lungo non solo sui paralleli romanzi della parola basca, troppo diffusi e differenziati per essere prestiti, ma anche sul fatto che in basco esistono esempi di -l- derivata da -r- in composti formati a partire da alcuni significativi prestiti dal latino:

amore "amore" : amol-tsu "docile, amabile"  
    < lat. amo:re(m) 
zamari "cavallo" : zamal-dun "cavaliere"  

    < lat. sagma:riu(m)

Sarebbe assurdo separare basco amore dal latino amo:re(m) ricostruendo un fantomatico *anbole, o separare zamari da sagma:riu(m) ricostruendo *zanbali: è evidente che a dispetto di -l-, le protoforme sono latine e hanno -r-

Potrebbe trattarsi di residui di un fenomeno affine alla lisca di Livorno, una singolare pronuncia che trasforma -r- e -s- davanti a consonante in -l-, per cui Livorno diventa Livolno. L'origine di questa "lisca" in basco potrebbe però anche essere analogica e formata a partire da importanti parole native, come ad esempio gari "grano", che realmente deriva da *gali e che dà composti come galbae "setaccio per il grano", galburu "spiga di grano", galsoro "campo di grano", galtzuri "grano duro"

Così per analogia con zamari, è accaduto che abere ha dato forme in abel-. In origine doveva essere *aberdun (notiamo che tra l'altro un aberedun è documentato), poi la variante abeldun è prevalsa.

Le forme iberiche e aquitane assonanti con abel-, hanno a parer mio una differente origine, che riconduco a un indoeuropeo preceltico *abell- "frutto, mela", affine al celtico *aball- "mela", in ultima analisi da IE *abel-, di origine sconosciuta. Di questo avremo modo di parlare in seguito.