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domenica 30 settembre 2018


DELITTO DI STATO
(FATHERLAND)

Titolo originale: Fatherland
Paese: Stati Uniti d'America
Anno: 1994
Formato: Film TV
Genere: Drammatico, fantascienza, thriller
Sottogenere: Fantapolitica, ucronia
Durata: 106 min
Lingua originale: Inglese
Rapporto: 4:3
Crediti
Regia: Christopher Menaul
Soggetto: Robert Harris, dall'omonimo romanzo
Sceneggiatura: Stanley Weiser, Ron Hutchinson
Fotografia: Peter Sova
Musiche: Gary Chang
Costumi: Barbara Lane
Effetti speciali: Syd Dutton and Bill Taylor, a.s.c. of
     Illusion Arts, Inc.
Produttore: Frederick Muller, Ilene Kahn
Prima visione
  Prima TV originale
  Data: 26 novembre 1994
  Rete televisiva: HBO
  Prima TV in italiano
  Data: 20 agosto 1997
  Rete televisiva: Rai 2
Interpreti e personaggi   
    Rutger Hauer: Xavier March
    Miranda Richardson: Charlie Maguire
    Peter Vaughan: Arthur Nebe
    Michael Kitchen: Max Jäger
    Jean Marsh: Anna von Hagen
    John Woodvine: Franz Luther
    John Shrapnel: Odilo "Globus" Globocnik
    Clive Russel: Krebs
    Clare Higgins: Klara
Doppiatori in italiano    
    Paolo Maria Scalondro: Xavier March
    Monica Gravina: Charlie Maguire
    Giorgio Gusso: Arthur Nebe
    Luigi Montini: Max Jäger
    Noemi Gifuni: Anna von Hagen
    Giulio Platone: Franz Luther
    Giancarlo Prete: Odilo "Globus" Globocnik
Budget: 4,1 milioni di sterline inglesi

Trama:

Siamo in un mondo in cui il III Reich ha vinto la Seconda Guerra Mondiale e domina incontrastato sull'Europa, estendendosi fino agli Urali. L'Inghilterra è stata invasa e tutte le nazioni europee un tempo sovrane sono state incorporate nella Grande Germania, con la sola eccezione della Svizzera e del Vaticano. Soltanto la Russia guidata dall'ottuagenario Stalin continua ad impegnare l'esercito tedesco in una permanente guerriglia oltre gli Urali. La famiglia reale britannica è in esilio in Canada e formalmente governa ancora il Commonwealth, anche se sotto la stretta supervisione del regime nazista. Adolf Hitler, Joseph Goebbels e Reinhard Heydrich governano con pugno d'acciaio, dando al contempo l'impressione di guidare un sistema ordinato e pacifico, in pratica una vera e propria utopia sulla Terra in cui le SS sono impiegate come semplice forza di polizia del tempo di pace. In occasione del settantacinquesimo compleanno di Adolf Hitler, nel 1964, il presidente statunitense John Patrick Kennedy (il padre del più noto John Fitzgerald) è in visita nella Welthaupstadt Germania, la capitale del Reich Millenario nata riplasmando la vecchia Berlino. L'ambizioso progetto è un'alleanza tra gli Stati Uniti d'America e la Germania hitleriana. In questo contesto idilliaco, ecco che un cadavere nudo come un verme emerge dalle acque di un lago in un parco pubblico alla periferia della Nuova Berlino e viene visto da un cadetto che nelle prime ore di luce correva tra i boschi flirtando con la Natura. Xavier March è un agente della Kriminalpolizei (Kripo) incaricato di occuparsi dello spinoso caso. Ha alle spalle una carriera da comandante di U-Boot e un matrimonio fallito da cui ha avuto un figlio. Il cadavere rinvenuto è presto identificato: appartiene a un importante ufficiale in pensione e amico del Führer, Josef Bühler, che anni prima fu il responsabile della "riallocazione" della popolazione ebraica nei territori orientali. Il caso, già di per sé molto delicato, si complica notevolmente con la comparsa in scena di Odilo "Globus" Globocnik, Generale Comandante della Gestapo dal cognome non proprio germanico. Mentre accadono queste cose, arriva in Germania una comitiva di giornalisti americani e tra loro c'è Charlotte "Charlie" Maguire, figlia di un famoso diplomatico. Per lei è un ritorno dopo molti anni, visto che da piccola aveva abbandonato il paese a causa dell'affermarsi della dittatura. A un certo punto la donna viene avvicinata da un anziano signore che le consegna una busta. All'interno c'è una nota che le permette di risalire a Wilhelm Stuckart, un altro ufficiale del Partito, anche lui in pensione come Bühler. Arrivata alla sua dimora, lo trova cadavere. Neanche a farlo apposta, il caso viene assegnato a Xavier March. Ha inizio una girandola di eventi che permettono di classificare questo film come thriller. Nel corso delle sue indagini, l'agente della Krimilalpolizei si imbatte in qualcosa di decisamente scomodo. Nella Grande Germania l'annientamento dei deportati è una cosa di cui pochissimi sono al corrente, persino tra gli stessi membri del Partito. La versione ufficale narra del trasferimento degli Ebrei europei in Ucraina, dove operano persino ufficiali incaricati di smistare la loro fantomatica corrispondenza, mantenendo i loro contatti con i parenti in America. Come l'agente March finisce per scoprire, tutto ciò è falso: gli Israeliti "riallocati" ad Est sono stati distrutti fino all'ultimo feto. L'uomo ne rimane sconvolto e decide di operare per rendere noto al mondo intero questo orrore. Così raccoglie un ponderoso pacco di documenti e lo consegna come una castagna bollente al presidente J.P. Kennedy, saltando sulla sua macchina in corsa, in una scena rocambolesca quanto inverosimile. Il capo di stato americano, che già si sta avviando all'incontro con il Fuhrer, osserva le atroci fotografie allegate alla documentazione e prende una decisione epocale. Ordina all'autista di invertire la marcia e si rifiuta di recarsi all'appuntamento. Tornato negli States, dà inizio all'embargo e al boicottaggio, provocando una spaventosa crisi economica che finirà col portare alla caduta dei Reich Millenario, come se fosse un giocattolo di cartapesta.   

Recensione:

Una tipica ucronia, tratta dal romanzo Fatherland di Robert Harris. L'opera presenta tutte le piaghe insite in quasi ogni opera ucronica comparsa finora su questo pianeta. La sua natura è talmente naïf e puerile da meritarsi una bocciatura senza appello. Il punto di divergenza, descritto nel prologo, è il fallimento dello Sbarco in Normandia. Presto si capisce che a dispetto di questo diverso corso storico, restano immutati eventi come il bombardamento di Dresda e il lancio delle atomiche sul Giappone. Non si capisce quindi come abbia fatto Hitler a vincere la guerra. Siamo di fronte sempre al solito insidioso errore di coloro che cambiano un evento cruciale ma sono incapaci di comprendere la portata delle sue conseguenze. Manca la comprensione del fatto che il cambiamento di un evento importante altera ogni cosa, impedendo ad altri eventi importanti di accadere e generandone di nuovi quanto imprevedibili. La Storia è Caos. Ogni sistema caotico è sensibilissimo alle condizioni iniziali. Se fosse fallito lo sbarco in Normandia non ci sarebbe stato il bombardamento di Dresda e nemmeno le atomiche su Hiroshima e Nagasaki. A rigor di logica dovrebbe capirlo anche un poppante, invece a quanto pare non è così. Questo inganno colpisce anche gli storici più preparati, come già evidenziato in altra occasione, nell'articolo John Collings Squire e il Principio di Conservazione della Realtà, in cui ho trattato la raccolta di racconti ucronici Se la storia fosse andata diversamente. L'approccio è sempre lo stesso: ritagliare eventi storici del nostro universo e incollarli tali e quali nel mondo ucronico, senza tenere minimamente conto della loro origine, della loro natura, delle dinamiche della loro formazione.

Die Beatles!

A un certo punto su una parete della Berlino nazionalsocialista plasmata dal genio architettonico di Speer compare un manifesto: si tratta della pubblicità di un concerto di un famoso gruppo musicale inglese. Si vedono, verdi su sfondo nero, le figure di John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr e George Harrison, con sopra l'angosciante scritta DIE BEATLES! A quanto pare, nell'immaginario di Christopher Menaul, il punto esclamativo è tipico di ogni pubblicità del regime hitleriano, che ovviamente non conosce consigli, ma soltanto imperativi categorici. Come a dire: andate a sentire i Beatles o vi spediamo a Dachau! L'ingenuità di tutto questo è disarmante.

Pubblico in questa sede un thread sull'argomento, sviluppatosi il 3 dicembre 2017 su Facebook: 

  Marco Moretti: Ieri sera ho visto Fatherland (1994, diretto da Christopher Menaul, con Rutger Hauer). Se devo essere franco, l'ho trovato una colossale stronzata. Come al solito quando si tratta di ucronie, non si vuole proprio capire che gli eventi propagano. Solo per fare un esempio, in un'Europa dominata da Hitler non si sarebbero formati i Beatles. 

  Giovanni De Matteo: Il film non l'ho visto, ma il libro era notevole. E non mi pare portasse in scena i Fab Four :)

  Marco Moretti:  Nel film compare un manifesto che li mostra, con la scritta "DIE BEATLES!" Non ho letto il libro, ma conto di farlo presto. Immagino che moltissime inconsistenze del film abbiano la loro radice nel romanzo. Non mancherò di recensire sia il film che il libro. Si noterà che Dick aveva gestito meglio l'argomento...

  Giovanni De Matteo: Però in questo caso serve proprio a dare un senso alla pervasività culturale della dittatura. I Beatles magari si sarebbero chiamati così ma non avrebbero fatto le stesse canzoni e sarebbero stati sicuramente asserviti all'agenda del partito.

  Marco Moretti:  I quattro forse sarebbero esistiti comunque come persone fisiche, visto che Lennon e Starr sono nati nel '40, McCartney nel '42 e Harrison nel '43. Tuttavia le condizioni della formazione sono state così delicate che non sarebbe potuta avvenire in un'Inghilterra tanto diversa: troppi eventi delicatissimi in causa.


  Giovanni De Matteo: Questo è senz'altro vero, ne facevo un discorso più generale.

  Roberto Furlani: Posto che le ucronie con il nazismo che ha prevalso hanno letteralmente triturato i cosiddetti, se non si fossero formati i Beatles non sarebbe di certo stata la conseguenza peggiore della tirannia teutonica. Mi avrebbe seccato più rinunciare alla libertà che a "Yellow submarine".

  Giovanni De Matteo: Vera la prima parte, ma in un trittico ideale di letture sul tema The Man in the High Castle, Fatherland e The Plot against America ci stanno tutti. Sono forse le uniche letture veramente necessarie. Però a me i Beatles sarebbero mancati, anche in quanto sinonimo e paladini della liberazione dei costumi.

  Marco Moretti: Se Hitler fosse riuscito a prevalere, o non esisteremmo fisicamente, oppure avremmo un sentire tanto diverso che non sapremmo nemmeno che definizione dare al concetto di "libertà": senza un confronto con il nostro mondo la questione sarebbe di lana caprina. La mia considerazione sui Beatles non riguarda tanto la politica, quanto l'ontologia temporale, ossia la natura del tempo.

  Giovanni Agnoloni: Diciamo, Giovanni, che difficilmente avrebbero potuto fare peggio di obladì obladà :D

  Giovanni Agnoloni: E Across the Universe, e A Day in the Life

  Roberto Furlani: Ho l'impressione che abbiamo le stesse preferenze. ;)

  Marco Moretti: Se lo sbarco in Normandia fosse fallito (presupposto del film), anche il corso della guerra degli USA contro il Giappone non sarebbe stato quello che conosciamo. Tutti gli eventi posteriori al 6 giugno 1944 sarebbero stati molto diversi. Il problema è che non abbiamo elementi per effettuare una ricostruzione attendibile. Non comprendiamo bene le variabili in causa. Per quanto riguarda la trama del film, la trovo raffazzonata. Il finale è a dir poco precipitoso. Ne consiglio comunque la visione.

  Alex Tonelli:  Anche Turtledove si cimento' con una ucronia simile... ah.. Eleonor Rigby is the best! :)

  Marco Moretti: Però nei romanzi di Turtledove il punto di discontinuità era l'invasione della Terra ad opera di una specie di giganteschi lucertoloni, quindi un elemento estraneo alle dinamiche storiche umane. Per quanto riguarda le canzoni dei Beatles, non mi piacciono un granché: quando si sono formati i miei gusti musicali, mi sembravano già obsolete.

  Alex Tonelli: Caro Marco mi riferivo a questo:


  Marco Moretti: Ti ringrazio della segnalazione, non ne ero a conoscenza. Del resto Turtledove non è tra i miei autori preferiti. Interessante la pagina di Fantascienza.com, in cui spicca uno splendido "tré figlie".

Trovo interessante l'intervento di Roberto Furlani sulla natura molesta di questo genere di letteratura e di filmografia. Ribadisco che le ucronie fondate sul Nazionalsocialismo si sono sviluppate in una mala pianta e sono devastanti: equivalgono a mettere i cabbasisi su una grande lastra di marmo e a far gravare su di loro una pila di volumi della Treccani, fino al completo spappolamento! Per quanto mi riguarda, poteva ben bastare il romanzo dickiano La Svastica sul sole (The Man in the High Castle), che pure presenta pecche di non poco conto, come ad esempio il finale inconsistente.

I Beatles nel romanzo di Harris

A dire il vero, nonostante il buon Giovanni De Matteo non lo ricordi, i Beatles sono stati portati in scena nelle pagine del romanzo di scarsa utilità da cui è stato tratta l'opera di Menaul. Vero è che non sono menzionati per nome, tuttavia il riferimento è inequivocabile. Eccolo: 

Un pezzo del critico musicale che attaccava i "lamenti perniciosi e negroidi" di un complesso di giovani inglesi di Liverpool, che aveva suonato di fronte a una folla strabocchevole di giovani tedeschi ad Amburgo.

No, i Fab Four non sono immaginati mentre cantano testi dettati nell'agenda della NSDAP, ad esempo qualcosa del tipo: "Alle armi, Camerati, per l'ultima battaglia razziale! Il giorno dello sterminio dei subumani è arrivato! La Svastica splende nel cielo come un milione di soli, annunciando il trionfo eterno della Razza Ariana!" Anche perché simili canzoni erano tipiche degli Alte Kämpfer, i vecchi combattenti della NSDAP ai tempi di Weimar, i Protonazisti. Che bisogno ci sarebbe di cantare queste cose in un'epoca in cui l'agenda politica del Partito si è realizzata, in cui si è immanentizzato l'Eschaton? Nessuno. Allo stesso modo, nemmeno si è pensato di far esibire i cantanti di Liverpool con un testo di Imagine in cui anziché "and no religon too" si sente "and not a single jew". Perché mai si dovrebbe, se di fatto - a quanto la gente ne sa - nella Grande Germania non c'è davvero più un solo ebreo? Infatti Harris non arriva a tanto. I Fab Four cantano proprio Ob-La-Di Ob-La-Da, Yellow Submarine, Lucy in the Sky with Diamonds e altri brani del loro repertorio, a cui siamo abituati fin da giovani. Questo pone problemi concettuali molto gravi. Come può credere Harris che nel Reich di Hitler sarebbe possibile anche soltanto qualcosa che va contro i princìpi del Nazionalsocialismo tedesco? Evidentemente Harris non sa nulla del Nazionalsocialismo, come non ne sa nulla Menaul.

Un finale senza senso

Dovrei definirlo "un finale meritevole di irrisione", ma non lo faccio perché non irrido i Morti. Proprio perché rispetto i Morti, penso che quanto concepito dalla mente di Harris e di Menaul sia qualcosa di inverecondo. Trovo molto difficile credere che un agente della Polizia Criminale del Reich possa saltare sulla macchina del presidente John Patrick Kennedy, consegnandogli le prove del Genocidio e convincendolo di colpo a rinunciare all'alleanza con Adolf Hitler. Secondo voi che sarebbe successo? Ecco come sarebbe andata se un evento simile fosse davvero accaduto. Primo: il Presidente degli USA, vedendo Xavier March, si sarebbe subito chiesto: "Chi cazzo è questo minchione?". Secondo: avrebbe gettato via i documenti, sdegnato. Persino di fronte alle foto, avrebbe pensato che fossero il frutto di qualche manipolazione, quindi in sostanza dei falsi. Il finale presuppone che Xavier March coi documenti sull'Olocausto sarebbe stato in grado di trasmettere a J.P. Kennedy tutta la sensibilità sull'argomento che è tipica del nostro corso storico e che è frutto di decenni di martellanti campagne di informazione che raggiungono tutti già fin dalla più tenera età. No. Il vecchio Kennedy non avrebbe fatto nulla nemmeno di fronte a qualche foto di persone morte di stenti e sottoposte a inaudite brutalità. Prima di tutto perché egli stesso proveniva da un paese in cui un feroce antisemitismo era diffuso in modo capillare (Harris ci rammenta che nei club di Boston non era stato ammesso un solo ebreo da cinquant'anni). Inoltre vale il principio della non trasferibilità istantanea di esperienze complesse. J.P. Kennedy non era stato educato in un sistema scolastico fondato sull'antifascismo e sull'antinazismo, in cui Adolf Hitler è giunto ad assurgere a Male metastorico. Non aveva mai letto il Diario di Anna Frank. Non aveva mai visto Schindler's List di Steven Spielberg. Non aveva mai visto Shoah di Claude Lanzmann. Non era mai stato esposto durante l'infanzia a un gran numero di foto in bianco e nero di montagne di cadaveri. Non poteva avere alcuna sensibilità sulle persecuzioni degli Israeliti, proprio perché la sua intera esistenza era il frutto di un mondo molto distante dal nostro. Ancora una volta, gli ucronisti ritagliano qualcosa dalla nostra realtà e lo appiccicano sulle loro costruzioni mentali, facendone qualcosa di incongruo.

Hitler, March e la coscienza

C'è un'altra cosa degna di nota. Il film vuole farci credere che un membro a tutti gli effetti del Partito Nazista, Xavier March, subisca nel corso degli eventi una sorta di sconvolgimento morale, che lo porta ad abbordare il Presidente degli Stati Uniti, con l'intento di metterlo di fronte ai crimini di Hitler. C'è tuttavia un problema in questa narrazione fumettistica. Adolf Hitler riteneva la coscienza, ossia la capacità di distinguere il Bene dal Male, una pura e semplice "invenzione giudaica" e una "sudicia tirannia". Egli affermava di essere venuto per cancellarla. Voleva dare origine a un Uomo Nuovo completamente sprovvisto di coscienza, la cui morale fosse un'emanazione dei princìpi del Nazionalsocialismo, il cui sole radiante era proprio il Führer, incarnazione mistica della Germania. A scuola non lo insegnano, ma si trattava di una religione vera e propria, non di un banale "odio per la diversità". Ecco, in una ventina di anni dopo il trionfo bellico, il Nazionalsocialismo sarebbe riuscito a cancellare il concetto di coscienza dal Reich e a sostituirvi i propri contenuti. Credo che sia impensabile immaginarsi un agente della Polizia Criminale immune da questo condizionamento profondo, da questa educazione religiosa fanatica. Facciamo un esempio concreto ma significativo. Nel sistema morale hitleriano, bere in eccesso era per un membro del Partito un significativo fallimento morale, mentre uccidere un prigioniero durante un interrogatorio era considerato irrilevante. Pensate che un uomo cresciuto in un simile contesto tremerebbe come una gelatina di fronte a qualche fotografia di gente torturata e uccisa? Non gliene importerebbe nulla, e mai arriverebbe anche solo a concepire di tradire la propria Patria per questo. Ovvio, stiamo parlando di concetti fuori dalla portata di Harris e di Menaul, che faticherebbero meno a capire le categorie di un popolo alieno abitante oltre gli ultimi Quasar. Ecco perché le loro opere hanno la stessa credibilità del personaggio di Attila Canarinis interpretato da Totò.

giovedì 25 gennaio 2018


BLADE RUNNER 2049 

Anno: 2017
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Regia: Denis Villeneuve
Durata: 163 min
Rapporto: 2,35:1
Genere: Fantascienza, noir, avventura, azione,
    drammatico, thriller
Soggetto:
Philip K. Dick (personaggi); Hampton
    Fancher (storia)
Sceneggiatura:
Hampton Fancher, Michael Green
Produttore: Cynthia S. Yorkin, Bud Yorkin,
     Broderick Johnson, Andrew A. Kosove
Produttore esecutivo: Ridley Scott, Tim Gamble,
     Frank Giustra, Yale Badick, Bill Carraro, Val Hill
Casa di produzione: Alcon Entertainment,
     Thunderbird Entertainment, Scott Free
     Productions
Distribuzione (Italia): Warner Bros. Pictures
Fotografia: Roger Deakins
Montaggio: Joe Walker
Musiche: Hans Zimmer, Benjamin Wallfisch
Scenografia: Dennis Gassner
Interpreti e personaggi   
    Ryan Gosling: Agente K
    Harrison Ford: Rick Deckard
    Ana de Armas: Joi
    Sylvia Hoeks: Luv
    Jared Leto: Niander Wallace
    Robin Wright: Tenente Joshi
    Mackenzie Davis: Mariette
    Carla Juri: Ana Stelline
    Lennie James: Mister Cotton
    Dave Bautista: Sapper Morton
    Barkhad Abdi: Doc Badger
    David Dastmalchian: Coco
    Hiam Abbass: Freysa
    Wood Harris: Nandez
    Edward James Olmos: Gaff
    Sean Young: Rachel
Doppiatori italiani   
    Gianfranco Miranda: Agente K
    Michele Gammino: Rick Deckard
    Joy Saltarelli: Joi
    Alessia Amendola: Luv
    Emiliano Coltorti: Niander Wallace
    Laura Boccanera: Tenente Joshi
    Domitilla D'Amico: Mariette
    Elena Perino: Ana Stelline
    Loris Loddi: Mister Cotton
    Simone Mori: Sapper Morton
    Ludovica Modugno: Freysa
    Alberto Bognanni: Nandez
    Ennio Coltorti: Gaff
Budget: 150-185 milioni di $.
Incassi al botteghino: 259,2 milioni di $.

Trama:

Nel 2049 - anno più vicino a noi di quanto si possa pensare - i replicanti sono schiavi. Soltanto in pochi sono adibiti a mansioni migliori. Uno di loro, K., lavora per il Dipartimento di Polizia di Los Angeles (LAPD) come Blade Runner, con l'incarico di "ritirare", ossia di terminare, i replicanti vagabondi. In una fabbrica di proteine fecali, K. "ritira" un replicante di nome Sapper Morton e scopre una scatola sepolta sotto un albero. In tale scatola ci sono i resti di una replicante morta di parto cesareo nel dare alla luce un figlio. Questo dimostra una cosa sconvolgente: anche i replicanti possono dare la vita tramite l'atto sessuale - cosa che fino ad allora era sempre stata giudicata impossibile. Il superiore di K., il Luogotenente Joshi, come viene a sapere della scoperta, si sente invadere dal terrore: se i replicanti possono procreare, sarà difficile evitare che insorgano in armi e inizino una guerra, cosa che potrebbe anche portare alla sostituzione del genere umano. Per questo motivo Joshi ordina a K. di rintracciare il figlio della replicante deceduta di parto e di "ritirarlo": è prioritario che nessuno venga mai a sapere di queste cose. K. giunge al quartier generale della Wallace Corporation, succeduta alla famosa Tyrell Corporation, dove la replicante deceduta viene identificata come Rachel. K. apprende anche della relazione di Rachel con il Blade Runner Rick Deckard. Il CEO della Wallace Corporation, Niander Wallace, comprende la potenzialità dei replicanti fecondi nella colonizzazione interstellare, così manda la sua tirapiedi, la replicante Luv, a sottrarre i resti di Rachel e a seguire K. nella sua ricerca. Tornato alla fattoria dell'estinto Morton, K. nota la data 6-10-21 incisa sul tronco dell'albero e ha un flash: tramite quella data recupera la memoria di un giocattolo, un cavallo di legno. La compagna olografica di K., Joi, partendo dal fatto che le memorie dei replicanti sono artificiali, giunge alla conclusione che egli è nato tramite riproduzione sessuale. Procreato, non creato. Il replicante brucia la fattoria, quindi cerca affannosamente negli archivi del Dipartimento, e alla fine trova informazioni su una coppia di gemelli, un maschio e una femmina distinguibili soltanto per il diverso cromosoma sessuale. Stando ai documenti, soltanto il ragazzo sarebbe sopravvissuto. K. riesce a risalire all'orfanotrofio, a riconoscere il luogo e a trovare il giocattolo proprio dove ricordava di averlo lasciato. Giunto dalla dottoressa Ana Stelline, disegnatrice di memorie di replicanti, il Blade Runner riceve la conferma del fatto che i suoi ricordi dell'orfanotrofio sono reali, così giunge alla conclusione di essere proprio il figlio di Rachel. Rientrando al Dipartimento, fallisce un test post-traumatico e solo a fatica riesce a parlare al suo superiore. Mente a Joshi, affermando di aver "ritirato" il replicante bambino nato da copula. Gli viene detto di fuggire entro 48 ore, così si dirige verso le rovine di Las Vegas. L'antica città è ridotta a un mucchio di macerie soffocate dalle sabbie rossicce di un deserto pseudomarziano. In mezzo a tanta desolazione, K. ritrova Deckard, un Harrison Ford ormai pronto per la tumulazione. Il vetusto ex cacciatore di androidi, che all'inizio si mostra molto ostile con il giovane, alla fine lo accoglie e gli rivela molte cose. Gli dice di essere realmente l'uomo che ha ingravidato Rachel e che per proteggere la sua creatura ha manomesso gli archivi, confondendo le acque. Gli eventi precipitano: la perfida Luv, dopo aver ucciso Joshi, raggiunge K. e Deckard, scatenando il finimondo. Gli eventi convulsi che seguono porteranno alla lesione dei protagonisti e all'emergere di una verità del tutto inattesa: il ricordo del cavallo di legno era stato davvero creato da Ana Stelline, che è la figlia di Deckard e di Rachel. K., terribilmente deluso, si accascerà moribondo sui gradini dell'edificio ciclopico in cui abita la creatrice di memorie artificiali, spirando nel nonsenso più totale, in mezzo alla neve, gli occhi vuoti rivolti al Cielo del Nulla. Un finale raffazzonato e precipitoso.


Recensione: 

Se devo essere sincero guardando la pellicola di Villeneuve sono rimasto un po' spiazzato. Se di certo sono eccellenti i paesaggi, le ambientazioni, le riprese, i colori, le musiche e via discorrendo, va detto che ho trovato la trama di questo film abbastanza discutibile e piena zeppa di inconsistenze. Per carità, non voglio togliere Cristo dalla croce a nessuno e rispetto i sentimenti di tutti, ma non posso tacere. Non posso neanche rinunciare a pensare con la mia testa. Intorno a Blade Runner 2049 si è sviluppata una vera e propria latria, un culto che ha connotati prettamente religiosi e non proprio tolleranti. Lo spettatore non è più nel campo della critica pura e semplice, di ciò che può piacere o può non piacere: non resiste alla tentazione di entrare nel periglioso territorio del pensiero magico-superstizioso e della voglia di scatenare linciaggi. Esistono infatti moltissimi fan (id est fanatici) pronti a lapidare qualsiasi persona che non proferisca giudizi pienamente eulogistici sul sequel del film di Ridley Scott. Così, per il solo fatto di non amare in modo viscerale e incondizionato quest'opera, mi pongo nella condizione di un uomo che faccia irruzione in una chiesa gremita nella Brianza ottocentesca urlando bestemmie atroci. Oppure, per rendere ancora più efficace l'idea, verrei a trovarmi nei poco invidiabili panni di un uomo che entrasse in una moschea trascinando la carcassa di un porco, calzando per giunta scarponi sporchi di feci grasse. Questo è un film introspettivo da guardare così, per la sua sublime estetica, senza porsi troppe domande sulla sua sensatezza. Come uno viene meno a questo saggio consiglio, ecco che tutto si sfalda e crolla come un castello di carte. Non avrei mai pensato che in tutta la mia esistenza avrei visto qualcosa di simile, in cui il capolavoro convive la nullità, il genio con la banalità, il tutto in un miscuglio chimerico. Forse un giorno, quando rivedrò il film, riuscirò a guardarlo con occhi meno critici. Quel giorno tuttavia sembra ancora lontano.


Un generatore di paradossi

L'annoso problema della riconoscibilità dei replicanti è stato maldigerito da Villeneuve, che se ne esce con trovate paradossali e intrinsecamente contraddittorie. Quando K. analizza i resti di Rachel, ne riconosce la natura con un semplicissimo sistema ottico: tramite un microscopio riesce a scorgere una sigla incisa su un osso, un marchio di fabbrica, proprio come la firma che un famoso chirurgo britannico ha inciso sui fegati da lui trapiantati. Viene detto qualcosa come "un tempo non era facile riconoscere i replicanti", battuta che il regista ha concepito per pararsi il culo e avere qualche libertà. Vediamo di capirci. Ci sarebbe stato un gigantesco blackout e la società avrebbe subìto un vertiginoso crollo tecnologico - eppure avrebbe saputo concepire un sistema comodo per identificare otticamente i replicanti, quando prima del collasso, con una tccnologia superiore, tutto sarebbe stato più difficile? Sarebbe credibile tutto questo? Inoltre, cosa avrebbe spinto la Tyrell Corporation a incidere quelle lettere sulle ossa dei replicanti, se nessuno avesse saputo individuarle con sistemi ottici? Contraddizioni su contraddizioni, incapacità lampante di gestire il problema. Già nel film di Scott le cose non erano molto chiare, come ho avuto modo di spiegare nella recensione da me pubblicata a suo tempo. Poche idee e confuse. L'inutilità del complesso test di Voight-Kampff era già lapalissiana. Al peggio sarebbe bastata l'ordalia già in uso tra i Germani, dal momento che un replicante può immergere una mano nell'acqua bollente senza scottarsi. Per l'umano che si scotta, sarebbe un male minore da tollerarsi e da curare con un po' di crema PREP. Molto più economico di qualsiasi indagine psicologica dell'ozzac! I paradossi non si fermano qui, con buona pace dei fan. Alla Tyrell Corporation sarebbe stato facilissimo inserire nel corpo dei replicanti una qualsiasi caratteristica per permetterne il riconoscimento istantaneo, e sarebbe stato anche oltremodo conveniente. E c'era bisogno di tutto questo ambaradan? L'intero mondo dei replicanti si poggia sulle sabbie mobili!  


Il sorprendente gelo di Deckard

Quando Niander Wallace offre a Deckard un clone di Rachel per ottenere le informazioni cercate, sperando di mettere in crisi l'ex Blade Runner, questi reagisce in modo implacabile. Osserva la replicante plasmata come colei che ha amato e infine commenta: "Aveva gli occhi verdi". Così la malvagia Luv afferra una pistola, la punta al cranio della pseudo-Rachel e la fulmina, facendo fuoriuscire fiotti di sangue misto a materia cerebrale. Deckard rimane assolutamente impassibile. Nessuna reazione. Ora, pensiamoci per un attimo. Se qualcuno mi presentasse il clone della donna che ho amato, ne rimarrei sconvolto e cadrei in ginocchio, in preda a emozioni devastanti, a una sofferenza acutissima. Potrei anche avere un infarto e rantolare lì ai suoi piedi. Se riuscissi a sopravvivere, e vedessi un'aguzzina carogna fare del male al clone, le salterei addosso anche disarmato e la prenderei a zampate, ruggendo come un leone, anche a costo di beccarmi una pallottola. Direi che dal punto di vista narrativo, questa vicenda incongrua parrebbe un mero pretesto per riesumare la figura di Rachel, quasi un cameo pensato per far contente le torme pressanti di fan in preda all'isteria. Prevengo una possibile obiezione. No, l'impassibilità di Deckard di fronte alla soppressione della pseudo-Rachel non può essere presa come una prova della sua supposta natura di replicante privo di empatia, come si vedrà meglio nel seguito. 


Grotteschi trapianti da Dune 

Siamo franchi, ragazzi: a cosa servirà mai quell'inconsistente movimento messianico di femministe calve e di beduini coperti di stracci che sembra cagato dal culo del Muad'Dib? Tutto ricorda l'abominevole Arrakis (si capirà, il mio è il punto di vista di un genuino Harkonnen): Bene Gesserit frammiste a Matres Onorate, a Fremen e a svariata fauna similare, tutti osannanti alla Replicante Feconda che piacerebbe anche a Jorge Pompeo Bergoglio, il moderno apostolo della produzione illimitata di feti. Villeneuve avrebbe ben potuto fare a meno di evocare simili scenari senza la capacità necessaria alla loro gestione. Si può capire ciò che ha fatto soltanto alla luce della sua notoria ossessione per Dune, il capolavoro di Frank Herbert tradotto in pellicola da David Lynch. La sua è una passione totalizzante, che avrà come frutto un nuovo adattamento cinematografico della ponderosa saga fantascientifica. Spero che questa volta riesca a fare qualcosa di degno, anche se va detto che non sarò soddisfatto finché non avrò visto gli Harkonnen trionfare! Il punto è che tutto ciò non ha nulla a che fare con il film di Scott e ancor meno con l'opera di Phillip K. Dick. Villeneuve fa comparire il movimento di ribellione herbertiano e lo fa scomparire prima ancora che lo spettatore possa riuscire a capire a fondo la portata di ciò che i suoi occhi hanno visto. Per questo motivo si ha la netta sensazione di un elemento estraneo innestato a viva forza in un tessuto che potrebbe dare origine a una reazione di rigetto da un momento all'altro. La parola "xenotrapianto" non potrebbe essere usata in un contesto più adatto di questo!


La scadenza dei replicanti

Come ormai sanno anche i muri, i replicanti prodotti dalla Tyrell Corporation, che abbiamo visto nel film di Scott, avevano una data di scadenza. Tutti, con l'unica eccezione di Rachel. Erano programmati per durare poco e proprio questo rende possibile il pathos che innerva la pellicola. Tutto sommato si trattava di un vulnus non da poco, solo che nessuno se ne rese conto a quei tempi. Il primo a farlo fu il carissimo amico P., che dopo aver rivisto Blade Runner per l'ennesima volta, all'improvviso espresse così le proprie perplessità: "Me c'era proprio bisogno di fare tanto casino? Se tanto i replicanti erano in scadenza, potevano anche lasciarli in pace: sarebbero comunque morti tutti spontaneamente e a breve. Avrebbero potuto almeno rendere drammatica la situazione mostrando replicanti intenzionati a compiere un attentato a una centrale nucleare, tanto per giustificare una simile caccia. Ma così non si capisce che senso possa avere!". Un'obiezione che mi sembra ben fondata, anche se i fan non saranno d'accordo. Lo so, rischio di ritrovarmi con minacce di morte già soltanto per aver riportato l'aneddoto. Però le cose non cambiano, stanno proprio così. Con ogni probabilità Villeneuve lo ha capito e ha cercato di trovare un escamotage in grado di sanare questo vulnus, di nasconderlo come un topo morto sotto al tappeto. Così ha immaginato una nuova generazione di replicanti senza scadenza, che hanno sostituito i vecchi modelli. Non so se sia stata comunque una grande idea, ma penso che sia riuscita almeno in parte nell'intento. La morale di tutto ciò è semplice e diretta: quando si manipolano trame complesse, poi si rischia di perderne il controllo.


Il Demiurgo

Non possiamo tralasciare un personaggio di grande importanza e senza dubbio profetico: Niander Wallace, il creatore dei replicanti. Inquietante e diabolico, questo essere non è senza dubbio un semplice uomo. Egli rappresenta sulla Terra l'intelligenza malvagia che governa l'Universo, ne è un plenipotenziario. Si potrebbe benissimo definirlo Arcidiavolo. Il suo potere è assoluto e masse di schiavi lo servono, consumando le loro vite per edificare il suo impero. Niander Wallace giunge al punto di torturare e uccidere le sue creature per puro divertimento, perché per lui la vivisezione è un genere voluttuario, qualcosa di inebriante da assaporare secondo dopo secondo. La vita di un replicante, come di un umano uscito dall'utero, non vale nulla ai suoi occhi: ne può disporre come meglio crede. Se spezzarla gli porta in tasca anche soltanto un centesimo in più, o se soltanto turba i suoi pensieri, lui la spezza. Le origini di un simile mostro sono proprio sotto i nostri occhi. Il neoliberismo crea l'humus necessario al loro emergere. Certo, personaggi come Mark Zuckerberg ed Elon Musk sembrano distanti mille miglia dal folle Niander Wallace. La gente li adora perché dice che sono ottimisti, gioviali, amanti della vita e soprattutto animati da grandi sogni, in una parola sono "solari". Già il sinistro Jeff Bezos è molto meno simpatico. Freme dalla voglia di introdurre un duro servaggio e non lo nasconde nemmeno. Prima o poi, grazie a simili concentrazioni di potere, si affermerà un carnefice le cui opere aberranti faranno maledire a centinaia di persone il giorno del proprio concepimento. Questo lo posso dire per certo.  


Una perdita irreparabile

Joi, la ragazza olografica, è per K. la sola compagnia, il solo essere con cui interagire. È come una specie di angelo custode, qualcosa che salverebbe dalla disperazione urbana moltissime persone. Capace di dare un immenso sostegno morale, emotivo e persino erotico, è un gran progresso rispetto a un animale da compagnia o alla mano amica. A un certo punto la vediamo addirittura torreggiare sul protagonista come un ologramma gigantesco dai colori sgargianti, una visione che sembra venire dalla zona di confine tra la vita e la morte. Quando viene uccisa, abbiamo l'impressione che si sia consumata un'iniquità spaventosa. K. all'improvviso non ha più nessuno, è diventato un'isola alla deriva nelle profondità cosmiche, come un atomo di idrogeno sperduto in un abisso vuoto lontano da ogni galassia. Nulla potrà rendere un qualche senso alla sua esistenza, che si avvia così al solipsismo, all'agonia e al trapasso. Certo, si dirà, Joi in fondo è soltanto una macchina, una coscienza simulata, una rete neurale in grado di apprendere. Si ha tuttavia l'impressione che sia un essere senziente come una persona fatta di carne, di sangue e di ossa. Una persona che, una volta annientata, non potrà più essere sostituita.   

 

Climax interruptus 

Ho provato una grandissima delusione quando si spezza la tensione e risulta che non è K. il figlio di Rick Deckard. Non che io sia un amante delle trame romantiche e sdolcinate. Ho avuto l'impressione che sia stato fatto un grande investimento sulla figura del Blade Runner del LAPD e sul suo rapporto col presunto padre, Deckard, e questo solo per far finire tutto nello scarico del cesso, proprio dentro allo sterco. Mi si perdonino i ricorrenti francesismi. Ecco che tutto di colpo il nostro K. non è più nessuno e può esser lasciato morire così, di una morte senza senso né costrutto,  con il solo vantaggio di spirare in mezzo alla neve anziché in mezzo agli escrementi. Il punto è che la rivelazione del fatto che il tale è figlio del tal altro è ormai vecchia come il cucù. Quindi si cerca con ogni mezzo di far sospettare una stretta parentela tra personaggi problematici al solo scopo di smentirla nel modo più secco. Può anche sembrare una strategia efficace. Il prezzo da pagare è comunque altissimo. Un film diventa all'improvviso un nulla. Collassa, implode. La stessa figlia di Rachel e di Deckard, la dottoressa Ana Stelline, è un personaggio vuoto, nemmeno abbozzato, futile, poco più di un disegno fatto con lo spray sulle macerie di un palazzo abbandonato da decenni.

 

Risolto il problema della natura di Deckard

Possiamo dirlo per certo: Rick Deckard non è un replicante. Partiamo da un fatto molto semplice: egli è riuscito a ingravidare Rachel, un evento ritenuto estremamente improbabile. Se così non fosse, la gravidanza delle replicanti femmine sarebbe stata una cosa normale e osservata tutti i giorni. I replicanti sono descritti come sterili. Se è già eccezionale che un umano naturale possa mettere incinta una replicante femmina, le probabibilità che possa riuscirci un replicante maschio sono quindi enormemente minori. Infatti le probabilità si moltiplicano e numeri piccolissimi, compresi tra 0 e 1, una volta moltiplicati tra loro diventano ancora più piccoli. Così 0,5 (1/2) moltiplicato per 0,5 (1/2) dà 0,25 (1/4). Non siamo lontani dal vero dicendo che possiamo considarare in pratica impossibile che lo sperma di Deckard avrebbe potuto fertilizzare Rachel, se entrambi fossero stati umani artificiali. Come se non bastasse, un Deckard replicante sarebbe stato un vecchio modello... e sarebbe scaduto. Questo solleva una questione a mio avviso non trascurabile. In una delle tante versioni del film di Scott era emersa una memoria singolare, il sogno di un unicorno bianco, che trovava riscontro nel ritrovamento di un origami a forma di unicorno, suggerendo proprio la possibilità che il famosissimo Blade Runner interpretato da Harrison Ford fosse a sua volta un replicante. Infatti è risaputo che negli umani non si registrano simili fenomeni. Potremmo pensare che Villeneuve abbia abbandonato questa traccia per inserire la vicenda grottesca e improbabile di una messianica Rachel procreatrice. L'idea di una discontinuità biologica che avrebbe segnato l'avvento di nuove tipologie di replicanti, questa volta fecondi, deve essergli parsa più promettente. Per concludere, l'idea di un Deckard replicante inconsapevole proprio non si sarebbe retta in piedi. Un replicante ha una forza considerevole e poteri straordinari, come quello di non ustionarsi. Una persona che fosse un replicante se ne accorgerebbe per necessità constatando di cosa il proprio corpo è capace e facendo qualche calcolo. 

Altre recensioni e reazioni nel Web: 

Consiglio innanzitutto di leggere i fondamentali articoli del carissimo amico Giovanni De Matteo, apparsi sul sito Fantascienza.com:




Giovanni è rimasto molto colpito da questo film e riesce a irradiare un immenso entusiasmo, dando vita a scritti che sono una vera miniera di informazioni e di riflessioni profonde. Li ho letti con molto piacere, anche se non sono rimasto folgorato sulla via di Damasco guardando le sequenze di Villeneuve.

Si possono trovare alcune considerazioni di un certo interesse nella recensione negativa Blade Runner 2049 o dell'insostenibile pesantezza dell'irrilevanza, di Roberto Recchioni, apparsa su Screenweek.it:


Purtroppo il testo di Recchioni ha attirato l'ira di alcuni commentatori fanatici, adoratori incondizionati dell'opera di Villeneuve, tanto aggressivi da far sembrare miti come agnelli persino i Talebani. In fondo siamo in Italia: pur di linciare moralmente qualcuno, si inalberano con prontezza le più bizzarre e impensabili bandiere.

Questa recensione di Simone Stefanini è apparsa su Dailybest.it:


Come si può vedere, è più che altro incentrata sui risvolti tecnici e sugli attori. Di certo potrà soddisfare i feticisti dei dettagli, anche se i contenuti filosofici e antropologici sembrano fare un po' difetto.

Decisamente più positiva è la recensione di Luca Liguori, apparsa su Movieplayer.it:


Interessante è anche quest'altro articolo di Giuseppe Grossi, Blade Runner: 10 intuizioni di un capolavoro non replicabile, sempre su Movieplayer.it


Il tema portante è lo scetticismo sostanziale sulla stessa possibilità di realizzare un sequel di un qualche valore dell'opera di Ridley Scott. 

martedì 12 dicembre 2017

NOTE SUL LAVORO DI LOBO-CRAWFORD

Francisco Lobo e Paulo Crawford (Universidade de Lisboa, Portogallo) sono gli autori dell'articolo Time, closed timelike curves and causality, ossia Tempo, curve "timelike" chiuse e causalità, risalente al 2002 e revisionato per l'ultima volta l'anno successivo. Il lavoro può essere consultato e scaricato liberamente al seguente link: 


Dopo un'introduzione in cui gli autori riassumono l'evoluzione del concetto di tempo dall'antichità a Newton e quindi ad Einstein, giungono finalmente al punto. Il problema è quello delle curve temporali chiuse (CTC), annosa crux filosofica. La teoria della relatività generale fornisce un'analisi approfondita del flusso temporale in presenza campi gravitazionali, siano essi di debole o di forte intensità. Com'è risaputo, tale teoria contiene geometrie non banali che implicano curve temporali chiuse. Accade così che un osservatore, seguendo una traiettoria lungo una curva di questo tipo, ritorni a un evento che coincide con la sua partenza. Per l'osservatore in questione, la freccia del tempo misurata localmente punta in avanti, tuttavia globalmente egli procede verso eventi che si trovano nel suo passato. Ciò viola la causalità e porta ai cosiddetti paradossi temporali, giustamente paragonati dagli autori al vaso di Pandora. I paradossi si possono classificare in due diversi tipi:

1) Paradossi di consistenza;
2) Anello causale (anello temporale). 

Il classico paradosso di consistenza è quello dell'uomo che torna nel passato e uccide il proprio nonno, minando così la propria esistenza.

Negli anelli causali, informazioni od oggetti sono intrappolati nello spaziotempo in un circuito di retrocausalità. Lobo e Crawford fanno l'esempio di un uomo che viaggia nel passato con una macchina del tempo, raggiunge se stesso quando era giovane, dando a questo suo sé un manuale su come costruire la macchina del tempo. La costruzione del congegno crononautico è resa possibile proprio dalla consegna del manuale. Posso fare esempi ancora più chiari per illustrare questo paradosso:

i) In un racconto di Philip K. Dick, Il fattore letale (Meddler), si parla di una macchina che fotografa il futuro. Tramite questo marchingegno, vengono fatte fotografie da cui risulta che nel giro di un secolo non si trova più traccia alcuna del genere umano. Viene così usata una macchina del tempo per inviare un crononauta nel futuro per capire la causa della catastrofe. L'uomo parte e al suo arrivo trova la Terra disabitata: il genere umano si è estinto. Esplora una città fatiscente, abbandonata da molto tempo. Recupera libri e giornali da una biblioteca, quindi si accinge a fare ritorno alla macchina del tempo. A questo punto scopre che a sterminare l'umanità sono stati sciami di strane farfalle, a cui riesce a sfuggere per il rotto della cuffia. Quando ritorna nel suo tempo, porta con sé alcuni bozzoli di queste farfalle, innescando così il processo che porterà l'umanità all'annientamento. Domanda: qual è l'origine di questa specie di lepidottero mortifero?

ii) In un racconto di Anne Lear, L'avventura del viaggiatore integrale (The Adventure of the Global Traveler), Sherlock Holmes trova una lettera scritta dal suo mortale arcinemico, James Moriarty, il Napoleone del Crimine. Il punto è che la lettera è datata 1640. Il geniale furfante ha inventato la macchina del tempo ed è precipitato sul palcoscenico di Shakespeare mentre veniva rappresentato il Macbeth. In origine nella tragedia dovevano esserci soltanto due sicari, ma ecco che Moriarty, trovatosi nel ben mezzo della scena, improvvisa, recitando la parte del Terzo Assassino, da lui conosciuta a memoria. La sua interpretazione piace a Shakespeare, che la include nella sua opera. Moriarty, che è rimasto intrappolato nel passato, scrive l'accaduto nella lettera sperando che un giorno Holmes la troverà. Lettera che si conclude così:
“La prima volta che le battute del Terzo Assassino furono mai pronunciate, erano solo il frutto della mia buona memoria.
“Dunque, di grazia, signor Holmes, chi le ha scritte?
 

Si hanno così oggetti, esseri e informazioni esistenti nello spaziotemo senza che nessuno sia responsabile della loro creazione. Un manuale che viene dal nulla. Una farfalla che viene dal nulla. Battute teatrali che vengono dal nulla.

Dopo aver introdotto e commentato brevemente i paradossi sopra citati, gli autori partono in quarta analizzando tutte le soluzioni delle equazioni di campo di Einstein che implicano curve temporali chiuse, fornendo al lettore un'immersione in un oceano di matematica superiore. Se un navigatore nutre per l'estetica matematica la stessa passione che Casanova nutriva per le donne, sarà sicuramente soddisfatto. Se devo essere sincero, le conclusioni di Lobo-Crawford mi lasciano esterrefatto. In sintesi, questa è la summa argomentativa dei due portoghesi: 

a) La teoria della relatività generale ha avuto un grandissimo successo, che ha una base sperimentale molto solida.
b) La teoria della relatività generale porta a soluzioni alle equazioni di campo che implicano curve temporali chiuse.
c) Si evince che se la teoria della relatività generale è valida, è necessario includere la possibilità di viaggio nel passato attraverso curve temporali chiuse.
d) Siccome l'accettazione del viaggio nel passato attraverso curve temporali chiuse implica paradossi, si evince che detti paradossi vanno accettati come possibilità non soltanto matematiche, bensì anche fisiche.
e) Stanti i punti precedenti, ne consegue che il paradosso dell'uccisione del nonno, così come gli anelli temporali, corrispondono a situazioni possibili e realistiche.

A questo punto fa magicamente la sua comparsa la ridicola baggianata papista del libero arbitrio. Così ragionano Lobo e Crawford: "È logicamente inconsistente che il crononauta uccida suo nonno. Ma per l'esattezza, ci si può chiedere, cosa gli ha impedito di compiere il suo atto omicida se egli ha avuto ampie opportunità e la libera volontà di fare così". Parlano sì del principio di autoconsistenza, formulato da vari autori per aggirare il problema, ma ora della fine sono autentici sostenitori della possibilità di viaggiare fisicamente nel passato.  

Il problema è che è inconsistente il fatto stesso che il crononauta possa raggiungere suo nonno al di fuori della catena causale che ha portato alla propria esistenza. Ricordo che H.G. Wells aveva a un certo punto introdotto un paradosso estremamente interessante nel suo romanzo La macchina del tempo (Time Machine). Il protagonista aveva costruito una macchina del tempo in miniatura, quindi aveva incaricato uno psicologo scettico di azionare una minuscola leva. A questo punto la macchinetta si era sfocata per scomparire. Un astante aveva sollevato l'obiezione, dicendo che, se quella minuscola macchina del tempo avesse viaggiato nel passato, l'avrebbero dovuta vedere nello stesso luogo anche appena entrati nella stanza, e anche il giovedì prima e quello prima ancora, e via discorrendo. Wells ha cercato di risolvere il paradosso con un cavillo, immaginando che la velocità della macchina fosse tale da impedirne la vista agli umani. In realtà il paradosso resta e sarà bene meditare sulle sue conseguenze.   

venerdì 8 dicembre 2017


INDIETRO NEL TEMPO 

Titolo originale: Time and Again
Autore: Jack Finney
Lingua originale: Inglese
1a ed. originale: 1970
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Viaggio nel tempo; fantascienza
      romantica; fantascienza crepuscolare
   Ontologia temporale: B-eternista
  
Reversibilità degli eventi: Sì
   Nesso causale: Retrocausalità diretta
  
Tipo di viaggio nel passato: Non ludoviciano
   Tecnologia di viaggio: Ipnotismo
   Macchina del tempo: Assente

   Draga temporale: Sì
Editore (it.):
   Mondadori (collana Altri Mondi);
   Marcos y Marcos (collana Gli alianti)
1a ed. it.: 1990
2a ed. it.: 2004
Traduttore: Marco Pinna, Riccardo Valla
Codici ISBN: 
   ISBN-10: 880434203X
   ISBN-13: 9788804342038
Codice EAN:
   9788871683867

Trama:

New York. Simon Morley è un impiegato in un'industria di grafica e passa le sue giornate a fabbricare sagome adorne per saponette. Percepisce in modo netto che la sua vita è vuota e vana, anche se ha qualche amico ed è allietato dalla compagnia di una ragazza, la fulva Katherine Mancuso. Un giorno Simon viene avvicinato da un certo Ruben "Rube" Prien, che gli propone di partecipare a un progetto governativo della massima segretezza. Va detto che Rube da una parte istiga e incuriosisce l'interlocutore, tuttavia si rifiuta di fornire il benché minimo dettaglio e persino di dare una vaga definizione dell'incarico. All'inizio Simon è molto perplesso, scettico e vittima dell'accidia, così pensa di rifiutare per rimanere nella sua vita di nullità. Poi qualcosa lo spinge a unirsi al progetto e a recarsi all'indirizzo fornitogli da Rube. Giunge così fino a un edificio di nudi mattoni rossicci, inoltrandosi in un labirinto di corridoi e di uffici. Qui, dopo essere stato sottoposto a una singolare prova, una sorta di test di realtà, viene a conoscere il dottor Oscar Rossoff e il capo del progetto, il dottor E.E. Danziger. All'inizio tutto è molto nebuloso: a Simon vengono mostrate aule in cui persone dagli strani abiti sono impegnate in attività incomprensibili, come la simulazione di un duello con le baionette o una conversazione nella lingua d'oil del XV secolo. Sarà proprio il dottor Danziger a spiegare ogni cosa in dettaglio: il progetto consiste nel mandare indietro nel tempo alcuni collaboratori opportunamente addestrati, in un piccolo numero di contesti scelti. Questi viaggi nel passato non avvengono tramite particolari congegni, ma soltanto servendosi dei poteri dell'ipnosi. Il crononauta si prepara calandosi nella parte, vivendo per qualche tempo in un ambiente acconciato in modo da contenere soltanto oggetti dell'epoca in cui si vuole arrivare, mangiando soltanto cibi prodotti appositamente e via discorrendo. Quando tutto è perfetto, e il crononauta è giunto a pensare in tutto e per tutto come un uomo del passato che è stato scelto, ecco che si sottopone a ipnosi e avviene la magia: uscendo dal suo covo, si viene a trovare proprio nel tempo desiderato! In pratica, si tratta del viaggio nel tempo condotto soltanto con mezzi "psicologici": le ingenti spese dell'ente governativo presieduto dal dottor Danziger sono relative alla produzione dei contesti adatti e all'addestramento dei crononauti. Così Simon Morley, vestito come un gentiluomo della New York ottocentesca, prende residenza in un enorme quanto vetusto palazzone chiamato Dakota, in cui un appartamento viene arredato in modo opportuno, eliminando ogni oggetto o elemento che possa anche remotamente ricordare il XX secolo. La tecnica ipnotica ha successo e Simon riesce a fare un'incursione nell'anno 1882, durante una nevicata abbondante. Vede un uomo e una donna su una slitta trainata da cavalli e, rientrato nel suo appartamento al Dakota - che a quei tempi esisteva già - riesce a scorgere il Museo delle Scienze Naturali, solo in seguito nascosto da una selva di grattacieli. È l'inizio di un'avventura coinvolgente, che porterà il protagonista a imbattersi in una bella ragazza, Julia Charbonneau, di cui si innamorerà perdutamente. L'architettura dell'opera è molto complessa, comprendendo non pochi intrighi e misteri; di certo molti dettagli sollevano interessanti problematiche di ontologia temporale.

Recensione: 

Alla base di Indietro nel tempo c'è la teoria dell'eternismo atensionale, o B-eternismo, sostenuta tra gli altri da Albert Einstein: essa afferma che presente, passato e futuro coesistono come configurazioni spaziali statiche, e che il flusso degli istanti è illusorio. Che il B-eternismo sia tanto popolare tra i fantascientisti non deve stupire più di tanto: essendo il presentismo una teoria che nega lo statuto ontologico degli eventi passati e di quelli futuri, ogni viaggio nel tempo viene ad essere impossibile. In questo modo per scrivere un romanzo sui viaggi nel tempo, non resta che scegliere un'ontologia temporale eternista. A parer mio, le ontologie temporali più utili a questo scopo sono quelle eterniste tensionali, o A-eterniste, come la teoria dei futuri ramificati o quella dei blocchi in accrescimento - dato che rendono conto del flusso degli istanti. Peccato che gli scrittori anglosassoni, con poche eccezioni tra cui Philip K. Dick, stravedano per la negazione della freccia temporale, generando così infiniti paradossi non necessari. In particolare, Finney non comprende il nesso causale tra gli eventi ed è portato a ritenere il concetto stesso di causalità come qualcosa di "soggettivo" e "psicologico". Un'idea originale quanto priva di senso. La narrazione è comunque avvincente, nonostante la sua sostanziale assurdità. Peccato che lo stile sia troppo ampolloso: eventi cruciali vengono sommersi da un'incredibile mole di descrizioni fatue di vestiti e di paesaggi urbani, per non parlare del labirinto della toponomastica di New York, in cui difficilmente un lettore italiano può pensare di orientarsi. Tanto fitta è la rete di riferimenti geografici come "l'incrocio tra Nassau Street e Park Row", "l'angolo della Quarantasettesima", "il marciapiede tra la Third Avenue e la Quarantaduesima" e via discorrendo, che si è colti da un senso di vertigine.

Viaggi temporali non ludoviciani

Il viaggio nel passato è detto ludoviciano se comporta l'impossibilità di cambiare gli eventi. Per contro, il viaggio nel passato è detto non ludoviciano se permette il cambiamento degli eventi. Come mai queste denominazioni così strane? Semplice: esse derivano dal nome del filosofo statunitense David Lewis (1941-2001). Orbene, il suo cognome deriva dal nome proprio Lewis "Luigi", la cui origine ultima è una forma volgare di Ludovico, come ben sa chi si interessa di filologia germanica. Sono un convinto assertore dell'impossiblità del viaggio temporale non ludoviciano. Tuttavia, anche sospendendo l'incredulità e calandosi nell'ambientazione del romanzo, ne emergono tali contraddizioni intrinseche da far saltare dalla sedia. 

La metafora del fiume

Pur negando l'esistenza della freccia temporale, Finney non esita a paragonare il tempo a un grande placido fiume. A suo dire, l'inaccessibilità del passato e del futuro sarebbe causata soltanto nel fatto che ci troviamo in un'ansa che ci impedisce di vederli. Ecco la conversazione tra Simon Morley e il dottor Danziger: 

«<Einstein> intendeva dire che la nostra concezione del passato, del futuro e del presente non è corretta. Noi pensiamo che Il passato se ne sia andato, che il futuro debba ancora venire, e che esista solo il presente. Perché il presente è tutto ciò che siamo in grado di vedere».
«In effetti, devo ammettere che anche a me sembra che le cose vadano più o meno così».
Danziger sorrise. «Naturalmente. E lo stesso vale per me. È più che naturale. Come del resto ha detto lo stesso Einstein. Ha detto che siamo come persone in una barca senza remi che procede lungo un fiume serpeggiante. Attorno a noi vediamo solo il presente, e non riusciamo a vedere il passato, dietro le anse e le curve del fiume alle nostre spalle. Eppure esso esiste».

Come conseguenza di queste premesse, il concetto di irreversibilità non è compreso, e lo stesso Einstein a quanto pare lo considerò irrilevante. Eppure l'irreversibilità esiste ed è un dato di fatto che non può essere rimosso dalle ruminazioni della psicologia. Che la relatività einsteiniana non implichi in automatico il B-eternismo è provato tra l'altro dal fatto che il dibattito filosofico tra eternisti e presentisti è ancora vivacissimo. Siamo ben lungi dal comprendere la natura del tempo. Credo con fermezza che l'intero mondo scientifico dovrebbe rinsavire e prendere sul serio Ilya Prigogine, che sostenne la natura termodinamica della freccia temporale, definendo l'irreversibilità degli eventi come principio di sensatezza dell'universo. Mi si permetta di aggiungere, è la sola sensatezza che si può ravvisare in un universo di aberrazioni!     

La teoria della pagliuzza nel fiume

Così spiega il dottor Danziger: 

«Ecco, il tempo viene spesso paragonato a un fiume, a una corrente. Quel che accade in un dato punto del fiume dipende almeno in parte da quel che è successo a monte. Ma in ciascun istante si verifica un'infinità di eventi, alcuni dei quali sono di portata enorme. Perciò, se il tempo è un fiume, è più grande del Mississippi in piena. Mentre lei... è come una pagliuzza in mezzo a quella corrente. È possibile che anche una pagliuzza possa produrre un effetto: per esempio, può rimanere incastrata sulla sponda e con il tempo formare una barriera capace di bloccare il corso del fiume. La possibilità di un cambiamento, il pericolo, esiste. Ma è infinitesimale. Virtualmente possiamo essere sicuri al cento per cento che una pagliuzza caduta in quella corrente gigantesca e incredibilmente potente, nel turbine di quel Mississippi di eventi, non influisca affatto sul suo corso!» 

Ebbene, anche ammettendo il viaggio temporale non ludoviciano, questa teoria è falsa. Non ha in sé nemmeno una vaghissima fibra di verità. Moltissime opere fantascientifiche sui viaggi nel passato si fondano su questo presupposto fallace e ignorano del tutto i nessi causali che generano gli eventi. La tentazione del narratore è quella di credere che esistano pochissimi eventi determinanti, messi lì per necessità storica e assolutamente immutabili, che non potranno mai essere scalfiti da nulla -  e che tutti gli altri eventi siano assolutamente irrilevanti, tanto che mutandoli non si sortirebbe mai alcun effetto sul corso storico. Questo perché alla base del giudizio ci sono i libri di storia, che elencano l'insieme degli eventi assoluti definiti "necessità storiche". Quanto tutto ciò sia un'illusione puerile lo dimostra la stessa vita di Adolf Hitler. Purtroppo la fantascienza si basa ancora in gran parte sulla meccanica classica e ignora il concetto di Caos. Non esistono eventi irrilevanti in un sistema caotico. Si può dimostrare che anche un semplice sternuto innesca una catena di conseguenze in grado di ridefinire l'intero aspetto del pianeta: è sufficiente che favorisca o che impedisca anche soltanto una singola copula.

Il ridicolo Progetto Cuba

Ogni singolo elemento di questo universo è parte di una catena causale che rimonta ad epoche remotissime. La natura tragica di questa catena non viene compresa da Finney e di conseguenza neppure dai suoi personaggi. Allo stesso modo sfugge l'estrema interconnessione di tutte le catene causali che compongono l'esistenza. Vediamo così due militari minchioni, Rube Prien e il colonnello Esterhazy, fare un progetto folle. Secondo il loro ragionamento lineare da meccanici classici, se Cuba fosse stata acquisita dagli Stati Uniti nel 1890, quando la cosa era possibile, non sarebbe mai andato al potere Fidel Castro, con tutto quel che ne consegue. E al contempo, tutto il resto sarebbe stato identico alla realtà a noi tutti nota. Prien ed Esterhazy, in altre parole, credono di poter asportare in modo chirurgico qualcosa che non piace loro, come il regime comunista cubano, senza tener conto della propagazione degli eventi e dell'impossibilità di controllare il cambiamento delle catene causali. Una prospettiva che definire stolta è poco.

La draga temporale

Philip K. Dick ha definito "draga temporale" un congegno capace di portare nel presente oggetti o persone prendendole dal passato. Il concetto è introdotto ne La penultima verità, ma compare anche altrove. Così, ne I simulacri, Hermann Goering viene catturato dalla draga temporale e portato nell'epoca in cui la vicenda si svolge - solo per essere sommariamente fucilato per essersi dimostrato "poco utile". Nel romanzo di Finney, Simon Morley riesce tramite la solita ipnosi a portare Julia Charbonneau nel proprio tempo d'origine, nella New York del XX secolo. La ragazza cammina per le strade congestionate da flussi di automobili e osserva i grattacieli. Viene condotta nell'appartamento di Simon, dove sfoglia alcuni libri e si veste con abiti moderni. Poi a un certo punto comprende che il suo posto è nel suo tempo, si rimette gli abiti con cui è arrivata e tramite la tecnica dell'ipnotismo ritorna nel passato. Quindi, possiamo dire che il dragaggio temporale nel romanzo di Finney avviene senza la presenza di un congegno, contrariamente a quanto avviene nelle opere di Dick.

L'Ipertempo di Van Inwagen 

Si segnala come degna di nota la teoria di Peter Van Inwagen (University of Notre Dame, South Bend, Indiana), che postula il concetto di ipertempo. Secondo lo studioso statunitense, lo spaziotempo comprenderebbe più di una dimensione temporale. In linea di principio sarebbe possibile per un crononauta ritornare nel passato: la sua interazione creerebbe l'eruzione di un nuovo corso temporale, come un corno che si viene a formare per poi propagarsi. In questo modo non ci sarebbero paradossi. Le vari linee temporali create dagli interventi sul passato non interagirebbero tra loro, e i vari doppioni dei crononauti e degli abitanti di ogni ipertempo sarebbero sezioni di oggetti con parti temporali che non possiamo cogliere dalla nostra limitata visuale. Peccato che l'entropia ontologica implicita in tale teoria sia grande e generi infiniti non normalizzabili, di per sé indizio della sua falsità. 

Reazioni nel Web

Nel sito Anobii sono presenti numerose recensioni brevi di questo romanzo, consultabili al seguente indirizzo: 


Con poche eccezioni, direi che i lettori di fantascienza non hanno gradito Indietro nel tempo, per motivi abbastanza prevedibili. Manca il gingillo tecnologico, sola cosa in grado di attirare l'attenzione. Infatti si è usata la locuzione "fantascienza ipotecnologica". Per alcuni non è neppure fantascienza e sarebbe classificabile come "romanzo storico". Non sembra che tra il pubblico, perso nel mare della banalità, ci sia qualcuno interessato agli studi sulla natura del tempo.

giovedì 20 aprile 2017


BLADE RUNNER

Titolo originale: Blade Runner
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: USA
Anno: 1982
Durata: 117 min (International Cut, 1982)
  116 min (Director's Cut, 1992)
  117 min (The Final Cut, 2007)
Rapporto: 2,35:1
Genere: Fantascienza, noir, thriller
Regia: Ridley Scott
Soggetto: Philip K. Dick, dal racconto
     Il cacciatore di androidi (aka Ma gli androidi
     sognano pecore elettriche?
)
Sceneggiatura: Hampton Fancher, David Webb
    Peoples
Produttore: Michael Deeley
Casa di produzione: The Ladd Company, Sir Run
    Run Shaw, Tandem Productions
Distribuzione (Italia): Warner Bros.
Fotografia: Jordan Cronenweth
Montaggio: Terry Rawlings, Marsha Nakashima
Effetti speciali: Douglas Trumbull
Musiche: Vangelis
Scenografia: Jordan Cronenweth
Interpreti e personaggi:
    Harrison Ford: Rick Deckard
    Rutger Hauer: Roy Batty
    Sean Young: Rachael
    Daryl Hannah: Pris
    Brion James: Leon
    Joanna Cassidy: Zhora
    Edward James Olmos: Gaff
    M. Emmet Walsh: cap. Harry Bryant
    Joe Turkel: dott. Eldon Tyrell
    William Sanderson: J.F. Sebastian
    Morgan Paull: Holden
    James Hong: Hannibal Chew
    Hy Pyke: Taffey Lewis
    Ben Astar: Abdul Ben Hassan
Doppiatori italiani:
    Michele Gammino: Rick Deckard
    Sandro Iovino: Roy Batty
    Emanuela Rossi: Rachael
    Micaela Esdra: Pris
    Sergio Fiorentini: Leon
    Maria Pia Di Meo: Zhora
    Piero Tiberi: Gaff
    Renato Mori: cap. Harry Bryant
    Gianni Marzocchi: dott. Eldon Tyrell
    Massimo Giuliani: J.F. Sebastian
    Paolo Poiret: Holden
    Vittorio Stagni: Hannibal Chew
    Luciano De Ambrosis: Taffey Lewis
    Mario Milita: Abdul Ben Hassan

Trama:
Siamo a Los Angeles nel 2019 (nel nostro spaziotempo sarebbe tra due anni). L'ambientazione è una spaventosa megalopoli sovrappopolata, plumbea e distopica, perennemente notturna. La luce del sole non riesce a oltrepassare la coltre di nubi, tanto che si ha l'impressione di trovarsi su un pianeta oscuro in cui si può vedere soltanto grazie al riverbero delle onnipresenti insegne pubblicitarie. Una simile società urbanoide e opprimente non si accontenta di annichilire l'uomo: vengono fabbricati tramite tecniche di ingegneria genetica androidi organici così somiglianti ad esseri umani da non poter essere distinti ad occhio nudo. Questi esseri artificiali sono chiamati "replicanti" e vengono impiegati in condizioni di schiavitù nelle colonie extramondo, stanziamenti umani nello spazio. In alcuni di loro arde l'anelito di libertà e come possono farlo fuggono, cercando con ogni mezzo di ritornare sulla Terra, pianeta che è loro interdetto. Le unità aberranti fuggite vengono inseguite da cacciatori di taglie noti con il nome di Blade Runners, ossia "Corridori sulle Lame". Il fato degli androidi organici intercettati non è invidiabile: vengono "ritirati", ossia eliminati fisicamente. Rick Deckard è un maturo Blade Runner richiamato in servizio, a cui è assegnato il compito di rimuovere dalla società alcuni replicanti fuggiaschi che sono giunti fino a Los Angeles per tentare un'impresa dissennata, ossia infiltrarsi nella Tyrell Corporation, la multinazionale responsabile della loro creazione. In tutto le creature sintetiche sono sei, di cui due sono rimaste folgorate e una è stata riconosciuta nel corso di un test di riconoscimento detto Voigt-Kampff (spesso scritto Voight-Kampff). Il loro capo, Roy Batty, ha guidato i suoi compagni di sventura nell'azienda spinto dalla necessità di parlare con il suo Artefice, l'uomo che lo ha progettato, fatto costruire e programmato. A spingerlo è il solo sentimento che lo anima e che divora ogni sua fibra: il terrore della Morte...


Le diverse versioni:

A quanto ho appreso navigando nel Web, esistono ben sette diverse versioni del film. Alcune delle peculiarità sono di poco conto, mentre in altri casi sono introdotti elementi che cambiano l'ontologia della storia. Le più note sono le seguenti tre: 

International Cut (1982). Nota anche come Release cinematografica ufficiale internazionale, dura 117 minuti. Contiene qualche scena "problematica" che in America non ha potuto vedere la luce a causa della mostruosa dittatura della political correctness

Director's Cut (1992). Dura 116 minuti. Si tratta in sostanza di una copia della preview (Workrint prototype version) ritrovata chissà come dopo dieci anni dalla prima proiezione. In questa copia mancava la scena del sogno dell'unicorno e non erano incluse le scene cruente già in precedenza tagliate negli States. Non è piaciuta a Ridley Scott e nemmeno a Harrison Ford. Così è stata rielaborata dal regista, che vi ha incluso la scena dell'unicorno ma non ha aggiunto le altre sequenze. 

The Final Cut (2007). Dura 117 minuti. Su questa versione pubblicata per il 25° anniversario del film, Scott ha avuto il controllo completo. Include quindi tutte le scene in precedenza rimosse. Anche il sogno dell'unicorno vi è presente, con sequenze più lunghe che permettono allo spettatore una miglior comprensione del problema filosofico.  

Per maggiori informazioni si rimanda a questo link: 


Recensione:

Senza dubbio siamo di fronte a una pietra miliare non soltanto della fantascienza distopica e apocalittica, ma anche del genere noir. Nel corso degli anni a questo film grandioso sono state mosse diverse critiche, rinfacciando ad esempio la lentezza dell'azione, l'incoerenza dei dialoghi, la natura confusa della psicologia dei personaggi. Forse questi detrattori non hanno capito una cosa: questa è la storia di una caduta agli Inferi. Per questo le voci spettrali sono quelle di ombre del Tartaro, destinate alla dispersione della propria essenza fino a degradarsi in mere fluttuazioni di vuoto quantistico.

Rispetto al romanzo di Dick Il cacciatore di androidi (Do androids dream of electric sheep?, 1968), si rilevano tante e tali differenze che possiamo dire, senza timore di essere smentiti, che si tratta di due opere completamente dissimili.

1) Romanzo: La Terra è spopolata.
    Film: La Terra è sovrappopolata.
2) Romanzo: L'azione si svolge a San Francisco.
    Film: L'azione si svolge a Los Angeles.
3) Romanzo: Il mondo futuribile vuole essere la realtà del 1992.
    Film: Il mondo futuribile vuole essere la realtà del 2019.
4) Romanzo: Il pianeta, desolato, è in preda alla polvere radioattiva e di spazzatura che si accumulano in una sostanza chiamata kipple, che è entropia allo stato solido.
    Film: Il pianeta, che versa in stato parimenti apocalittico, è sotto il diluvio.
5) Romanzo: Le colonie si trovano su Marte o in ogni caso all'interno del sistema solare.
    Film: Le colonie extramondo non si limitano al sistema solare: si estendono su diversi sistemi stellari, pur non essendo descritta la loro dislocazione.
6) Romanzo: Deckard è un uomo sposato a una donna isterica, prigioniero di una vita deprimente e grigia.
    Film: Deckard è un detective noir in stile Marlowe o Sam Spade.
7) Romanzo: La natura degli androidi è almeno parzialmente biologica. In un passo sono definiti "organici", ma si fa riferimento al loro cervello come se fosse un processore non biologico (es. "unità cerebrale Nexus-6"). In un altro passo si fa riferimento al fatto che un androide se non viene ucciso è destinato a invecchiare e a morire.  
    Film: La natura degli androidi sembra essere interamente biologica. Gli androidi (replicanti) sono organismi fatti di carne e di sangue, con il cervello fatto di neuroni, prodotti tramite ingegneria genetica. 
8) Romanzo: Il colosso della produzione di androidi è la Rosen Industries (aka Associazione Rosen).
    Film: Il colosso della produzione di androidi è la Tyrell Corporation.
9) Romanzo: Gli androidi sono glaciali e malvagi. Ogni loro sentimento è una finzione. 
    Film: Gli androidi sono creature piene di pathos, sofferenti, terrorizzate dalla morte, tanto che si è inclini a simpatizzare per loro.
10) Romanzo: Rachael porta il cognome Rosen e passa per la nipote di Eldon, il Tycoon dell'azienda produttrice di androidi.
    Film: Rachael è una segretaria della Tyrell Corporation.
11) Romanzo: Rachael è una fallofora, una ninfomane scatenata, priva di sentimenti e opportunista, che non esita a ferire Deckard non appena questi le confessa il suo amore, e gli dice di aver fatto sesso sfrenato con decine di cacciatori di taglie. A causa della maggior decenza dei tempi in cui Dick visse, Rachael si è astenuta da mortificare Deckard irridendo le dimensioni del suo fallo. 
    Film: Rachael è un'eroina romantica. 
12) Romanzo: Esiste una religione di lontana derivazione cristiana, il Mercerianesimo (in inglese Mercerism).
    Film: Non esiste alcuna religione praticata.
13) Romanzo: La biosfera è in estinzione, moltissime specie animali sono scomparse e la società attribuisce un immenso valore al possesso di un animale vero anziché di una sua riproduzione robotica.
   Film: Non si fa menzione delle condizioni della fauna e del costume descritto nel romanzo.
14) Romanzo: Deckard nel corso delle sue peripezie si imbatte persino in una copia perfetta del dipartimento di Polizia, creata nei minimi dettagli da malfattori.
   Film: Le avventure di Deckard prendono un corso totalmente diverso da quello descritto dal romanzo e non si fa nessuna menzione dei poliziotti finti.
15) Romanzo: Deckard, spinto dal furore religioso, elimina Roy Batty e gli altri replicanti, torna a casa, scopre che Rachael ha ucciso la sua capra per vendetta. A questo punto si reca nel deserto per riflettere.
   Film: Si ha il toccante dialogo tra Roy Batty e Deckard, al termine del quale il replicante muore di morte improvvisa.


La religione di Mercer

Nel film di Scott le allusioni alla religione sono poche, anche se molto interessanti. Un saltimbanco pappone pubblicizza a gran voce lo spettacolo di una sua ragazza, invitando gli astanti a guardarla "prendersi il piacere dal serpente che corruppe l'Uomo", alludendo al mito di Adamo e di Eva nel Giardino dell'Eden. Il replicante Roy pronuncia una frase memorabile quanto poetica: "Avvampando gli angeli caddero; profondo il tuono riempì le loro rive, bruciando con i roghi dell'Orco". Si tratta di citazioni arcaiche che sopravvivono quasi come echi spettrali in un mondo che è ormai privo di una dimensione spirituale. Non sono testimonianze di una religione vivente. Forse potrebbe essere definito "religione" lo strano sentimento di devozione che il replicante Roy prova per il suo Creatore, ma la cosa è alquanto dubbia: potrebbe essere un semplice comando volutamente introdotto nel genoma sintetico e simile all'imprinting. Nel romanzo di Dick abbiamo invece una dimensione religiosa più complessa e articolata. Vi è descritta un'interessante setta che venera come profeta e Uomo-Dio un certo Wilbur Mercer, che potrebbe essere definito quasi un novello Cristo. Mercer si cala dalle pendici della Montagna della Morte e viene ad abitare nel mondo della Tenebra, in mezzo ai rifiuti, quindi compie la sua faticosissima salita che ricorda quella di Cristo sul Golgota. Mentre Mercer arranca tra rocce spigolose e rifiuti, diabolici nemici lo lapidano, provocandogli ferite sanguinanti. Affinché i credenti della religione di Mercer mantengano il contatto diretto con la Passione del loro profeta, si servono di macchinette empatiche. Si collegano a questi marchingegni impugnando un manubrio simile a quello di una bicicletta e diventano tutt'uno con Mercer. Alla fine Deckard scopre che Wilbur Mercer è in realtà una comparsa in pensione rispondente al nome di Al Jarry, che sopravvive in una baraccopoli in condizioni di miseria estrema. Questa rivelazione non pone però fine alla setta, i cui adepti continuano a professare il Mercerianesimo, perché in esso ci sarebbe del vero anche se Mercer è falso. In ogni caso la trovata ha di per sé un notevole valore. Sarebbe una bella cosa se l'uso di scatolette empatiche fosse diffuso tra gli adepti di tutte le Chiese che si definiscono "cristiane" e riuscisse a trasmettere l'esperienza della salita sul Calvario e della crocefissione. Credo che molte stronzate non le si sentirebbe pronunciare più.

Il gergo urbano 

Nel film di Scott si sente parlare uno strano linguaggio, definito gergo (in inglese Cityspeak), di cui viene evidenziata l'origine mista a partire da un gran numero di idiomi degradati in una specie di melting pot linguistico. Così viene descritto dallo stesso protagonista:  

"Questo simpaticone si chiama Gaff. Bryant doveva averlo sollevato al rango dell'unità Blade Runner. I suoni inarticolati che emetteva erano la parlata cittadina, un guazzabuglio di giapponese, spagnolo, tedesco e chi più ne ha... A me non serviva un traduttore. Conoscevo quel gergo come ogni buon poliziotto. Ma non intendevo agevolare Gaff."
(Deckard)

Le parole del gergo urbano hanno una parvenza informe, come se tendessero a perdere le consonanti e a conformarsi alla fonetica del giapponese indipendentemente dalla loro origine. Tutto ciò è stato creato da Scott per accentuare l'incapacità comunicativa dell'umanità ormai derelitta. Non ricordo di aver letto nulla su questo argomento nell'opera di Dick, che non sembrava essere molto interessato alla descrizione di lingue stravaganti e alla loro costruzione. 

Deckard, Cartesio
e il sogno dell'unicorno 

Il cognome del cacciatore di androidi non è poi così strano come potrebbe sembrare a prima vista. In una pronuncia rotica la sua trascrizione sarebbe /'dekəɹd/, che non è poi dissimile dal francese /de'kaRt/. Come avrete capito è proprio il famoso filosofo francese René Descartes, più noto in Italia come Cartesio. Dick era appassionato di filosofia: quando ha creato la figura di Deckard ha inteso alludere al dubbio cartesiano e al solipsismo. Al dilemma ontologico che porta a dubitare della realtà delle cose che ci circondano e della propria stessa esistenza, Cartesio rispondeva con la frase "cogito ergo sum", ossia "penso, dunque sono". Un genio maligno mi può ingannare su tutto, ma non può in alcun modo ingannarmi sul mio dubbio. Dal fatto di essere consapevole di questo dubbio, giungo così ad avere la prova della mia stessa esistenza. Questa semplice procedura a Deckard perde il suo potere risolutore, perché non è in grado di discriminare tra la natura di un essere umano e quella di un androide organico. Appurato che io sono perché penso, cosa sono in concreto? Sono un essere umano, qualsiasi cosa questo possa significare, oppure la creazione di un essere umano, ossia un'intelligenza artificiale? Se sono un'intelligenza artificiale, da dove provengono i miei sentimenti? Tutta questa problematica esistenziale si infittisce e si fa ancor più angosciante nel film. Roy Batty sembra rispondere al Deckard dickiano: "Noi non siamo macchine, siamo organismi". La replicante femmina Pris aggiunge: "Io penso, Sebastian, pertanto sono". Una delle sequenze più importanti, aggiunta nel Director's Cut e ampliata nel Final Cut, è quella della visione di un unicorno, avuta da Deckard in uno stato di onirismo ad occhi aperti. Questo sogno dell'unicorno è la prova concreta del fatto che lo stesso cacciatore di taglie Deckard è in realtà un replicante egli stesso, proprio come le sue prede. Infatti Gaff, il collega di Deckard, realizza un origami a forma di unicorno, che in seguito viene calpestato da Rachael. Quest'opera di carta può essere stata ispirata soltanto dalla conoscenza dei sogni di Deckard, che di conseguenza devono essere il frutto di un innesto artificiale.  

Un rospo robotico

Manca al film la scena finale del romanzo, che a parer mio ne concentra tutta l'essenza filosofica, dando vita a un gioielo infinitamente fulgido. Deckard vaga nel deserto, come il profeta Wilbur Mercer, la cui inesistenza gli è stata appena dimostrata, quando ecco che all'improvviso si imbatte in una creaturina ben strana. Qualcosa che proprio non dovrebbe esistere. Si tratta di un rospo, animale prediletto dallo stesso Mercer e da tempo estinto. Deckard lo raccoglie e lo porta alla moglie, tutto contento perché grazie all'animaletto potrà superare lo stigma sociale che ha colpito la sua famiglia a causa del mancato possesso di un animale autentico. Il problema è che all'improvviso nel corpo dell'anfibio si apre uno sportelletto, dimostrando che si tratta di un robot fatto di parti meccaniche. In un altro punto del libro si specifica che mentre gli androidi sono organici, gli animali robot sono "fatti di circuiti a transistor". Ecco che il senso di assoluta solitudine raggiunge vette stratosferiche, crescendo fino a invadere e a divorare ogni cosa. L'intero universo del protagonista collassa in un coacervo di nullità: la sconfitta di Cartesio è totale. Peccato che tutto questo sia rimasto inutilizzato da Scott, anche se comprendo bene che non sarebbe stato facile inserire il ritrovamento del rospo fittizio in un contesto che con quello originale ha tutto sommato ben poco a che spartire.


Fulgide gemme di Ridley Scott
(e di Rutger Hauer)
 

Il film contiene gioielli che sono capolavori di una potenza indicibile, sentenze penetranti come stiletti di diamante e indimenticabili, che hanno fatto la storia della Fantascienza, trasformandosi in memi immortali. Il punto è che nessuno di questi inestimabili tesori è farina del sacco di Philip K. Dick: invano li si cercherebbe tra le pagine de Il cacciatore di androidi. Sono infatti creazioni di Ridley Scott e - non dimentichiamolo mai - di Rutger Hauer, che forgiava frasi poetiche servendosi delle sue immense capacità di improvvisazione. Passiamo brevemente in rassegna alcune interessanti gemme concettuali:

Una nuova vita vi attende nella colonia Extra-Mondo. L'occasione per ricominciare in un Eldorado di buone occasioni e di avventure.
(Voce del dirigibile)

   L'attualità di questo annuncio è palpabile. Elon Musk si servirà senza dubbio di esche simili quando dovrà popolare Marte di nuovi dannati. Già mi vedo i messaggi pubblicitari imperniati su un concetto elementare quanto efficace: "Su Marte si scopa".

Avvampando gli angeli caddero; profondo il tuono riempì le loro rive, bruciando con i roghi dell'orco.
(Roy Batty)

   A quanto pare la fonte ultima di ispirazione da cui Rutger Hauer ha attinto è William Blake. Questo è il testo originale in lingua inglese dei versi di Roy: "Fiery the angels fell; deep thunder rolled around their shores; burning with the fires of Orc." Questi invece sono i versi di Blake, da America a Prophecy"Fiery the angels rose, and as they rose deep thunder roll'd / Around their shores: indignant burning with the fires of Orc." Il riferimento è a Lucifero e agli Angeli Caduti, a cui il replicante paragona se stesso e i suoi compagni, cacciati dalla Terra e al contempo caduti su di essa dalle colonie extramondo.

Tyrell aveva fatto un gran lavoro con Rachael. Perfino un'istantanea di una madre che non aveva mai avuto e di una figlia che non lo era mai stata. Non era previsto che i replicanti avessero sentimenti. Neanche i cacciatori di replicanti. Che diavolo mi stava succedendo? Le foto di Leon dovevano essere artefatte come quelle di Rachael. Non capivo perché un replicante collezionasse foto. Forse loro erano come Rachael: aveva bisogno di ricordi.
(Deckard)

La luce che arde col doppio di splendore brucia per metà tempo. E tu hai sempre bruciato la candela da due parti, Roy. (Tyrell)

   Scott afferma la nuda e cruda natura dell'Universo fisico in tutta la sua ineluttabilità. L'entropia, che è una misura del disordine, cresce sempre in tutti i sistemi fisici reali. Per ridurla è necessario compiere lavoro, ossia consumare risorse. I corpi, essendo sistemi aperti attraversati da un flusso costante di materia e di energia, devono in ogni istante fare i conti con la produzione di scorie con la tendenza al deterioramento. Il corpo di un organismo artificiale ha un metabolismo accelerato che lo porta a invecchiare rapidamente. Nel romanzo di Dick si allude all'irrisolto problema del "ricambio cellulare" e si parla di una vita media di quattro anni per questi androidi. 

Ho fatto delle cose discutibili... [...] Cose per cui il Dio della biomeccanica non ti farebbe entrare in paradiso.
(Roy Batty)

   Trovo ragionevole pensare che l'allusione a un simile Dio e al relativo paradiso destinato ai costruttori di replicanti sia più che altro una metafora nata dalla spiccata tendenza dell'attore al lirismo.

Bella esperienza vivere nel terrore, vero? In questo consiste essere uno schiavo.
(Roy Batty) 

   Una verità innegabile, da scolpire a caratteri cubitali sulle pareti di tutte le case del mondo.

Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione... e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire.
(Roy Batty)

   Due brevi estratti di questo brano di un lirismo assoluto sono diventati molto popolari, anche se in genere sono citati in modo distorto. Il primo è comune nel linguaggio scherzoso, anche del volgo: "Ho visto cose che voi umani..". Invece la locuzione "lacrime nella pioggia" conserva tutta la sua drammaticità, ad indicare l'irreparabilità della perdita di un lavoro per cui si è speso molto tempo e che non potrà produrre nessun risultato - come ad esempio gli scritti pubblicati nella Blogosfera. Per contro, è stata rimossa dalla memoria collettiva la reminiscenza wagneriana.
Questa è la versione originale in inglese:

"I've seen things you people wouldn't believe. Attack ships on fire off the shoulder of Orion. I watched C-beams glitter in the dark near the Tannhäuser Gate. All those moments will be lost in time, like tears...in...rain. Time to die."

Si vede che i C-beams sono diventati come per magia "raggi B" nel passaggio all'italiano, dato che "raggi C" avrebbe avuto un suono infantile e ridicolo per via della presenza di consonanti palatali molto simili in due sillabe contigue.

Un vulnus gravissimo

Se gli androidi sono organici e hanno sangue come gli esseri umani, è purtuttavia plausibile che la loro natura possa essere immediatamente svelata da un semplice test del DNA. Nelle sequenze genomiche di un loro frammento minuscolo di tessuto devono essere contenute informazioni che ne permettono l'identificazione rapida. Sarebbe del tutto logico pensare alla volontaria introduzione di simili segni di riconoscimento, da parte del produttore, per motivi legali. Basterebbe una proteina che non compare negli umani, che è stata usata a bella posta e che è rilevabile da un test istantaneo. Si pensa che in un mondo futuribile i test genetici non necessitino di lunghi mesi per fornire un responso. Domanda maliziosa e provocatoria: "Perché inscenare il complesso test empatico di Voigt-Kampff?"