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venerdì 22 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI LUBOTSKY O IL SOSTRATO NELL'INDOIRANICO

Alexander Lubotsky (Università di Leida) è l'autore del lavoro The Indo-Iranian substratum (Il sostrato indoiranico), pubblicato originariamente in Early Contacts between Uralic and Indo-European: Linguistic and Archaeological Considerations (Contatti precoci tra uralico e indoeuropeo: considerazioni linguistiche e archeologiche). Il contributo è stato presentato a un simposio internazionale tenuto alla Stazione di Ricerca di  Tvärminne dell'Università di Helsinki, 8-10 gennaio 1999. L'articolo è consultabile e scaricabile al seguente url:


È un'approfondita trattazione degli elementi di sostrato comuni alle lingue indiane e a quelle iraniche, con discussione della loro struttura fonetica e morfologica, oltre a elenchi di radici. Questa è la sinossi, da me tradotta:

"Lo studio dei prestiti può essere uno strumento potente per determinare i contatti culturali preistorici e le migrazioni, ma questo strumento è usato in modo diverso in varie discipline. Così gli studi sui prestiti sono pienamente accettati nella linguistica uralica, mentre gli indoeuropeisti sono spesso riluttanti a riconoscere l'origine straniera di parole attestate nelle lingue indoeuropee. La ragione è ovvia: in uralico, noi conosciamo la sorgente dei prestiti (indoiranico, germanico, baltico), mentre la sorgente di possibili prestiti in indoeuropeo è di solito sconosciuta. Nonostante ciò, è una questione di grande importanza distinguere tra il lessico ereditato e i prestiti, anche se la lingua donatrice non può essere determinata. 
Negli anni recenti la metodologia per trattare i prestiti da una fonte sconosciuta è stata sviluppata da Kuiper (1991 e 1995), Beekes (1996) e Schrijver (1997). Come questi studiosi hanno fatto notare, un etimo è verosimilmente da considerarsi un prestito se è caratterizzato da qualcuna delle seguenti caratterstiche: 1) distribuzione geografica limitata; 2) irregolarità fonologica o morfofonologica; 3) fonologia insolita; 4) formazione insolita di parole; 5) semantica specifica, es. una parola appartiene a una categoria semantica che è particolarmente suscettibile di essere presa a prestito." 

Concordo sull'immensa importanza della scienza dei prestiti. Dissento invece sulle ragioni della riluttanza degli indoeuropeisti a riconoscere questo. Non lo fanno perché le lingue donatrici sono ignote, bensì per ragioni ideologiche e dogmatiche. Ragioni che non di rado sono contaminate dalla politica. Ho conosciuto indoeuropeisti convinti che i popoli di lingua indoeuropea debbano essere "moralmente superiori" a popoli che parlano lingue di ceppi diversi.  Quindi passano ad applicare il concetto di "superiorità morale" direttamente alle lingue e persino alle singole parole che ne compongono il lessico. C'è anche un'altra cosa su cui non sono molto d'accordo. Gli uralisti accettano pienamente l'esistenza di prestiti dall'indoiranico, dal germanico e dal baltico nelle lingue uraliche. Diverso discorso quando si tratta di elementi di sostrato provenienti da lingue ignote che compaiono come sostrato, numerosi ad esempio nelle lingue uraliche dei Saami (Lapponi). Sorge allora una specie di puritanesimo non troppo dissimile da quello dei Neogrammatici: ecco che la reazione spontanea di molti studiosi è quella di ricondurre le parole problematiche a etimologie conosciute, anche a costo di far loro violenza. Per fortuna c'è chi fa eccezione. 
 
L'autore applica le linee guida di Kuiper-Beekes-Schrijver al lessico indoiranico alla ricerca di prestiti di origine sconosciuta entrati nella protolingua in epoca anteriore alla sua suddivisione in due rami. Lo studio si fonda su una lista, raccolta dall'etimologo Manfred Mayrhofer (1926 - 2011) e contenente circa 120 parole sanscrite provviste di corrispondenze iraniche, ma prive di chiari collegamenti al di fuori dell'indoiranico. 
 
Le parole della lista di Mayrhofer soddisfano il criterio della limitata distribuzione geografica. Ciò non è però sufficiente. Infatti una parola potrebbe essere priva di un'etimologia credibile solo perché è andata perduta in tutti gli altri rami dell'indoeuropeo, restando soltanto in indoiranico. Può anche darsi che si brancoli nel buio perché l'etimologia corretta non è ancora stata trovata. Soltanto in presenza di altre caratteristiche tipiche di un prestito l'autore prende seriamente in considerazione l'idea di un'origine straniera. Nell'articolo il termine "sostrato" si usa per ogni lingua donatrice di prestiti, senza considerare che potrebbe essere anche un adstrato o un superstrato: la distinzione non può essere determinata allo stato attuale delle conoscenze. Ci potrebbe anche essere stata più di una lingua donatrice. L'autore passa quindi ad analizzare in dettaglio le caratteristiche peculiari mostrate da alcune delle parole indoiraniche isolate.

1) Corrispondenze fonetiche irregolari

In posizione iniziale: 

Sanscrito s- : Proto-iranico *s-
   Sanscrito sikatā- "sabbia" :
   Antico persiano ϑikā- "sabbia".  
   Sanscrito sūcī- "ago" :
   Tardo avestico sūkā- "ago".
Sanscrito k- : Proto-iranico *g- 
   Sanscrito keśa- "capelli" :
   Tardo avestico gaēsa- "capelli ricci".
Sanscrito ph- : Proto-iranico *sp- 
   Sanscrito phāla- "vomere" :
   Persiano moderno supār "vomere".
Sanscrito ś- : Proto-iranico *xšṷ- 
   Sanscrito śepa- "coda", ma pracrito cheppā- :
   Tardo avestico xšuuaēpā- "coda".

In posizione mediana: 

Sanscrito -a- : Proto-iranico *-u- 
   Sanscrito jahakā- "riccio" (animale) :
   Tardo avestico dužuka- "riccio" (animale).
Sanscrito -ā- : Proto-iranico *-a- 
   Sanscrito chāga- "caprone":
   Ossetico sæğ / sæğæ "caprone".
Sanscrito -v- : Proto-iranico *-b- 
   Sanscrito gandharva- "un essere mitico":
   Tardo avestico gaṇdərəβa- "un essere mitico".
Sanscrito -dh- : Proto-iranico *-t- 
   Sanscrito gandha- "odore" :
   Tardo avestico gaiṇti- "cattivo odore".
Sanscrito -ar- : Proto-iranico *-ra- 
   Sanscrito atharvan- "prete" :
   Avestico āϑrauuan- / aϑaurun- "prete". 
Sanscrito -ar- : Proto-iranico *-ṛ- 
   Sanscrito gandharva- "un essere mitico":
   Tardo avestico gaṇdərəβa- "un essere mitico".
Sanscrito -ūr- : Proto-iranico *-ṛ- 
   Sanscrito dūrśa- "indumento grossolano" :
   Wakhi δərs "lana di capra o di yak".

2) Struttura della radice impossibile per una parola indoeuropea

Esiste una ben nota legge fonetica che impedisce la contemporanea presenza di due consonanti occlusive sonore non aspirate nella stessa parola. Si evince quindi che parole come *gadā- "mazza" e *gṛdā- "pene" non possono aver avuto la loro origine nella lingua protoindoeuropea.

3) Struttura sillabica inusuale (parole trisillabiche con vocale lunga o dittongo nella seconda sillaba). 
 
Questi sono alcuni esempi di forme proto-indoiraniche ricostruite dall'autore:

*pīi̭ūša- "colostro"
*mai̭ūkʰa- "piolo di legno"
*i̭avīi̭ā- "canale"
*ṷarājʰa- "cinghiale selvatico"
*kapauta- "piccione"
*kapāra- "vaso, piatto"

La struttura di queste parole è tale da rendere molto difficile una spiegazione sulla base della morfologia indoeuropea. Come sempre l'autore è molto diplomatico. Direi che cercare di spiegare le parole di questo genere sulla base della morfologia indoeuropea è come pretendere di spiegare sulla base dell'anglosassone la morfologia della parola axolotl. Il suffisso della parola sanscrita pīyūṣa- "colostro" si trova anche nella parola sanscrita tarda gaṇḍūṣa- "acqua per sciacquarsi la bocca". Lubotsky rimanda a Wackernagel per questo dettaglio morfologico, facendo notare che anche separando il suffisso in pīyūṣa-, resterebbe una base problematica con una vocale lunga -ī- inesplicabile. Aggiungo che gaṇḍūṣa- deriva dalla radice para-Munda *gand- "acqua", termine di sostrato che emerge anche nella toponomastica indiana. 

4) Peculiarità fonetiche  

Aspirate sorde:
*(s)pʰāra- "vomere", *atʰarṷan- "prete", *kapʰa- "muco, catarro", *kʰā- "pozzo, sorgente", *kʰara- "asino", *mai̭ūkʰa- "piolo di legno".

Affricate palatali estremamente frequenti:
*anću- "pianta di Soma", *āćā- / *aćas- "regione, spazio", *ćarṷa, nome di una divinità, *daćā- "orlo, filo", *dṛća- / *dṝća- `coarse garment', *jʰarm(i)
a- "struttura solida, casa permanente", *kaćapa- "tartaruga", *kaića- / *gaića- "capelli", *kućši- "lato del corpo, fianco", *maljʰa- "ventre", *naij(s)- "spiedo", *ućig- "prete sacrificatore", *ṷarājʰa- "cinghiale selvatico", etc.

Frequenti gruppi consonantici con -s-:
*kućši- "lato del corpo, fianco", *ṷṛćša- "albero", *mats
a- "pesce", *naij(s)- "spiedo", *kšīra- "latte", *pusća- "coda", *sćāga- / *sćaga- "caprone". 

La sequenza -rṷ-:
*atʰarṷan- "prete", *ćarṷa-, nome di una divinità, *g(ʰ)andʰ(a)rṷa- (/ -b(ʰ)a-) "un essere mitico". 
 
5) Peculiare formazione delle parole 
 
"Suffisso" -ka- (normalmente soltanto denominale):
*atka- "mantello", *stuka- "ciuffo di capelli", *ṷṛtka- "rene",
*jajʰaka- (/ -ā-) / *jajʰuka- (/ -ā-) "riccio" (animale);

"Suffisso" -sa- (raro nel lessico ereditato):
*pī
ūša- "colostro", *ṷṛćša- "albero";
 
"Suffisso" -pa-
*kaćapa- "tartaruga", *pāpa- "cattivo", *stupa- / *stūpa- "ciuffo di capelli", *šṷaipa- "coda";

Altre suffissazioni insolite:
*stu-ka-
contro *stu-pa- / *stū-pa-, entrambi "ciuffo di capelli", *nagna(jʰu)- "lievito, pane" (sanscrito nagnahu- "lievito", iranico *nagna- "pane"), *karuš- "danneggiato" (detto di denti), *jʰarm(i)
a- "struttura solida, casa permanente", *matsa- "pesce", *naij(s)- "spiedo", *ućig- "prete sacrificatore", *bʰiš- "medicina, erba medicinale" (sanscrito bhiṣaj- "medico", tardo avestico bišaziia- "curare"), *paṷasta- (/ -ā-) "veste". 
 
6) Categorie semantiche 
Si può sospettare che una parola sia un prestito anche se non mostra anomalie fonologiche e/o morfologiche, e questo soltanto per la sua appartenenza a un dato campo semantico (es. religione, culto del Soma, tecnologia). Anche se gli indoeuropeisti classici insorgeranno nel leggerlo, appartiene al sostrato qui studiato anche il teonimo *indra- "divinità uranica", che mostra un vocalismo irregolare, oltre a *ṛši- "veggente", il cui esito sanscrito mostra un accento iniziale aberrante. Motivi semantici spingono ad attribuire un'origine straniera a parole come *daćā- "orlo, filo", *išt()a- "mattone", *ṷāćī- "ascia, coltello appuntito" e via discorrendo. 
 
Il sostrato in proto-indoiranico e in sanscrito
 
A questo punto l'autore indaga la corrispondenza tra le caratteristiche delineate per gli elementi del sostrato nel proto-indoiranico e quelli del sostrato presente nelle sole lingue indiane, che sono entrati in sanscrito soltanto quando le genti indoarie hanno attraversato l'Hindukush. A complicare le cose, si trova una notevole concordanza strutturale, anche in assenza di parole comuni.   

i) Abbondanza di parole trisillabiche con sillaba mediana lunga:
urvārū- "cetriolo", ulūka- "gufo", uṣṇīṣa- "turbante", ṛbīsa- "forno", kapola- "guancia", karīṣa- "letame", karmāra- "fabbro"*, kilāsa- "di colore variegato", kiśora- "puledro", mayūra- "pavone", masūra- "lenticchia", śārdūla- "tigre", śṛgāla- "sciacallo", etc. 
 
*Non è un derivato del verbo kṛ- "fare": occorre fare attenzione alle false etimologie.

ii) Presenza di aspirate sorde:
ulūkhala- "mortaio", khila- "terra incolta", khārī- "misura di grano", kharva- "mutilato", phala- "frutto", mukha- "bocca, faccia", śikhā- "ciuffo di capelli, cresta".

iii) Grande abbondanza di consonanti palatali (fricative e affricate):
nella lista di Kuiper di 383 parole straniere nel Ṛg-Veda, Lubotsky ha contato ben 90 parole contenti tali suoni (corrispondente a circa 23,5% del totale).

iv) Gruppi consonantici con -s-:
kṣauma- "di lino" (cfr. umā- "lino"), ikṣvāku-, nome proprio di persona  (Ṛg-Veda), kutsa-, nome proprio di persona (Ṛg-Veda), etc.

iv) Presenza del "suffisso” -pa-:
alpa- "piccolo", turīpa- "sperma", puṣpa- "fiore", śaṣpa- "erba giovane", śilpa- "variegato" (also śilpa- "ornamento"), śūrpa- "cesto di vagliatura", etc. 

v) Presenza del "suffisso" -h-:
malha- "dal ventre pendente, dal seno pendente" (detto di capre e pecore), barjaha- "mammella", barjahya- "capezzolo".

vi) Presenza del "suffisso" -ig- (si direbbe un agentivo):
ṛtvij- "prete", vaṇij- "mercante".

vii) Presenza della sequenza -rṷ-:
urvārū- "cetriolo", kharva- "mutilato", turvaśa-, nome proprio di persona, paṭharvan-, nome proprio di persona (RV), śarvarī- "notte" (aggiunto dall'autore con qualche dubbio). 

Lubotsky pensa di aver risolto il problema, traendo dall'analisi dei dati la seguente conclusione: la lingua che ha dato gli elementi di sostrato in proto-indoiranico deve essere stata simile a quella che ha dato gli elementi di sostrato in sanscrito, a causa delle caratteristiche fonologiche e morfofonologiche condivise. Il quadro che ne deriva è a mio avviso estremamente semplicistico e non tiene conto della complessità delle stratificazioni di elementi di sostrati in sanscrito. Per comprendere quanto è intricata la situazione rimando alle mie note sul lavoro di Witzel: 
 
 
Notiamo subito un problema che Lubotsky sembra non considerare: i prefissi delle parole di sostrato attribuibili alla lingua perduta chiamata para-Munda (ka-, ku-, ki-, etc.), che a quanto pare mancano nelle parole di sostrato in proto-indoiranico. Trovo soltanto kṣauma- "di lino" rispetto a umā- "lino", che mi pare inesplicabile. Ho rilevato una parola che doveva già essere presente prima dell'arrivo delle genti indoarie in India, ma che in seguito deve essere entrata come prestito nel para-Munda, assumendo un prefisso caratteristico e finendo quindi in sanscrito. Questo è il percorso: 
 
Proto-indoiranico: *stupa / *stūpa "ciuffo di capelli" =>
Para-Munda: *ka-stūpa "ciuffo di capelli" =>
Sanscrito: kastūpa "ciuffo di capelli". 

Del resto, non posso fare a meno di notare che diverse parole raccolte dall'autore e presenti soltanto in sanscrito si discostano da tutto ciò che è stato analizzato da Witzel - e in particolare dal para-Munda - mostrando invece un'effettiva rassomiglianza fonologica con gli elementi di sostrato in proto-indoiranico. Potrebbe darsi che fossero un tempo presenti in proto-indoiranico per poi finire perdute in iranico e conservate soltanto in sanscrito. Alludo a forme come ṛtvij- "prete", vaṇij- "mercante". 
 
Prestiti indoiranici in uralico 
 
Esistono molti prestiti indoiranici nelle lingue uraliche. Nonostante ciò, l'autore è incline a pensare che non ci siano realmente prestiti indoeuropei in proto-uralico. La sua opinione sembra allinearsi con quella degli studiosi che considerano le isoglosse tra indoeuropeo e uralico una prova della relazione etimologica tra le due (proto)lingue. I prestiti dall'indoiranico inizierebbero nel periodo ugrofinnico. Peccato che non si riesca a far collimare i dati. Il più antico strato di prestiti consiste di parole che si trovano soltanto in sanscrito, senza alcun corrispondente iranico. Questi sono alcuni esempi:       

Ugrofinnico *ora "lesina" :
    Sanscrito ārā- "lesina"
Finnovolgaico *reśmä "corda" :
   Sanscrito raśmi- "briglia"
Finnovolgaico *onke "uncino" :
   Sanscrito aṅka- "uncino"
Finnopermico *ant3 "erba giovane"
   Sanscrito *andhas- "erba"
 
Secondo Lubotsky, questo si dovrebbe al fatto che i popoli uralici sarebbero entrati in contatto prima con le genti indoarie, considerate una sorta di avanguardia, durante la loro migrazione verso oriente. I prestiti iranici sarebbero giunti dopo, come un flusso continuo. Ci sono parole proto-indoiraniche presenti già in ugrofinnico: 
 
Ugrofinnico mekše "ape" :
   Proto-indoiranico makš- "ape" 
 
Ci sono poi prestiti dal proto-indoiranico al proto-permico, che non possono essere troppo recenti perché mostrano la sibilante /s/ conservata: 
 
Proto-permico *sur "birra" : 
   Proto-indoiranico *surā "birra"
La probabile origine ultima della radice è sumerica. 
 
Il vogulico tas "estraneo" è un prestito dal proto-indoiranico *dasu- "straniero". Anche qui la sibilante integra è prova di antichità. E se i prestiti fossero giunti in uralico direttamente dalla lingua del sostrato senza mediazione indoeuropea?    
 
Esempi di false etimologie 

Il proto-indoiranico *matsa- "pesce" (sanscrito matsya-, tardo avestico masiia-) non può essere ricondotto al protogermanico *mati- "pasto" (donde gotico mats "cibo", matjan "mangiare"; inglese meat "carne", etc.). La radice protogermanica *mati- è abbastanza isolata (sono stati proposti esili paralleli in antico irlandese) ed è stata fatta risale a un fantomatico protoindoeuropeo *mad-. La radice proto-iranica non si spiega: semantica difettosa (indica anche il pesce vivo, non necessariamente come cibo, etc.), oltre alla presenza dell'ingombrante "suffisso" -s-
 
Il proto-indoiranico *magʰa- "dono, offerta sacrificale" (sanscrito magha-, tardo avestico maga) non può essere connesso con la radice protogermanica *maγ- "essere capace, potere" (donde gotico magan "essere capace, potere", mahts "forza, potenza") per evidenti motivi semantici. Oltretutto la radice protogermanica ha paralleli soltanto in baltico, in slavo e in celtico (gallico mageto-, mogeto-, mogit- "potente", documentato in antroponimi e topomini), ha tutta l'aria di essere un prestito da una lingua perduta.  

venerdì 8 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI WITZEL

Michael Witzel (Harvard University, Department of Sanskrit and Indian Studies) è l'autore del lavoro Substrate Languages in Old Indo-Aryan (Ṛgvedic, Middle and Late Vedic), ossia Lingue di sostrato nell'antico indoario (ṛgvedico, medio e tardo vedico), pubblicato nel 1999 sull'Electronic Journal of Vedic Studies (EJVS) e attualmente consultabile in svariati siti del Web, ad esempio su Researchgate.net:


Anche il sito del professor Witzel contiene la risorsa in analisi, assieme a molte altre assai utili: invito i navigatori a consultare una biblioteca tanto ricca e mirabile.


Trovo che Substrate Languages in Old Indo-Aryan sia un'esaustiva e interessantissima trattazione delle lingue di sostrato del subcontinente indiano. Il saggio è ancor più meritorio se si considera che l'argomento è ignoto al grande pubblico. Anche moltissime persone che si sono avvicinate allo studio del sanscrito, credono tuttora in modo incrollabile al dogma dei Neogrammatici. Così attribuiscono all'intero lessico della lingua dell'India classica un'origine indoeuropea, senza sapere che moltissime parole sono state prese da lingue parlate alla popolazione stanziata sul territorio prima che vi arrivassero gli Indo-Arii. Basterebbe anche poco a capirlo. Ci si potrebbe arrivare già soltanto dando un'occhiata alla fonetica di un gran numero di parole, unita all'impossibilità di trovare paralleli credibili in altre lingue indoeuropee.

Questo è l'indice dell'opera:

§ 0. Definitions ... 2

§ 1. Greater Panjab ... 6
§ 1.1. Ṛgveda substrate words  ... 6
§ 1.2. Para-Munda loan words in the Ṛgveda ... 6
§ 1.3. Para-Munda and the Indus language ofthe Panjab ... 10
§ 1.4. Munda and Para-Munda names ... 11
§ 1.5. Other Panjab substrates ... 13
§ 1.6. Dravidian in the Middle and Late Ṛgveda ... 14
§ 1.7. Greater Sindh ... 21
§ 1.8. The languages of Sindh ... 22
§ 1.9. The Southern Indus language: Meluhhan ... 24
§ 1.10. Further dialect differences ... 30
§ 1.11. Dravidian immigration ... 32

§ 2. Eastern Panjab and Upper Gangetic Plains ... 33
§ 2.1. The Kuru realm ... 33
§ 2.2. The substrates of Kuru-Pañcāla Vedic ... 35
§ 2.3. The Para-Munda substrate ... 36
§ 2.4. Substrates ofthe Lower Gangetic Plains and “Language X” 
    ... 40
§ 2.5. Tibeto-Burmese ... 43
§ 2.6. Other Himalayan Languages ... 46

§ 3. Central and South India ... 49

§ 4. The Northwest ... 51

§ 5. Indo-Iranian substrates from Central Asia and Iran ... 54

§ 6. Conclusions ... 56

Gli stessi argomenti sono trattati e approfonditi in un'altra opera dello stesso autore: Early Sources for South Asian Substrate Languages, ossia Antiche fonti per le lingue di sostrato dell'Asia meridionale, pubblicato sempre nel lontano 1999, attualmente consultabile su Academia.edu e scaricabile a questo url:


Anche questo studio è eccellente: The Languages of Harappa, sempre dello stesso autore, pubblicato nel 2000:


I Veda furono composti oralmente in un periodo compreso all'incirca tra il 1700 a.C. e il 500 a.C., in ogni caso dopo il collasso della civiltà della valle dell'Indo (intorno al 1900 a.C.), in zone di quelle terre che oggi sono chiamate Afghanistan, Pakistan e India Settentrionale (Grande Panjab). I testi del gveda, una delle quattro suddivisioni canoniche dei Veda, sono stati classificati in funzione dell'età di composizione, stabilita sulla base di criteri interni di arrangiamento testuale:  

I - Periodo ṛgvedico antico (1700-1500 a.C.)
II - Periodo ṛgvedico medio (1500-1350 a.C.)
III - Periodo ṛgvedico tardo (1350-1200 a.C.)

Si tratta di materiale dell'Età del Bronzo indiana, anteriore all'introduzione dell'uso del ferro. Il geva è seguito da una varietà di altri testi vedici: Samaveda, Yajurveda, Atharvaveda (più antichi del 1100 a.C.), Brāhmana (1100-800 a.C.), Āraṇyaka (1100-800 a.C.) e Upaniṣad (800-500 a.C.). Ṛgveda, Sāmaveda, Yajurveda e Atharvaveda sono noti come le quattro Saṃhitā. Esistono poi testi ancora più recenti, composti dopo il 500 a.C.: i Sūtra e i Vedāṅga. Non va taciuto che la datazione dei testi più antichi è controversa; in India gli studi sono fortemente condizionati dalla religione e dall'ideologia politica, tanto che lo stesso Witzel ha dovuto lottare strenuamente contro un gran numero di fanatici.

L'idea più semplice che può venire in mente a chi affronta per la prima volta il problema delle parole di sostrato nei testi vedici, è quella di attribuire ogni termine non indoeuropeo trovato al dravidico. Questo perché le lingue dravidiche, tuttora fiorenti e dominanti nell'India meridionale, sono il più noto esempio di lingue preindoeuropee del subcontinente. Si potrebbe quindi pensare che un tempo il proto-dravidico fosse parlato in tutta l'India e fosse proprio la sorgente delle enigmatiche parole del sostrato. In realtà le cose non sono affatto così semplici. Oltre alle lingue dravidiche, esistono in India anche le lingue Munda, di origine austroasiatica. Non solo: dovettero esistere altre lingue del tutto diverse, ormai perdute e di classificazione assai difficile (per non dire impossibile). Riporto a questo punto un sintetico quadro cronologico del sostrati presenti nei testi ṛgvedici: 

1) Ṛgveda arcaico 
Si trova soltanto materiale di sostrato di origine centroasiatica, presente nel proto-indoario e portato in India dall'esterno.
2) Ṛgveda I 
Non si trovano tracce di parole dravidiche; si ha invece abbondante presenza di termini presi a prestito da una lingua ricca di prefissi, che è stata chiamata para-Munda o para-austroasiatica. Si trovano anche prestiti correlati all'agricoltura, da una lingua sconosciuta e diversa, soprannominata lingua X di Masica (dal nome del suo primo indagatore).  
3) Ṛgveda II e III 
Cominciano a comparire prestiti dravidici.
4) post-Ṛgveda 
Continua l'influenza lessicale dello stesso tipo di lingue non indoeuropee nel linguaggio vedico educato dei Brahmini. Si trova materiale onomastico proto-Munda nelle regioni del Nordest indiano.

Esistono poi altri sostrati in India, come il proto-Burushaski nel Nordovest, il tibeto-birmano nella regione himalayana e nel Kosala, oltre agli antenati di alcune lingue antiche ora residuali, parlate in sacche isolate nel subcontinente (Kusunda nel Nepal centrale, Nihali nell'India centrale e resti lessicali di lingue perdute, come quella originaria dei Tharu, dei Nilgiri e dei Vedda). Mi emerge un ricordo d'infanzia. Durante una trasmissione condotta da Mike Bongiorno, a un concorrente specializzato in cultura indiana, fu chiesto qual è la lingua parlata in quel paese, che non somiglia a nessun'altra lingua del mondo. Se la memoria non m'inganna, il concorrente rispose col nome della lingua Nihali (Nahali). In realtà il lessico del Nihali ha subìto imponenti influenze da parte dei vicini Munda e Dravida, eppure resistono importanti strati lessicali privi di parentele ovvie.

Il termine para-Munda è usato per indicare una lingua le cui uniche attestazioni sono le tracce lasciate nel lessico vedico e post-vedico. Deve il suo nome al fatto che le parole mostrano una notevole somiglianza tipologica con quelle delle lingue Munda, soprattutto nell'uso dei prefissi. Siccome moltissime parole iniziano con la stessa sillaba (ka-, ki-, ku-, etc.), si è potuto ipotizzare la natura originariamente morfologica di questo elemento. In alcuni casi abbiamo alternanze tra una parola con un simile elemento iniziale e una variante che ne è priva. Quando passiamo all'analisi delle radici, una volta che abbiamo separato i prefissi, non abbiamo tuttavia altrettanta fortuna: solo in alcuni casi l'etimologia concreta di questa parole è stata trovata. Proprio per questo si parla di sostrato para-Munda (ossia che ha caratteri simili al Munda) e non di sostrato proto-Munda o semplicemente sostrato Munda. Passiamo ora ad elencare un certo numero di parole di questo genere. 

Materiale di sostrato para-Munda in sanscrito (ṛgvedico e post-ṛgvedico):

1) Prefisso ka- 

kakardu "bacchetta di legno"
kapardin "con nodi nei capelli"
kabandhin, kavandha "barile"
kamaṇḍalu "vaso d'acqua" (cfr. maṇḍala "cerchio")
kapaṭu "fungo"
kapāla "teschio"
kapiñjala "pernice"
kapola "guancia"
kaphauḍa, kaphoḍa "clavicola; gomito"
kasarṇīla "tipo di serpente"
kastūpa "ciuffo di capelli" (cfr. stupa "ciuffo di capelli; cima")
kākambīra "un tipo di albero"

Con palatalizzazione:

śakuna "(grande) uccello"
śakuni "uccello augurale"
śakunta
, śakuntaka, śakunti, śakuntikā "uccello"
Śakuntalā, nome di una ninfa

2) Prefisso ki-

kimīdin "un demone"; nome di una classe di demoni
kiyāmbu "una pianta acquatica"
kilāsa "maculato; lebbroso"
kīkaṭa, nome di una tribù
kīkasā "vertebra; costola"
kīja "strumento"
kīnārā "due aratori"
kīnaśa "aratore"
kīlāla "colostro; una bevanda dolce"
kīsta "lodatore; poeta"

Con ulteriore prefisso su-:

sukiṃśuka, nome di un albero (Butea frondosa)

Con palatalizzazione:

śimida, śimidā "demone femminile" (cfr. kimīdin)
śiṃśumāra
"delfino gangetico"
śiśūla "delfino"

3) Prefisso ku-

kumāra "ragazzo, giovane uomo"
kurīra "acconciatura femminile di capelli"
kuruṅga, nome di un capitano dei Turvaśa
kuliśa "ascia"

4) Doppio prefisso *Cǝr- (con o senza palatalizzazione)

i) Prefisso kal- / kar- 

kalmalīkin "splendente"
kalmāṣa "variegato, maculato"
karañja, nome di un demone
karambha "farinata"
karbara "maculato"
kardama "sporcizia; fango"
karkandhu "tipo di albero" (Zizyphus Jujuba)
karkari "liuto"
karkaṭa "granchio"
karkoṭaka "demone serpente, Nāga"
kārotara "setaccio, filtro"
kārṣmarya "tipo di albero" (Gmelia arborea)

Variante gar-

garmut, gārmuta "fagioli selvatici"

ii) Prefisso kil- / kir-  

kilbiṣa "azione malvagia"
kirmira "variegato"


iii) Prefisso khar-

khargalā "gufo"
kharjūra "palma da datteri"
akharva "mutilato"


iv) Prefisso kṛ-

kṛpīṭa "cespuglio"
kṛśana "perla" 


v) Prefisso palatalizzato jar- 

jartila "sesamo selvatico" (cfr. tila "sesamo", tilvila "fertile",
     tilpiñja "sesamo infertile")


vi) Prefisso palatalizzato śal- / śar-  

śarkara "ciottolo, sassolino; sabbia"
śarkoṭa "demone serpente, Nāga" (cfr. karkoṭaka)
śarvarī "notte"
śalmali, nome di un albero (Salmalia malabarica)

v) Prefisso assibilato sar- / sṛ-

sardigṛdi "parte dell'organo sessuale femminile"
sṛbinda, nome di un demone
sṛdara "serpente"
sṛdāku "lucertola"

5) Doppio prefisso Cən- / Cəm- (con o senza palatalizzazione) 

kambala "coperta di lana; abiti"
kambūka "pula"
Kamboja, nome di un popolo dell'Afghanistan
kandhara "collo"
kaṅkūṣa "parte della testa"
kāmpila "tipo di abito, gonna"

Forme palatalizzate:

jāmbila "saliva"
śambūka "pula" (cfr. kambūka)

6) Altri prefissi (ba-, bal-, mar-, pa-, pal-, pra-, vi-, etc.)

balāsa "una malattia" (cfr. kilāsa "lebbroso")
balbaja, nome di un'erba (Eleusine indica) 
balkasa "sedimento, residuo"
barbara "dai capelli crespi"
barhiṇa "pavone"

markaṭa "scimmia"
markaṭaka "un tipo di grano"

palala "sesamo macinato"
palālī "paglia"
palāva "pula"
palāṇḍu
"cipolla"
palpūlana "liscivia, risciacquatura"
pālāgala "messaggero, corridore"

Pramaganda, nome di un capitano dei Kīkaṭa
Praskaṇva, nome di un re; nome di un saggio

Quando si riesce a individuare l'etimologia di una radice risaltente a questo sostrato, le deduzioni sono molto feconde. Facciamo un esempio. Il proto-Munda *ga(n)d- "fiume" permette di spiegare idronimi e altri nomi risalenti al sostrato para-Munda. Così abbiamo il fiume Gandhāra, che è anche il nome del famoso paese che attraversa, oltre al popolo Gandhāri. Con il suffisso pluralizzatore -ki (ben noto al Munda) abbiamo l'idronimo Gaṇḍakī, alla lettera "Fiumi". Con altro suffisso in velare abbiamo Gaṅgā, il famosissimo nome del Gange, che potrebbe ben significare "Grande Fiume". Un'antica popolazione stanziata sull'alto corso del Gange ha il nome Gandhina. L'antroponimo Pramaganda, nonostante il suo aspetto fonetico indoeuropeo, risulta impenetrabile finché si utilizzano gli strumenti dei Neogrammatici. Se confrontiamo la parola con le lingue Munda, apprendiamo subito che il prefisso pra- significa "figlio", che ma- è un prefisso possessivo, mentre -ganda risale alla radice sopra vista che significa "fiume". Così Pramaganda significa "Figlio del Fiume". Una formazione molto simile si trova in Magadha, nome di un antico regno gangetico, che significa "Appartenente al Fiume". Nelle parole indoeuropee ereditate non si hanno simili alternanze tra -d- e -dh-, solo per fare un esempio, ma nelle parole prese a prestito questo è frequente. Come spesso accade quando masse di parole di sostrato penetrano nella lingua dei nuovi dominatori, si hanno notevoli incertezze nel consonantismo. Tutti gli indizi stanno a dimostrare che il para-Munda è stata una lingua viva e vitale per tutto il periodo vedico. Non era un idioma morto e sclerotizzato, bensì una fonte attiva di prestiti ancora in epoca abbastanza tarda, post-vedica.

A partire dai più antichi materiali del Ṛgveda si riscontrano parole che non possono essere classificate come para-Munda, avendo esse una fonotattica incompatibile e mancando dei caratteristici prefissi. Non sono nemmeno parole dravidiche: devono essere i resti di una lingua parlata nelle pianure gangetiche e appartenuta a una civiltà molto avanzata. Colin P. Masica, che ha studiato l'argomento, ha pubblicato nel 1979 l'articolo Aryan and non-Aryan elements in North Indian Agriculture, purtroppo irreperibile nel Web. Witzel parla troppo poco di questa lingua perduta e ne riporta poche parole, facendo notare che vi abbondano le consonanti geminate (forse dovute ad antiche assimilazioni, ma senza dubbio anomale). Questi sono senza dubbio prestiti notevoli:

bhallūka "orso" (cfr. Nihali bologo "orso")
guggulu
"bdellio, gommoresina vegetale" (variante: gulgulu)
kakkaṭa "un tipo di uccello" (variante: katkaṭa)*
kapittha "un tipo di albero" (Feronia elephantum)
karella, karavella "un tipo di zucca" (Momordica charantia)
khalla "cuoio"
pippala "fico" (varianti: piṣpala, supiṣpala)** 
roṭika
"pane"

*Si noterà che in Pali kakkaṭa indica invece un grosso cervo, probabilmente l'origine della denominazione sta nel comune colore di questi animali.
**Questa parola è di notevole importanza e ben integrata nella lingua sanscrita, tanto da formare il derivato pippalāda "dedito ai piaceri sensuali" (alla lettera "mangiatore di fichi"), un composto formato con la ben nota radice indoeuropea *ed- "mangiare". Una dimostrazione che nell'India degli asceti è sempre esistito anche chi opponeva resistenza alle dottrine correnti.

Nella lingua Hindi è tuttora in uso una peculiare terminologia agricola, caratterizzata da un 30% di parole non indoeuropee, non dravidiche e non Munda. In alcuni casi è possibile ricostruire una protoforma che si trova nel lessico vedico, mentre in altri non si ha alcuna corrispondenza con alcunché di noto. Si tratta di materiale residuale proveniente proprio dalla lingua X delle pianure gangetiche. Così abbiamo in Hindi kaith "Feronia elephantum" come diretta derivazione di kapittha. Riconosciamo subito l'Hindi piplī, pīplā "albero di fico" come un diretto discendente del sanscrito pippala "fico" (vedi sopra). Ecco alcune protoforme ricostruite a partire dal materiale lessicale moderno:

*alla "un tipo di pianta" (Morinda citrifolia)
*balilla "bue"
*bājjara
"miglio" (cereale)
*carassa "cuoio non conciato"
*chācchi "fior di latte"
*maṭṭara "pisello"
*suppāra "noce di areca"
*sūjji / *sōjji "farina bianca grezza"
*uḍidda "un legume"

Praticamente ogni protoforma contiene una consonante geminata, cosa senza dubbio notevole, anche se il significato più profondo ci sfugge e forse ci sfuggirà sempre. Non si conserva alcun dettaglio grammaticale, nessun termine del lessico di base che possa aiutarci a capire che lingua potesse essere. Sono necessari studi molto più accurati.

Si noterà che in Nihali le geminate abbondano in termini senza etimologia nota:

aḍḍo "albero"
beṭṭo
"morire"
bijjok "aspettare in attesa della preda"
biṭṭhāwi "unione; orizzonte" (cfr. biḍum, biḍi "uno")
bokko "mano"
buddi "tramontare"
coggom "maiale"
cuṭṭi "battere, martellare"
joppo "acqua"
kaggo "bocca"
kāllen "uovo"
maikko "ape"
oṭṭi "estrarre; bruciare"
poyye "uccello"
unni "prendere"

Witzel parla delle poche parole dravidiche trovate nei testi rgvedici medi e tardi, elencandole e discutendole senza indagare troppo i dettagli. Questo è l'elenco dei lemmi trattati (in cui tra l'altro non mancano problemi e controversie):

bala "forza"
bila "buco; caverna"
daṇḍa "bastoncino"
kaṭu(ka) "acre, pungente"
kāṇa "guercio, monocolo"
kulpha "caviglia"
kuṇāru "impedito nel braccio" 
kuṇḍa "vaso"
kūṭa "martello"
mayūra "pavone
naḷa "canna"
piṇḍa "palla, gnocco"
phala "frutto"
phāla "vomere"
ulūkhala "mortaio"
vriś "dito (della mano)"

Esiste la possibilità che alcune di queste parole siano a loro volta prestiti dal proto-Munda, come è stato appurato per mayūra "pavone". Queste sono le forme corrispondenti nelle principali lingue dravidiche: 

Tamil: mayil
Irula: muyiru
Tulu: mairu
Konda: mrīlu, miril 
etc.

La sorgente ultima è il Munda mara' "pavone".

Il Burushaski è una lingua isolata parlata da circa 50.000 / 60.000 persone nelle impervie montagne del Pakistan settentrionale, nelle valli dell'Hunza, di Nagir, Yasin e Gilgit. Si tratta di quel bizzarro popolo oggetto di una stravagante fake news. Avete presente quella favola dei mitici Hunza tutti ultracentenari a causa della loro dieta a base di albicocche essiccate? Ebbene, sono proprio loro. L'etnonimo corretto è Burusho (antico *Mrūžo, attestato già in vedico come Mūjavant). La lingua Burushaski è ha caratteristiche uniche e stupisce la sua mancanza di parentele chiare. L'ipotesi più probabile è quella di una connessione con la lingua Ket dello Yenissei, oltre che con le lingue del Nord Caucaso e con il basco (vedi Bengston, Starostin et al.), sebbene non si sia ancora giunti a una ricostruzione universalmente accettata. Si trovano interessanti corrispondenze con elementi del sostrato più antico presenti in sanscrito, quello formatosi in Asia Centrale prima della migrazione in India e per questo comune con le lingue iraniche. 

Burushaski baluqa "pietra" (in giochi infantili); báltaṣ "pietra
   lanciata a qualcuno" : Sanscrito paraśu "ascia di pietra"
   (cfr. greco pélekus "scure")
Burushaski baṅ "resina di alberi" : Sanscrito bhaṅga "canapa"
Burushaski bras "riso" : Sanscrito vrīhi "riso"
Burushaski bus "covone" :
Sanscrito busa, bṛsī "pula"
Burushaski gur "frumento" :
Sanscrito godhūma "tipo di grano"
    (Triticum aestivum)
Burushaski γupas "cotone": Sanscrito karpāsa "cotone"
Burushaski ku(h)á "luna nuova": Sanscrito kuhū "deità della luna
    nuova"
Burushaski mēṣ "otre di pelle" :
Sanscrito meṣa "ariete"

Esistono anche alcune corrispondenze sorprendenti con il materiale lessicale para-Munda, con ogni probabilità dovute a prestiti remoti. 

Burushaski γarqas "lucertola" : Sanscrito karkoṭaka "demone
    serpente"
Burushaski γoro "pietre" : Sanscrito śarkara "ciottolo, sassolino;
    sabbia" (śar- è un prefisso para-Munda)
Burushaski kilāy "bevanda dolce" : Sanscrito kīlāla "colostro;
    bevanda dolce"

In un caso abbiamo addirittura una corrispondenza con un vocabolo sanscrito attribuito al dravidico:

Burushaski śon "cieco" : Sanscrito kāṇa "guercio, monocolo"

L'etimologia dravidica della parola sanscrita per "monocolo" non è delle più convincenti, a causa di difficoltà semantiche (è confrontata con il Tamil kaṇ "occhio", kāṇ "vedere"), cosicché potremmo in realtà essere di fronte a un altro termine para-Munda, passato in Burushaski come prestito in epoca assai remota.

Quanto esposto è soltanto un riassunto sintetico della questione dei sostrati nel sanscrito vedico e post-vedico. Ci sono molti argomenti che non possiamo trattare in questa sede per mancanza di spazio e la cui trattazione siamo costretti a rimandare. Una cosa è certa: orientarsi in un simile ginepraio è tutto fuorché facile. 

martedì 18 luglio 2017

UN THREAD SULL'OPERA DI PIERO BERNARDINI MARZOLLA

Quando frequentavo ancora il liceo, era il lontano 1984, acquistai il libro L'etrusco: una lingua ritrovata, di Piero Bernardini Marzolla. Giovane com'ero, non avevo ancora mezzi sufficienti per capire che si trattava di qualcosa di poco credibile. Quel volume mi conquistò e mi convinse. Il presupposto dell'autore era mirabolante: a suo dire, l'etrusco sarebbe stato imparentato col sanscrito, l'augusta lingua dell'antica India. Come in un diario cresciuto di notte, il Marzolla riportava le sue traduzioni, una dopo l'altre. Sembravano ben convincenti. Si aveva l'impressione, leggendo quel resoconto di un'impresa titanica, che la maschera millenaria che aveva reso irriconoscibile la lingua degli Etruschi fosse stata finalmente rimossa, pezzo dopo pezzo. Per molto tempo mi occupai d'altro, ma rimanevo incredibilmente confortato al pensiero che qualcosa di ignoto fosse stato finalmente aggiunto al reame del noto. Una volta all'anno riesumavo il volume del Marzolla e mi immergevo nella sua lettura. Poi qualcosa cambiò e cominciarono a fermentare me i dubbi. Al crescere delle mie conoscenze, l'assunto marzolliano appariva sempre meno plausibile, tanto che a un certo punto compresi di essere stato vittima di un grande abbaglio. 

Era il 2010 quando ritrovai menzione dell'opera del Marzolla in un blog ospitato sulla piattaforma Blogspot, intitolato Sanscrito e civiltà dell'India (sanscritonline.blogspot.it). Il post che ha attratto la mia attenzione è Il sanscrito e le lingue dell'Italia antica: il caso dell'etrusco. Riporto in questa sede in thread.

Antares666:
Quello che si può provare (ma sarebbe troppo lungo in questa sede) è che le tesi di Marzolla sulla lingua degli Etruschi sono il frutto di una gigantesca allucinazione cognitiva. All'epoca anch'io ero rimasto affascinato dal libro "L'etrusco - una lingua ritrovata", ma ho poi compreso che è di una fragilità logica molto spinta.

Giacomo Benedetti:
Non si può lanciare il sasso e poi tirarsi indietro! Vorrei sapere quali sono le prove dell'allucinazione di Marzolla. Naturalmente le interpretazioni di Marzolla sono discutibili, ma come si possono confutare?

Antares666:
Prendiamo ad esempio i numerali etruschi: THU "1", ZAL "2", CI "3", HUTH "4"(*), etc.
Persino il Marzolla non può contestare il valore di numerali di queste parole e la loro assoluta divergenza dai numerali sancriti. Orbene, è logico pensare che una lingua complessa e di così magnifica tradizione come quella sanscrita perda proprio i numerali per prenderli a prestito da una lingua ignota? In realtà questi numerali una parentela ce l'hanno: con le lingue del Nord Caucaso, come il Ceceno, l'Ingush, l'Avaro, l'Urartaico (ad esempio nella lingua degli Hurriti KIGA significa "tre").
Consideriamo poi il pronome MI "io", con il suo accusativo MINI "me". Marzolla, constatata la divergenza dal sanscrito AHAM "io" (parente del latino EGO, del gotico IK, etc.), deriva il pronome etrusco dal sanscrito ASMI "io sono", voce del verbo AS- "essere", che nei pracriti è diventato AMMI. Ma come spiegare l'accusativo in -NI? Come spiegare la perdita di un pronome e l'adozione di un verbo? Non ha senso.

(*)In seguito alla presentazione di nuove e convincenti prove, ho aderito all'interpretazone ŚA "4", HUTH "6". Per approfondimenti rimando ai seguenti post:


Giacomo Benedetti: 
Queste osservazioni mi lasciano un po' perplesso, perché il Marzolla non sostiene che tutto l'etrusco deriva dal sanscrito, ma solo una parte minore del suo vocabolario. Lui ammette una componente non indoeuropea della lingua come quella principale, anche se ora non ho il libro sotto mano e non posso fare citazioni. Anche il pronome MI non lo faceva derivare dal sanscrito, ricordo che lo metteva tra gli elementi specifici dell'etrusco, dove hai trovato la derivazione da ASMI?
A proposito dei numerali, quello che dici sarebbe molto interessante, perché riconnetterebbe l'etrusco all'area del regno di Mitanni, dove la lingua più diffusa era l'hurrita... d'altronde, ho trovato piuttosto convincente la ricostruzione di Georgiev, che riconosce nell'etrusco una forte componente ittita.

Antares666:
Noto che altri due commenti da me apposti, che erano molto significativi, non sono stati pubblicati. Spero di vederli comparire, sempre che non siano andati dispersi. Quanto ho scritto sul pronome di I persona singolare si trova per l'appunto nel libro di Marzolla "L'etrusco - una lingua ritrovata": basta leggere con attenzione. Lì è esposta a chiare lettere la derivazine dell'etrusco MI dal sanscrito ASMI, con tutto quello che ne consegue. Posso riconoscere al Marzolla grandi doti di poeta, ma difficilmente le sue conclusioni potrebbero essere ritenute valide. Egli non riconosce l'origine indiana di una piccola parte del lessico etrusco, come tu sostieni, ma della sua massima parte, per poi attribuire a una seconda lingua, ignota e separata, tutto quello che non può spiegare. Addirittura è arrivato ad affermare che dire che l'etrusco da lui "tradotto" non è indiano è come affermare che il verso "schön singt die Nachtigall" non è tedesco. Naturalmente esistono molti prestiti da lingue del ceppo ittita in etrusco, ma di questo il Marzolla non parla, a quanto mi è noto.

Giacomo Benedetti:
Caro Antares, a quanto pare il Marzolla ha cambiato idea tra il suo libro del 1984 e quello che ho letto io, del 2005, come è comprensibile. Forse esaminando anche quello ti farai un'idea diversa delle tesi del Marzolla. In effetti lui non parla dell'ittita, ma, al di fuori dell'ambito indiano, parla solo di prestiti iranici, greci e semitici. Ti prego di riinviarmi gli altri tuoi due commenti. 

Antares666:
Consideriamo poi l'uscita del nominativo singolare dei sostantivi maschili in -AS nel sanscrito vedico, evoluta in -AH nel sanscrito classico, scomparsa nelle attuali lingue dell'India. Ebbene, il Marzolla si immagina tutta una serie di esiti in etrusco: -AS, -S, -US, -UR, -U, -ES, -E, etc. Essi spaziano da forme di sapore vedico a forme contemporanee. Naturalmente in sanscrito classico c'è la trasformazione della desinenza -AH a seconda del suono iniziale della parola seguente. Nello pseudo-etrusco di Marzolla non c'è nulla di tutto ciò. Nessuna regola. Quello che Marzolla propone è una trasformazione caotica di una desinenza sanscrita in una serie di uscite etrusche incompatibili (scelte spesso per far tornare le sue traduzioni).
Marzolla pretende di scardinare tutte le chiare conoscenze grammaticali ottenute da generazioni di studiosi tramite l'applicazione del metodo combinatorio.

Antares666: 
Non sembra un po' strano che le iscrizioni che Marzolla traduce meglio e che sembrano più indiane siano proprio quelle in scriptio continua? Semplice: egli le può ritagliare come vuole, facendo poi collimare le sillabe ottenute con le voci trovate in un vocabolario sanscrito. Ad esempio in un'iscrizione egli interpreta APLU (che è il nome di Apollo) con il verbo sanscrito APLU- che significa "bagnarsi", "immergersi".
I suoi trucchetti non funzionano con molti dei testi più recenti, in particolare con il Liber Linteus, così egli afferma che quei testi sono in un'altra lingua. Non sapendo spiegare una lingua, ne inventa due: una, più antica, simile al sanscrito; l'altra, più recente, di natura ignota, anche se a sua detta con numerosi prestiti iranici e semitici.
Aggiungo altre brevi considerazioni.
1) L'etrusco è una lingua agglutinante, che funziona più come le lingue dravidiche che non come quelle indoarie;
2) Dove sono i composti, così abbondanti nel sanscrito?
3) Dove sono i prefissi?
4) Dove sono i termini del lessico di base, quelli ad esempio indicanti la parentela? Possibile che si sia conservata una parola tecnica per dire "figlio legittimo" e si siano persi termini elementari per dire "madre", "padre", etc.?
5) Certe "illuminazioni", tipo XIMTHM tradotto come "dal freddo raggio" (mentre in realtà significa "e in tutti"), non spiegano l'occorrenza di termini simili (ad esempio XIMTH, XIM), in contesti in cui le traduzioni "poetiche" del Marzolla non hanno senso.
Evidentemente c'è qualcosa che non quadra.

Antares666:
Onestamente, non ho letto il libro del 2005, ma ho trovato una sua descrizione nel web. Essa dice così:
"A distanza di anni dalla pubblicazione del suo libro L'etrusco - una lingua ritrovata, l'autore riprende qui e sviluppa la sua scoperta di una fitta rete di rapporti tra lessico etrusco e lessico sanscrito, mostrando dettagliatamente come i vari tipi di mutazioni fonetiche rispetto al sanscrito siano gli stessi, ben noti, subiti in etrusco dai prestiti dal greco, e illustrando una serie d'importanti aspetti tra i quali il fatto che il lessico etrusco di origine "indiana" è, logicamente, di tipo "satEm" e che anche la "formazione delle parole" corrisponde a quella del sanscrito, con identità di prefissi e suffissi nonché di composti. L'autore avanza oggi l'ipotesi che l'etrusco "indiano" continui in qualche modo l'indoario, lingua che ha lasciato di sé poche ma sicure tracce (metà del II millennio a.C.) nel Vicino Oriente (alta Mesopotamia e Asia minore). Il grosso del libro è costituito dalla traduzione di iscrizioni, finora incomprensibili, resa possibile dall'individuazione degli equivalenti sanscriti di parole etrusche. Un capitolo è dedicato a iscrizioni su specchi di bronzo figurati, e il volume si chiude con un ricco Vocabolario etimologico etrusco."


Non mi sembra che ci siano stati cambiamenti significativi rispetto al primo libro; da quanto leggo nel tuo post, certe "perle" marzolliane sono rimaste praticamente immutate.

Giacomo Benedetti: 
Caro Antares, la descrizione che hai trovato forse non fa capire che Marzolla nel libro del 2005 non identifica l'etrusco con una lingua indoaria, ma solo una parte del suo vocabolario. La derivazione che citi di APLU è stata abbandonata, visto che il Marzolla riconosce che si tratti del nome di Apollo. A proposito di XIMTHM, mi pare che non lo abbia citato nel nuovo libro. Ti invito a leggerlo, se vuoi farti un'idea aggiornata delle teorie del Marzolla, che evidentemente a smussato certi eccessi 'giovanili'... Ho trovato alcune sue traduzioni piuttosto convincenti (particolarmente interessante quella della Resxualc & co.), altre più forzate, comunque per lo meno cerca di rispettare delle leggi di trasformazione fonetica, diversamente dal Semerano...

Giacomo Benedetti:
Ho trovato le fotocopie del libro, dove il Marzolla afferma che persino nel libro del 1984 egli dichiarava di non avere "nessuno speciale interesse a difendere a oltranza l'indoeuropeità integrale dell'etrusco" e poneva la questione se esso fosse una lingua non indoeuropea contaminata da una lingua di stampo indiano o una lingua di stampo indiano sommersa da quella non indoeuropea di una classe (o di un popolo) dominante. In conclusione (par.14), osserva: "La parte non indiana, con ogni probabilità non indoeuropea, è purtroppo quella di gran lunga prevalente. I testi di maggior dimensione restano almeno per ora intraducibili."

    A questo punto, snervato, ho abbandonato il thread, tanto il Benedetti non sembrava interessato a discutere i punti da me evidenziati. In seguito è intervenuto Alessandro Morandi, un accademico le cui idee sulla lingua degli Etruschi non sono a mio avviso molto distanti da quelle di Francesco Pironti. Il concetto interessante espresso dal Morandi è il seguente: il Marzolla si è servito di numerose idee enunciate a suo tempo da Alfredo Trombetti, mascherandole fino a renderne la fonte irriconoscibile. Riporto l'intervento di Morandi.

Alessandro Morandi:
Sono parte di quel mondo "accademico" che non ha accolto positivamente, anzi le rifiuta, le opere di P. Bernardini Marzolla. Quando mi va di farmi "quattro risate" con gli amici leggo alcune delle più divertenti traduzioni del B.M.:la cutrettola di Volterra, dominatrice del bosco, la fanciulla barbara che rifiuta il ballo... Molto indietro, ben nascoste, ci sono le idee del nostro povero Alfredo Trombetti, La Lingua Etrusca, saccheggiato cripticamente dal dilettante di turno.