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sabato 15 luglio 2017

CONTRO LA TEORIA PSEUDOSCIENTIFICA DELLA CONTINUITÀ PALEOLITICA

Mentre passavo il mio tempo libero sul Faccialibro, mi è capitato - ahimè - di imbattermi in un individuo che era un accesissimo fautore di una teoria che con la Scienza non ha proprio nulla a che vedere. Questo individuo sommamente molesto riteneva che l'Europa sia stata abitata da genti indoeuropee fin dal Paleolitico senza alcuna interruzione. Non menzionerò nemmeno l'iniziale del suo nome o del suo cognome: riporterò il peccato ma non il peccatore. Suo referente era Mario Alinei, le cui teorie appartengono al campo della Pseudoscienza proprio come l'idea della Terra piatta, oltre a essere viziate dalla politica. Sosteneva, come il suo mentore Alinei, che la preistoria fosse caratterizzata da assoluto immobilismo delle popolazioni. Senza avere alcuna evidenza delle sue baggianate invereconde, egli agiva in modo trolloso. Prima faceva spiegare le cose in dettaglio, facendo perdere tempo, poi faceva saltare i nervi dando prova di non aver tenuto nemmeno una sillaba in alcun conto, spesso e volentieri aggiungendo una battutina irritante. Deve ringraziare che non mi è consentito di professare la Legge dei Longobardi, o ne sarebbero seguite rappresaglie fisiche. Ho potuto soltanto espellere quell'arga dalla lista dei miei contatti di Facebook. Gli alineisti sono come i complottisti più fanatici: i dati di fatto non hanno su di loro la benché minima presa. Vediamo a questo punto di passare in rassegna alcune evidenze che smontano il loro castello di fanfaluche, a beneficio delle persone che amano la Conoscenza.

1) Le lingue indoarie sono incompatibili con l'idea di immobilismo preistorico postulato dagli alineisti e assimilati. Non è possibile che l'indoeuropeo si sia al contempo nativo dell'Europa e del subcontinente indiano: in uno di questi domini o in entrambi deve essere migrato. Viene quindi a cadere l'idea di continuità e di indigenismo.

2) Le lingue tocarie sono incompatibili con l'idea di immobilismo preistorico. Tra l'altro è attestato storicamente che i Tocari, stanziati nel Turkestan cinese, sono migrati nella regione oggi nota come Afghanistan, distruggendo il regno ellenistico della Battriana.

3) Le lingue amerindiane sono incompatibili con l'idea di immobilismo preistorico: l'America non ha generato da sé l'Uomo, che vi è giunto da fuori già nella preistoria, portando con sé corredo genetico denisovano e neanderthaliano. Va rimarcato che non si sono mai trovati fossili di Neanderthal nelle Americhe.

4) L'uomo di Denisova era un bizzarro ominide che viveva in Siberia. Il suo corredo genetico è stato ritrovato in gran parte delle popolazioni dell'estremo oriente, in Australia e in Papua Nuova Guinea - il che prova che l'ibridazione è avvenuta in luoghi lontanissimi da quelli in cui gli epigoni dei primi ibridi sono attualmente stanziati.

5) Le lingue austronesiane sono incompatibili con l'idea di immobilismo preistorico. Inoltre è chiaro che il malgascio è stato importato in Madagascar in epoca non troppo remota, dato che mostra prestiti dal sanscrito.

6) La migrazione dei Bantu è avvenuta in epoca storica e recente. Tali popolazioni hanno cominciato a migrare dalle loro sedi ancestrali circa 3.500 anni fa, procedendo verso sud. Quando sul finire del XVII secolo gli Olandesi hanno fondato l'insediamento noto come Città del Capo (Kaapstad), le tribù Bantu non erano riuscite a raggiure la costa: il primo scontro tra i Boeri e gli Xhosa avvenne nel 1779. 

7) Somali, Etiopi e Khoisan mostrano sequenze genetiche in comune (cfr. Cavalli-Sforza). Questo a dispetto del fatto che le lingue dei Somali e degli Etiopi sono di tipo afroasiatico. I Khoisan, ossia gli Ottentotti (Khoi) e i Boscimani (San), sono sopravvissuti perché abitavano in aree non appetibili ai Bantu. Popoli di lingua non Bantu come gli Hadza e i Sandawe (Tanzania) hanno perso gran parte delle loro peculiarità genetiche, non somigliano più ai San e mostrano scarse differenze genetiche rispetto alle popolazioni Bantu confinanti - secondo Cavalli Sforza a causa di sostituzione graduale dei geni. Nella lingua Dahalo, di ceppo cuscitico, esistono parole di sostrato che contengono suoni apneumatici simili a quelli delle lingue Khoisan.  Non è mai esistito immobilismo né isolamento assoluto, nemmeno nelle aree più remote.

8) Il movimento demico denominato Back to Africa, avvenuto in una gigantesca ondata circa 3.000 anni fa, ha portato genti dell'antica Europa anche nelle zone più lontane del Continente Nero. Le tracce di corredo genetico neanderthaliano presenti nella popolazione dell'Africa subsahariana (< 0,5%) hanno questa origine. 


9) Il popolamento dell'Australia è una prova lampante che nega l'immobilismo preistorico. Infatti l'Australia non ha generato da sé l'Uomo, che vi è giunto da fuori già nella preistoria, portando con sé un abbondante corredo genetico denisovano e neanderthaliano. Si noterà che non si sono mai trovati fossili di Neanderthal in Australia.

Questa lista potrebbe essere molto espansa, fino a raggiungere un centinaio di punti. Credo tuttavia che quanto riportato sia sufficiente a dare un'idea della questione.

Genetica e linguistica sono indipendenti e non vanno mai confuse. Notiamo invece che gli alineisti e molti altri elementi stravaganti delle regioni di frangia del mondo pseudoscientifico sostengono a spada tratta il dogma dell'identità tra determinati aplogruppi e la lingua parlata. Per questi avversari, sarebbe sufficiente una mappatura genetica per risalire alla lingua di un individuo, senza tener conto del fatto che nel corse dei secoli e dei millenni interi popoli cambiano lingua.

Evidenza 1. Basti prendere un afroamericano di Harlem che parla inglese. Tecnicamente parlando, egli è un indoeuropeo, quando in realtà la lingua da lui parlata non mostra traccia alcuna che aiuti a comprendere le sue origini genetiche. 

Evidenza 2. Si dispone della prova di una migrazione in Australia dall'India, priva di corrispondenze linguistiche identificabili. Questo movimento demico è avvenuto all'incirca 40.000 anni fa, molto prima della diffusione delle lingue Pama-Nyungan, avvenuta 4.000 anni fa. 


Evidenza 3. Si sono scoperti i resti di una ragazza di epoca neolitica vissuta nella Selva Nera, che si è sposata in Danimarca e ha viaggiato diverse volte facendo la spola. 


Evidenza 4: Si è scoperto che un nobile che dalla regione alpina è giunto fino a Stonehenge per curarsi - e va aggiunto che lo fece in assenza di animali da locomozione.


Evidenza 5: Il caso di Limone del Garda, la cui popolazione discendente da un singolo danese, portatore di un rarissimo gene che impedisce l'accumulo di colesterolo. A questo esempi, il troll ha cercato di opporre un'argomentazione idiota, affermando che in tutta la popolazione italiana c'è sangue germanico a causa delle invasioni cosiddette "barbariche"

Evidenza 6. Il caso della "razza Piave". In seguito ad alcune vergognose polemiche seguite all'esaltazione dell'origine autoctona dell'etnia veneta, è stata eseguita una mappatura genetica su alcuni individui. I risultati sono stati sorprendenti: la popolazione di quei distretti discendeva da genti deportate in loco dai Romani, con un genoma che comprende elementi mediorientali, iberici e persino africani. 

Non si può confrontare una migrazione recentissima di cui si conosce ogni dettaglio con una migrazione preistorica di cui non si conosce sostanzialmente quasi nulla. L'incredibile complessità di questi movimenti vanifica spesso ogni pretesa di comprensione sistematica. Invito i fanatici dell'identità genetica-linguistica a produrre una mappa dei vari aplogruppi dell'India e dell'Iran. Li invito anche a produrre una mappa degli aplogruppi più significativi della popolazione amerindiana. Anche se lo facessero, non arriverebbero da nessuna parte.

Rammento ancora le follie proferite dal troll alineista. A detta sua, quanto studiato sui libri di storia a scuola sarebbe vero perché attestato, mentre i movimenti demici avvenuto in epoche precedenti o in contesti diversi sarebbero frutto di fantasia: il motivo secondo lui era "l'inesistenza dei voli Ryanair". Sono stato preso dall'impulso di cambiargli i connotati. Mi immaginavo all'opera con un caestus rinforzato con placche e borchie di bronzo massiccio, il modo migliore di trattare i molestatori, se non fosse che le leggi in vigore lo vietano.

Quello che i cultori delle teorie della continuità paleolitica non possono e non vogliono capire è un fatto elementare: un movimento demico nella preistoria non implica per necessità esodi di proporzioni bibliche, essendo piuttosto caratterizzato da piccoli spostamenti progressivi. L'integrazione di piccoli movimenti su lunghi periodi porta a raggiungere territori remoti. Allo stesso modo gruppi poco consistenti possono crescere nei millenni. Anche in assenza di Ryanair, si danno esempi di lunghi percorsi fatti a piedi fino a tempi recenti o ancora nel presente: i viaggi in Terra Santa, il pellegrinaggio a Santiago di Compostela e via discorrendo. 

venerdì 7 luglio 2017

NOTE SUL LAVORO DI BLENCH O IL LIVELLAMENTO LINGUISTICO

Non posso fare a meno di pronunciarmi su alcune perigliose idee di Roger Blench (Kay Williamson Educational Foundation), espresse nel suo lavoro Language levelling challenges all mathematical methods of language classification, ossia Il livellamento linguistico sfida tutti i metodi matematici di classificazione linguistica. Lo scritto può essere consultato e scaricato gratuitamente in formato di bozza al seguente url: 


Tutto ciò che Blench riporta a proposito di singoli casi ad esplicazione del fenomeno del livellamento linguistico è rigorosamente esatto. Se in un territorio vi è una varietà di lingue parlate, capita che per un mutamento demografico, politico o religioso, una di queste lingue, all'inizio parlata in un ambito locale, riesca ad imporsi ben oltre i suoi confini d'origine, estendendosi su tutto il dominio in questione. Questo processo porterà infine all'estinzione di tutti o di quasi tutti gli altri idiomi parlati in precedenza. Per questo motivo il mutamento descritto prende il nome di livellamento linguistico. In alcuni casi, delle lingue scomparse non ci resta alcuna traccia, altre volte rimangono residui vari come ad esempio isole alloglotte o testimonianze scritte. 

Blench fornisce diversi esempi di livellamenti avvenuti in epoca storica o preistorica, aggiungendo alcune considerazioni sulle cause più probabili.

1) Causa: Autorità politica centralizzata     
Esempi: Proto-sinitico, mongolo, malgascio 
 

L'Impero di Gengis Khan ha promosso il dialetto chiamato Khalkh, che ha fatto scomparire tutti gli altri. L'Impero Cinese ha imposto nell'arco della sua storia plurimillenaria un'unificazione linguistica. Verso il 200 a.C. c'è stato un collo di bottiglia che ha eliminato le varietà precedenti. La Rivoluzione Comunista ha semplicemente completato ciò che era stato iniziato dal Primo Imperatore. Per quanto riguarda il Madagascar, si noterà la sua sorprendente uniformità linguistica, a dispetto del fatto che il suo popolamento austronesiano risale a 1500-2000 anni fa: il responsabile di questo livellamento è il clan dei Merina, detentore del potere assoluto sull'isola.
 

2) Causa: Espansione di una lingua franca   
Esempi: Berbero
 

Le lingue berbere attualmente parlate discendono da una lingua franca usata all'epoca dell'Impero Romano, che fece scomparire le varietà più antiche. Il collo di bottiglia è collocato verso il 200 d.C., all'epoca di Settimio Severo, in cui il limes romano in Africa raggiunse la sua massima estensione e ci furono profonde innovazioni: domesticazione del dromedario, introduzione dell'aratro, incremento del commercio dovuto alla richiesta di nuove merci. In seguito, come conseguenza delle invasioni dei Vandali e degli Arabi, la lingua franca dei Berberi ha cominciato a diversificarsi.
 

3) Causa: Dominanza culturale    
Esempi: Lingue Pama-Nyungan in Australia
 

La maggior parte delle lingue australiane è riconducibile a un'unica protolingua, denominata Pama-Nyungan. Soltanto nel nord si sono conservate lingue non appartenenti al phylum Pama-Nyungan. A quanto si è potuto accertare, il livellamento deve essere avvenuto all'incirca 4000 anni fa. Ritengo per certo che tale evento, che deve aver portato alla perdita di un immenso numero di lingue, sia stato soltanto l'ultimo di una lunga serie.
 

4) Causa: Mezzi di comunicazione di massa
Esempi: Diffusione dell'inglese nel mondo 
 

Stiamo vivendo questo processo ai nostri giorni e le sue manifestazioni ci sono così ben note da non necessitare approfondimenti in questa sede.

Pur lodando la disamina dei fatti elencati da Blench, non sono tuttavia condivisibili le sue assunzioni di base, che peccano di grave mancanza di logica e sono contaminate dalla politica. Basti analizzare questi passaggi:

"From the sixteenth century, when large catalogues of the languages of the world begin, attempts accelerated, using a quasi-genetic framework, although often without explicit justification." 

E ancora: 

"What, however, was the point of such classifications? Why not just list languages alphabetically, or by region? Classification is something that particularly appeals to middle-aged white males, and can be of the same genre as categorising tracks on an iPod or knowing an unsettling amount about train timetables (Masters 2011). Often, as in the biological sciences, justifications for classification have followed significantly later than the exercises themselves."

Dunque Roger Blench nega alla radice ogni classificazione delle lingue. Solo per fare un paio di esempi della portata delle sue affermazioni, egli nega che sia possibile tracciare l'origine e la parentela delle lingue germaniche, romanze, semitiche e via discorrendo. Per lui affermare che l'arabo e l'ebraico sono lingue imparentate è qualcosa di "privo di giustificazione", a dispetto dell'immensa mole di studi che dimostrano il contrario. Non contento di professare queste inconsistenze, ecco che Blench si rivela un astioso seguace dell'isterica Hillary Clinton, dal momento che accusa di razzismo e di sessismo chiunque non corrisponda ai propri schemi ideologici. Quando un accademico tira fuori l'espressione "middle-aged white males", possiamo star certi che appartiene a quella congrega di buonisti radical shit e autorazzisti che di questi tempi infestano l'Occidente.

In sostanza lo schema del ragionamento portante di Blench è il seguente:

Le lingue subiscono livellamento => Non ha senso studiare la parentela genetica delle lingue => Le lingue non hanno origine genetica.

Peccato che questo sia un marchiano esempio della fallacia logica denominata non sequitur. Appurato che le lingue subiscono livellamenti nel corso della loro storia e che moltissime si estinguono, nostro compito è quello di ricostruire come questi processi sono avvenuti, non negare l'esistenza di qualcosa che è un dato di fatto.

venerdì 7 aprile 2017

UNA STRATEGIA ACCADEMICA: LA RIMOZIONE DEI DATI SCOMODI


Ormai è in voga di questi tempi una tendenza funesta, che purtroppo appare sempre più consolidarsi. Quando dalle attività di ricerca su cui si fonda la Scienza emergono dati che potrebbero portare a mettere in discussione dogmi accademici formati in precedenza, fortissima è la tendenza ad operarne la rimozione. Subito appare qualcuno che semplicemente nega l'esistenza stessa della scoperta, giurando e spergiurando, attaccando a destra e a manca, riducendo il tutto a una qualche banalità partorita dalla sua mente ottusa. L'operato di questa specie di pseudo-studiosi d'assalto è assimilabile in modo sorprendente a quello dei troll. Occorre però precisare che questi troll non sono complottisti nati come muffe negli angiporti del Web. La loro genesi avviene all'interno dello stesso mondo accademico.  

Facciamo un esempio concreto, tratto dalla paleontologia. Nel 2003 sono stati scoperti i resti di un singolare e bizzarrissimo ominide alto poco più di un metro, che viveva fino a tempi abbastanza recenti nell'isola indonesiana di Flores, essendosi estinto in un periodo che va dai 50.000 ai 12.000 anni fa. Questo nuovo ominide è stato battezzato in via provvisoria Homo floresiensis e classificato come una specie diversa dalla nostra e particolarmente arcaica, con caratteri simili a quelli di Homo erectus. A causa delle sue dimensioni ridotte, minuscole, è stato considerato un caso di nanismo insulare. I media lo hanno chiamato subito Hobbit. Rammento un articolo in cui si affermava che la conformazione delle ossa dei piedi di Homo floresiens mostra addirittura somiglianze con quelle dello scimpanzé (Pan troglodytes). Le cose purtroppo non sono andate per il verso giusto. Per molto tempo chiunque fosse interessato all'argomento ha dovuto sopportare i nocivi sproloqui di un molestissimo troll pseudoscientifico, certo Teuku Jacob, che è persino presentato come "paleoantropologo indonesiano" in un'apposita pagina di Wikipedia. Questo perturbatore era posseduto da un'idea fissa e proclamava che i resti dell'Homo floresiensis appartessero in realtà ad esemplari di Homo sapiens affetti da microcefalia e da rachitismo. Questa era la sua procedura pseudologica: 

1) Non è possibile che nell'Indonesia di alcune decine di migliaia di anni fa esistesse un ominide riconducibile a Homo erectus, perché nei manuali sta scritto che Homo erectus si è estinto molto prima; 
2) Dato che all'epoca trattata doveva esistere unicamente Homo sapiens, i reperti devono essere per forza riconducibili a Homo sapiens.

Il principio fondante era quello della prevalenza delle informazioni contenute nei manuali su qualunque dato di fatto venuto nel frattempo alla luce. Non contento di sferrare attacchi trollosi, nel 2005 questo figuro ha persino cercato di distruggere i resti di Homo floresiensis, pensando così di eliminare ogni evidenza fisica contraria al suo castello di fantasie. Anche dopo la sua morte, avvenuta nel 2007, qualcuno ha continuato a portare avanti la sua opera deleteria. Un certo Robert B. Eckhardt, a quanto pare dell'Università di Pennsylvania, ha formulato una nuova ipotesi: anziché la microcefalia postulata da Jacob, tirava in ballo la sindrome di Down, insistendo con le sue fissazioni pur non potendo spiegare le caratteristiche scimmiesche dell'ominide. Ancora nel 2014 spandeva le sue idee aberranti nel Web, facendole percolare nei media online. 

Nel frattempo lo scenario diventava sempre più confuso: alcuni sostenevano che i fossili dell'ominide di Flores dovessero essere retrodatati: il cosiddetto Hobbit avrebbe occupato le grotte in cui ha lasciato fossili per un periodo compreso tra 190.000 a 50.000 anni fa. Mentre questo avveniva, i troll si moltiplicavano e affermavano che gli esemplari di Homo sapiens giunti in Indonesia 50.000 anni fa fossero austronesiani indistinguibili dai moderni abitanti dell'arcipelago. Proiettavano indietro nel tempo la situazione attuale e continuava a sostenere che i resti di Flores fossero da ascriversi ad austronesiani disabili. Quando qualcuno cercava di controbattere, questi troll reagivano con insulti, sputacchi e attacchi ad personam. Sembrava che non si sarebbe mai riusciti a liberarsi da questa spina nei testicoli, quando all'improvviso nel 2016 è giunta una splendida notizia: da approfonditi studi genetici è emersa la prova inconfutabile del fatto che Homo floresiensis e Homo sapiens sono due specie diverse! La meritoria opera è di Karen Baab, della Midwestern University. La riporto in formato pdf:


Non sempre le cose finiscono bene. Non sono rari i casi in cui i troll pseudoscientifici hanno la meglio e riescono ad orientare il mondo accademico, causando danni che durano per decenni. Come conseguenza di quest'opera di persuasione, spesso cessa ogni dibattito su numerosi argomenti e si consolidano i pregiudizi. 

Non basta. Indagando sull'Homo floresiensis aka Hobbit, si viene facilmente a scoprire leggende delle genti di Flores che parlano di una creatura sorprendentemente simile nell'aspetto alla ricostruzione fatta dai paleontologi. Questo essere, che ben potrebbe essere il nostro ominide, è chiamato Ebu Gogo. Nella nativa lingua austronesiana, ebu significa "nonna", mentre gogo significa "che mangia tutto". Le descrizioni sono così dettagliate che devono per forza di cose avere almeno un nucleo di verità oggettiva. A quanto si dice, questo Ebu Gogo sarebbe scomparso in epoca abbastanza recente, collocata dopo l'arrivo dei Portoghesi (XVII secolo), secondo alcuni narratori addirittura nel corso del XX secolo. Creatura sfuggente e onnivora, l'Ebu Gogo non disdegnava persino di rapire bambini per nutrirsi delle loro carni, proprio come il Gollum. Per questo motivo le genti di Flores avrebbero organizzato spedizioni di sterminio, tanto che alla fine sarebbe stata persa ogni traccia dello strano essere silvestre. Quello che più mi incuriosiche sono le narrazioni sul linguaggio degli Ebu Gogo, composto da cicalecci e assolutamente incomprensibile. Inoltre queste creature sarebbero state in grado di ripetere in modo pappagallesco le vocalizzazioni degli umani. Chi mai si inventerebbe simili narrazioni? Racconti di creature affini all'Ebu Gogo si trovano anche in altre isole indonesiane. Ad esempio possiamo citare la creatura chiamata Orang Pendek, ossia "Uomo Piccolo", che è descritta dalle genti di Sumatra come un orango bipede dal pelame grigio. I Kerinci nella loro lingua lo chiamano Uhang Pandak (stesso etimo). Con ogni probabilità si tratta di un ominide e non mi sorprenderebbe se un giorno si riuscisse a scoprire alcuni esemplari viventi. Altri nomi di criptidi indonesiani sono Sedapa, Sedabo (stesso etimo di Sedapa), Atoe Pandak, Atoe Rimbo, Goegoeh (stesso etimo di Ebu Gogo), Umang, Orang Gugu (stesso etimo di Ebu Gogo), Orang Letjo, Ijaoe. Se esistono ancora superstiti, potrebbero un giorno essere scoperti e studiati, con buona pace dei pestilenziali troll che infestano il mondo accademico. Poter studiare una lingua di una specie diversa da Homo sapiens sarebbe davvero una ricompensa inattesa dopo tanto patire! 

domenica 3 aprile 2016

LA SPAVENTOSA DECADENZA DELLE UNIVERSITÀ


Grande è stata la mia indignazione quando mi sono imbattuto in un articolo pseudoscientifico intitolato "La civiltà dell'Isola di Pasqua non fu distrutta dalle guerre". In sintesi, per i ricercatori della Binghamton University di New York guidati da Carl Lipo, Rapa Nui sarebbe stata un paradiso di ecosostenibilità fino all'arrivo degli Europei e non avrebbe conosciuto alcuna crisi ambientale. La prova di ciò? Semplice: le punte di ossidiana, chiamate mata'a nella lingua pascuense, sarebbero state in realtà "utensili domestici", perché questo indicherebbero fantomatiche "analisi morfometriche". A cosa sarebbero serviti questi "utensili domestici"? Per l'agricoltura e per fare i tatuaggi, ci assicura Lipo. Sì, e magari anche per fare la birra.

Non userò mezzi termini. La Binghamton University di New York è costituita essenzialmente da idioti. Sono fin troppe le università che pullulano di chierici traditori la cui unica occupazione è farsi pulire con la lingua il solco balano-prepuziale dalle studentesse. Snervati da interminabili sessioni di fellatio, questi accademici sono in grado soltanto di produrre deliri e baggianate: sembra proprio che ad ogni eiaculazione un po' di materia grigia venga drenata dal cranio e finisca espulsa dal membro.

Revisionismo e negazionismo la fanno da padroni ogni qual volta occorre pronunciarsi su una qualsiasi questione storica o archeologica. Le tradizioni della popolazione nativa oggetto di qualsiasi studio vengono dismesse come irrilevanti. Altrettanto insignificanti sono considerate le testimonianze dei navigatori europei, che hanno visto con i loro occhi le cose di cui hanno scritto. 

Il caso dell'Isola di Pasqua è paradigmatico. Ogni proposizione di questi membri dell'Accademia di Lagado è dominato dalla fallacia logica detta "non sequitur". Il fatto che le punte in ossidiana siano da loro considerate utensili non significa che non ci sia stata un'esplosione di ostilità. Le loro conclusioni sulle mata'a sono infondate, ma anche se si rivelassero esatte, quali ne sarebbero le conseguenze? Non cambierebbe nulla. L'ha detto nessuno a quei babbioni decerebrati che esistono anche le armi improprie? In una società dominata da una tirannia, gli insorti usano ciò che hanno sotto mano. Lo ha mai insegnato nessuno ai ricercatori della Binghamton? 

Questo è quanto è riportato da Jared Diamond nel suo libro Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere:

"Furono già i primi coloni, approdati sull'isola attorno al 900, a iniziare ad abbattere gli alberi. La deforestazione era ormai completa nel 1722, anno in cui Roggeveen, sbarcando sull'isola, non vide nessuna specie vegetale più alta di 3 metri. Siamo in grado di determinare con esattezza quando l'isola perse il suo ultimo albero? Ci sono cinque tipi di indizi che ci aiutano a rispondere a questa domanda. Gli esami con il radiocarbonio effettuati sulle noci di palma indicano in genere una datazione anteriore al 1500, ed è quindi probabile che la palma diventò rara o si estinse dopo quella data. Sulla penisola di Poike, che possiede il suolo meno fertile dell'isola e che dunque fu la prima area a essere deforestata, le palme scomparvero prima del 1400 circa, mentre il carbone derivato dall'abbattimento degli alberi spari attorno al 1440. Tuttavia, alcune tracce di attività agricola risalenti a epoche posteriori attestano che gli esseri umani continuarono a vivere in quella zona ininterrottamente. I campioni che Orliac ha datato, prelevandoli dai forni e dai cumuli di rifiuti, mostrano che il carbone fu rimpiazzato da combustibile erbaceo dopo il 1640. Ciò avvenne anche presso le abitazioni dell'élite, che avrebbe potuto usufruire degli ultimi e preziosi alberi rimasti anche quando ai contadini e alla gente comune fosse stato vietato l'accesso a quella risorsa in via di estinzione." 

Dalla stessa fonte, sulla catastrofe ambientale: 

"La storia dell'isola di Pasqua è il caso più eclatante di deforestazione mai verificatosi nel Pacifico, se non nel mondo intero: tutti gli alberi sono stati abbattuti e tutte le specie arboree si sono estinte. Le conseguenze immediate per gli isolani furono la perdita di materie prime e di fonti alimentari spontanee, nonché una diminuzione della produzione agricola. Le materie prime che andarono perdute o che rimasero disponibili soltanto in quantità nettamente ridotte erano tutte derivate dagli alberi o dagli uccelli che vi nidificavano: il legno, le funi, la corteccia per fabbricare il tapa e le piume. Il venir meno dei grandi alberi e delle funi pose fine al trasporto e all'innalzamento delle statue, così come alla costruzione delle canoe per la navigazione in alto mare."

Ancora Diamond, sull'impoverimento della dieta degli isolani: 

"Una volta esaurite le risorse lignee dell'isola, gli abitanti non poterono più costruire le robuste canoe per la navigazione in mare aperto. A partire dal 1500, infatti, gli ossi di delfino, la carne più consumata dagli isolani durante i primi secoli, scomparvero dai depositi di rifiuti, così come il tonno e gli altri pesci d'alto mare. Diminuì il numero degli ami e delle lische di pesce nei depositi di rifiuti, e rimasero soltanto resti di specie che potevano essere pescate in acque basse o dalla riva. Gli uccelli terrestri scomparvero del tutto, mentre gli uccelli marini si estinsero per due terzi. Gli individui delle specie sopravvissute, numericamente scarsi, furono costretti, per riprodursi, a rifugiarsi su alcuni isolotti al largo della costa. Le noci di palma, le bacche del melo malese e tutti gli altri frutti selvatici cessarono di far parte della dieta degli isolani. Si cominciarono a consumare specie di crostacei sempre più piccole e gli individui pescati diminuirono sempre di più in numero e in dimensioni. I ratti rimasero l'unica specie selvatica da carne la cui disponibilità restò immutata."

Sempre Diamond, sul cannibalismo:

"Nel 1774 il capitano Cook descrisse gli isolani come «piccoli di corporatura, scarni, timidi e infelici». La zona abitata sui bassipiani costieri, dove quasi tutti vivevano, si ridusse del 70 per cento in trecento anni, dal 1400 al 1700, ed è probabile che la popolazione sia diminuita di pari passo. Al posto della carne degli animali estinti, gli isolani iniziarono a consumare quella di una specie ancora disponibile e fino ad allora inutilizzata: l'uomo. Le ossa umane diventarono comuni non soltanto presso i luoghi di sepoltura, ma anche nei depositi di rifiuti più recenti, in cui è evidente che sono state spaccate per estrarne il midollo. Il cannibalismo ricorre ossessivamente nella tradizione orale degli isolani. L'insulto più bruciante che poteva essere fatto a un nemico era: «Mi è rimasta tra i denti la carne di tua madre»."

Alla faccia dell'ecosostenibilità e della vita idilliaca! Gli universitari incompetenti negano la terribile crisi ecologica che ha portato Rapa Nui al collasso? Allora facciano saltare fuori le risorse sparite, come ad esempio maiali, cani e polli! Se per questi buonisti scervellati regnavano l'armonia e equilibrio con la Natura, dove sarebbero finiti gli alberi abbattuti? Dementi, li facciano saltare fuori! Se non ci riescono, sono tenuti al Seppuku. 

Di certo gli sproloqui di questi accademici drogati non avranno fine con l'inverecondo articolo diffuso da Repubblica. È infatti in attesa una nuova pubblicazione della Binghamton University: "La civiltà dell'Isola di Pasqua fu distrutta dai Puffi!"

lunedì 21 marzo 2016


GLI AMANTI DI SIDDO

Autore: Philip José Farmer
AKA: Un amore a Siddo; Gli amanti
Titolo originale: The Lovers
Prima pubblicazione: 1961
Edizioni italiane:      
      1)
La Tribuna SFBC, 2 III serie [26],
          Aprile 1966     
      2) La Tribuna SFBC, n. 53, Gennaio 1978
      3) Cosmo - Classici della Fantascienza,
      volume n. 119 - Settembre 1991
      4) Urania Collezione, n. 63, Aprile 2008
Editori: La Tribuna; Editrice Nord; Mondadori
Codice (Editrice Nord): 12 119 CO
ISBN: 9788842904168
Traduttori: Ganni Fabrizi; Riccardo Valla

Sinossi (da Goodreads.com):
Per sfuggire all'opprimente tirannia religiosa della Terra del 31° secolo, dedita al culto del Precursore, il linguista Hal Yarrow accetta volentieri una missione sul lontano pianeta Ozagen, ma il peggio della civiltà terrestre lo ha seguito: è Pornsen, il suo Angelo Custode, che vigila su ogni pensiero deviante o peccaminoso... Finché sul pianeta, fra le antiche rovine di una civiltà scomparsa, Yarrow scopre Jeannette, una splendida creatura non propriamente umana. Se nel tirannico regime del Precursore il condizionamento in materia sessuale è rigidissimo, l'amore per un essere alieno è addirittura impensabile. Eppure la lalitha Jeanette è paradossalmente la creatura più umana fra tutte quelle conosciute da Yarrow, il quale però sa fin troppo bene che l'amore per lei equivale alla più terribile delle trasgressioni e verrà considerato un inammissibile atto di ribellione...
Un'opera fra le più acclamate e discusse che ha saputo allargare coraggiosamente gli orizzonti della fantascienza americana.

Recensioni:

Un grande romanzo, che potrebbe ben essere ascritto al genere ucronico, se si potesse dimostrare che il punto di divergenza si trova anche soltanto all'epoca in cui l'autore scriveva. Mentre gli autori appassionati dell'ucronia si fossilizzano sul passato e cercano di capire come sarebbe stata la Storia cambiando qualcosa - e falliscono miseramente - Farmer proietta le sue speculazioni nel futuro. Il suo genio ci regala così un mondo in cui una spaventosa guerra batteriologica ha cambiato completamente la definizione delle nazioni e la distribuzione dei popoli. Il nuovo corso storico mostra un'Europa in cui la lingua più diffusa è l'islandese, seguita dal georgiano. Ovviamente, nell'istante stesso in cui intervengono mondi alieni, si capisce che l'eventuale ucronia si rivela come al solito onirostoria.

PHILIP J. FARMER E IL CONNETTIVISMO

Nel benemerito romanzo di Philip José Farmer esiste una chiara menzione di qualcosa di molto simile al Connettivismo descritto da Alfred Van Vogt in Crociera nell'Infinito. In un mondo atroce e decadente, dominato dall'unione tra Stato e Chiesa (la Schiesa in neolingua), la Scienza è ormai fortemente specializzata e nessuno ha più una preparazione generica. Si rende così necessario l'operato di persone in grado di fornire ai singoli scienziati le informazioni di discipline diverse dalla loro, in modo da permettere la continuazione dei lavori. Sono i Connettivisti. Questi collegatori di scienze sono chiamati Joat, e traggono il loro nome dalla locuzione Jack-of-All-Trades (alla lettera "Giovannino Tutti i Mestieri"). Ancor meglio del Grosvenor di Crociera nell'Infinito, il protagonista si destreggia tra le discipline più disparate. Una cosa notevole, se si considera che opera in condizioni spaventose e precarie. 

PHILIP J. FARMER E LA RELIGIONE

La teocrazia della Schiesa si fonda sulla religione del Precursore, nella cui figura non è difficile scorgere quella di Ron Hubbard. Persino i tratti fisici delineati dall'autore nella descrizione di un ritratto del Precursore richiamano alla mente quelli del capo religioso americano. Farmer costruisce un possibile corso storico ucronico in cui è prevalsa un'organizzazione che rispecchia in tutto e per tutto la Chiesa di Scientology. Certo, della compagine fantascientifica su cui Hubbard ha fondato la sua setta non c'è traccia. Non si fa menzione del demiurgo Xenu e dell'infernale pianeta Helatrobus: la religione del Precursore ha radici fondamentalmente bibliche e non concede molto alla fantascienza. Sono tuttavia descritti altri aspetti particolarmente significiativi del culto di Ron Hubbard. Per conoscere gli effetti pratici degli insegnamenti di tale congregazione e per capire come sarebbe la società se essa riuscisse ad imporsi, basti leggere con attenzione Gli amanti di Siddo

PHILIP J. FARMER E IL SESSO

The Lovers è ritenuto il primo libro di fantascienza ad affrontare lo scabroso tema del sesso tra umani e alieni. Così è giustamente presentato da Editrice Nord: "Il classico che ha segnato una svolta nella storia della fantascienza". Riconosco senza dubbio la portata rivoluzionaria di questo complesso capolavoro. Va comunque notato che l'argomento dei connubi carnali con gli extraterrestri aveva già fatto capolino nel genere fin dai tempi della protofantascienza. Ad esempio in Shambleau di Catherine Lucille Moore, raccolta di racconti scritti negli anni '30 dello scorso secolo, in cui un pistolero cosmico provava un piacere incredibile tra le braccia di una giovane aliena, perdendosi in un insidioso cupio dissolvi. Nel racconto anonimo The Great Romance, del lontano 1881, sono descritti abitanti del pianeta Venere interessati ad avere rapporti sessuali con esseri umani. 

PHILIP J. FARMER E L'ESOBIOLOGIA

L'autore si sbizzarrisce nella descrizione della fauna di Ozagen e delle sue specie senzienti, e lo fa usando parole tanto vivide che sembra quasi di vivere con i propri occhi le creature più incredibili. In un mondo dominato da insetti, insetti polmonati, pseudo-artropodi endoscheletrati e altre amenità, nel continente di Siddo l'evoluzione aveva favorito i mammiferi, dando luogo addirittura a una specie umanoide, denominata dagli scienziati terrestri Homo Ozagen. Questi umanoidi avevano dato origine a una civiltà del livello di quella babilonese, ma poi erano stati spazzati via da una spaventosa catastrofe, salvo gruppuscoli di superstiti inselvatichiti. Dopo secoli era giunto a Siddo un Cristoforo Colombo degli Insetti. La specie dominante conviveva con una serie di altre specie bizzarre: vengono descritti persino insetti la cui sola funzione è quella di ingurgitare ingenti quantitativi di zuccheri per produrre col loro corpo una bevanda alcolica. E ci sono anche insettoidi mimetici il cui aspetto non è quello degli artropodi...    

PHILIP J. FARMER E L'ESOLINGUISTICA

Ozagen, gioco di parole su "Oz Again", è il nome del pianeta alieno dominato da specie insettoidi. Come l'autore ci spiega, proviene dall'adattamento di un vocabolo di una delle lingue locali, descritta come dotata di una struttura formidabile e talmente complessa da renderne quasi impossibile l'apprendimento. Riporto alcuni passi del romanzo, che descrivono bene la natura della lingua di Siddo: 

"Un altro ostacolo era rappresentato dalla costruzione grammaticale del Siddo. Bastava considerare le coniugazioni dei verbi. Invece di coniugare un verbo o di usare una particella separata per indicare il passato o il futuro, il Siddo usava una parola completamente diversa. Per esempio, l'infinito animato maschile dabhumaksnigalu'ahai, che significava vivere, diventava, all'imperfetto, ksu'u'peli'afo e, al futuro, mai'teipa. Lo stesso uso di una parola completamente diversa vigeva per tutti gli altri tempi. Inoltre, il Siddo non aveva soltanto i tre normali generi (terrestri) maschile, femminile e neutro: aveva anche il genere inanimato e quello spirituale. Per fortuna, i generi si declinavano, benché questo fosse piuttosto difficile per chiunque non fosse nato a Siddo. Il sistema per indicare il genere, però, cambiava secondo i tempi dei verbi.
Tutte le altre parti del discorso, nomi, pronomi, aggettivi, avverbi e congiunzioni, funzionavano secondo lo stesso sistema dei verbi. Per rendere ancora più confuso l'uso della lingua, frequentemente le diverse classi sociali usavano parole diverse per esprimere lo stesso significato." (pag. 60, edizione del 1991)  

LA LINGUA NEOINGLESE-HAWAIIANA 

Una lingua discendente dall'inglese sopravvive in forma degradata e frammista all'hawaiiano, perché il Nordamerica è stato colonizzato dopo la Guerra Apocalittica da discendenti di Americani della Hawaii. Così sono moltissime le parole di origine hawaiiana in essa presenti. Il saluto tipico è aloha, i grattaceli sono chiamati pali "montagne", mentre strutture abitative sotterranee sono chiamate puka "pozzi". A queste si mescolano parole ebraiche provenienti dall'ambito della religione. Così ecco il saluto shalom, più formale di aloha, il termine di rispetto abba usato per rivolgersi a superiori, e alcune parole gergali che affondano le loro radici nella Bibbia. Per dire "buono, accettabile" si usa shib, che è da shibboleth (in origine "spiga"). La sua negazione è in-shib "cattivo, inaccettabile".

LA LINGUA NEOFRANCESE DELLA BAIA
DI HUDSON
 

All'epoca in cui si svolgono i fatti, sopravvivevano su tutto il globo terracqueo soltanto venti parlanti una lingua discendente dal francese dei Franco-Canadesi, tutti abitanti nella Riserva della Baia di Hudson. Tuttavia nel libro non è riportata una descrizione del loro idioma. 

LA LINGUA NEOFRANCESE DI OZAGEN

Farmer si dimostra anche un ottimo conlanger, descrivendo per sommi capi - ma in modo assai vivido - la lingua neofrancese parlata dall'aliena umanoide (lalitha) Jeannette sul pianeta Ozagen. Figlia di una antropoide locale e di un esule giunto su Ozagen da un pianeta colonizzato da Francesi, l'affascinante creatura porta il cognome paterno Rastignac. Consapevole dell'evoluzione graduale delle lingue, l'autore ha compilato una lista di mutamenti fonetici regolari. 

bwa sfa < bon soir
e'uteh < écoutez
fi < oui
fo tami < votre ami
kfe < quoi
maw sheh < mon cher
nespfa < n'est-ce pas
pukfe < pourquoi
sah mfa < c'est moi

su < monsieur
Wuhbopfei
< Le Beau Pays

wuhfvayfvu < levez-vous

Chiaramente il termine lalitha, usato per descrivere le creature della specie di Jeannette, è concepito come una parola aliena delle genti di Siddo, ma l'ispirazione potrebbe essere venuta a Farmer direttamente dal nome Lolita

venerdì 4 marzo 2016

IL VIAGGIO TRANSOCEANICO DELL'INCA TOPA YUPANQUI: UN'UTOPIA ONIROSTORICA

Una storia mirabolante che ha per protagonista l'Inca Tupac Yupanqui (1430 - circa 1475) ci è stata tramandata nelle cronache incaiche da Pedro Sarmiento de Gamboa, Martín de Murúa e Miguel Cabello de Balboa. In sintesi, si racconta che il sovrano abbia intrapreso la via del mare su grandi zattere con ben 20.000 uomini, facendo ritorno dopo nove mesi e portando con sé un bottino alquanto strano: uomini dalla pelle nera, una sedia di ottone e la mandibola di un grande quadrupede, che gli Spagnoli hanno in seguito identificato con un cavallo.

Questo è il testo originale in lingua spagnola di Pedro Sarmiento de Gamboa:

“Andando Topa Inga Yupanqui conquistando la costa de Manta y la isla de la Puná y Túmbez, aportaron allí unos mercaderes que habían venido por la mar de hacia el poniente en balsas, navegando a la vela. De los cuales se informó de la tierra de donde venían, que eran unas islas, llamadas una Auachumbi y otra Niñachumbi, adonde había mucha gente y oro. Y como Topa Inga era de ánimos y pensamientos altos y no se contentaba con lo que en tierra había conquistado, determinó tentar la feliz ventura que le ayudaba por la mar… y… se determinó ir allá. Y para esto hizo una numerosísima cantidad de balsas, en que embarcó más de veinte mil soldados escogidos”. Y concluye la crónica: “Navegó Topa Inga y fue y descubrió las islas Auachumbi y Niñachumbi, y volvió de allá, de donde trajo gente negra y mucho oro y una silla de latón y un pellejo y quijadas de caballo…”.

El hecho es tan inusitado que Sarmiento se ve obligado a explicar: “Hago instancia en esto, porque a los que supieren algo de Indias les parecerá una caso extraño y dificultoso de creer”. 

Questa invece è la versione di Miguel Cabello de Balboa: 

“De este viaje, [Topa Inga Yupangui] se alejó de tierra más [de lo] que se puede fácilmente creer, mas cierto afirman los que sus cosas de este valeroso Inga cuentan, que de este camino se detuvo por la mar duración y espacio de un año y dicen más que descubrió ciertas islas a quien llamaron Hagua Chumbi y Nina Chumbi. Qué islas estas sean   en   el   Mar   del   Sur   (en   cuya   costa   el   Inga   se   embarcó),   no   lo   osaré determinadamente afirmar, ni qué tierra sea la que pueda presumirse ser hallada en esta navegación”.

Come interpretare queste portentose narrazioni? Ogni tentativo che si possa concepire per collocarle in un contesto reale appare votato al fallimento.

La cosa più logica che possiamo pensare è che l'Inca abbia raggiunto le isole conosciute ai nostri giorni come Galápagos o Encantadas. La descrizione geografica è a prima vista compatibile: l'isola di Niñachumbi (Nina Chumbi), alla lettera "Cintura di Fuoco", può ben essere La Isabela, che ha forma allungata e su cui si trovano ben cinque vulcani. Non va però nascosto che l'isola di Auachumbi (Hagua Chumbi), alla lettera "Cintura Esterna", non trova a parer mio alcuna reale corrispondenza nelle caratteristiche morfologiche dell'arcipelago. Occorre precisare che le isole Galápagos erano disabitate prima della loro scoperta casuale ad opera di Tomás de Berlanga nel 1535. Thor Heyerdahl, che godette negli anni '70 dello scorso secolo di una grande fama per via dei suoi viaggi transoceanici compiuti con la zattera Kon-Tiki e delle sue singolari teorie, riteneva che l'isola fosse già visitata e abitata regolarmente prima dell'arrivo degli Spagnoli. A riprova di questo indicò una certa quantità di vasellame peruviano. Tuttavia non è stato possibile datare i frammenti con sicurezza, e potrebbe anche darsi che il vasellame sia stato portato nell'arcipelago da navigatori spagnoli che se ne servivano per i loro quotidiani usi potori. Thor Heyerdahl non sarebbe mai stato in grado di fornire prove irrefutabili di stanziamenti preispanici. Esiste poi un altro dettaglio non trascurabile. Lo scopritore delle Galápagos ci testimonia che gli animali delle isole erano mansueti e non temevano l'uomo - cosa che non sarebbe stata possibile se la presenza umana fosse stata sufficientemente antica. Inoltre non si può per nessuna ragione trovare in tale arcipelago alcun manufatto di ottone, e neppure animali simili a cavalli. Una pelle di mammifero marino avrebbe potuto anche essere scambiata per il resto di un cavallo dai narratori spagnoli, ma per i restanti trofei non ci sono spiegazioni possibili. Quindi la destinazione di Tupac Yupanqui deve essere stata un'altra, oppure egli ha compiuto davvero il viaggio arrivando alle Galápagos, ma tutto il resto (le genti dalla pelle nera, la sedia d'ottone, etc.) è mera invenzione.

Numerose sono state le ipotesi fatte nel tentativo di razionalizzare la storia dei viaggi di Tupac Yupanqui. Si è pensato all'Isola di Pasqua, anch'essa al centro delle fantasie di Thor Heyerdahl. I nativi non sono più scuri di pelle degli antichi peruviani, semmai più chiari, inoltre non conoscevano la metallurgia né gli animali da traino. Tutti i loro manufatti erano ricavati dal legno, dalle conchiglie, dai gusci di tartarughe marine, dalla pietra. Siamo daccapo: incongruenze simili a quelle già viste nel caso delle Galápagos emergono e vanificano l'identificazione. Sul problema dei contatti precolombiani tra le genti di Rapa Nui e quelle dell'America Meridionale si è scritto molto. Sembra che nel corredo genetico di alcuni Pascuensi si sia trovata una certa percentuale di materiale attribuibile a contatti con Amerindiani (circa l'8%), ma i connubi potrebbero benissimo essere avvenuti in un'epoca successiva ai primi contatti con gli Europei - anche considerando la storia di deportazione e schiavitù degli isolani, che potrebbe aver portato a connubi con meticci sul continente. Alcuni pensano che siano stati i Polinesiani a raggiungere l'America, portando con sé alcune donne della terraferma. In ogni caso, non sembra che il viaggio di Tupac Yupanqui ci azzecchi molto. Suggerisco la lettura di questo interessante articolo: 


Mangareva apparirebbe a prima vista promettente, visto che tra i suoi sovrani annovera un certo Tupa, per giunta ricordato come uno straniero arrivato su zattera. Nonostante l'assonanza affascinante, non siamo affatto sicuri che si tratti del sovrano incaico. Un'assonanza di questo genere è molto facile a prodursi in una lingua polinesiana, la cui fonotattica ammette soltanto sillabe aperte. Come risaputo, gli stessi spagnoli hanno adattato il nome originale dell'Inca, Tupaq, trascrivendolo come Topa. È anche possibile che un polinesiano avrebbe trascurato la consonante postvelare finale -q, di suono molto aspro, ma questo non è affatto detto. Concreta è la possibilità che un indigeno di Mangareva avrebbe piuttosto adattato Tupaq come *Tupaka.  

In un blog, Articulos Cortos sobre el Peru antiguo, si parla di Tahiti e si identificano le isole descritte dai cronisti spagnoli con Huahine Nui e Huahine Iti, che l'autore interpreta dolosamente come "Cintura Grande" e "Cintura Piccola". Questo blogger non ha alcuna familiarità con le lingue austronesiane, o più in generale con qualsiasi lingua non sia quella ispanica. Il vocabolo tahitiano huahine non è affatto privo di traduzione, come egli sostiene. Significa pudendum muliebre, ossia vulva. In altre parole, è quel buco che le genti di questo paese idolatrano e a cui danno il nome di fica. Non dunque "Cintura Grande" e "Cintura Piccola", ma "Grande Fica" e "Piccola Fica". I toponimi non corrispondono affatto a quelli riportati da Sarmiento de Gamboa e dagli altri cronisti: il riferimento a un ipotetico termine per "cintura" è una pia illusione, al suo posto c'è la fica, non si fa menzione né del fuoco né dell'esterno. Per il resto, l'autore del blog riporta numerose inconsistenze. Ad esempio afferma il seguente sproposito: 

"Auachumbi y Niñachumbi son nombres que muy probablemente se fueron transformando al quechua, aunque “aua” y “niña” no tengan ningún significado reconocible (o sí, no lo sé)."  

I due toponimi sono certamente Quechua, anche se la trascrizione lascia a desiderare. I vocaboli hawa "fuori" (Ayakuchu hawa, Qhochapampa jawa /'xawa/, Qosqo hawa, Qasamarka sawa, Tucumán aa, etc.) e nina "fuoco" (comune a tutte le varietà) appartengono al lessico di base della lingua incaica. Ovviamente una persona può ignorare queste parole e nessuno può fargliene una colpa. È invece colpevole avere la possibilità di fare ricerche per appurare la verità su un argomento e non farlo, per poi asserire il falso a bella posta e diffondere disinformazione. Questo sembra proprio essere il caso.  

Se anche la spedizione incaica si fosse spinta fino in Melanesia, dove avrebbe scoperto genti dalla pelle nera, non avrebbe potuto trovarvi manufatti in leghe metalliche e neppure bestiame.

A questo punto, se volessimo salvare la storicità del racconto, resterebbero altre due possibilità: le Filippine e il Giappone. Entrambe le destinazioni sono a mio avviso troppo remote per essere prese in considerazione. Nelle Filippine sono tuttora stanziate popolazioni antichissime che gli Spagnoli chiamarono Negritos, stupiti dalla somigianza con i neri d'Africa, a parte la bassa statura. Si tratta degli Aeta e degli Ati, i discendenti di uno dei più antichi popolamenenti umani, di cui restano come testimonianza le popolazioni native della Papua Nuova Guinea, della Melanesia e delle Andamane. In Giappone simili pigmoidi dalla pelle scura dovevano essere presenti in epoca preistorica. Le difficoltà poste dall'ipotesi di un viaggio fino nelle Filippine o in Giappone sono insormontabili. Si capisce come l'arrivo di zattere dall'Oceano sarebbe stato un evento eccezionale anche in un paese come il Giappone, che aveva una civiltà molto progredita e la capacità di registrare gli eventi tramite la scrittura: sicuramente se ne troverebbe menzione nelle cronache locali. Allo stesso modo le Filippine non erano così isolate e tagliate fuori da influenze esterne come si potrebbe credere. È riportato che l'Islam cominciò a diffondersi nelle isole di Sulu e di Mindanao a partire dal XIII secolo, arrivando nei dintorni di Manila nella seconda metà del XVI secolo. La stessa venuta di esploratori europei si colloca in un tempo non troppo lontano da quello del fantomatico viaggio di Tupac Yupanqui, che avrebbe lasciato qualche traccia nella memoria degli isolani. Nel 1521 il navigatore portoghese Magellano a capo di una spedizione spagnola sbarcava nell'arcipelago, finendo ucciso in una rivolta dei nativi; nel 1565 veniva stabilita la prima colonia spagnola.

Analizzando bene tutta questa considerevole mole di informazioni, pensiamo alle difficoltà incredibili che l'impresa avrebbe comportato. Cosa avrebbero fatto l'Inca e il suo seguito in Polinesia? Anche se fossero giunti davvero fino a Rapa Nui, a Mangareva, a Tahiti o nelle Filippine, come avrebbero potuto ritrovare facilmente la rotta per fare ritorno a casa? Avrebbero condotto con sé genti negroidi, ma non gli ottimi navigatori polinesiani? Non avrebbero abbandonato le zattere utilizzando le migliori imbarcazioni della Polinesia? Le cronache ci parlano infatti di un viaggio transoceanico con ritorno. Eppure le possibilità di perdersi e di finire col morire di inedia nel bel mezzo dell'Oceano sarebbero state soverchianti. Per queste fondate ragioni sono incline a pensare che l'impresa marittima dell'Inca non sia un genuino fatto storico e che riguardi piuttosto il concetto di onirostoria.

sabato 5 aprile 2014

L'ESTINZIONE DELLE LINGUE È UNA REALTÀ

Da un po' di tempo rifletto su un bizzarro argomento, che secondo me riveste il massimo interesse etnologico: l'originale lingua dei Pigmei. Pochi sanno infatti che le popolazioni africane conosciute come Pigmei non conservano una lingua loro propria, ma hanno appreso nel corso dei secoli le lingue delle popolazioni vicine con le quali hanno sviluppato rapporti di dipendenza. Così la grande maggioranza parte dei Pigmei parla lingue Bantu, mentre qualche gruppo ha adottato lingue di ceppo diverso. 

Secondo Cavalli-Sforza, due sarebbero i tipi genetici sprovvisti di una lingua propria nota: i Pigmei e i Sardi. I Sardi attuali infatti parlano una lingua derivata direttamente dal Latino. Anzi, il Sardo è una delle lingue neolatine meglio conservate. Prima di apprendere il Latino, i Sardi parlavano Punico e Nuragico. Il Punico era una linga affine all'Ebraico, mentre sul Nuragico si possono fare soltanto congetture, anche se con tutta probabilità era affine al Basco. 

Va detto che mentre i Pigmei dell'Africa non conservano una lingua loro propria, ci sono molti altri gruppi detti Khoi-San, ossia i Boscimani e gli Ottentotti, che hanno lingue peculiari e irriducibili a qualsiasi altro ceppo. Due popoli di cacciatori-raccoglitori della Tanzania, i Sandawe e gli Hadza, hanno lingue prive di parentele, né tra di loro né con altre lingue, salvo forse quelle di gruppo Khoi-San.

Se si guarda la situazione fuori dall'Africa, si scopre che anche in Asia esistono popolazioni di bassa statura, con capelli crespi e la pelle molto scura: sono quelli che gli Spagnoli chiamarono Negritos. I primi esploratori venuti dalla Spagna che si imbatterono in queste genti si dissero certi della loro origine africana. Tra questi popoli ci sono i Semang della Malesia, gli Aeta delle Filippine e altri gruppi sparsi per l'arcipelago dell'Indonesia. Nessuno di questi gruppi parla una lingua propria: la situazione è simile a quella dei Pigmei Africani. La massima parte di loro ha adottato una lingua del ceppo Austronesiano, come ad esempio il Malese. Ci sono anche altri popoli peculiari di origine certamente remota: i Vedda di Sri Lanka e le genti delle Isole Andamane. Gli Andamanesi hanno mantenuto lingue proprie, a differenza degli altri ceppi, che sono del tutto prive di qualsiasi somiglianza nel resto del mondo. Tale è l'arcaicità degli Andamanesi che ignoravano del tutto il modo di accendere il fuoco. Per colmo dell'ironia, un proverbio dei Pigmei dell'Africa suonerebbe irrispettoso se applicato agli Andamanesi: "La scimmia non è un uomo, solo perché non sa accendere il fuoco".

A dire il vero se si studiano bene le lingue dei Pigmei dell'Africa e quelle dei Negritos dell'Asia, si scopre che qualche parola antica è sopravvissuta. Nell'idioma dei Baka, ad esempio, il 30% del vocabolario è di origine sconosciuta. Tra i gruppi africani sono prive di relazioni esterne le parole relative alla vita nella foresta, alla raccolta del miele, oltre ai numerali. Anche tra i Semang (che parlano Malese) e i Vedda (che parlano Singalese) si trovano molti termini isolati. Presso i Vedda si segnalano ad esempio termini come GALREKKI 'ascia', RUHANG 'amico', KUKKA 'cane', OKMA 'bufalo', TOMBA 'lumaca' e via discorrendo. Così esisterebbe modo di approfondire gli studi fino a capire qualcosa di più. Cercando in Rete, ho trovato alcuni interessantissimi documenti, anche se il materiale che trattano è limitato. Purtroppo noto che non c'è molta apertura mentale. Mi sono infatti imbattuto in un post scritto da un anglofono, che usa il Rasoio di Occam, negando la possibilità che tutte quelle lingue siano andate perdute. Così, in nome di una semplicità dogmatica e compulsoria, questa persona è arrivata a sostenere che gli antenati dei Pigmei erano esseri del tutto privi di parola, e che a un certo punto hanno imparato a parlare dai loro vicini. "Cosa c'è da stupirsi?" - si domanda addirittura in un passo - "In fondo le scimmie antropomorfe non hanno ancora imparato a parlare".

Non mi hanno mai convinto le teorie di Hannah Arendt sulla "banalità del Male". Il Male non è mai banale, proprio in virtù della sua esistenza come principio ontologico separato. Dopo aver letto il post insulso di questo sedicente studioso, sto però cominciando a capire che esistono anche realtà che sono ben al di sotto dello stesso concetto di banalità.