mercoledì 2 ottobre 2019

L'ATEISMO TRA I VICHINGHI

L'Ellade ai tempi di Socrate era un ambiente molto duro. Per essere accusati di empietà e di ateismo bastava mettere in dubbio che la pioggia fosse l'orina di Zeus passata attraverso un grande setaccio celeste. La vicenda umana del filosofo ateniese è ben nota a tutti: le accuse a lui rivolte lo portarono alla condanna a morte tramite ingestione della cicuta. Era considerato un corruttore di giovani, non perché si facesse da loro fellare, bensì per via della sua supposta empietà concettuale. Tutti siamo a conoscenza dell'antica e venerabile origine greca della parola ateo (da cui anche ateismo), nata dal prefisso negativo a- "non, senza" (cfr. acritico, etc.) e dal nome della divinità, theos (cfr. teologia, etc.). A scuola insegnano queste nozioni con grande cura - o almeno le insegnavano ai tempi in cui ero un alunno: adesso a quanto pare preferiscono fare la parafrasi dei testi di Francesco Alberoni. Nessuna menzione invece su come la negazione della divinità era vista presso altri popoli. Il deleterio corpo docente italico, che etichetta tutti i popoli estranei alla latinità e alla grecità col nome collettivo di Barbari, forse crede che mai al di fuori della filosofia ellenica sia stato concepito il concetto di ateismo. Il tipo di ragionamento non è nuovo. Alberto Sordi diceva a un inglese: "I miei antenati costruivamo fognature quando i suoi si dipingevano ancora la faccia di blu." E Luciano De Crescenzo rincarava la dose, apostrofando Umberto Bossi: "Quando i suoi antenati celtici erano ancora barbari aggrappati ai rami, i miei antenati già froci." Nulla di più falso di simili convinzioni bacate, che possiamo ritenere più che altro una massa fecale di pregiudizi.

Sappiamo per certo che esistevano atei nella Scandinavia pagana: molti Vichinghi furono chiamati Guðlausir menn, ossia "uomini senza dio" (o meglio "uomini senza dèi"). Questa denominazione è stata attribuita ai Condottieri dei Mari perché facevano conto unicamente sulle proprie forze e sulla propria volontà, senza affidarsi in alcun modo all'aiuto di entità sovrannaturali. Possiamo così sostenere senza timore di smentita la liceità di questa traduzione:

guðlauss maðr (m.), ateo 

Faccio presente che in Italia per veder emergere una simile fede nel potere dell'Uomo dobbiamo attendere Vespasiano Gonzaga (1531 - 1591), che nella sua corte a Sabbioneta aveva vietato il gioco delle carte, pensando che nessuno dovesse fare affidamento sulla mutevole fortuna. Egli riteneva che fosse compito di ciascuno costruirsi il destino soltanto con le proprie forze e con il proprio ingegno. Proprio come i Vichinghi atei! 

Nella Heimskringla di Snorri Sturluson (XIII secolo), nel capitolo CCI della Saga di Olaf il Santo (Óláfs saga Helga), è narrato un episodio degno della massima attenzione. Il Re Olaf II di Norvegia, detto Helgi (Il Santo), incontrò nella sua fuga verso la Russia numerosi uomini che vivevano nella foresta. Il loro capo Gaukathorir (da gaukr "cuculo") disse al Re Olaf di non essere né cristiano né pagano, non credendo in alcuna divinità e ritenendosi il solo arbitro del proprio destino. Egli non aveva alcun bisogno di un fulltrúi, ossia di una divinità in cui porre tutta la propria fiducia. Affermava di non essere cristiano perché non riteneva Cristo il proprio fulltrúi. Affermava al contempo di non essere pagano perché non aveva alcun bisogno di sacrificare a Odino o a Thor, non riteneva nessuno degli Asi o dei Vani il proprio migliore amico, come facevano gli immolatori. Il suo discorso era soprendentemente moderno. Anzi, possiamo dire era quasi postmoderno. Purtroppo queste argomentazioni non hanno fatto gran presa sul cristianissimo sovrano norvegese, che alla fine è riuscito a convincerlo a farsi battezzare. 

Ecco il testo in norreno:

Menn þeir eru nefndir, er annar hét Gaukaþórir en annar Afrafasti. Þeir váru stigamenn ok hinir mestu ránsmenn, hǫfðu með sér þrjá tigu manna, sinna maka. Þeir brœðr váru meiri ok sterkari en aðrir menn; eigi skorti þá áræði ok hug. Þeir spurðu til hers þess, er þar fór yfir land, ok mæltu sín á milli, at þat mundi vera snjallræði at fara til konungs ok fylgja honum til lands síns ok ganga þar í fólkorrustu með honum ok reyna sik svá; því at þeir hǫfðu ekki fyrr í bardǫgum verit, þeim er liði væri fylkt til. Var þeim þat forvitni mikil at sjá konungs fylking. Þetta ráð líkaði vel fǫrunautum þeirra; gerðu þá ferð sína til fundar við konung. En er þeir koma þar, þá ganga þeir með sveit sína fyrir konung, ok hǫfðu þeir fǫrunautar alvæpni sitt. Þeir kvǫddu hann. Hann spurði, hvat mǫnnum þeir sé. Þeir nefndu sik ok sǫgðu, at þeir váru þar landsmenn. Þá bera þeir upp erendi sín, ok buðu konungi at fara með honum.
Konungr segir, at honum leizt svá sem í slíkum m
ǫnnum muni vera góð fylgd: "Ek em fúss", segir hann, "við slíkum mǫnnum at taka; eða hvárt erut þér kristnir menn?" segir hann.
Gaukaþórir svarar, segir, at hann var hvárki kristinn né heiðinn: "H
ǫfum vér félagar engan annan átrúnað, en trúm á orku ok afl okkat ok sigrsæli, ok vinnst okkr þat at gnógu."
Konungr svarar: "Skaði mikill, er menn svá liðmannligir skulu eigi á Krist trúa, skapara sinn."
Þórir svarar: "Er nøkkurr sá í þínu f
ǫruneyti, konungr, Kristmaðrinn, er meira hafi á degi vaxið en við brœðr?"
Konungr bað þá skírast láta ok taka trú rétta þar með: "ok fylgit mér síðan; skal ek þá gera ykkr virðingamenn mikla: en ef þit vilit þat eigi, þá farit aptr til iðnar ykkarrar."
Afrafasti svarar, segir, at hann vildi ekki við kristni taka. Snúa þeir síðan í brott.
Þá mælti Gaukaþórir: "Þetta er sk
ǫmm mikil, er konungr þessi gerir oss liðrækja; þar kom ek aldri fyrr, er ek væra eigi hlutgengr við aðra menn; skal ek aldri aptr hverfa at svá geru." 

Síðan slógust þeir í sveit með markamǫnnum ǫðrum ok fylgdu flokkinum. Sækir þá Ólafr konungr vestr til Kjalar. 

Questa è la traduzione, su cui invito tutti a meditare:

Gli uomini sono menzionati per nome: uno di essi era chiamato Gaukathorir e un altro Afrafasti. Essi erano fuorilegge e grandissimi predoni, e avevano con sé trenta uomini come loro. Non mancavano di ardimento e di coraggio. Avevano udito di questo esercito che stava viaggiando per il paese, e avevano discusso tra loro che sarebbe stato un buon piano andare col Re, seguirlo nel suo paese e prendere parte assieme a lui a una grande battaglia, mettendo così se stessi alla prova - perché non erano mai stati prima in battaglie in cui le truppe erano schierate in ranghi. Essi avevano grande interesse a vedere schierato l'esercito del Re schierato in assetto di battaglia. E quando andarono là, si presentarono davanti al Re con la loro banda di uomini, e i loro compagni avevano l'armatura completa. Essi lo salutarono. Egli chiese loro che tipo di uomini fossero. Essi diedero i loro nomi, dicendo che erano nativi del paese. Presentarolo la propria attività e offrirono al Re di andare con lui. Il Re disse che gli sembrava che avrebbe avuto un buon sostegno in quegli uomini.
"Sono desideroso", egli disse, "di prendere con me simili uomini. Ma siete cristiani?"
Gaukathorir rispose, dicendo che egli non era cristiano né pagano. "Noi compagni non abbiamo altra fede oltre al fatto che crediamo in noi stessi, nella forza e nella nostra fortuna in battaglia, e questo va bene per noi."
Il Re replicò: "Che gran peccato che uomini che sembrano tanto utili non debbano credere in Cristo, loro Creatore."
Thorir replicò: "C'è qualcuno nella tua compagnia, o Re, un uomo di Cristo, che sia cresciuto in un giorno più di noi fratelli?" 
Il Re disse loro che dovevano farsi battezzare e accettare con questo la vera fede.
"E allora seguitemi", disse, "Io farò di voi uomini di alto rango. Ma se voi non volete fare ciò, allora tornatevene alle vostre occupazioni."
Afrafasti rispose, dicendo che non intendeva accettare il Cristianesimo, dopodiché si allontanò. Allora disse Gaukathorir: "È molto vergognoso che questo Re ci debba respingere dal suo esercito. Non mi era mai capitato prima di non essere ritenuto buono tanto quanto altri uomini. Non mi allontanerò mai lasciando le cose così."
In seguito a ciò, essi si arruolarono nella compagnia assieme ad altra gente della foresta e andarono con le loro truppe. Quindi il Re Olaf si diresse a occidente, verso Kjøl.


Un dilemma lessicale e semantico. Il capo degli Uomini della Foresta avrà compreso il vocabolo skapari "Creatore" usato dal Re Olaf? Oppure il sovrano cristiano avrà usato un'altra parola per esprimere il concetto? Non possiamo saperlo. La saga è stata scritta molto tempo dopo i fatti che racconta. 

Esiste poi un'opera tratta dalla Heimskringla, ma scritta in latino. Il suo titolo è Historia Rerum Norvegicarum ed è stata scritta all'antiquario islandese Þórmoðr Torfason, anche noto come Thormodus Torfæus (1636 - 1719). Ecco come è stata reso nella lingua di Roma l'episodio di Gaukathorir e del Re Olaf: 

Duo erant prædones cæteris formosiores, Gaukathorir & Afrafastius, fratres sui similium triginta duces, robore corporis & audaciâ alios longo post se intervallo relinquentes, qui ad famam prætereuntis exercitus excitatiores, amplum sibi ducebant Regem regnum repetentem sequi, subque signis, cuius antea inexperti, militare; incessitque magna cupido, nunquam prius conspectæ sibi aciei vicendæ, placuitque consilium sociis universis. Adito itaque Rege, singuli armaturâ integrtâ instructi, societatem belli offerunt, se provinciæ illius indigenas profitentes. Ille aptos bello viros, optatosque sibi comites pronuncians, Christiani essent, an pagani? quærit. Gaukathorir, neutrum horum, respondit, fiduciâ virium suarum victoriarumque in hunc diem perpetuo successu invictos, aliâ fide non indigere. Rege dolendum regerente, viros tam alacres notitiâ creatoris sui destitui; Gaukathorir quærit, an ullus in exercitu eius Christianorum uno die plus illis creverit? Rex, omisso inutili colloquio, iubet ut sacro lavacro se ablui patiantur, fidemque Christianam amplectantur, se deinde sequantur: honores eis exinde paratos haut exiguos; id si nollent, ad suam professionem redeant. Afrafastius se Christianum futurum negans, cum suis complicibus discedebat. Tum vero Gaukathorir ignominiam interpretatus, ut indignum reiici, neque id sibi antea evenisse testatus, nec hoc statu se abiturum asseverat. Montanorum itaque cohortibus se ingerentesi in exercitu remanserunt.

Come si può vedere, non si tratta di una traduzione letterale. Si noterà l'opposizione tra l'estrema sintesi del latino e la natura più analitica del norreno. Nonostante il norreno abbia una grammatica molto complessa e ricca di forme declinate, spesso esprime con molte parole ciò che in latino può essere espresso in modo sorprendentemente stringato. Le aggiunte non sono meno sorprendenti delle frasi rivoltate come un calzino. Si noterà un importante segmento assente nel testo originale della Heimskringla. Il redattore, sdegnato dalle argomentazioni atee di Gaukathorir, trova necessario inserire un giudizio morale severo da parte del Re cristiano. Così scrive: "Rex, omisso inutili colloquio" - ossia, "Il Re, tralasciando un discorso inutile". Che conclusioni possiamo trarne? Un bandito norvegese dell'XI secolo, isolato, privo di contatti sostanziali con l'Europa Cristiana, potrebbe parlare tranquillamente con un uomo occidentale del XXI secolo ed essere compreso nei suoi più intimi sentimenti. Sembra invece estendersi un abisso insondabile tra lo studioso islandese del XVII-XVIII secolo e la gente della presente epoca. Un abisso più invalicabile di quello che separa i morti dai viventi.

lunedì 30 settembre 2019

UN FALSO GERMANISMO: LA PAROLA 'BIONDO'

L'etimologia della parola biondo è incerta, checché se ne dica. Il Vocabolario Treccani riporta a questo proposito uno stringato commento: [da una radice *blund-, prob. germ.]. Simili proposte di un'origine germanica si trovano ancora di recente (Nocentini, 2010) e sono ben radicate nella tradizione. Sappiamo che si tratta di un vocabolo diffuso nelle lingue romanze, che sembra aver avuto il suo centro di diffusione nel territorio gallico. Le prime attestazioni in italiano risalgono al XIII secolo. Questo troviamo nella lingua d'oïl e nella lingua d'oc: 

Francese antico: blontz, blonz (forma obliqua blont, blunt
Provenzale antico: blons (forma obliqua blon

Lo spagnolo blondo è un evidente articolo d'importazione. In sardo abbiamo brundu "biondo", in genere ritenuto di introduzione tarda dalla Spagna, anche se avrei qualcosa da obiettare a riguardo.  

Il latino tardo *blundus, ricostruibile dai dati a disposizione, non è in ogni caso attestato. Piaccia o no, nessuna delle lingue germaniche conosciute possiede un vocabolo *blund col senso di "biondo" o di "giallo", che possa essere l'antenato diretto della forma tardolatina in questione. Certo, in inglese si trova blond "biondo", ma si tratta di un prestito dal francese, introdotto nel XVII secolo. Per giunta, la parola era sentita fino a non molto tempo fa come straniera, tanto che si usa tuttora la forma blonde "bionda" (variante antiquata blounde), con indicazione del genere femminile. Allo stesso modo in tedesco esiste l'aggettivo blond "biondo", che però non è affatto nativo, essendovi giunto dalla Francia. Non vi è alcuna prova che sia esistita nalla lingua dei Franchi la parola *blund "biondo", "giallo". Errano quindi coloro che danno per assodata questa etimologia. Il protogermanico *blundaz, ricostruito deduttivamente per spiegare le forme attestate nelle lingue romanze, è soltanto una futile speculazione: la sua natura è in ultima analisi fantomatica. 

Confutazione dell'origine anglosassone 

In antico inglese esistono due interessanti parole: il composto blonden-feax "dai capelli grigi" e il verbo beblonden "tinto". Il verbo d'origine di queste forme sarebbe il raro blandan "mescolare", che nel dialetto della Mercia suonava blondan. Così abbiamo anche blanden-feax per blonden-feax. Il participio passato beblonden avrebbe il significato originario di "mescolato" e sarebbe dunque passato ad acquisire il senso di "screziato", quindi "grigio" o "tinto". In norreno abbiamo blandinn "mescolato", attestato anche col senso di "confuso": ad esempio si usa questo vocabolo parlando di un colono che credeva sia in Cristo che in Thor, essendo molto confuso nelle cose della fede. Non esiste però nell'antico nordico nessuna menzione di un uso per indicare un colore. C'è un problema di non poco conto. Le forme anglosassoni citate hanno la vocale originale -a-, essendo -o- uno sviluppo successivo. La vocale -o-, che ha un suono aperto [ɔ], si è prodotta in epoca così tarda da non poter spiegare le forme romanze, che partono invece da un suono chiuso, reso con -u- in tardo latino e sviluppatosi in [o] in italiano.

La vera origine ligure della parola 

Esiste un toponimo ligure di estremo interesse nella Tabula alimentaria di Veleia che contiene proprio la radice che ci interessa:  si tratta di Blondelia. Questi sono gli estratti del testo in cui compare: 

[OBLIGATIO 5 / I]

   item l [1, 75] fund(um) Calidianum Licinianum, pag(o) s(upra) s(cripto), vico Blondelia, adf(inibus) Antonio Sabino et Calidio Prisco - 

Traduzione:

[IPOTECA 5 / I]
   e pure [1, 75] il fondo Calidiano Liciniano - che si trova nel distretto succitato, nella circoscrizione Blondelia, e confina con le proprietà di Antonio Sabino e di Calidio Prisco -

E ancora: 

[OBLIGATIO 21 / IV]

C(aius) Calidius Proculus prof(essus) est
   praed(ia) rustica (sestertium) CCXXXIII (milibus) DXXX n(ummum):  
   accipere deb(et) (sestertium) / XVI (milia) CCCXXXVIII n(ummum) et obligare
   fund(um) paternum, in Veleiate pag(o) Albense, / <vicis>
Blondeliae <et> Seceniae adf(inibus) Calidio Vero et Antonis Vero et Prisca, quem / professus est (sestertium) XCIV (milibus) DC (nummum):
    in (sestertium) VIIII (milia);


Traduzione: 

[IPOTECA 21 / IV]
Caio Calidio Proculo ha dichiarato
    proprietà agrarie per un valore di 233.530 sesterzi:
    deve ricevere 16.338 sesterzi e ipotecare
    il fondo ereditato dal padre - che si trova nel distretto Albese del territorio veleiate, nelle circoscrizioni Blondelia e Secenia, e confina con le proprietà di Calidio Vero e degli Antoni, Vera e Prisco -, che egli ha dichiarato per un valore di 94.600 sesterzi:
   riceve 9.000 sesterzi;



Il toponimo Blondelia significava "Terra Gialla", "Terra Ocra". Si noti che nello stesso documento è citato anche il f(undum) Glitianum Roudelium (sempre nel distretto Albese). Roudelium significava proprio "Terra Rossa". Le denominazioni tratte dal colore del terreno erano assai comuni nell'antichità. Il mistero è stato quindi svelato. Il ligure *blondos "giallastro" ha dato in latino tardo *blundus, donde derivano l'italiano biondo e le altre forme romanze. Già il Devoto a suo tempo aveva classificato questo vocabolo come "leponzio", intendendo evidentemente "ligure", sfidando così l'imperante ipotesi germanica.

Deliri dei romanisti 

Nessun senso pur elementare di ritegno alberga tra i romanisti, che hanno cercato di ricondurre il latino tardo *blundus a forme del latino più antico. Così alcuni di loro hanno scritto in preda alla demenza, affermando che *blundus sarebbe una "pronuncia popolare" di flāvus "biondo" - ovviamente senza avere idea di come una simile distorsione si sarebbe potuta produrre. Altri ancora, ignari persino dell'esistenza di lingue diverse dal latino, hanno costruito una forma artificiosa *albundus, facendola derivare chissà come da albus "bianco" e pensando che possa aver dato *blundus per "corruzione popolare". Dispiace constatare che gli autori di simili aberrazioni non siano stati deportati in Siberia e lasciati perire nudi nella tundra.

sabato 28 settembre 2019

NORRENO TJǪRN 'LAGHETTO' E INGLESE TARN 'LAGO MONTANO'

Approfondendo i miei studi di lessico norreno, la mia attenzione è caduta sulla seguente voce, estratta dal dizionario di Zoëga: 

tjǫrn (f.), lago montano, laghetto; pozza d'acqua
    (tarn, small lake; pool)
    gen. tjarnar; nom. pl. tjarnir

Si tratta di una parola di sostrato, senza alcuna corrispondenza indoeuropea credibile. È con ogni probabilità un relitto neolitico o addirittura mesolitico, sopravvissuto alla diffusione della lingua indoeuropea in Scandinavia. Cose simili accadono spesso nel caso di parole atte a descrivere elementi del paesaggio o fenomeni naturali. Inutile scervellarsi: non risulta alcun parallelo genuino in altre lingue germaniche. L'unica corrispondenza è infatti una parola della lingua inglese, tarn "laghetto montano", che è tuttavia proprio un prestito dal norreno.

La protoforma germanica ricostruibile è *ternō. Segnalo la forma plurale tjarnir, con un suffisso -ir e la frattura. Mi sarei aspettato un plurale *tjarnar, identico al genitivo singolare, ma va detto che un suffisso plurale -ir ricorre molto di frequente in sostantivi femminili di questo tipo. Persino gjǫf (f.) "dono", che è di tradizione particolarmente venerabile, mostra accanto al plurale gjafar la variante gjafir. I Neogrammatici amano fare voli pindarici insensati, attribuendo alla radice protogermanica in analisi (che probabilmente era molto localizzata e non comune a tutti i Germani) il significato primigenio di "spaccatura (nella roccia)": questo artifizio concettuale permette loro di ricondurre la voce norrena al verbo protogermanico *teranan "rompere, spaccare" (da cui l'inglese to tear "distruggere"), dal protoindoeuropeo *der- "spaccare; separare". Questa metodologia etimologica incontra il mio profondo scetticismo.  

Questo è quanto riporta il dizionario etimologico della lingua inglese Etymonline.com

tarn (n.) 

tardo 14° secolo, metà del 13° secolo, in Anglo-Latino, dall'Antico Nordico tjörn "piccolo lago montano senza tributari visibili", dal Proto-Germanico *terno, forse originariamente "cavità d'aqua" [Barnhart]. È una parola dialettale resa popolare dai Poeti dei Laghi.

Senza dubbio i dialetti da cui è stato tratto questo vocabolo sono quelli dell'Inghilterra settentrionale, dove più intensa e pervasiva è stata l'influenza di elementi linguistici scandinavi. Il cosiddetto Lake District (Distretto dei Laghi), anche noto come The Lakes o Lakeland (Terra dei Laghi), è una regione del Nordovest dell'Inghilterra legata, famosa anche per le sue montagne (guardacaso chiamate fells, dal norreno fjǫll "montagne", plurale di fjall "montagna"). Al gruppo dei Poeti dei Laghi appartenevano William Wordsworth (1770 - 1850) e Samuel Taylor Coleridge (1772 - 1834), considerati gli esponenti più cospicui della prima generazione di autori romantici. Senza di loro, a Londra nessuno si sarebbe mai sognato di chiamare "tarn" un laghetto. Tale parola sarebbe stata destinata a una vita oscurissima, relegata nell'ambito di province sprofondate nel coma storico; con ogni probabilità sarebbe oggi del tutto scomparsa - come numerosissime altre, del resto.

NORRENO KILTING 'GONNA' E INGLESE KILT 'GONNELLINO MASCHILE'

Approfondendo i miei studi di lessico norreno, la mia attenzione è caduta sulla seguente voce, estratta dal dizionario di Zoëga: 

kilting (f.), gonna 

Questa voce norrena rimanda immediatamente al kilt scozzese. Il vocabolo, ben naturalizzato in inglese già da epoca bassomedievale, si è poi diffuso ovunque nel mondo, anche in Italia. Tutti lo conosciamo fin da piccoli. Già Macario ironizzava sul fatto che gli Scozzesi sotto il kilt non indossavano le mutande. Anni fa mi fu riferito da Riccardo G. di una vecchia foto in cui uno scozzese in kilt era accovacciato nel corso di una festa campestre, e da sotto l'indumento sporgeva una massiccia e grassa proboscide marrone. L'uomo delle Highlands si era accovacciato a defecare senza pensare troppo all'igiene, ulteriore dimostrazione del fatto che sotto il celebre gonnellino per tradizione non viene portata alcuna forma di biancheria intima.

Questo è quanto riporta il dizionario etimologico della lingua inglese Etymonline.com

kilt (n.) 

"gonna intrecciata di tartan", in origine la parte del plaid con cintura che pendeva al di sotto della cintola. Circa 1730, quelt, dal verbo medio inglese kilten "rimboccare" (metà del 14° secolo), da una fonte scandinava (confronta il danese kilte op "rimboccare"; norreno kilting "gonna", kjalta "piega fatta raccogliendo le ginocchia"). 

Esiste anche un verbo, ormai obsoleto: 

kilt (v.)

"rimboccare", metà del 14° secolo. Sopravvive in scozzese ed è una parola di origine scandinava (confronta danese kilte "rimboccare", svedese kilta "fasciare"); vedi kilt (n.). Forme collegate: kilted, kilting.

In realtà il nostro kilt potrebbe essere un discendente diretto del norreno kilting, anche se a rigor di logica sarebbe dovuto rimanere immutato. Occorrerebbe anche postulare un lieve slittamento semantico, dal momento che il norreno kilting dovrebbe indicare un indumento femminile.  Va detto che Sergei Nikolayev fornisce la seguente glossa in tedesco: "Bauschige Schossfalte des Kleides", ossia "piega gonfia del vestito".

Zoëga riporta la seguente voce, corradicale di kilting

kjalta (f.), grembo
   (glossa inglese lap)
   gen. kjǫltu 
   nom. pl. kj
ǫltur
  
gen. pl. kjaltna


La traduzione riportata in Etymonline.com è in ogni caso confermata da Sergei Nikolayev, che fornisce la seguente glossa in tedesco: "Brustfalte, gebildet durch das über den Gürtel hinaufgezogene Kleid", ossia "piega del grembo, formata tirando su il vestito fin sopra alla cintura". In islandese moderlo kjalta è la semplice traduzione dell'inglese lap "grembo". Non mi risultano significati secondari. Noto però la variante kelta = kjalta, che può ben spiegare la fonetica del quelt citato da Etymonline.com. Qualcuno penserà che evocare lo spirito di un vichingo potrebbe giovare per chiarire meglio queste traduzioni.

Secondo alcuni autori (es. etymologeek.com) sarebbe proprio questo vocabolo kjalta "grembo" l'origine diretta di kilt, per l'appunto tramite il medio inglese kilten "rimboccare" citato da Etymonline.com.

Tra i Wikipediani c'è chi reputa questa famiglia di parole come imparentata con altri termini simili (ma con significative differenze nel consonantismo): 

gotico kilþei (f.), seno, grembo    
gotico inkilþo (f.), incinta
antico inglese ċild (n.), bambino > inglese moderno child danese kuld, bambini dello stesso matrimonio


I Neogrammatici si sbizzarriscono, anche se il materiale è scarno e controverso.

Le forme germaniche con -t- (norr. kilting, kjalta, etc.) le fanno risalire a un indoeuropeo *geld-, a cui attribuiscono il significato di "rigonfiamento", adducendo come unici paralleli i seguenti vocaboli sanscriti:

gaḍu- (m.), escrescenza sul collo; gobba sulla schiena
guḍa- (m.), globo, palla
guḍaka- (m.), globo, palla


Tutto ciò nella pietosa assunzione che la consonante retroflessa (cacuminale) -ḍ- risalga necessariamente a un precedente gruppo consonantico -ld-, postulando in aggiunta che l'alternanza tra le vocali -a- e -u- sia tipica di voci indoeuropee e che il suffisso -k- sia spiegabile in qualche modo. A me paiono piuttosto parole di un sostrato preindoeuropeo. Si noti poi la discrepanza semantica tra le voci germaniche e quelle sanscrite.

Le forme germaniche con -θ- (got. kilþei, etc.) le fanno risalire a un indoeuropeo *g(')elt-, a cui attribuiscono il significato di "seno, grembo" (ingl. womb), adducendo come unico parallelo il seguente vocabolo sanscrito:

jarta-, jartu- (m.), vulva

Tutto ciò incontra il mio profondo scetticismo. 

giovedì 26 settembre 2019

NORRENO DRAUGR 'MORTO VIVENTE' E ANTICO IRLANDESE AURDDRACH 'FANTASMA'

Approfondendo i miei studi di lessico norreno, la mia attenzione è caduta sulla seguente voce, estratta dal dizionario di Zoëga: 

draugr (m.), morto che abita un tumulo, fantasma, spirito
    (the dead inhabitant of a cairn, ghost, spirit)
    gen. draugs; nom. pl. draugar;
    gen. pl. drauga 


Non si tratta del Fantasma Formaggino. Una traduzione meno fuorviante è "morto vivente, zombie".

In antico inglese è attestato il vocabolo drēag, glossato come "larva mortui", ossia "apparizione spettrale, fantasma". La protoforma germanica ricostruibile è *drauγaz "illusione; apparizione, fantasma". Con diversa apofonia abbiamo una protoforma *drugan "illusione; fantasma", i cui riflessi si trovano in antico alto tedesco gitrog "fantasma", bitrog "illusione", e in antico sassone gidrog "illusione". Ci sono poi forme verbali come antico alto tedesco triogan "truffare, ingannare" e antico sassone driogan "truffare". Il verbo alla base di questi derivati è ricostruibile come *dreuγanan "illudere, ingannare" - da non confondere con il verbo omofono che significa "sostenere". 

In antico irlandese si trova una parola chiaramente imparentata: 

aurddrach (m.), fantasma
   nom. pl. aurddraiġe


Si tratta di un composto, da separarsi in aur-ddrach, dove il primo elemento è un prefisso (*are- "davanti" < *pare-), mentre il secondo è una forma atona di *druach (non attestato). La protoforma celtica ricostruibile è *drougos, *are-drougos, che ricalca in modo perfetto quella germanica. 

Nelle lingue indoarie e iraniche si trovano corrispondenze sorprendenti: 

Sanscrito: 
druhyati, è ostile, danneggia, cerca di nuocere
drugdha-, danneggiato

drogha-, droha- (m.), danno
druh-, dannoso
druh- (f.), danno
druh- (m.), nemico


Avestico:
draoga-
(m.), menzogna, illusione
draoga-
, menzognero 
drug- (f.), menzogna 
drujaiti, mente, inganna


Antico persiano (scritto in cuneiforme):
drauga-, menzognero 


A partire da questi dati, è stata ricostruita una forma protoindeuropea *dhrough- "ingannare". Per quanto mi riguarda, puntualizzerei due cose:

1) Alla luce della semantica delle varie lingue, direi che il significato della radice indoeuropea è più ampio: "ingannare", ma anche "nuocere", "recare danno", "essere ostile" (cosa che spiegherebbe il norreno "morto vivente, zombie" e l'antico irlandese "fantasma").

2) L'origine ultima della radice ricostruita *dhrough- è sconosciuta, potrebbe anche essere indoeuropea nello stesso modo in cui sono parole inglesi chalk, strangler, grouper, bankrupt, etc. 

Nella Saga degli uomini di Eyr (Eyrbyggja saga) si parla diffusamente degli zombie. Questo è un sunto della terribile storia di Thorolf "Piede Zoppo" (Þórólfr Bægifótr): 

In un tempo precedente l'affermazione del Cristianesimo viveva in Islanda un uomo possente di nome Thorolf, detto "Piede Zoppo" per le conseguenze di una ferita riportata in un duello. Accadde che Thorolf morì all'improvviso a causa di un ictus, mentre sedeva sul suo seggio. Suo figlio Arnkel si occupò del funerale, collocando il corpo in un sepolcro di pietre, secondo il costume pagano. Presto cominciarono a manifestarsi segni di infestazione soprannaturale in prossimità della tomba. Di notte Thorolf appariva e funestava i sonni delle genti. Era diventato un draugr, un morto vivente. Portò molti alla pazzia e alla morte; coloro che perivano in questo modo poi apparivano assieme a lui, formando una turba mortuaria. I bovini muggivano in modo atroce, le mandrie perivano o fuggivano in luoghi inaccessibili. Le valli si spopolarono. Per porre rimedio a questa situazione di insicurezza, Arnkel cercò per il padre una nuova sepoltura. Quando la tomba fu scavata, i presenti videro che il corpo era incorrotto. Fu così compiuta la traslazione funebre, non senza fatica, perché il grande peso del feretro sfiniva i buoi. Thorolf fu inumato su un'altura. Arnkel fece costruire un alto recinto intorno alla nuova tomba, al che ogni apparizione spettrale cessò. Finché Arnkel fu in vita, Thorolf giacque tranquillo. Non appena Arnkel morì, il morto vivente tornò a camminare tra gli umani, apportando gravi danni. Alla fine la popolazione esasperata decise di passare all'azione, esumando i resti di Thorolf. La religione cristiana era ormai quella praticata: è possibile che si volesse porre fine a qualcosa di troppo connesso con il Costume Antico. Aperta la sepoltura megalitica, trovarono che il cadavere era di proporzioni immense e le sue membra erano gonfie, di colore scuro. Così fu trascinato fuori, fatto rotolare sulla vicina spiaggia rocciosa e dato alle fiamme. La maledizione però non finì. A una mucca capitò di leccare le ceneri della cremazione. Partorì un vitello dal manto di color grigio mela, che crescendo divenne un torello vigoroso e aggressivo, una bestia furiosa e diabolica destinata ad uccidere in modo atroce il suo padrone perforandogli il ventre con una cornata. 

Sempre nella stessa saga è contenuto un altro livido racconto di morti viventi, quello di Thorir "Gamba di Legno" (Þórir Viðleggr): 

In un luogo chiamato Froda si trovava una cucina. Thorir "Gamba di Legno" e i suoi uomini vi mangiarono in seguito al funerale della maga Thorgunna. Fu notato un portento funesto: una macchia muffosa a forma di mezzaluna comparve sul muro sopra il camino, spostandosi con moto opposto a quello del sole. Era la "luna del malaugurio" e poté essere vista ogni giorno per un'intera settimana. Un pastore giunto nella cucina stava male e si mise a parlare in una lingua sconosciuta (la saga riporta che "disse poche parole ed erano senza senso"). Continuò così per due settimane, poi una sera andò a coricarsi e morì nel sonno. Fu sepolto in una chiesa. Ciò non gli impedì che divenisse un draugr. Una notte, Thorir "Gamba di Legno" uscì per defecare, ma si trovò di fronte il pastore morto, che lo aggredì. La sua pelle era in parte nera come il carbone. In seguito ai colpi ricevuti, Thorir si ammalò e morì, trasformandosi a sua volta in uno zombie. Avvengono altri fatti atroci. Una foca spettrale apparve nel camino e si sentirono terribili rumori provenire dalla dispensa dove era stoccato il pesce essiccato. Per tutta la durata delle feste di Jol, ogni sera gli abitanti di Froda ricevevano la visita di una torma di cadaveri deambulanti. Sporchi, coperti di polvere, questi mostri si sedevano sui seggi accanto al fuoco a riscaldarsi. Nei luoghi infestati gli animali cadevano malati e morivano. A porre fine a questa situazione insostenibile fu l'eroico Kjartan, che condusse nella casa un prete con l'acqua santa e le reliquie. Dopo aver bruciato il corredo del letto della maga Thorgunna, indisse un "processo della porta", in cui formalizzò secondo il diritto tradizionale islandese le accuse contro ciascuno dei morti viventi. Questi erano i capi d'imputazione pronunciati contro Thorir "Gamba di Legno" e i suoi compagni: essere entrati nella fattoria senza permesso, privando gli abitanti della salute e della vita. Ogni volta che una sentenza veniva pronunciata contro un draugr, quello si alzava, diceva poche banali parole di circostanza e usciva dalla porta, scomparendo nella notte. Il giorno dopo il prete pronunciò celebrò una messa solenne e ogni evento portentoso cessò per sempre. Una bizzarra commistione di elementi pagani e cristiani.   

Non ci sono dubbi. George A. Romero sarebbe stato entusiasta di tutto questo!

lunedì 23 settembre 2019


TESTAMENT 

Titolo originale: Testament
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 1983
Durata: 90 min
Genere: Drammatico, fantascienza
Sottogenere: Postapocalittico
Regia: Lynne Littman
Soggetto: Carol Amen
Sceneggiatura: John Sacret Young
Fotografia: Steven B. Poster
Montaggio: Suzanne Pettit
Musiche: James Horner
Scenografia: David Nichols, Linda Pearl, Waldemar
     Kalinowski
Interpreti e personaggi:
    Jane Alexander: Carol Wetherly
    William Devane: Tom Wetherly
    Ross Harris: Brad Wetherly
    Roxana Zal: Mary Liz Wetherly
    Lukas Haas: Scottie Wetherly
    Lilia Skala: Fania
    Leon Ames: Henry Abhart
    Lurene Tuttle: Rosemary Abhart
    Rebecca De Mornay: Cathy Pitkin
    Kevin Costner: Phil Pitkin
    Mako: Mike

Trama:
La famiglia Wetherly vive nell'immaginario sobborgo di Hamelin in California, a circa 90 minuti di guida da San Francisco. È formata da Tom, dalla moglie Carol e da tre figli, di cui due maschi, Brad e Scottie, e una femmina, Mary Liz. Una vita di una monotonia mortale e di un'incredibile banalità subisce una traumatica discontinuità col passato a causa di una trasmissione televisiva in cui viene annunciato un massiccio attacco nucleare al territorio americano. Hamelin rimane relativamente intatto, perché troppo lontano da San Francisco per subire danni diretti dalle esplosioni. Giunge comunque la contaminazione radioattiva, che non conosce ostacoli. Tom Wetherly, che si trovava a lavorare a San Francisco, non fa ritorno a casa. Le sue probabilità di essere sopravvissuto alla bomba sono in pratica nulle. Henry Abhart è un anziano radioamatore, che continua a usare il suo apparecchio nel tentativo di contattare superstiti. I paesani si ritrovano a casa sua e fanno di lui un punto di riferimento. Brad, il figlio maggiore di Carol, diventa una specie di corriere e passa le sue giornate pedalando in bicicletta. Intanto il veleno penetrato nei corpi comincia a menare strage. I più deboli, i bambini, vengono sepolti uno dietro l'altro. Carol perde prima il figlio più piccolo, Scottie, poi anche l'intrattabile Mary Liz. Gli episodi di demenza si moltiplicano e l'ombra del collasso sociale incombe. La bicicletta di Brad viene rubata da un bullo, che poi penetra nottetempo nella casa dei Wetherly per cercare di trafugare provviste. L'Angelo della Morte, Azrael, ghermisce una persona dopo l'altra, incluso il radioamatore Henry Abhart. Due giovani sposi impazziti dal dolore per la perdita del figlio (gli attori sono Kevin Costner e Rebecca De Mornay) fuggono dal paese in macchina, cercando scampo nell'Ignoto. Quando il benzinaio nipponico Mike muore, suo figlio Hiroshi, che è disabile e grande amico di Brad, viene accolto da Carol. Il finale consiste in un tentativo di suicidio della donna assieme al figlio superstite e a quello adottivo. I tre si siedono in macchina, in garage, aspettando di morire asfissiati dal monossido di carbonio. Invece all'ultimo Carol cambia idea. I tre tornano nella villetta e festeggiano il compleanno di Brad con una galletta, guardando vecchi filmati di famiglia.

Recensione:
Devo dire che Testament non mi è piaciuto granché. Personaggi privi di spessore. Colori esangui, come se la narrazione si svolgesse in una realtà degradata capace di trasmettere soltanto tedio. Tutto sommato il regista si basa su una visione alquanto ingenua dei devastanti effetti delle radiazioni ionizzanti sul corpo umano. Mi sembra anche un po' troppo ottimista sulla natura di Homo sapiens e sulle sue possibili reazioni di un gruppo tribale neoamericano alla catastrofe. Viene giusto menzionata la legge marziale come spauracchio, e tutti se ne sono stati abbastanza buoni senza colpo ferire - a parte uno squallido ladruncolo adolescente. Non c'è stato alcun crollo del tessuto sociale. Ricordo quando sentii parlare per la prima volta di Testament. Mi era stato menzionato da un amico che lo citava come esempio di concreta possibilità di sopravvivenza all'Apocalisse nucleare. In realtà non mi sembra che il finale lasci comunque molta speranza: molti si mettono in moto, diretti verso una comunità più a nord, un'isola felice che potrebbe anche rivelarsi fantomatica, mentre coloro che restano sono destinati a perire d'inedia e di emorragie.

Una particolarità notevole di Testament è che può essere definito il primo film postatomico diretto da una donna. Il film della Littman faceva parte di un ciclo di pellicole catastrofiche a tema nucleare. Iniziata sul finire degli anni '70 con Sindrome cinese (1979), la serie proseguì nel corso del decennio successivo. A Detector (1980) fecero seguito Memoirs of a Survivor (1981), The Atomic Cafe (1982), Whoops Apocalypse (1982), Silkwood (1983), lo stesso Testament (1983), Wargames - Giochi di guerra (1983), The Day After - Il giorno dopo (1983), Special Bulletin (1983), Barefoot Gen (Gen di Hiroshima, 1983), il film TV Ipotesi sopravvivenza (1984), Gioco mortale (1986), Quando soffia il vento (1986), Letters from a Dead Man (Quell'ultimo giorno, 1986), Ground Zero (1987), Rules of Engagement (1989). Lo scopo precipuo di questo ciclo era quello di sensibilizzare il pubblico sui tremendi pericoli di un conflitto atomico globale, scenario verso cui ci sembrava di essere diretti a passi da gigante. 

La tecnica dell'off camera ha permesso agli artefici di questo mediocre film di nascondere al pubblico le realtà più raccapriccianti, che sarebbe stato invece salutare esibire. Certo, i sintomi della contaminazione sono descritti in modo sommario dalle autorità cittadine quando la popolazione viene riunita nella chiesa. Tuttavia stupisce di non vedere alcun riscontro. Non si nota nemmeno un caso di caduta di capelli, di peli e di unghie. Le allusioni alla nausea e al vomito sono davvero scarse. Niente materia rigettata sul pavimento di casa o per le strade, niente conati incoercibili, niente abiti inzuppati di escrementi. Niente perdite di sangue visibili. Niente ustioni della pelle. Soltanto una lunghe file di casse da morto pronte per la tumulazione. Ok, ho capito, non posso certo pretendere che si mostri la nascita di un feto deforme. 

Il successo di Testament fu modesto. Secondo la vulgata corrente questo è dovuto principalmente alla contemporanea uscita del ben più celebre The Day After - Il giorno dopo, diretto da Nicholas Meyer. Alcuni diranno che la colpa è tutta del maschilismo e del sessismo, del fatto che Lynne Litmann è una donna e che quindi sarebbe disprezzata già soltanto per questo motivo. Poi dicono che il film di Meyer puntava tutto sull'impatto degli effetti visivi e che non era introspettivo, che non indagava le profondità psicologiche dei personaggi. Sarà. Di questi tempi vanno di moda simili piagnistei. Dirò soltanto questo: quando ho visto Testament non sapevo nemmeno che la regia fosse di una donna e adesso che lo so non cambia assolutamente nulla. The Day After mi aveva messo i brividi e mi aveva emozionato. Sì, è vero, ero giovane, ma assistendo alla proiezione mi sentivo come se una guerra nucleare fosse imminente. Anzi, come se stesse accadendo in quel momento. Questo è lo scopo ultimo della Settima Arte. Non ho provato nulla di tutto ciò con il film della Littman, che mi ha fatto l'effetto di un bicchiere di acqua tiepida.  

Il Pifferaio di Hamelin 

Anche di fronte alla catastrofe nucleare, una megera appartenente a una maligna stirpe di insegnanti scolastiche avvizzite, non demorde e continua a martellare i poveri pargoletti portandoli allo sfinimento. Tutto è finito. Sarebbe bello per gli infanti riposare nel proprio letto e aspettare l'arrivo dell'Angelo della Morte, nella più totale inattività, preparandosi al riposo eterno. Invece l'orrida insegnante aguzzina, ligia ai propri obiettivi, non dà tregua e rovina il trapasso ai moribondi, martellando come il Savonarola al capezzale di Lorenzo il Magnifico. L'orchessa fa di tutto per inscenare una grottesca pantomima, degna solo di ludibrio. Nelle intenzioni dovrebbe essere una messa in scena della leggenda tedesca del Pifferaio di Hamelin, da noi più noto come Pifferaio Magico (la scuola stessa si chiama "Pied Piper of Hamelin", un nome molto fausto per un istituto educativo). I bambini sono così divisi in due squadre, di cui una dovrebbe impersonare l'orda dei topi. Uno di loro, una specie di bulletto, impersona il borgomastro di Hamelin, che tentava di dividere i suoi cittadini dai "topi" - distinguibili dai primi solo per i baffi posticci e poco altro. Il risultato è talmente grottesco che non trovo parole in questa lingua per descriverlo. Questi scempi oscenissimi rovinano il profondo simbolismo del mito.

Etimologia di Hamelin 

Il toponimo sassone reso ovunque celebre dal Pifferaio Magico è Hameln, che è stato adattato in Hamelin. Stando all'Enciclopedia Britannica, le più antiche forme attestate di questo toponimo sono Hameloa e Hamelowe. Il borgo esisteva già nell'XI secolo e sorse intorno a un'abbazia. Il fatto del famigerato Pifferaio, su cui non è ancora stata fatta sufficiente chiarezza, sarebbe avvenuto nel XIII secolo. Ritengo verosimile che Hameln abbia la stessa radice di Hamburg "Amburgo", il cui nome antico è Hammaburg. Questa radice è confrontabile col medio alto tedesco hamme "parte posteriore del ginocchio", "curva" - e per slittamento semantico "area recintata di pascolo". Non sembra una parola tipica del basso tedesco. Sappiamo che la città di Amburgo si è sviluppata a partire da una fortezza la cui costruzione fu ordinata da Carlomagno nell'808 per proteggere un battistero minacciato da insurrezioni pagane. L'Imperatore e i suoi Franchi parlavano in alto tedesco (e non in romanzo): potrebbero aver importato il toponimo. Errano in modo grave coloro che ritengono Hamelin e Amburgo derivati dalla stessa radice dell'inglese hamlet "villaggio", che è dall'antico francese hamelet "piccolo villaggio", diminutivo di hamel, ham "villaggio", a sua volta dalla lingua dei Franchi: *haim "casa" (corradicale dell'inglese home). La riduzione del dittongo -ai- in -a- è avvenuta in romanzo. In basso tedesco si ha invece hêm, con diversa riduzione del dittongo.

Curiosità varie 

In origine Testament doveva essere un film per la televisione. Poi quelli della Paramount sono rimasti colpiti e hanno deciso che fosse il caso di distribuirlo al cinema. A causa di questo cambiamento, il cast insorse chiedendo salari più alti.

Kevin Costner, che all'epoca era iper-impressionabile, ha in seguito dichiarato di essere stato influenzato in modo potente da quest'opera della Littman. Il ricordo indelebile lasciato in lui da Testament lo avrebbe in seguito spinto a lavorare in altre pellicole postapocalittiche, ossia Waterworld (Kevin Reynolds, 1995) e L'uomo del giorno dopo (Kevin Costner, 1997). 

Kevin Costner ha indossato nel film la giacca da postino che si era guadagnato giocando a baseball alla Villa Park High School. Sembra che in quell'occasione abbia fatto colpo su una ragazza con un vistoso apparecchio ortodontico, riuscendo a ottenere un pompino. 

Testament ha segnato il debutto di Lukas Haas, apparso poi in Witness - Il testimone (Peter Weir, 1985).  Ha interpretato il ruolo di Samuel Lapp, il bambino Amish testimone di un omicidio nei bagni pubblici della stazione ferroviaria di Philadelphia.

Gerry Murillo, che interpretò il ruolo di Hiroshi, era handicappato anche nella sua vita reale. Era affetto da trisomia 21 o sindrome di Down, all'epoca conosciuta meglio come mongolismo. Eppure non gli sono stati tributati grandi riconoscimenti per il suo notevole impegno. Quella era un'epoca in cui chi aveva problemi non riceveva sostegno alcuno, né tantomeno era considerato un X-man.

A causa di questo film, l'attrice Jane Alexander divenne un'attivista anti-nucleare. Erano i tempi d'oro dei famosi No Nukes. Bussavano alla porta come i Testimoni di Geova e distribuivano opuscoli.

Le riprese sono durate soltanto 28 giorni. Sarei tentato di vedere in questo l'ispirazione per il titolo del film 28 giorni dopo (Danny Boyle, 2002). Ok, la smetto col mio pessimo umorismo.  

Cineforum Fantafilm 

Testament è stato proiettato al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro il 18 gennaio 2010. Sul sito Fantascienza.com è tuttora presente una pagina dedicata all'evento, che purtroppo non ho potuto presenziare.

venerdì 20 settembre 2019


STUFF - IL GELATO CHE UCCIDE

Titolo originale: The Stuff
AKA: Larry Cohen's The Stuff
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Lingua: Inglese
Anno: 1985

Regia:
Larry Cohen
Durata:
85 min
Rapporto: Widescreen
Genere: Orrore, commedia, grottesco, trash 
Casa di produzione: New World Pictures
Distribuzione in italiano: Eagle Pictures
Fotografia: Paul Glickman
Montaggio: Armand Lebowitz
Musiche: Dwight Dixon, Anthony Guefen, Richard Seaman
Interpreti e personaggi:
    Michael Moriarty: David "Mo" Rutherford
    Andrea Marcovicci: Nicole Kendal
    Garrett Morris: Charlie W. "Chocolate Chip" Hobbs
    Paul Sorvino: Colonnello Malcolm Grommett Spears
    Scott Bloom: Jason
    Danny Aiello: Mr. Vickers
    Patrick O'Neal: Fletcher
    Alexander Scourby: Evans
    Russell Nype: Richards
    Rutanya Alda: Psicologa 
    Eric Bogosian: Impiegato del supermeracato
    Patrick Dampsey: Compratore clandestino di Stuff
Doppiatori italiani:
    Gianni Giuliano: David "Mo" Rutherford
    Lorenza Biella: Nicole Kendal
    Carlo Valli: Charlie W. "Chocolate Chip" Hobbs
    Luigi Montini: Colonnello Malcolm Grommett Spears
    Guido Cerniglia: Mr. Vickers
    Carlo Sabatini: Fletcher
    Walter Maestosi: Evans
    Giulio Platone: Richards
Budget: 1,7 milioni di dollari USA
Traduzioni del titolo: 
    Tedesco: Stuff – Ein tödlicher Leckerbissen
   
Romagnolo:
Quèl - Al ślâ ch'al cópa
    Spagnolo: El Stuff (Spagna): La Cosa; La Sustancia Maldita
          (America Latina)
    Portoghese: A Coisa
    Svedese: Mördande dessert
    Russo: Вкусная дрянь     

Trama:
Midland, Georgia. Una notte d'inverno, cade la neve. Un vecchiaccio schifoso, che lavora come sorvegliante in una miniera, durante un suo giro d'ispezione scopre una strana sostanza simile a yogurt che gorgoglia da una buca nel terreno, più profonda delle voragini stradali apertesi a Roma durante il dominio feudale della Raggi. Essendo per l'appunto un vecchiaccio schifoso, il laido sileno si mette ad assaggiare quella candida crema di origine sconosciuta, contro ogni sano principio. Forse pensava che glielo avrebbe fatto rizzare (all'epoca il Viagra non era stato ancora inventato e si affidavano a ogni possibile patacca). Il gusto di quella sostanza cremosa entusiasma all'istante il guardiano. Galvanizzato, chiama subito un suo collega - anche lui un vecchiaccio schifoso - e lo induce ad assaggiare. "Se continua a gorgogliare fuori dal terreno così, ce ne sarà abbastanza da potersela vendere", afferma deciso, mentre l'altro ha ormai vinto la sua iniziale diffidenza.
Dato che negli States un essere umano è considerato buono soltanto se vende qualcosa, ecco che i due si mettono a pensare in grande e ne parte una produzione industriale. In breve il nuovo prodotto, a cui viene dato il nome The Stuff, ha un immenso successo e viene distribuito su tutto il territorio nazionale, in modo capillare. L'attività sembra andare a gonfie vele, portando guadagni stratosferici agli scopritori del dolciume cremoso, ma presto emergono alcuni problemi di non poco conto. Tutto ha inizio quando un bambino si accorge che il contenuto di un barattolo di Stuff... si muove! Un ex agente dell'FBI, David "Mo" Rutherford, viene assoldato dalla sofferente industria dei gelati e del junk food allo scopo di indagare sulla vera natura dello Stuff per poter neutralizzare i suoi produttori. Nel corso delle indagini, il giovane e intraprendente Rutherford arriva a scoprire una sconvolgente verità: quello che milioni di persone ingollano a badilate non è affatto un dessert, bensì un organismo alieno che prende possesso dei corpi, fino a divorarli dall'interno e a trasformarli in zombie! C'è un solo modo per salvare il popolo americano da un simile flagello: convincere il colonnello Spears ad intervenire alla testa del suo esercito. Per riuscirci, il geniale ex agente dell'FBI trova il punto su cui far leva, suggerendo al militare che lo Stuff è un'arma inventata dai cospiratori comunisti per distruggere il Paese e consegnarne le macerie all'Unione Sovietica!  

Citazione: 

«ATTENZIONE! Interrompiamo il programma per un gravissimo comunicato sullo STUFF: se lo vedete in un negozio, chiamate la polizia, se ne avete in casa, non toccatelo... scappate! Lo STUFF è un prodotto naturale, un mortale organismo vivente, che dà assuefazione e poi la morte; può impadronirsi del vostro cervello e del vostro corpo... e nulla può fermarlo! THE STUFF: siete stati avvertiti...»

Recensione:
Ho subito amato questo film. L'ho trovato esilarante fin dalle prime battute, come una boccata di protossido d'azoto che arriva dritta al cervello. Inverosimile, grottesco, assurdo. Forse proprio per questo è così divertente. Gli effetti speciali sono a dir poco grossolani, eppure la cosa non mi ha urtato più di tanto. Ebbene sì, avete ragione: sto cominciando a manifestare preoccupanti segni di degrado cognitivo. 



Dipendenza da cibi iperpalatabili 

Qualcuno nel Grande Paese d'America un giorno scoprì che poteva indurre una dipendenza invincibile somministrando un preparato di sua invenzione, un cibo sublime ottenuto da un concentrato cremoso di proteine del latte con l'aggiunta di aroma di vaniglia (non necessariamente di origine naturale). Le cose stanno così. Chiunque mangi quella roba, ne diventa schiavo all'istante. La dipendenza che si instaura è forte come quella data dall'eroina. Come si può ben capire, da una simile dipendenza non si può uscire. Ecco spiegata  l'origine dei cibi iperpalatabili, non proprio salutari, ma talmente piacevoli che non si smetterebbe più di ingurgitarli! Nessuno si cura degli effetti a lungo termine: l'importante è guadagnare! Il mio sospetto è che l'inventore di questa trovata sia stato Edward Bernays, nipote di Sigmund Freud. In Italia è poco noto al grande pubblico, eppure fu uno dei personaggi più influenti del XX secolo. Si può dire che sia stato un gigante. Fece intervenire gli States nella Grande Guerra, fondò le pubbliche relazioni, convinse tutti gli americani a mangiare uova e bacon a colazione, fece fumare le donne, trasformò Rockefeller in un filantropo e mandò Hitler al potere. Con un simile curriculum, non mi stupirei se gli si dovesse attribuire anche il junk food. Lascio a studiosi con più mezzi dei miei il compito di approfondire questo argomento. 

Questo ebbe a dire lo stesso Cohen: 

"My main inspiration was the consumerism and corporate greed found in our country and the damaging products that were being sold. I was constantly reading in the newspapers about various goods and materials being recalled because they were harming people. For example, you had foods being pulled off the market because they were hazardous to people's health." 

Uno strano elemento salvifico  

Capo di una violenta formazione di militari irregolari, il colonnello Malcolm Grommett Spears sa esattamente come si risolvono i problemi: rimuovendo coloro che li provocano. La tecnica di rimozione di ogni problema è sicura e infallibile. Basta riempire di piombo i suoi portatori. Il colonnello mi ricorda un altro uomo di guerra: il Capitano di Monaco, Ernst Röhm. Certo, mi si dirà che i gusti sessuali dei due militari sono molto diversi. Spears ha un'insana predilezione per le giovinette mentre Röhm era dedito a rapporti omosessuali sfrenati. La risposta all'obiezione è molto semplice: i gusti sessuali dell'americano e del tedesco sono assolutamente irrilevanti. Comune è la più intima natura. Al giorno d'oggi un film così non lo si potrebbe più fare. Direbbero subito che Spears è "nazista", "fascista", "sovranista", "nazionalista", addirittura "razzista" e via discorrendo. Sono tutte balle. Etichette che non contano nulla. La sola cosa importante è che un uomo così i problemi li risolve davvero, senza fallire, per Giove!  Per paradosso, la comprensione della vera natura di un problema non influisce sulla possibilità di rimuoverlo. In fondo qualsiasi problema, quale ne sia la natura, è sempre riconducibile a persone concrete - che per l'appunto possono essere eliminate. Il bello è che il colonnello Spears pensa che tutto sia un complotto messo in atto da "quei bastardi dei comunisti" e dalla "stramaledetta Unione Sovietica". In realtà la causa del dilagare del pestilenziale gelato è da ricercarsi proprio nel turbocapitalismo ultraliberista. Una bella ironia, ma in concreto cosa importa, se i risultati sono quelli desiderati? Ok, ok, Spears mi è simpatico. Adoro il suo odio e il suo disprezzo nei confronti dei politicanti! 

Alcune note sul ruolo dei militari 

Il film di Cohen è senza dubbio eccentrico. Ci dice che soltanto l'elemento militare può portare salvezza dove imperversa il marasma, a patto che sia opportunamente incentivato - e anche ingannato, se necessario: è essenziale che scateni tutta la sua furia distruttiva contro l'obiettivo prefissato, ossia i nemici della Nazione. Per il resto il regista è molto realistico e non si fa stolte illusioni sull'etica della specie Homo sapiens. Ne accetta tutti i limiti. A piacermi è proprio l'idea di un militare che possa definirsi genuino erede dei Lanzichenecchi, distante anni luce dall'astratto e asettico idealismo che muove ogni gesto del maggiore Eugene "Sam" Denton in Damnation Alley (1977). In due pellicole di George A. Romero, La città verrà distrutta all'alba (The Crazies, 1973) e Il giorno degli zombi (Day of the Dead, 1985), vediamo invece molti esempi di militari deleteri. Nel primo film l'esercito è costituito da emeriti minchioni che con la loro ottusa burocrazia fanno perdere la possibilità di curare una terribile pestilenza (tra l'altro causata da un loro errore). Nel secondo film vediamo un militare odiosissimo che, rimasto senza superiori, si improvvisa tiranno e rovescia su tutti la sua pazzia criminale, a piene mani. 

La resa dei conti 

Quando il gagliardo David "Mo" Rutherford riesce a raggiungere i vertici dell'azienda che distribuisce lo Stuff, questi gli dicono che il sabotaggio delle loro attività estrattive non li può fermare, dal momento che quella sostanza aliena emerge in molti punti. Sudando freddo, si mettono ad esporre uno spudorato progetto: essi hanno intenzione di mettere in commercio un nuovo prodotto, chiamato The Taste, con soltanto il 12% di Stuff e per il resto fatto di comune gelato. Questo avrebbe lo scopo di limitare i danni, così dicono, visto che con una percentuale così bassa di Stuff non si potrebbe instaurare dipendenza. In realtà non è vero. La creazione di The Taste è dovuta unicamente al drastico calo delle provvigioni di Stuff. L'avidità dei dirigenti aziendali è senza limiti. L'ex agente dell'FBI li costringe a trangugiare quantità immense di Stuff, fino a farli zombificare.    

Un'inattesa eruzione del Caos

Quando tutto sembra finito, ecco emergere l'ombra di Nyarlathotep, Caos Strisciante. L'ex agente dell'FBI David "Mo" Rutherford e il colonnello Spears sono acclamati eroi nazionali, la voragine da cui gorgoglia lo Stuff è distrutta, riempita da tonnellate di terra smossa da un'esplosione. La Terra dei Coraggiosi è finalmente libera dalla schiavitù del gelato diabolico. L'azienda che distribuiva quel veleno è distrutta. Siamo proprio sicuri che tutto sia finito? A questo punto si fa una scoperta a dir poco sconfortante. Esistono trafficanti di Stuff

Etimologia di stuff 

In inglese stuff significa "materiale", "materia". L'etimologia è identica a quella del tedesco Stoff "sostanza, materiale" e dell'italiano stoffa. L'origine è dall'antico francese estoffe "provvigione", dal verbo estoffer "fornire, provvedere, decorare", a sua volta prestito dalla lingua dei Franchi: *stopfôn, *stoppôn "fornire" - in ultima analisi dal protogermanico *stuppanan. Si tratta di una parola germanica adottata nelle lingue romanze per poi ritornare nel mondo germanico per effetto boomerang - con buona pace dei romanisti, che vorrebbero negare l'esistenza stessa delle lingue dei "Barbari". Dirò di più: avendo la seconda rotazione consonantica, il prestito deve essere stato accolto nella lingua romanza di Francia in epoca carolingia. 

Curiosità varie 

La miscela usata in alcune scene per simulare lo Stuff era fatta con polvere di lische di pesce in putrefazione e aveva un odore così sgradevole da costringere gli attori a lavarsi per ore nelle acque di un fiume. La fonte dell'informazione è lo stesso regista. In altre scene, sarebbero stati usati immani quantitativi di gelato Häagen-Däzs e di yogurt denso con l'aggiunta di schiuma di estintore. Un enorme spreco.

Il personaggio di Charlie W. "Chocolate Chip" Hobbs (reso in italiano con "Cioccolatino Charlie") ha ricevuto il suo soprannome dagli omonimi famosi biscotti della marca Famous Amos. Al giorno d'oggi queste trovate non sarebbero più ammesse. I radical sono molto aggressivi e detestano ogni associazione del colore della pelle con il cioccolato. Il perché non è dato sapere. Il cioccolato è un alimento delizioso, dovrebbe dare origine a complimenti, non a insulti. "Chocolate Chip" è un loquace mandingo che finisce contaminato dallo Stuff e trasformato in un morto vivente. Il suo ruolo doveva essere assegnato ad Arsenio Hall, ma la cosa non andò in porto.

La scena con il gelato alieno che esce dai materassi e dai cuscini in un motel è stata girata nella stessa camera usata nelle riprese di Nightmare - Dal profondo della notte (1984), nella scena in cui Glen (interpretato da Johnny Depp) viene risucchiato nel suo letto e il suo sangue finisce vomitato sul soffitto.

Paul Anthony Sorvino, il robusto attore che ha interpretato il colonnello Spears, è di origini italiane e per l'esattezza napoletane. Sua figlia Mira è stata tra le vittime del famigerato Harvey Weinstein. La reazione del padre è stata sanguigna e la condivido appieno: egli ha dichiarato che se avesse saputo, avrebbe ucciso quel maiale con le proprie mani, non prima di avergli spappolato le gambe facendolo finire su una sedia a rotelle.

lunedì 16 settembre 2019


L'ULTIMA ODISSEA 

Titolo originale: Damnation Alley
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 1977
Lingua originale: Inglese
Durata: 91 min
Rapporto: 2,35:1
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Distopia, postapocalittico, postatomico
Regia: Jack Smight
Soggetto: Roger Zelazny
Sceneggiatura: Alan Sharp, Lukas Heller
Produttore: Paul Maslansky, Jerome M. Zeitman
Produttore esecutivo: Hal Landers, Bobby Roberts
Casa di produzione: 20th Century Fox
Fotografia: Harry Stradling Jr.
Effetti speciali: Milt Rice
Musiche: Jerry Goldsmith
Scenografia: E. Preston Ames
Trucco: Lon Bentley
Interpreti e personaggi:
    Jan-Michael Vincent: Tanner
    George Peppard: maggiore Denton
    Dominique Sanda: Janice
    Paul Winfield: Keegan
    Jackie Earle Haley: Billy
Doppiatori italiani:
    Giuseppe Rinaldi: maggiore Denton
    Rita Savagnone: Janice
    Michele Gammino: Keegan 



Trama: 
L'Unione Sovietica lancia i missili nucleari contro gli Stati Uniti, che rispondono prontamente all'attacco. Quasi la metà delle testate nemiche vengono intercettate, ma la catastrofe è inimmaginabile. Come conseguenza delle esplosioni, la Terra è portata sull'orlo dell'inabitabilità. L'asse terrestre subisce uno spostamento, i continenti diventano deserti, il clima è sconvolto da tempeste spaventose, i cieli ardono di perenni aurore polari, la flora scompare e la fauna subisce mostruose alterazioni. In questo scenario di desolazione che poco concede alla speranza, il maggiore Eugene "Sam" Denton è tutto ciò che resta del vecchio ordine. In pratica la sua mente sempre vigile è quanto di più complesso sia sopravvissuto della specie Homo sapiens. Con uno sparuto seguito di superstiti caricati su due autoblindo, l'integerrimo e austero militare conta di raggiungere la remota Albany, in quello che era lo Stato di New York - l'unica città a non essere stata distrutta dalle armi atomiche. La traversata da un capo all'altro dell'America è lunga e massacrante. Gli ostacoli si presentano quasi subito. Una delle due autoblindo viene distrutta in un incidente. Solo in pochi arrivano a destinazione, dopo aver affrontato molte insidie e molti orrori. Tra queste mer(d)aviglie spiccano gli eserciti di scarafaggi assassini in una città morta e gli zombie lebbrosi ultraviolenti in un autogrill abbandonato. L'epilogo, contro ogni aspettativa, è degno del magico mondo dei Puffi! 


Recensione: 
Se proprio dobbiamo dirla tutta, Damnation Alley farebbe schifo anche ai porci. Tra i problemi possiamo annoverare il budget insufficiente e per giunta sfruttato male, l'assoluta incapacità tecnica dei responsabili di questo delitto contro l'Arte, oltre alla carenza di idee. Insomma, la pellicola di Smight è un vero e proprio escremento in celluloide, e per giunta formato male, diarroico, pieno di cibo non digerito. Dante metterebbe il regista e tutto il cast a far compagnia a Brunetto Latini, sotto un'eterna pioggia di fuoco! 

Un'ucronia  che lascia di sasso!

Pochi ne sono al corrente. È stato per un puro caso se Star Wars di George Lucas ha avuto un immenso successo - anche se a distanza di tempo si comprende che è soltanto una massa di merda. Qualche oscuro decisore fu posto di fronte a una difficile scelta: concedere un discreto budget a George Lucas per il suo astruso progetto fantascientifico oppure far arrivare tali risorse a Smight per Damnation Alley. Ebbene, fu scelto proprio Lucas come destinatario della maggior parte dei soldi. Fu così che Guerre Stellari divenne uno dei miti fondanti dell'Umanità, mentre L'ultima odissea sprofondò nella sentina dei rifiuti più schifosi mai espulsi dall'intestino retto di questa specie dannata. Se le cose fossero andate diversamente, come sarebbe oggi il nostro pianeta? Star Wars sarebbe un film trash assoluto e inguardabile, come una di quelle invereconde schifezze di Lewis Coates (alias Luigi Cozzi). Nessuno, dico nessuno, avrebbe mai concesso per un suo seguito nemmeno il fantasma di un centesimo forato. Non ci sarebbe stata alcuna trilogia, per non parlare dei prequel e degli spin-off. Del resto, se anche a Smight fosse andato un budget notevole, non avrebbe comunque potuto creare un film avvincente, perché le idee non c'erano proprio! 

Alcune note sul ruolo dei militari 

L'idea portante del film in analisi è assai curiosa. Secondo i suoi ideatori - e forse anche secondo Roger Zelazny (confesso che non ho letto la sua opera e che neppure mi attrae) - i militari sarebbero asettici robot del tutto privi di passioni e programmati per condurre il genere umano verso la Salvezza. Una tesi che mi appare piuttosto discutibile. Il maggiore Denton è la quintessenza dell'abnegazione e della disciplina. Controllo assoluto sul corpo e su qualsiasi impulso. Com'è ovvio, non ha bassi istinti di sorta. Non desidera ubriacarsi. Non eccede mai nel cibo. Non guarda mai un culetto femminile con l'intenzione di infilare la faccia tra le chiappe e di baciare lo sbocco dell'apparato digerente. Non pensa mai ai pompini quando guarda la bocca di una donna. Può benissimo passare anni senza una sola erezione. Non eiacula mai, nemmeno nel sonno. Non c'è una sola cellula che si ribelli all'autorità morale che irradia dal suo intelletto sovrumano. Sa sempre ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, in ogni occasione. Non farebbe mai nulla per il proprio tornaconto. Tutto in lui è al servizio di una Causa Superiore. Si noti che i superiori del maggiore Denton sono tutti morti. Mi domando quale sarebbe dunque la fonte di un'etica così poderosa e indefettibile. Cosa lo obbliga ad agire in modo morale? L'Imperativo Categorico di Kant? "Il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me"? Mi sia lecito nutrire fondati dubbi a questo proposito. La Storia del bipede implume ci mostra ben altro. Il detto di Kant che meglio descrive la nostra specie è questo: "Da un legno storto com'è quello di cui l'uomo è fatto non può uscire nulla di interamente dritto"

Rigurgiti acidi di memoria 

Quando ho deciso di visionare il film di Smight, incuriosito dal titolo, non mi sono reso conto che l'avevo già visto ai tempi del liceo. Man mano che le sequenze procedevano, avevo come delle sensazioni di déjà vu. La cosa mi destava una grande irritazione, anche perché quanto vedevo era a metà strada tra la noia mortale e lo schifo. All'improvviso mi sono reso conto. Una battuta sullo spettacolo dei cieli radioattivi mi ha permesso di recuperare l'intera memoria. Una notte d'estate di molti anni prima ero rimasto alzato per vedere L'ultima odissea, che mi aveva però mortalmente deluso. Sonno perso per nulla! Il mio cervello aveva quindi proceduto a censurare ogni ricordo per rimuovere le sensazioni spiacevoli provate, riuscendoci in modo quasi perfetto. 

Curiosità 

Roger Zelazny disapprovò il film tratto dalla sua opera, arrivando addirittura ad odiarlo. Posso capirlo. Dovrebbero farlo santo per non aver assoldato un sicario.

Per realizzare i famigerati "scarafaggi assassini" sono state usate blatte sibilanti del Madagascar - una specie benigna, che i bambini dell'isola usano addirittura come animale da compagnia. Il nome scientifico di questi insetti è Gromphadorhina portentosa. Data la disponibilità di un piccolo numero di esemplari, per simulare gli ammassi di "scarafaggi assassini" sono stati usati giocattoli di gomma. 

La scena più squallida è quella in cui il motociclista viene assalito da scorpioni giganteschi mentre attraversa il deserto. Il progetto iniziale prevedeva di realizzare colossali simulacri di gomma, ma la cosa non funzionò: le riprese furono giudicate inaccettabili. Così furono filmati alcuni scorpioni reali per ingrandirne l'immagine e fare qualche collage con lo sfondo. Non oso pensare come fossero le sequenze originali, quelle bocciate.

Il film si svolge nel 1979, il che è assolutamente ridicolo, essendo stato girato pochi anni prima soltanto! Uno sconvolgente caso di appiattimento delle prospettive, per non dire di assoluta miopia.

Il titolo di questa infame porcheria, per l'appunto Damnation Alley, fu cambiato in Survival Run appena dopo l'uscita nelle sale. Quasi subito fu deciso di tornare al titolo originale. Una scelta comunicativa tutt'altro che felice. I responsabili dello scempio non sono stati murati vivi, purtroppo.

Il regista e gli sceneggiatori mostrano di non avere nemmeno la più esile conoscenza di fisica dell'atmosfera e di ecologia (non so se Zelazny fosse messo meglio). Non deve stupire che all'epoca si favoleggiasse tanto sugli effetti biologici delle radiazioni, immaginando assurdità di ogni genere. Quello che trovo assurdo è pensare che in un pianeta devastato dall'Armageddon nucleare possa sussistere un angolo incantato in cui il cielo è blu e tutto è OK - come se le masse d'aria non si mescolassero, come se la contaminazione restasse confinata. Sarebbe come pensare a una piccola zona di acqua limpida in un immenso bidone di liquami fecali!