Grande è stata la mia indignazione quando mi sono imbattuto in un articolo pseudoscientifico intitolato "La civiltà dell'Isola di Pasqua non fu distrutta dalle guerre". In sintesi, per i ricercatori della Binghamton University di New York guidati da Carl Lipo, Rapa Nui sarebbe stata un paradiso di ecosostenibilità fino all'arrivo degli Europei e non avrebbe conosciuto alcuna crisi ambientale. La prova di ciò? Semplice: le punte di ossidiana, chiamate mata'a nella lingua pascuense, sarebbero state in realtà "utensili domestici", perché questo indicherebbero fantomatiche "analisi morfometriche". A cosa sarebbero serviti questi "utensili domestici"? Per l'agricoltura e per fare i tatuaggi, ci assicura Lipo. Sì, e magari anche per fare la birra.
Non userò mezzi termini. La Binghamton University di New York è costituita essenzialmente da idioti. Sono fin troppe le università che pullulano di chierici traditori la cui unica occupazione è farsi pulire con la lingua il solco balano-prepuziale dalle studentesse. Snervati da interminabili sessioni di fellatio, questi accademici sono in grado soltanto di produrre deliri e baggianate: sembra proprio che ad ogni eiaculazione un po' di materia grigia venga drenata dal cranio e finisca espulsa dal membro.
Revisionismo e negazionismo la fanno da padroni ogni qual volta occorre pronunciarsi su una qualsiasi questione storica o archeologica. Le tradizioni della popolazione nativa oggetto di qualsiasi studio vengono dismesse come irrilevanti. Altrettanto insignificanti sono considerate le testimonianze dei navigatori europei, che hanno visto con i loro occhi le cose di cui hanno scritto.
Il caso dell'Isola di Pasqua è paradigmatico. Ogni proposizione di questi membri dell'Accademia di Lagado è dominato dalla fallacia logica detta "non sequitur". Il fatto che le punte in ossidiana siano da loro considerate utensili non significa che non ci sia stata un'esplosione di ostilità. Le loro conclusioni sulle mata'a sono infondate, ma anche se si rivelassero esatte, quali ne sarebbero le conseguenze? Non cambierebbe nulla. L'ha detto nessuno a quei babbioni decerebrati che esistono anche le armi improprie? In una società dominata da una tirannia, gli insorti usano ciò che hanno sotto mano. Lo ha mai insegnato nessuno ai ricercatori della Binghamton?
Questo è quanto è riportato da Jared Diamond nel suo libro Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere:
"Furono già i primi coloni, approdati sull'isola attorno al 900, a iniziare ad abbattere gli alberi. La deforestazione era ormai completa nel 1722, anno in cui Roggeveen, sbarcando sull'isola, non vide nessuna specie vegetale più alta di 3 metri. Siamo in grado di determinare con esattezza quando l'isola perse il suo ultimo albero? Ci sono cinque tipi di indizi che ci aiutano a rispondere a questa domanda. Gli esami con il radiocarbonio effettuati sulle noci di palma indicano in genere una datazione anteriore al 1500, ed è quindi probabile che la palma diventò rara o si estinse dopo quella data. Sulla penisola di Poike, che possiede il suolo meno fertile dell'isola e che dunque fu la prima area a essere deforestata, le palme scomparvero prima del 1400 circa, mentre il carbone derivato dall'abbattimento degli alberi spari attorno al 1440. Tuttavia, alcune tracce di attività agricola risalenti a epoche posteriori attestano che gli esseri umani continuarono a vivere in quella zona ininterrottamente. I campioni che Orliac ha datato, prelevandoli dai forni e dai cumuli di rifiuti, mostrano che il carbone fu rimpiazzato da combustibile erbaceo dopo il 1640. Ciò avvenne anche presso le abitazioni dell'élite, che avrebbe potuto usufruire degli ultimi e preziosi alberi rimasti anche quando ai contadini e alla gente comune fosse stato vietato l'accesso a quella risorsa in via di estinzione."
Dalla stessa fonte, sulla catastrofe ambientale:
"La storia dell'isola di Pasqua è il caso più eclatante di deforestazione mai verificatosi nel Pacifico, se non nel mondo intero: tutti gli alberi sono stati abbattuti e tutte le specie arboree si sono estinte. Le conseguenze immediate per gli isolani furono la perdita di materie prime e di fonti alimentari spontanee, nonché una diminuzione della produzione agricola. Le materie prime che andarono perdute o che rimasero disponibili soltanto in quantità nettamente ridotte erano tutte derivate dagli alberi o dagli uccelli che vi nidificavano: il legno, le funi, la corteccia per fabbricare il tapa e le piume. Il venir meno dei grandi alberi e delle funi pose fine al trasporto e all'innalzamento delle statue, così come alla costruzione delle canoe per la navigazione in alto mare."
Ancora Diamond, sull'impoverimento della dieta degli isolani:
"Una volta esaurite le risorse lignee dell'isola, gli abitanti non poterono più costruire le robuste canoe per la navigazione in mare aperto. A partire dal 1500, infatti, gli ossi di delfino, la carne più consumata dagli isolani durante i primi secoli, scomparvero dai depositi di rifiuti, così come il tonno e gli altri pesci d'alto mare. Diminuì il numero degli ami e delle lische di pesce nei depositi di rifiuti, e rimasero soltanto resti di specie che potevano essere pescate in acque basse o dalla riva. Gli uccelli terrestri scomparvero del tutto, mentre gli uccelli marini si estinsero per due terzi. Gli individui delle specie sopravvissute, numericamente scarsi, furono costretti, per riprodursi, a rifugiarsi su alcuni isolotti al largo della costa. Le noci di palma, le bacche del melo malese e tutti gli altri frutti selvatici cessarono di far parte della dieta degli isolani. Si cominciarono a consumare specie di crostacei sempre più piccole e gli individui pescati diminuirono sempre di più in numero e in dimensioni. I ratti rimasero l'unica specie selvatica da carne la cui disponibilità restò immutata."
Sempre Diamond, sul cannibalismo:
"Nel 1774 il capitano Cook descrisse gli isolani come «piccoli di corporatura, scarni, timidi e infelici». La zona abitata sui bassipiani costieri, dove quasi tutti vivevano, si ridusse del 70 per cento in trecento anni, dal 1400 al 1700, ed è probabile che la popolazione sia diminuita di pari passo. Al posto della carne degli animali estinti, gli isolani iniziarono a consumare quella di una specie ancora disponibile e fino ad allora inutilizzata: l'uomo. Le ossa umane diventarono comuni non soltanto presso i luoghi di sepoltura, ma anche nei depositi di rifiuti più recenti, in cui è evidente che sono state spaccate per estrarne il midollo. Il cannibalismo ricorre ossessivamente nella tradizione orale degli isolani. L'insulto più bruciante che poteva essere fatto a un nemico era: «Mi è rimasta tra i denti la carne di tua madre»."
Alla faccia dell'ecosostenibilità e della vita idilliaca! Gli universitari incompetenti negano la terribile crisi ecologica che ha portato Rapa Nui al collasso? Allora facciano saltare fuori le risorse sparite, come ad esempio maiali, cani e polli! Se per questi buonisti scervellati regnavano l'armonia e equilibrio con la Natura, dove sarebbero finiti gli alberi abbattuti? Dementi, li facciano saltare fuori! Se non ci riescono, sono tenuti al Seppuku.
Di certo gli sproloqui di questi accademici drogati non avranno fine con l'inverecondo articolo diffuso da Repubblica. È infatti in attesa una nuova pubblicazione della Binghamton University: "La civiltà dell'Isola di Pasqua fu distrutta dai Puffi!"
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