Nella lingua Nāhuatl parlata dagli Aztechi esistono certamente meccanismi di incorporazione o di incassamento assai sviluppati e produttivi, ma non sono affatto applicabili a piacere in catene infinite di ricorsività, come la setta dei grammatici generativi pensa debba accadere in tutte le lingue definibili come umane. In altre parole, i meccanismi ricorsivi nella lingua azteca mostrano limiti severissimi e le categore grammaticali non collimano affatto con quelle dei parlanti della lingua inglese. Così la forma mentis teorizzata da Noam Chomsky e dai suoi seguaci non può applicarsi con successo a questo caso che ho trovato: ogni sforzo per rendere malleabile questa lingua amerindiana e plasmarla sulle categorie del mondo anglosassone è destinato a fallire miseramente.
Fornisco nel seguito alcuni esempi eloquenti, ricordando che l'ortografia usata è quella spagnola classica, con la lettera x che si pronuncia come sh in inglese; ch si pronuncia come nell'inglese chair; qu seguito dalle vocali e, i, si pronuncia come k; hu indica la consonante w dell'inglese water, uh in fine parola è lo stesso suono ma sordo; h seguita da consonante o in fine di parola dopo vocale diversa da u è un'occlusiva glottidale (in pratica un lieve colpo di tosse); z indica la consonante s dell'italiano sale, e lo stesso suono ha c davante alle vocali e, i. Il trattino (macron) marca le vocali lunghe. Per chi necessitasse di spiegazioni più chiare, rimando al Web, cominciando da questo documento di Wikibooks:
Veniamo dunque alla struttura grammaticale per confutare le tesi di Noam Chomsky. Wikipedia in inglese ospita un sunto della grammatica del Nāhuatl classico:
Esistono ovviamente risorse di gran lunga migliori. Ad esempio il corso di R. Joe Campbell e Frances Karttunen, consultabile e scaricabile gratuitamente al seguente link:
A parer mio nessun testo è migliore di Introduction to Classical Nahuatl di James Richard Andrews, che mi ha permesso di apprendere la lingua quando ero uno studente universitario.
In Nāhuatl la ricorsività possessiva si ferma a un solo livello di incassamento. La sua applicazione più generale comporta al massimo l'uso della forma possessiva del nome del possessore. Il nome della cosa posseduta ha in ogni caso il prefisso possessivo di terza persona (singolare ī-; plurale īn-, īm-).
ītlaxcal oquichtli "il pane dell'uomo"
(lett. "il suo pane, l'uomo")
Fornisco nel seguito alcuni esempi eloquenti, ricordando che l'ortografia usata è quella spagnola classica, con la lettera x che si pronuncia come sh in inglese; ch si pronuncia come nell'inglese chair; qu seguito dalle vocali e, i, si pronuncia come k; hu indica la consonante w dell'inglese water, uh in fine parola è lo stesso suono ma sordo; h seguita da consonante o in fine di parola dopo vocale diversa da u è un'occlusiva glottidale (in pratica un lieve colpo di tosse); z indica la consonante s dell'italiano sale, e lo stesso suono ha c davante alle vocali e, i. Il trattino (macron) marca le vocali lunghe. Per chi necessitasse di spiegazioni più chiare, rimando al Web, cominciando da questo documento di Wikibooks:
Veniamo dunque alla struttura grammaticale per confutare le tesi di Noam Chomsky. Wikipedia in inglese ospita un sunto della grammatica del Nāhuatl classico:
Esistono ovviamente risorse di gran lunga migliori. Ad esempio il corso di R. Joe Campbell e Frances Karttunen, consultabile e scaricabile gratuitamente al seguente link:
A parer mio nessun testo è migliore di Introduction to Classical Nahuatl di James Richard Andrews, che mi ha permesso di apprendere la lingua quando ero uno studente universitario.
https://www.abebooks.com/9780292738041/
Introduction-Classical-Nahuatl-English-
Edition-0292738048/plp
Introduction-Classical-Nahuatl-English-
Edition-0292738048/plp
In Nāhuatl la ricorsività possessiva si ferma a un solo livello di incassamento. La sua applicazione più generale comporta al massimo l'uso della forma possessiva del nome del possessore. Il nome della cosa posseduta ha in ogni caso il prefisso possessivo di terza persona (singolare ī-; plurale īn-, īm-).
ītlaxcal oquichtli "il pane dell'uomo"
(lett. "il suo pane, l'uomo")
ītlaxcal moquich "il pane del tuo uomo"
(lett. "il suo pane, il tuo uomo")
īteōcuitl tlahtoāni "l'oro del principe"
(lett. "il suo oro, il principe")
īezzo noyāōuh "il sangue del mio nemico"
(lett. "il suo sangue, il mio nemico")
īmezzo toyāōhuān "il sangue dei nostri nemici"
(lett. "il loro sangue, i nostri nemici")
Come facciamo se dobbiamo dire "il pane della donna dell'uomo"? Dobbiamo dire ītlaxcal cihuātl, īcihuāuh oquichtli "il pane della donna, la donna dell'uomo" (lett. "il suo pane, la donna, la sua donna, l'uomo"). Che io sappia, non esiste modo alcuno di aggirare l'ostacolo e di ottenere catene ricorsive possessive. Possiamo utilizzare la congiunzione īhuān "e" per ottenere frasi di questo tipo:
īntlaxcal oquichtli īhuān cihuātl "il pane dell'uomo e della donna"
(lett. "il loro pane, l'uomo e la donna")
īnteōcuitl tlamacazqui īhuān tlahtoāni "l'oro del sacerdote e del
principe" (lett. "il loro oro, il sacerdote e il principe")
īntōtoltin Xuan īhuān Maria "i tacchini di Giovanni e di Maria"
(lett. "i loro tacchini, Giovanni e Maria")
Se però vogliamo dire qualcosa come "l'oro del cortigiano del principe" o "l'oro dell'inserviente del sacerdote", rimaniamo bloccati, dobbiamo ricorrere a una costruzione diversa e non ricorsiva. Se i grammatici generativi volessero chiamare "ricorsività" la semplice giustapposizione di parole, dovrebbero ammettere che il processo non è possibile estenderlo: si blocca al primo livello. Se si blocca al primo livello, come è possibile, di grazia, chiamarlo "ricorsività"?
Già soltanto con quanto sopra riportato, possiamo senza timore di smentita sostenere che quanto Chomsky teorizza sulla ricorsività possessiva non vale per la lingua che stiamo trattando.
A partire da un verbo attivo è possibile formare il corrispondente verbo non attivo, che copre le funzioni del nostro verbo passivo e delle forme impersonali.
Se il verbo di partenza è intransitivo, il verbo non attivo da esso ottenuto è impersonale.
cochi "gli dorme" : cochīhua "si dorme", "tutti dormono"
cuīca "egli canta" : cuīco "si canta", "la gente canta", "tutti
cantano" (si trova anche cuīcalo, seppur di rado)
huetzi "egli cade" : huechohua "si cade", "tutti cadono"
huetzca "egli ride" : huetzco "si ride", "la gente ride", "tutti ridono"
nemi "egli vive", "egli abita" : nemohua "si vive", "la gente vive"
miqui "egli muore" : micohua "si muore", "la gente muore", "tutti
muoiono"
pano "gli guada, attraversa" : panōhua "si guada, si attraversa"
(si trova anche panōlo)
yōli "egli vive", "egli è vivo" : yōlīhua "si vive", "la gente vive"
Sei il verbo di partenza è transitivo con un grado di transitività (con un prefisso diretto tē- "qualcuno" o tla- "qualcosa), il verbo non attivo da esso ottenuto è intransitivo, e può anche essere usato con significato impersonale.
tēitta "egli vede (qualcuno)" : itto "egli è visto" (si trova anche
ittalo)
tētlazohtla "egli ama (qualcuno) : tlazohtlalo "egli è amato"
tlacua "egli mangia (qualcosa)" : cualo "egli è mangiato";
"ciò è mangiato", "si mangia" (ossia "la gente mangia, tutti
mangiano")
tlacui "egli prende (qualcosa)" : cuīhua "egli è preso", "ciò è preso"
(si trova anche cuīhualo; un derivato fossile cuīlōni significa
"omosessuale passivo", lett. "colui che viene preso")
tlamati "sapere qualcosa" : macho "ciò è saputo"; "si sa"
(ossia "la gente sa, tutti sanno")
tlanamaca "egli vende (qualcosa)" : namaco "egli è venduto",
"ciò è venduto"
Se il verbo di partenza è transitivo con due gradi di transitività (con un prefisso indiretto tē- "a qualcuno" e un prefisso diretto tla- "qualcosa"), tutto è più complesso: il verbo non attivo da esso ottenuto ha un grado di transitività (con solo il prefisso indiretto tē- "a qualcuno" o con solo il prefisso diretto tla- "qualcosa").
tētlamaca "egli dà (qualcosa a qualcuno)" :
tēmaco "egli è dato (a qualcuno)",
tlamaco "a lui è dato (qualcosa)"
Quello che non si può mai fare è esprimere il complemento di agente di un verbo non attivo con significato passivo. Non si può dire, per nessun motivo, "l'uomo è stato ucciso da un giaguaro". Bisogna invece usare la costruzione attiva: "un giaguaro ha ucciso l'uomo". Ecco un altro limite severissimo e intrinseco nella possibilità di costruire frasi. E pensare che in italiano esiste la possibilità di appiccicare al complemento d'agente intere frasi subordinate o coordinate. Ad esempio noi riteniamo possibili concatenazioni simili, facendone regolare uso nei nostri testi e nella nostra parlata quotidiana:
"L'uomo è stato ucciso da un giaguaro che aveva il pelo completamente nero."
"L'uomo è stato ucciso da un giaguaro che aveva il pelo completamente nero, come il sacerdote aveva previsto analizzando i portenti."
Per un cittadino di Tenōchtitlan, questo era davvero troppo. Usava costruzioni del tutto diverse, che noi riterremmo contorte. Più in generale, non è possibile applicare meccanismi ricorsivi a complementi di vario genere. Non è possibile tradurre alla lettera frasi di questo genere:
"Giovanni ha ricevuto un pompino da Maria, che fino ad allora non l'aveva mai fatto a nessuno."
I composti nominali sono numerosissimi ed articolati. Dalla composizione di parole semplici nascono lunghe catene di sillabe, che gli Spagnoli ritenevano "brutte", "sgraziate". Alcune sono così antiche da essere ormai considerate parole semplici a tutti gli effetti. Vediamo alcuni esempi significativi.
ācalli "barca" < ātl "acqua" + calli "casa"
ācītlalin "goccia di rugiada" < ātl "acqua" + cītlalin "stella"
āxīxtli "orina" < ātl "acqua" + xīxtli "merda, escremento umano"
āxīxcalli "vespasiano" < āxīxtli "orina" + calli "casa"
āxīxcōmitl "pitale" < āxīxtli "orina" + cōmitl "vaso"
callālli "cortile" < calli "casa" + tlālli "terra"
cōāēhuatl "pelle di serpente" < cōātl "serpente" + ēhuatl "pelle"
mīllācatl "contadino" < mīlli "campo" + tlācatl "persona"
mizconētl "cucciolo di puma" < miztli "puma" + conētl "cucciolo"
nacazcuitlatl "cerume" < nacaztli "orecchio" + cuitlatl
"escremento"teōcalli "tempio" < teōtl "dio" + calli "casa"
teōcuitlatl "oro; argento" < teōtl "dio" + cuitlatl "escremento"
teōcuitlaxiquipilli "borsa del denato" < teōcuitlatl "oro; argento" +
xiquipilli "borsa"
tōnalāmatl "calendario" < tōnalli "giorno" + āmatl "carta"
tōtōmātlatl "rete per catturare uccelli" < tōtōtl "uccello" + mātlatl
"rete"
tōtoltetl "uovo" (di tacchino) < tōtolin "tacchino" + tetl "pietra"
tzontecomatl "cranio" < tzontli "capelli" + tecomatl "vaso"
yacacuitlatl "caccola" < yacatl "naso" + cuitlatl "escremento"
zoquiātl "acqua fangosa" < zoquitl "fango" + ātl "acqua"
I prodotti di questo processo sono innumerevoli. Si potrebbe riempire una fitta enciclopedia. Talvolta si hanno formazioni fossili. Così cuitlaxcōlli "intestino" è senza dubbio un antico composto di cuitlatl "escremento", ma il secondo elemento è oscuro. Alcuni studiosi lo credono derivato da cōātl "serpente", ma i dettagli fonetici non tornano.
Da ātl "acqua" e da tepōlli "pene" deriva ātepōcatl "girino", con notevole irregolarità. Possiamo poi comporre questa parola con mōlli "salsa, ragù" per ottenere atepōcamōlli "ragù di girini". Da āhuacatl "avocado" (ma anche "testicolo") si formava in modo analogo āhuacamolli "ragù di avocado".
L'idiomatica gioca un ruolo fondamentale. Così da ātl "acqua" e da xāyacatl "maschera" (a sua volta da yacatl "naso, faccia"; il primo elemento è fossile), otteniamo āxāyacatl "mosca acquatica" (lett. "maschera d'acqua"). Le uova di tale insetto fornivano ai contadini messicani un ghiotto caviale, chiamato āhuauhtli, ossia "amaranto d'acqua" (da hauhtli "amaranto"). Un involtino ripieno di caviale di mosca d'acqua era detto āhuauhtamalli (da tamalli "involtino"), mentre un pasticcino cucinato a partire da tale ingrediente era detto āhuautlaxcalli (da tlaxcalli "pane").
Leggendo tutto questo, esulterebbe certamente il celebre ashkenazita Noam Chomsky, appoggiato dal suo entusiasta discepolo Andrea Moro. Peccato che nemmeno quelli che ho mostrato siano davvero elementi ricorsivi.
Già Alfredo Trombetti (1866-1929), che Mussolini definì "italico genio", aveva riportato un paio di esempi interessanti:
niccua in nacatl "io mangio la carne"
ninacacua "io mangio la carne"
La parola nacatl "carne" è incorporata nella seconda variante. Si prende il verbo tlacua "egli mangia (qualcosa)", si sostituisce il prefisso tla- "qualcosa" con qui- "lo", "lui", "ciò", e si ottiene quicua "egli lo mangia". Col prefisso personale ni- "io", abbiamo direttamente niccua "io lo mangio". L'elemento in è un semplice connettore, che possiamo omettere nella traduzione. Nella variante ninacacua, ecco che nacatl "carne", senza il suffisso assolutivo -tl, rimpiazza l'elemento pronominale per esprimere "ciò". Già Trombetti affermava che la variante sintetica era rara rispetto a quella analitica. Possiamo usare queste frasi:
niccua in ātepōcamōlli "io mangio il ragù di girini"
niccua in āhuauhtamalli "io mangio un involtino di uova di mosca
d'acqua"
niccua in āhuauhtlaxcalli "io mangio un pasticcino di uova di
mosca d'acqua"
niccua in nacamōlli "io mangio il ragù di carne"
Xuan quicuāni in xīxtli "Gianni mangia la merda" (abitualmente)
Non possiamo però produrre in modo troppo disinvolto e arbitriario tutte le forme concepibili servendoci dell'incorporazione, dando vita a inusitati gioielli come *nātepōcamōlcua "io mangio il ragù di girini", *nāhuauhtamalcua "io mangio involtini di uova di mosca d'acqua", *ninacamōlcua "io mangio il ragù di carne" o persino... *xīxcua "egli mangia la merda" (gli Aztechi erano estremamente puritani e punivano con la morte molti comportamenti dissoluti: dubito che concepissero la coprofagia). Che dire poi di frasi come "io mangio il ragù di carne che mia madre mi ha preparato su consiglio di mia zia"? Ancora una volta, vediamo che gravi ostacoli sono posti sul cammino dei grammatici generativi. Essi non potranno mai fare con la lingua degli Aztechi ciò che è permesso loro con la lingua di Albione o con quella di Roma!
Non esiste alcun riflesso in Nāhuatl di una grammatica generativa universale che permette di reiterare all'infinito costruzioni possessive, aggettivali, ipotattiche o di altro genere. Se milioni di persone hanno eletto Noam Chomsky nell'Olimpo dei massimi intelletti del genere umano, beh, hanno commesso un grave errore. Certo, sarei ritenuto piuttosto indisponente e grossolano se osassi affermare senza mezzi termini che Chomsky è un pirla. Il punto è che me ne frego ed esprimo ciò che penso, anche a costo di usare un linguaggio da barista della Bovisa. Come linguista, l'ashkenazita americano è scadente. Non solo: è ancora peggiore come filosofo del linguaggio. Ha prodotto danni ingentissimi, diffondendo disinformazione e pseudoscienza. Ha ridotto il dibattito sulla natura stessa del linguaggio umano a un complicatissimo castello di inconsistenze, che in ultima analisi non significano nulla: la grammatica generativa è mero flatus vocis. Non per niente lo idolatrano coloro strepitano di "cultura" a ogni piè sospinto e poi usano i libri come soprammobili. Guardando il film The Believer mi ha stupito molto udire che Daniel "Danny" Balint volesse dar vita a dibattiti a cui invitare proprio Chomsky!
(lett. "il suo pane, il tuo uomo")
īteōcuitl tlahtoāni "l'oro del principe"
(lett. "il suo oro, il principe")
īezzo noyāōuh "il sangue del mio nemico"
(lett. "il suo sangue, il mio nemico")
īmezzo toyāōhuān "il sangue dei nostri nemici"
(lett. "il loro sangue, i nostri nemici")
Come facciamo se dobbiamo dire "il pane della donna dell'uomo"? Dobbiamo dire ītlaxcal cihuātl, īcihuāuh oquichtli "il pane della donna, la donna dell'uomo" (lett. "il suo pane, la donna, la sua donna, l'uomo"). Che io sappia, non esiste modo alcuno di aggirare l'ostacolo e di ottenere catene ricorsive possessive. Possiamo utilizzare la congiunzione īhuān "e" per ottenere frasi di questo tipo:
īntlaxcal oquichtli īhuān cihuātl "il pane dell'uomo e della donna"
(lett. "il loro pane, l'uomo e la donna")
īnteōcuitl tlamacazqui īhuān tlahtoāni "l'oro del sacerdote e del
principe" (lett. "il loro oro, il sacerdote e il principe")
īntōtoltin Xuan īhuān Maria "i tacchini di Giovanni e di Maria"
(lett. "i loro tacchini, Giovanni e Maria")
Se però vogliamo dire qualcosa come "l'oro del cortigiano del principe" o "l'oro dell'inserviente del sacerdote", rimaniamo bloccati, dobbiamo ricorrere a una costruzione diversa e non ricorsiva. Se i grammatici generativi volessero chiamare "ricorsività" la semplice giustapposizione di parole, dovrebbero ammettere che il processo non è possibile estenderlo: si blocca al primo livello. Se si blocca al primo livello, come è possibile, di grazia, chiamarlo "ricorsività"?
Già soltanto con quanto sopra riportato, possiamo senza timore di smentita sostenere che quanto Chomsky teorizza sulla ricorsività possessiva non vale per la lingua che stiamo trattando.
A partire da un verbo attivo è possibile formare il corrispondente verbo non attivo, che copre le funzioni del nostro verbo passivo e delle forme impersonali.
Se il verbo di partenza è intransitivo, il verbo non attivo da esso ottenuto è impersonale.
cochi "gli dorme" : cochīhua "si dorme", "tutti dormono"
cuīca "egli canta" : cuīco "si canta", "la gente canta", "tutti
cantano" (si trova anche cuīcalo, seppur di rado)
huetzi "egli cade" : huechohua "si cade", "tutti cadono"
huetzca "egli ride" : huetzco "si ride", "la gente ride", "tutti ridono"
nemi "egli vive", "egli abita" : nemohua "si vive", "la gente vive"
miqui "egli muore" : micohua "si muore", "la gente muore", "tutti
muoiono"
pano "gli guada, attraversa" : panōhua "si guada, si attraversa"
(si trova anche panōlo)
yōli "egli vive", "egli è vivo" : yōlīhua "si vive", "la gente vive"
Sei il verbo di partenza è transitivo con un grado di transitività (con un prefisso diretto tē- "qualcuno" o tla- "qualcosa), il verbo non attivo da esso ottenuto è intransitivo, e può anche essere usato con significato impersonale.
tēitta "egli vede (qualcuno)" : itto "egli è visto" (si trova anche
ittalo)
tētlazohtla "egli ama (qualcuno) : tlazohtlalo "egli è amato"
tlacua "egli mangia (qualcosa)" : cualo "egli è mangiato";
"ciò è mangiato", "si mangia" (ossia "la gente mangia, tutti
mangiano")
tlacui "egli prende (qualcosa)" : cuīhua "egli è preso", "ciò è preso"
(si trova anche cuīhualo; un derivato fossile cuīlōni significa
"omosessuale passivo", lett. "colui che viene preso")
tlamati "sapere qualcosa" : macho "ciò è saputo"; "si sa"
(ossia "la gente sa, tutti sanno")
tlanamaca "egli vende (qualcosa)" : namaco "egli è venduto",
"ciò è venduto"
Se il verbo di partenza è transitivo con due gradi di transitività (con un prefisso indiretto tē- "a qualcuno" e un prefisso diretto tla- "qualcosa"), tutto è più complesso: il verbo non attivo da esso ottenuto ha un grado di transitività (con solo il prefisso indiretto tē- "a qualcuno" o con solo il prefisso diretto tla- "qualcosa").
tētlamaca "egli dà (qualcosa a qualcuno)" :
tēmaco "egli è dato (a qualcuno)",
tlamaco "a lui è dato (qualcosa)"
Quello che non si può mai fare è esprimere il complemento di agente di un verbo non attivo con significato passivo. Non si può dire, per nessun motivo, "l'uomo è stato ucciso da un giaguaro". Bisogna invece usare la costruzione attiva: "un giaguaro ha ucciso l'uomo". Ecco un altro limite severissimo e intrinseco nella possibilità di costruire frasi. E pensare che in italiano esiste la possibilità di appiccicare al complemento d'agente intere frasi subordinate o coordinate. Ad esempio noi riteniamo possibili concatenazioni simili, facendone regolare uso nei nostri testi e nella nostra parlata quotidiana:
"L'uomo è stato ucciso da un giaguaro che aveva il pelo completamente nero."
"L'uomo è stato ucciso da un giaguaro che aveva il pelo completamente nero, come il sacerdote aveva previsto analizzando i portenti."
Per un cittadino di Tenōchtitlan, questo era davvero troppo. Usava costruzioni del tutto diverse, che noi riterremmo contorte. Più in generale, non è possibile applicare meccanismi ricorsivi a complementi di vario genere. Non è possibile tradurre alla lettera frasi di questo genere:
"Giovanni ha ricevuto un pompino da Maria, che fino ad allora non l'aveva mai fatto a nessuno."
I composti nominali sono numerosissimi ed articolati. Dalla composizione di parole semplici nascono lunghe catene di sillabe, che gli Spagnoli ritenevano "brutte", "sgraziate". Alcune sono così antiche da essere ormai considerate parole semplici a tutti gli effetti. Vediamo alcuni esempi significativi.
ācalli "barca" < ātl "acqua" + calli "casa"
ācītlalin "goccia di rugiada" < ātl "acqua" + cītlalin "stella"
āxīxtli "orina" < ātl "acqua" + xīxtli "merda, escremento umano"
āxīxcalli "vespasiano" < āxīxtli "orina" + calli "casa"
āxīxcōmitl "pitale" < āxīxtli "orina" + cōmitl "vaso"
callālli "cortile" < calli "casa" + tlālli "terra"
cōāēhuatl "pelle di serpente" < cōātl "serpente" + ēhuatl "pelle"
mīllācatl "contadino" < mīlli "campo" + tlācatl "persona"
mizconētl "cucciolo di puma" < miztli "puma" + conētl "cucciolo"
nacazcuitlatl "cerume" < nacaztli "orecchio" + cuitlatl
"escremento"teōcalli "tempio" < teōtl "dio" + calli "casa"
teōcuitlatl "oro; argento" < teōtl "dio" + cuitlatl "escremento"
teōcuitlaxiquipilli "borsa del denato" < teōcuitlatl "oro; argento" +
xiquipilli "borsa"
tōnalāmatl "calendario" < tōnalli "giorno" + āmatl "carta"
tōtōmātlatl "rete per catturare uccelli" < tōtōtl "uccello" + mātlatl
"rete"
tōtoltetl "uovo" (di tacchino) < tōtolin "tacchino" + tetl "pietra"
tzontecomatl "cranio" < tzontli "capelli" + tecomatl "vaso"
yacacuitlatl "caccola" < yacatl "naso" + cuitlatl "escremento"
zoquiātl "acqua fangosa" < zoquitl "fango" + ātl "acqua"
I prodotti di questo processo sono innumerevoli. Si potrebbe riempire una fitta enciclopedia. Talvolta si hanno formazioni fossili. Così cuitlaxcōlli "intestino" è senza dubbio un antico composto di cuitlatl "escremento", ma il secondo elemento è oscuro. Alcuni studiosi lo credono derivato da cōātl "serpente", ma i dettagli fonetici non tornano.
Da ātl "acqua" e da tepōlli "pene" deriva ātepōcatl "girino", con notevole irregolarità. Possiamo poi comporre questa parola con mōlli "salsa, ragù" per ottenere atepōcamōlli "ragù di girini". Da āhuacatl "avocado" (ma anche "testicolo") si formava in modo analogo āhuacamolli "ragù di avocado".
L'idiomatica gioca un ruolo fondamentale. Così da ātl "acqua" e da xāyacatl "maschera" (a sua volta da yacatl "naso, faccia"; il primo elemento è fossile), otteniamo āxāyacatl "mosca acquatica" (lett. "maschera d'acqua"). Le uova di tale insetto fornivano ai contadini messicani un ghiotto caviale, chiamato āhuauhtli, ossia "amaranto d'acqua" (da hauhtli "amaranto"). Un involtino ripieno di caviale di mosca d'acqua era detto āhuauhtamalli (da tamalli "involtino"), mentre un pasticcino cucinato a partire da tale ingrediente era detto āhuautlaxcalli (da tlaxcalli "pane").
Leggendo tutto questo, esulterebbe certamente il celebre ashkenazita Noam Chomsky, appoggiato dal suo entusiasta discepolo Andrea Moro. Peccato che nemmeno quelli che ho mostrato siano davvero elementi ricorsivi.
Già Alfredo Trombetti (1866-1929), che Mussolini definì "italico genio", aveva riportato un paio di esempi interessanti:
niccua in nacatl "io mangio la carne"
ninacacua "io mangio la carne"
La parola nacatl "carne" è incorporata nella seconda variante. Si prende il verbo tlacua "egli mangia (qualcosa)", si sostituisce il prefisso tla- "qualcosa" con qui- "lo", "lui", "ciò", e si ottiene quicua "egli lo mangia". Col prefisso personale ni- "io", abbiamo direttamente niccua "io lo mangio". L'elemento in è un semplice connettore, che possiamo omettere nella traduzione. Nella variante ninacacua, ecco che nacatl "carne", senza il suffisso assolutivo -tl, rimpiazza l'elemento pronominale per esprimere "ciò". Già Trombetti affermava che la variante sintetica era rara rispetto a quella analitica. Possiamo usare queste frasi:
niccua in ātepōcamōlli "io mangio il ragù di girini"
niccua in āhuauhtamalli "io mangio un involtino di uova di mosca
d'acqua"
niccua in āhuauhtlaxcalli "io mangio un pasticcino di uova di
mosca d'acqua"
niccua in nacamōlli "io mangio il ragù di carne"
Xuan quicuāni in xīxtli "Gianni mangia la merda" (abitualmente)
Non possiamo però produrre in modo troppo disinvolto e arbitriario tutte le forme concepibili servendoci dell'incorporazione, dando vita a inusitati gioielli come *nātepōcamōlcua "io mangio il ragù di girini", *nāhuauhtamalcua "io mangio involtini di uova di mosca d'acqua", *ninacamōlcua "io mangio il ragù di carne" o persino... *xīxcua "egli mangia la merda" (gli Aztechi erano estremamente puritani e punivano con la morte molti comportamenti dissoluti: dubito che concepissero la coprofagia). Che dire poi di frasi come "io mangio il ragù di carne che mia madre mi ha preparato su consiglio di mia zia"? Ancora una volta, vediamo che gravi ostacoli sono posti sul cammino dei grammatici generativi. Essi non potranno mai fare con la lingua degli Aztechi ciò che è permesso loro con la lingua di Albione o con quella di Roma!
Conclusioni
Non esiste alcun riflesso in Nāhuatl di una grammatica generativa universale che permette di reiterare all'infinito costruzioni possessive, aggettivali, ipotattiche o di altro genere. Se milioni di persone hanno eletto Noam Chomsky nell'Olimpo dei massimi intelletti del genere umano, beh, hanno commesso un grave errore. Certo, sarei ritenuto piuttosto indisponente e grossolano se osassi affermare senza mezzi termini che Chomsky è un pirla. Il punto è che me ne frego ed esprimo ciò che penso, anche a costo di usare un linguaggio da barista della Bovisa. Come linguista, l'ashkenazita americano è scadente. Non solo: è ancora peggiore come filosofo del linguaggio. Ha prodotto danni ingentissimi, diffondendo disinformazione e pseudoscienza. Ha ridotto il dibattito sulla natura stessa del linguaggio umano a un complicatissimo castello di inconsistenze, che in ultima analisi non significano nulla: la grammatica generativa è mero flatus vocis. Non per niente lo idolatrano coloro strepitano di "cultura" a ogni piè sospinto e poi usano i libri come soprammobili. Guardando il film The Believer mi ha stupito molto udire che Daniel "Danny" Balint volesse dar vita a dibattiti a cui invitare proprio Chomsky!