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sabato 12 gennaio 2019


TI VESTIRAI DEL TUO VESTITO BIANCO

Autore: Ferruccio Parazzoli
Anno: 1997

Editori:
    Frassinelli (1997)
    Mondadori (2008, formato Altri)

Genere: Romanzo
Sottogenere: Romanzo di formazione, romanzo della memoria,
     pseudo-autobiografia

Codice EAN (Frassinelli): 9788876844645
Codice EAN (Mondadori):
9788804576556
Codice ISBN (Frassinelli): 8876844643
Codice ISBN (Mondadori): 8804576553
Pagine (Frassinelli): 142 
Pagine (Mondadori): 125


Trama: 
Milano, anni '60. La bella Regina, una ragazza delicata e snob, è amata e desiderata da due uomini. Il primo spasimante è un ventiseienne bohémien che vive in una zona periferica, in una squallida mansarda, conducendo fiaccamente studi universitari senza fine e giocando ogni notte immaginarie partite a scacchi con Mefistofele. Il suo nome, che non doveva essere molto fantasioso, è sprofondato nei miei banchi di memoria stagnante e non sono riuscito a recuperarlo nel Web (forse era Stefano, ma potrei ingannarmi). Il secondo spasimante si chiama Lorenzo ed è un ex militante del Partito Comunista, pieno di nauseabondo idealismo e sposato a una donna scialba che sembra sua sorella. Ha anche un figlio, una specie di clone, roba da villaggio dei dannati! Dalla vivida descrizione dell'aspetto fisico del comunista rottamato si capisce all'istante qual è stato il modello che lo ha ispirato: Piero Fassino. Regina, che è una allumeuse, si diverte a illudere entrambi i proci, senza concedere loro granché. Ne nasce un ambiguo ménage à trois, fatto di debilitanti escursioni domenicali in bicicletta e di altre simili trovate afflittive. Lorenzo viene scaricato nel corso di una gita a Genova. Lo studente riesce invece a ottenere qualche strusciamento, ma poi quando la ragazza gli si concede è lui a rifiutarla: lei non vuole farlo nella mansarda, ma lui, in preda a un invincibile attacco di pigrizia, si sottrae alle profferte. Regina, sconvolta, abbandona tutto e si reca in un paese barbarico dell'America Centrale come missionaria laica, solo per finire brutalizzata e uccisa da una banda di spaventosi energumeni. Il finale, che mi asterrò di rivelare, ha in sé un'inaspettata vena macabra... 

Recensione: 
Questo scritto parazzoliano, definito dai critici romanzo di formazione e della memoria, è della massima importanza per un motivo molto semplice: uno dei suoi personaggi è Dante Virgili. È proprio lui: l'inquilino del terzo piano! Anche se non viene mai menzionato per nome, non ci sono dubbi sulla sua identità. Quello che più sorprende è l'omogeneità stilistica pressoché assoluta con il secondo romanzo attribuito a Virgili, Metodo della sopravvivenza, composto a quanto si dice nel 1990 - sempre stando alla narrazione di Antonio Franchini - ossia sette anni prima della prima pubblicazione del presente testo di Parazzoli. Quando ho letto Ti vestirai del tuo vestito bianco ho avuto la nettissima sensazione che interi passi di Metodo della sopravvivenza vi fossero migrati come per un prodigioso gioco di prestigio. Subito ne ho avuto piena coscienza: Metodo della sopravvivenza è stato scritto da Ferruccio Parazzoli, dalla prima sillaba all'ultima. Sono assolutamente sicuro di quanto sostengo, e che Thor mi possa incendiare il cranio con la folgore se dico il falso!

Questo riporta Franchini sul perverso personaggio parazzoliano:   

"Ricostruito con esattezza filologica assoluta: ogni frase pronunciata dall'inquilino del terzo piano era stata presa da qualche pagina di Virgili, verosimilmente, era stata da lui pronunciata nella realtà e fedelmente registrata nella memoria [...]"
(Cronaca della fine) 


Bisognerà ammettere che l'ipotesi di un Parazzoli che ricorda con memoria assoluta ogni singola sillaba proferita da un Dante Virgili somigliante al pupazzo Provolino appare per forza di cose piuttosto improbabile. Se invece Dante Virgili fosse un'invenzione di Parazzoli e dei suoi compari, in toto costruita a tavolino, tutto ciò avrebbe una spiegazione immediata, semplice e diafana come cristallo di rocca. Probabilmente Parazzoli ha scritto Ti vestirai del tuo vestito bianco introducendo una figura che poi gli sarebbe servita qualche anno dopo per scrivere proprio Metodo della sopravvivenza. In altre parole, la mia tesi è questa: in realtà Ti vestirai del tuo vestito bianco precede cronologicamente Metodo della sopravvivenza e ne costituisce il germoglio.

La descrizione di Dante Virgili occupa qualche pagina. Invito tutti a procurarsi una copia del romanzo di Parazzoli, magari prendendolo in biblioteca come ho fatto io, e a leggere con attenzione. L'inquilino del terzo piano è ossessionato dalla pornografia e dalle pratiche sadomasochistiche. Invita persino Regina nel suo appartamento e le mostra un apparato di contenzione con cui vorrebbe immobilizzare qualche vittima (si capisce fin troppo bene che la sua è un'esistenza di vagheggiamenti e di desideri inappagati). Si fa cenno alla strana alimentazione dell'uomo luciferino, che consiste quasi esclusivamente di prosciutto e di carne cruda. Si fa allusione anche alle sue croniche difficoltà pecuniarie: è proprio la caritatevole Regina a comprargli la carne trita, che altrimenti lui non si potrebbe permettere. A un certo punto l'inquilino del terzo piano ferma la ragazza sulle scale ed erompe in una sinistra profezia: "Ti vestirai del tuo vestito bianco". Proprio la frase che dà titolo al libro. Non alludeva però a un abito da sposa, bensì all'abito bianco delle missionarie laiche. Era quindi una promonizione dell'atroce morte della ragazza, che sarà violentata e sottoposta a torture prima di essere uccisa. 

Una famiglia selvatica e pagana 

Una simpatica storiella è incorporata nella trama del romanzo del Parazzoli. Si narra di un prete che nel corso del suo magistero in una valle montana impervia si imbatta in una famiglia descritta come "selvatica e pagana". Il punto è che a questa famiglia di pastori, sfuggita chissà come alla cristianizzazione, appartiene una bellissima fanciulla con l'abitudine di girare nuda per i pascoli - quasi un'immagine tratta da un quadro silvestre neoclassico in cui campeggiano procaci dee e lascive ninfe. Che accade? Semplice: il prete getta la tonaca alle ortiche, se la strappa proprio di dosso, quindi si congiunge con la pastorella pagana. Abbandonata la Chiesa di Roma, l'ex chierico finirà i suoi giorni invecchiando assieme alla sua amata, lontano dallo spettro della sua passata vita cattolica. Il tema dell'abiura della Chiesa di Roma da parte di persone che le erano devotissime non è affatto isolato nella produzione parazzoliana. Potremmo dire che si tratta quasi di un Leitmotiv. Anzi, sarà lo stesso scrittore romano, agli inizi del XXI secolo, a seguire in qualche modo le orme di Cristóvão Ferreira e per giunta senza essere stato sottoposto a coercizione alcuna dai Tokugawa, emergendo dal suo passato teista come "sciamano" e "cavaliere Jedi"

Pregi del romanzo 

Certe descrizioni evocano atmosfere melanconiche e sognanti. Questo brano mi è stato possibile trovarlo nel Web, lo riporto a titolo d'esempio:

“L’aspettammo con delle biciclette appoggiate al marciapiede, il rumore dei treni che entravano in stazione e un odore molle di sera estiva come può darlo soltanto una grande città quando il sole non si decide a tramontare ma rimane sospeso in un cielo senza colore e sembra che il buio non debba venire mai, un misto di catrame, di gas e di ligustri che ti scioglie quel filo di volontà che hai tenuto con i denti per tutta la giornata e se sei giù di corda ti mette voglia di non sai che cosa, la nostalgia di quello che non hai avuto mai.” 

E ancora: 

Nel ricordo, piacere e dolore si confondono e benchè la memoria tenda per sua natura ad addolcire ogni cosa, nel rievocare a me stesso quei giorni provo un'impercettibile fitta, come di una spina mai uscita dalla carne.

Tutto ciò fa vibrare una fibra di masochismo nel mio essere, come quando il nervo di un dente mal devitalizzato inizia a pulsare in sottofondo proprio nel bel mezzo di un orgasmo.  

Altre recensioni e reazioni nel Web 

Mi ha incuriosito una recensione apparsa su La Stampa, intitolata Sotto il vestito molto dolore. Parazzoli in stile Bergman. Nell'incipit l'autore si lamenta del fatto che il romanzo parazzoliano avrebbe raccolto meno di quanto meritava. Dubito che il problematico caso Virgili abbia anche soltanto sfiorato la sua mente. Purtroppo non è possibile procedere oltre: il sito Web richiede un pedaggio per poter proseguire nella lettura. Non pago tributi feudali agli editori e ai giornalisti! Riporto il link, nel caso qualche abbonato abbia la possibilità di completare la lettura: 


Su Anobii.com ci sono alcune recensioni: 


Numerose sono le banalità (troppo nordico, troppo intellettuale, etc.), ma trovo assai utile una citazione riportata da un commentatore:

Basta restare soli perchè ci si possa persuadere di decifrare il labirinto di fatti e sentimenti che si è venuto a creare intorno a noi. Allora siamo disposti ad assegnare un preciso valore ad ogni più piccolo avvenimento, a caricare ogni frase, che abbiamo conservato nella memoria, di un significato recondito che le parole certo non esprimono se non secondo un codice segreto, il cui vero senso porta a conclusioni spesso opposte a quando ci è sembrato intendere in un primo momento.

Che Parazzoli volesse alludere cripticamente a Dante Virgili?

sabato 5 gennaio 2019


METODO DELLA SOPRAVVIVENZA 

Autore: Dante Virgili
Anno: 1990 
Genere: Romanzo
Sottogenere: BDSM, diario, pseudo-autobiografico, apocalittico 
Prima pubblicazione: 2008
In commercio da: 20 marzo 2007
Casa editrice: Pequod
Collana: Pequod
Pagine: 224, Brossura
Seconda pubblicazione: 2016
Casa editrice: ITALIA Storica
Collana: Off Topic
Pagine: 182, Brossura

Codice EAN (2008): 9788860680341
Codice EAN (2016): 9788894226515


Sinossi (da www.ibs.it):
Duecento pagine in cui si rincorrono disordinatamente (apparentemente) temi politici nazionali e internazionali, quotidianità allucinate e citazioni dal tedesco. Nessuna trama. Solo pensieri, annotazioni, incontri sessuali in bilico tra la realtà e la fantasia. Il protagonista è un professore di tedesco in pensione, un «misero Ulisse corrotto inabissato nella perversione». È l'estate del 1990 a Milano. L'anno del mondiale di calcio giocato in Italia. «Il gioco più idiota che l'umanità abbia inventato» ruggisce la voce narrante, sia pure senza potere fare a meno di tifare per la Germania. «Nell'anno della riunificazione sarebbe un grande dono. Se la Germania vince chiudo in bellezza. Ormai le fortune sono affidate al calcio - osserva con il solito rimpianto - mentre un tempo l'obiettivo era l'Europa». Già, Hitler! «E ora apprendo che il condottiero è Matthäus...». Si compiace nel vedere sventolare la bandiera tedesca sotto il Duomo, anche se si tratta della solitaria bancarella di un ambulante. L'Italia perde e lui ghigna: «Se gli azzurri avessero vinto, un'esaltazione ulteriore del calcio avrebbe allontanato ancor più l'italiano dai problemi».


Riassunto:  
Siamo nell'anno della caduta di quello che Luca Giurato chiamava Mudo li Merlino. Intrappolato nella canicola di una desolante, spettrale estate milanese, un attempato professore di tedesco vegeta nel suo microcosmo bizzarro. La sua principale attività consiste nell'adescare donne che trasforma in schiave sessuali, reclutando anche ragazzi per realizzare fantasie orgiastiche. Sullo sfondo aleggia l'atmosfera di enthusiasmos che pervade le acefale masse italiote per via dei mondiali di calcio.

Recensione:  
Abbiamo mostrato che Dante Virgili non è mai esistito, che è una fabbricazione letteraria. Passiamo quindi ad analizzare i testi a lui attribuiti per scoprirne le incoerenze interne. 

C'è una differenza abissale tra Metodo della sopravvivenza e La distruzione. Innanzitutto dal punto di vista dello stile. Mentre il primo romanzo di Virgili era dominato dal cut-up, tanto da sembrare il prodotto di una narrazione collassata, poi fracassata in più punti e riattaccata assieme con l'adesivo in disposizioni grottesche, nel secondo romanzo la lettura è infinitamente più scorrevole. La distruzione, soprattutto avvicinandosi al finale, sfoggia un cut-up tanto spinto da far impallidire quello usato da William S. Burroughs. In Metodo della sopravvivenza si potrebbe semmai parlare di residui di cut-up, incorporati in una struttura la cui razionalità è quasi perfetta. Questi residui sembrano motivati dalla necessità di porre in essere una parvenza di continuità col passato dello scrittore. Vediamo di fare un esempio concreto. Nel linguaggio tipico de La distruzione, un periodo può interrompersi in modo brusco senza considerazione alcuna per la sintassi e per la comprensibilità del testo, finendo persino con una preposizione, con un pronome relativo, con una particella, etc. Così possiamo imbatterci in capolavori come: 

Perché vivo se non. 

Dopo avere precisato che essi portavano con sé una valigia di pelle nera nella quale hanno posto il denaro, la signorina Bianca Salinari ha affermato che 

La sola donna che 

Prendo in mano il coltello comincio a  

E.  

Questa amputazione delle frasi, lasciate finire in modo folle, non è affatto tipica di Metodo della sopravvivenza. Ne ricordo pochissime occorrenze e tutte hanno l'aspetto di elementi incongrui incorporati in un contesto per il resto abbastanza omogeneo. Anche l'uso della punteggiatura è decisamente migliorato.

Non è soltanto la forma ad essere cambiata. C'è anche una differenza ontologica tra le due opere virgiliane. Il protagonista del primo romanzo era un uomo sessualmente insoddisfatto. Agognava di realizzare fantasie morbose, atti erotici che tuttavia non si materializzavano mai. La scusa era la cronica penuria di liquidità. Mancando i soldi, le giovani prostitute si sottraevano alle sue attenzioni, non ne volevano sapere di lui. Soltanto le masturbazioni che faceva ai ragazzi restavano alla sua portata, per quelle erano sufficienti pochi spiccioli. Il protagonista del secondo romanzo è invece un uomo sessualmente soddisfatto, che ha trovato il modo di irretire un gran numero di donne con cui realizzare ogni desiderio. Così vediamo Anna, una giovane moglie cornificatrice che rende becco il marito. Si reca nell'appartamento del vecchio professore e si presta a fare da schiava. Striscia ai piedi del suo master e glieli lecca, passando la lingua tra le dita. Poi gli prende in bocca il fallo, per passare quindi a lambirgli le emorroidi con voluttà, infilando nell'ano la punta della lingua. Dice al padrone che se vuole può anche sodomizzarla, ma lui le dice che farlo sarebbe troppo faticoso. Anna ha diversi amanti a cui concede la propria intimità anale. Si fa sfondare il retto dai focosi stalloni, mentre nega tutto ciò al marito, a cui è permesso al massimo di deporre un po' di albume nella vagina, lui sopra e lei sotto. In realtà al professore sadico non piace tanto farsi praticare il sesso orale: ama invece moltissimo costringere le sue schiave a praticarlo ai ragazzi reclutati di volta in volta. La sua morbosità è infinita. Ha sempre cura che le fellatrici mandino giù tutto lo sperma emesso loro in bocca, affinché lo digeriscano e lo trasformino in sterco. Al giorno d'oggi tutto ciò è ordinario, qualsiasi casalinga si eccita guardando video con simile materiale su YouPorn, Xvideos, Pornhub o in altri siti similari. Nell'epoca pre-Internet si trattava invece di autentiche perversioni sadiane, in grado di sconvolgere anche persone abbastanza disinibite. 

Sopravvivenza e parazzolitudine 

L'idea che non posso togliermi dalla mente è questa: la paternità di Metodo della sopravvivenza è da attribuirsi per intero a Ferruccio Parazzoli, uno degli artefici dell'entità memetica conosciuta come Dante Virgili. In questo si differenzia da La distruzione, che era opera di un'altra mano, anzi, con ogni probabilità di più autori - di cui uno doveva essere proprio Antonio Franchini. Più mi immergo nella lettura della produzione letteraria del Parazzoli, più mi convinco della fondatezza della mia ipotesi. Metodo della sopravvivenza non è tanto virgiliano, posto che l'aggettivo abbia un reale senso, quanto parazzoliano nell'essenza più profonda. Franchini ci parla anche delle vicissitudini di questo romanzo, sempre in Cronaca della fine. Stando a quanto sostiene, in Mondadori ci sarebbero state forti perplessità sulla pubblicazione: la cosa andò per le lunghe, trascinandosi per tutto il 1991, finché l'anno successivo la morte dell'autore avrebbe bloccato ogni progetto editoriale. Mi pare invece plausibile che il testo controverso sia stato prodotto in fretta e furia in seguito all'esumazione del primo romanzo attribuito a Virgili, La distruzione, ripubblicato nel 2003.

Analisi del testo e inconsistenze varie

N.B. I numeri di pagina delle citazioni si riferiscono all'edizione del 2008, quella della Pequod.

Benissimo, cominciamo con i pompini. 

Le variazioni, impasto di voluttà. Blow-job. Le immagini mi esaltano. al risveglio pieno vedo la camera invasa dal giorno chiaro.
pag. 121 


Frustavo Mirella mentre in ginocchio faceva un blow-job a Franco in poltrona.
pag. 205 

Commento: 
Come mai compare il termine blow-job (attualmente scritto blowjob) negli anni 1990-91? 
Nel doppiaggio del film Insatiable con Marilyn Chambers, del 1980, l'inglese blowjob è tradotto in italiano con "lavoro di soffio", in modo letterale nonostante il palpabile nonsenso. Eppure in Metodo della sopravvivenza, che dovrebbe risalire al 1990, troviamo il termine blow-job, scritto col trattino, già nell'uso corrente, incorporato senza troppi problemi nel patrimonio lessicale della lingua italiana. Parazzoli, cui Franchini sembra attribuire in Cronaca della fine una certa dimestichezza col materiale hard, deve avere avuto familiarità con questo termine, che suppongo abbia inserito nella narrazione attribuita a Virgili. Il fatidico vocabolo blowjob è diventato di pubblico dominio a causa dell'affaire Clinton-Lewinsky, risalente al 1998, ma solo sporadicamente compare in testi in italiano: non è riuscito a spiazzare il nativo pompino o il latino fellatio. Questi sono indizi, anche se non prove inconfutabili, del fatto che Metodo della sopravvivenza sarebbe stato scritto più tardi del 1990.

Dai pompini passiamo ora alla letteratura. 

"Interessante, vado avanti. A sessantotto anni Carlo Levi si toglie la vita gettandosi nella tromba delle scale. Thomas Mann ha avuto due sorelle suicide; nel 1949 si uccide il figlio Klaus."
"Ricordiamo che dobbiamo un gallo ad Asclepio, fu l'ultima frase di Socrate dopo aver bevuto la cicuta", aggiunge il dermatologo. "Si dice che Diogene si sia suicidato trattenendo il respiro. Come va la schiena?"
"Male, mi gratto".

pag. 213 


Commento: 
Com'è possibile che Virgili confondesse Primo Levi (1919-1987) con Carlo Levi (1902-1975), ma ricordasse quanti anni aveva lo scrittore torinese quando si è suicidato? Per inciso, Carlo Levi, autore di Cristo si è fermato a Eboli, è morto di polmonite. Il commento del carissimo amico Sergio quando gli ho fatto notare la stranezza è stato: "Un cialtrone, questo Virgili." Ok. Il punto è che la cialtroneria non risolve il mio interrogativo. Sembra quasi che  Parazzoli abbia lasciato scientemente nel testo un'esca per il lettore, come a dire: "Vediamo se capisci che si tratta di una beffa letteraria".

Anche se non contiene elementi di prova, riporto un dialogo tra il protagonista e il suo psicologo, che è un autentico capolavoro: 

"Non riesco a intuire le cause del suo odio direi biologico per gli americani. Forse c'è un rapporto con la guerra, ne parlammo allora ma lei era insensibile, assente".
"In parte. La casa di mio padre andò distrutta nel corso di un bombardamento. Gli americani distruggono, poi diventano i liberatori. Le racconto un fatto, se ha voglia di ascoltarmi".
"Volentieri, noto che oggi ha tendenza all'espansività, ma non esageri".
"Nell'ambiente in cui vivo il dialogo è impossibile, dovrei approfondire il calcio".
"A me piace, a lei no, suppongo". Guarnieri ride: "Vado spesso alla partita".
"Come spettacolo, giusto, non come centro della cultura collettiva. Per evitare il servizio di leva accettai durante l'ultimo anno di guerra un posto d'interprete presso un reparto dell'esercito di occupazione. Furono giorni rischiosi ma animati da eventi insoliti... Scomparsi i tedeschi non volli reintegrarmi subito nella vita civile.
Viaggiai per l'Italia, mi fermai a Napoli. Ho una conoscenza approssimativa dell'inglese e venni assunto come aiuto interprete da un ufficiale britannico."
"Cerco di convincere mio figlio a perfezionare inglese e tedesco, ma è svogliato. A lei le lingue sono state utili".
"Sì, mi hanno portato nel mondo dell'avventura. Dopo qualche mese, non ricordo perché, l'ufficiale mi prese a calci. Da allora cominciai a rimpiangere il mancato annientamento degli inglesi a Dunkerque. Non mi restava che abbordare gli americani. Andai a Livorno, che rigurgitava di yankee. Alle italiane piacevano, e cominciai a divertirmi in qualche compagnia estrosa. a favore della guerra gioca l'abbondanza di sesso. Fu questo che mi portò nella pineta di Tombolo. ne ha mai sentito parlare?"
"Vagamente, ero nella culla allora".
"La vita quasi selvaggia che si svolgeva a Tombolo era tollerata dalla Military Police. I soldati vi andavano a trascorrere il weekend o una breve licenza trascinando donne. Avevano provviste inesauribili di scatolame, alcol. Vivevano in capanne, in rifugi sugli alberi. Ballavano, orgiavano, erano in lite continua fra loro. Anch'io bevevo. I particolari di quella notte non li ricordo con chiarezza. Il litigio iniziò a causa di due toscane che volevano accoppiarsi soltanto coi loro boys e i militi erano quattro. Mi ero unito a loro masticando un po' d'inglese e interessato, divertito. La contesa degenerò in pugilato furibondo. A un tratto vidi nell'oscurità la lama di un coltello, sentii una donna urlare. Un soldato si accasciò al suolo, un altro fuggì. Un terzo orinava accanto a un pino, reggendosi in piedi a stento, ubriaco. È il momento, pensai. Estrassi il coltello a serramanico che avevo tolto al cadavere di un tedesco, arma appena sufficiente per questi tempi. Il quarto traballava tra le foglie aghiformi chiamando a squarciagola una donna. Pisciamo insieme, dissi avvicinandomi. Poi gli piantai nel ventre la lama, la estrassi rapido. Si afflosciò lungo il tronco con un borbottio, un sibilo. Non so se lo uccisi, lo spero, non vidi il sangue".
"Non sa se è o se non è un omicida" soggiunge Guarnieri sorridendo. "Un caso pirandelliano".
"Uccidere un americano con un'arma tedesca non è un omicidio, è un atto di guerra".

pag. 134-135 

Che dire? Questo è puro parazzolismo letterario! 

Il nostro Dante Virgili inciampa sul latino, lingua che non padroneggia affatto. 

Questo brano l'ho ricopiato al volo dal libro di Antonio Franchini, l'ormai familiare Cronaca della fine, dopo che avevo riconsegnato alla biblioteca il libro di Virgili, così non sono riuscito a recuperare il numero della pagina: 

Era oltre i sessanta, grassa, elegante, una collana di perle al collo, imbellettata, gli occhi le brillavano. Gli uomini di una certa età, mi disse, hanno un fascino speciale coi capelli quasi bianchi. Mi elargiva sorrisi, un giorno mi prese la mano che ritirai. A sentirla parlare dubitai che fosse laureata. Mi vide con alcuni quotidiani sotto il braccio, mi domandò: "Lei non è di Torino. Perché compra La Stampa?" Una sera il caso volle che ci incontrassimo, soli, sul pianerottolo. Nell'ombra mi baciò, mi accarezzò. Stavolta non ritirai la mano ed ebbi un'eiaculazione silenziosa. Mi pentii di essere stato al gioco. Si fece sempre più insinuante, più ardita. Come liberarmene. Eravamo nel gabbiotto. Confessò di annoiarsi spesso vivendo sola. "Hai il gatto nero" risposi. "Io acquisterò un cane per liberarmi del tedium vitae." Dalla sua perplessità compresi che non aveva afferrato, conclusi che era stata una bidella. Si ammalò, per tre mesi fu ricoverata. Al ritorno la vidi salire spesso sull'auto di un vecchio adiposo, calvo. Non mi importunò più, zum Glück, per fortuna. 

In pratica il protagonista si è sburrato addosso, eccitato dal contatto con la mano di una vecchia carampana, ma non è questo quello che mi preme evidenziare. La locuzione latina che indica la noia di vivere ritorna ancora nel romanzo: 

Un giorno mi scappò un tedium vitae e non capì.
pag. 65 

Commento: 
Se ammettiamo che una persona in carne ed ossa, di nome Dante Virgili, abbia scritto il romanzo, dobbiamo allora porci una domanda. Com'è possibile che un autore colto scriva tedium vitae anziché taedium vitae? Non doveva quindi conoscere bene il latino. Doveva aver appreso a scrivere correttamente vitae dalla locuzione curriculum vitae o dal titolo dell'enciclica Humanae vitae. Non era stato in grado di scrivere taedium col dittongo perché non aveva mai letto la locuzione taedium vitae in un testo: l'aveva soltanto sentita dalla viva voce di qualcuno! Se però ammettiamo che l'autore sia Parazzoli, dobbiamo vedere nel tedium vitae senza dittongo un'altra esca rivolta al lettore, per rivelare tra le righe la beffa letteraria.  

Sopravvivenza e Nazionalsocialismo

Sono evidenti gli inganni relativi alla politica. Il professore di tedesco sembra incapace di distinguere Helmut Kohl da Adolf Hitler: basta che una persona parli tedesco e diventa subito una divinità ai suoi occhi. Legge persino le opere di Thomas Mann, cosa che come minimo disgusterebbe un autentico eguace del Nazionalsocialismo tedesco. Non dobbiamo dimenticare che Mann esaltò gli esecrabili stupri compiuti dagli uomini di Ilya Ehrenburg ai danni delle donne tedesche, gioì per le immani devastazioni apportate dall'Armata Rossa e per i bombardamenti che incendiarono le città tedesche. Se ci mettiamo nei panni di un patriota tedesco che ha assistito alla riduzione in cenere della Germania, Mann può soltanto essere un lupo vorace e un demonio, un traditore che ha rinnegato il proprio Sangue (Blut) e il proprio Suolo (Boden), squarciando il ventre stesso della Patria (Heimat). Il protagonista di Metodo della sopravvivenza, così come il suo autore, dovrebbe condividere il medesimo sentire. Applico quindi la logica consequenziale. Se fosse vera la favola di Virgili "scrittore nazista", questi avrebbe potuto fare soltanto una cosa con i libri di Mann: bruciarli. 

Conclusioni:
Il Male incarnato da Dante Virgili nella teologia parazzoliana non è un principio creatore funesto. Non è un Demiurgo. Non è Ahriman. Tuttavia non è nemmeno l'assenza di Bene di cui parlava Agostino d'Ippona. Si tratta di qualcosa di assai più simile al Lato Oscuro della Forza nella mitologia di Guerre Stellari. Il cardine del parazzolismo ha tutta l'aria di essere una strana forma di panteismo influenzato in modo profondo dalla religione dei Cavalieri Jedi, cosa sorprendente per uno scrittore che per anni è stato presentato come un pilastro della Chiesa di Roma. In quest'ottica, Virgili è concepito come una specie di Sith, un Darth Vader, una massa di oscurità scaturita dagli abissi di quell'Energia Cosmica che costituisce e tiene insieme tutte le cose. Come uno sciamano nel corso di una catabasi, il vero autore di Metodo della sopravvivenza avrebbe affrontato un'impresa densa di rischi, misurandosi con questa idea di Male. Alla fine, dopo tanto tempo, le falle in questa architettura concettuale cominciano a rivelarne la natura posticcia. 

lunedì 14 gennaio 2019


ECLISSE DEL DIO UNICO

Autore: Ferruccio Parazzoli
Anno: 2012
Genere: Saggio
Argomenti: Religione, morte di Dio, panteismo, filosofia 
Editore: Il Saggiatore
Autore della prefazione: Vito Mancuso
Codice ISBN: 9788842817758
Pagine: 160


Sinossi (da www.ibs.it): 
"Non avrai altri dei di fronte a me" (Esodo 20,3). Oggi quell'Unico Dio si è disciolto come una montagna di ghiaccio. Con questa immagine sconcertante si apre l'inconsueto saggio di Ferruccio Parazzoli, dove il sublime e l'abisso si incrociano. Con l'eclisse del Dio Unico è crollato il pilastro a cui, in obbedienza e in rivolta, stava abbarbicata la cultura occidentale. Muore la rivolta metafisica, muore la tragedia cristiana, la grande creazione artistica nata dopo il Golgotha. L'autore rifugge da quello che definisce il pensiero ordinato del linguaggio debole, frutto dell'odierno nichilismo di massa, della "pappa del niente" di cui si nutre l'uomo contemporaneo, morto alle grandezze di ogni mitologia. La scrittura di Parazzoli è un incalzare di affermazioni demistificanti, di immagini ribaltanti, è la messa in scena di un dramma dove il Vecchio Dio di Abramo è caduto dietro le quinte, ma dove sul palco non è mai comparso quel Dio Padre che Gesù chiamò dalla croce. A capitoli di lucido sconcerto sull'attuale disorientamento dell'uomo occidentale ("Gli sciamani non volano più", la piatta orizzontalità dell'arte contemporanea; "Apologia del rischio", la perduta eroicità di Prometeo), si alternano capitoli visionari ("La tenda gialla", confine tra vita e morte; "Il discorso di Gesù morto", dove la vittima rivendica il proprio vittorioso fallimento). Fino alla chiusa commovente y final (*) de "La cerimonia dell'addio". Un appassionato j'accuse. Prefazione di Vito Mancuso.  

(*) Non si capisce il perché dell'inserimento di questa locuzione in spagnolo, che si trova in ogni sito nel Web, anche in quello di Mancuso. Forse è stata copiata in modo pedissequo da un originale già bacato? Molti siti hanno anche "commuovente" per "commovente"

Recensione:
Non ringrazierò mai abbastanza l'amico C. per avermi fatto conoscere il libro di Antonio Franchini, Cronaca della fine (2003), che a sua volta mi ha fatto conoscere l'opera di Ferruccio Parazzoli - e la sua stessa esistenza, che prima ignoravo. Tutto è iniziato dal caso assai complesso dell'autore nichilista Dante Virgili, che rappresentava un autentico rompicapo nel panorama letterario italiano. A modo suo, il libro di Franchini mi ha enormemente aiutato a fare chiarezza e a comprendere molte cose. Frugando nella produzione eclettica del Parazzoli, sono arrivato fino a questa gemma pubblicata nel 2012, Eclisse del Dio Unico. Non userò mezzi termini. Per come la vedo, tecnicamente parlando si tratta di un vero e proprio atto di abiura. Coraggioso, non ci sono dubbi, per certi versi unico nel suo genere. Non basta: questo scritto rappresenta molto di più di un mucchietto di opinioni e certamente merita un approfondimento. Questo perché a tutt'oggi, nel 2019, il Parazzoli è ancora presentato come autore cattolico, nonostante abbia da tempo fatto convinta professione di panteismo, negando proprio la fede in quel Dio che è il nucleo stesso del teismo cattolico.

"Questo libro è un documento significativo. L’autore infatti è stato per molti anni (ed è ancora considerato tale ora che scrivo) un intellettuale organico alla gerarchia della Chiesa cattolica, con una collaborazione fissa con “Famiglia Cristiana”, una rubrica sul mensile “Jesus”, svariati articoli su “Avvenire” dove gli è stata affidata anche la striscia di spiritualità quotidiana detta Mattutino, e i puntuali inviti della Presidenza della Conferenza Episcopale a prendere la parola nei congressi e nei simposi ufficiali, per i quali, si sa, la minuziosa e diplomatica selezione degli invitati è già parte integrante del messaggio finale."  

Così Mancuso nella prefazione al saggio in analisi. Il documento è consultabile sul sito del teologo panenteista e anticataro. Questo è l'url:


Come si può ben vedere, non mi sto inventando nulla. Questo però non basta. Leggete tutti con grande attenzione: 

"Ferruccio Parazzoli ha voluto indagare lo sfondo oscuro, “scoprire il punto oscuro del mondo in cui piantare la mia leva per rovesciarlo”, come si legge nel Discorso di Gesù morto. In queste pagine l’ha fatto in forma saggistica, anche se non prive di invenzioni narrative, dopo che nei suoi numerosi romanzi, tra cui desidero ricordare Nessuno muore (Mondadori 2001) e Il mondo è rappresentazione (Mondadori 2011), l’ha fatto in forma narrativa. Ma l’indagine è unica, come unica è la vita. E l’indagine alla fine l’ha condotto ad abbracciare il panteismo.
Questo libro si presenta quindi come l’onesto documento di un uomo che è stato cattolico per tutta la vita, e quindi naturalmente teista, e che ora non è più teista, bensì panteista."


Non bisogna correre troppo con l'immaginazione per comprendere che questo punto oscuro del mondo, che Parazzoli ha usato come leva, ha un nome e un cognome: Dante Virgili. L'identificazione è ancor più interessante, perché proprio la fede cattolica dello scrittore romano - che a quanto mostrato sopra è ormai tutto fuorché certa - è talvolta usata come prova dell'impossibilità di attribuirgli le opere di Virgili. Il ragionamento di chi sostiene questa tesi è lineare e chiaro, anche se a parer mio è fuorviante:

   1) Virgili è tutto fuorché cattolico e simpatizza per Adolf Hitler;
  2) Parazzoli è cattolico, oltre che un importante espontente dell'intellighenzia cattolica.
Ergo, nemmeno una riga delle opere di Virgili può essere stata scritta da Parazzoli. 


Il punto 2) contiene un anello debole della catena logica. In effetti quanto sostengo è duro da mandar giù. Ne sono pienamente consapevole. L'idea che l'autore di Carolina dei miracoli sia anche l'autore di Metodo della sopravvivenza è come un pugno nello stomaco, qualcosa da cui è difficile riprendersi. Eppure questa è la conclusione che possiamo trarre dall'analisi dei dati di fatto, come già mostrato con argomenti piuttosto solidi. Adesso però torniamo a noi, dato che in Eclisse del Dio Unico non si fa alcuna menzione di Dante Virgili e dei due romanzi a lui attribuiti. 

Come Mancuso fa notare, l'uso del termine Eclisse non descrive bene ciò che Parazzoli esprime nel suo saggio. Infatti si tratta di una parola che allude all'occultamento improvviso ma temporaneo della luce di un astro. Se il sole è eclissato, sembra calare la notte, ma poco dopo la luminosità torna a crescere finché la tenebra non viene del tutto dissipata. Parazzoli avrebbe dovuto intitolare la sua opera Tramonto del Dio Unico, perché all'occultamento dell'astro divino non farà seguito la ricomparsa neppure di un singolo raggio di luce. Certo, non si tratta di un annuncio nuovo. Immagino di non dover parlare in modo approfondito del famoso proclama "Dio è morto" (Gott ist tot) che compare in due opere di Friedrich Nietzsche: Così parlò Zarathustra (Als sprach Zarathustra, 1881-1885) e La gaia scienza (Die fröhliche Wissenschaft, 1882). Abbiamo poi Il crepuscolo degli idoli (Götzen-Dämmerung, 1889), sempre del filosofo di Röcken, e L'eclissi di Dio (Gottesfinsternis, 1953), di Martin Mordechai Buber. Il processo di dissoluzione di Dio e del monoteismo è irreversibile e genera un aumento dell'entropia. Non a caso l'autore ricorre all'immagine di un gigantesco iceberg che dapprima dà segni di cedimento per poi scioglersi a ritmo sempre più sistenuto, finendo quindi col disintegrarsi. Una volta che l'iceberg divino si è dissolto nell'oceano, ha perso completamente e per sempre la sua individualità: non c'è più nulla che lo possa ricostituire. 

Procedendo, Parazzoli analizza punto per punto il processo di morte e di decomposizione del concetto stesso di Dio. Non soltanto: è l'idea del rapporto di Dio col mondo, tipica del teismo, che sta subendo disintegrazione. Ad essere in crisi e condannata alla scomparsa è proprio l'idea di Dio come eternamente distinto dall'Universo che ha creato dal Nulla. Va da sé che a sostituire il teismo morente non è l'ateismo. Infatti l'ateismo è la negazione del teismo, che costituisce un presupposto indispensabile per la sua esistenza. Con la dissoluzione del polo monoteista, anche l'ateismo ne subirà le sorti. Ci possiamo porre una prima domanda: "Come muore il teismo?" La risposta data da Parazzoli è semplice: il teismo non muore per azione di un uccisore, che sia consapevole o meno.  Il processo che si è da tempo innescato è spontaneo. Il teismo agonizza nell'indifferenza delle masse. Questo perché Dio è come un attore che ha abbandonato il teatro del mondo a se stesso. Altra domanda cardine è questa: "Perché muore il teismo?" Anche in questo caso la risposta è diretta. Il teismo cristiano si spegne perché non fornisce risposte credibili ai problemi dell'esistenza. Più in dettaglio, non è in grado di risolvere questi problemi, con buona pace dei teologi cattolici: 
1) Il paradosso del Male, che non è semplice "assenza di Bene", ma dolore concreto che colpisce e stritola anche bambini innocenti. 
2) La natura intrinsecamente incoerente di Dio, in cui il Padre amorevole del Nuovo Testamento si scontra con il carnefice genocida dell'Antico Testamento.
3) Il supplizio della croce come destino ontologico di Gesù, deciso ab aeterno, cosa che implica il sostanziale fallimento dell'opera dell'Artefice.
4) L'impossibilità di leggere la Bibbia come Sacra Scrittura, la sua riduzione a semplice narrativa teologica, neppure meritevole di essere salvata da un futuro macero universale.
5) La natura intollerante degli attuali monoteismi, di cui è evidente l'antica derivazione "tribale, nazionalista e populista"


Queste aporie a mio avviso possono essere risolte soltanto per mezzo del Dualismo manicheo, ma si tratta di una soluzione estremamente impopolare che nessuno sembra voler accettare. Infatti Parazzoli non ci pensa nemmeno per un momento, e non fa la benché minima menzione a questa possibilità concettuale: la soluzione che escogita è invece il panteismo. Cessa così la divisione tra Dio e il mondo: Dio è il mondo - con tutte le perigliose conseguenze del caso. Conseguenze che l'autore non esplora: la sua professione di fede panteista resta piuttosto ermetica. Eppure anche il panteismo presenta aporie, non meno spaventose di quelle del teismo cristiano. Ad esempio, se lo sterco fa parte del mondo, e Dio è il mondo, quali conclusioni possiamo trarne? Che anche lo sterco è Dio, che il divino si identifica con lo sterco. Esiste una setta induista di fachiri denominati Aghori, che fanno di queste proposizioni panteiste il loro vessillo: ritengono che nulla di ciò che esiste nel mondo sia impuro, perché tutto è divino, così ingeriscono le feci, bevono l'orina e il mestruo delle prostitute, si cospargono il corpo delle ceneri dei morti, consumano carne umana putrefatta. Soltanto gli Aghori hanno assunto su di sé il peso del panteismo, fino in fondo, con gesti concreti e con coerenza estrema. Per il resto, tutte le parole dei sedicenti panteisti del mondo paiono soltanto un flatus vocis.

Altra soluzione rifiutata da Parazzoli è quella nichilista. Egli distingue tra un nichilismo forte, consapevole ed estrema negazione di qualsiasi senso dell'esistenza, e un nichilismo debole o nichilismo delle masse, quasi una forma di entropia del pensiero, una sfocata scoria collettiva definita come "pappa del niente" (ma forse sarebbe meglio dire "cacca del niente"). La cosa mi lascia un po' perplesso. Se tutto è Dio, come il panteismo afferma, allora è Dio anche la "pappa del niente" (o "cacca del niente"). Per un panteista tutto deve per necessità essere equivalente, perché tutto è Dio. Quindi semmani dovremmo parlare di "pappa di Dio" o di "pappa divina". Un teista cristiano ha ragione di lamentarsi di questa degradazione del sentire delle masse, un panteista non ne avrebbe motivo. Sembra quasi che l'autore, pur cambiando la rotta della propria vita, mantenga ben fissi alcuni residui della sua precedente condizione di cattolico. Spero che altri commentatori dell'opera parazzoliana colgano questa incoerenza e sviluppino trattati più approfonditi del mio. 

Acute, caustiche e pienamente condivisibili sono le osservazioni su un punto di capitale importanza: l'afasia della cultura cattolica. Il mondo cattolico, una volta che la fine del teismo ha spezzato il legame tra il linguaggio e i dati di fatto che dovrebbe descrivere, è diventato autoreferenziale. Un microcosmo cattolico paragonato a "un albero senza fronde né frutti". Altra suggestiva locuzione parazzoliana che ben descrive l'accaduto è "ingresso della cultura cattolica in un alone di buio". Ecco un estratto particolarmente significativo a questo proposito:

"A quasi quattromila anni di distanza un settimanale cattolico ha provato a lanciare un appello ad alcuni attuali e volonterosi sacerdos del linguaggio perché tentino di ricomporre il tramite con il Dio monoteista.
Ridato al linguaggio, sia pure occasionalmente e artificialmente, il Polo di riferimento del Dio Unico - ignorando, o fingendo di ignorare, il discioglimento di Antartide o cercando comunque di esplorarne il disfacimento - gli improvvisati sacerdos - un filosofo, due poeti, tre narratori -, rivestiti per l'occasione i paramenti del rito, riprovano a frarsi tramite con il Dio Personaggio. Ma le fragili navi di Argo trovano il livello delle acque inaspettatamente innalzato, il periplo delle coste irriconoscibile e un silenzio siderale. Gli esploratori mandati in avanscoperta fanno ritorno a mani vuote. Il loro linguaggio si è risolto in un soliloquio senza più alcuna possibilità di risalire all'origine del mito, al «Trono di Dio», come era chiamato il luogo dei cieli dove sedeva il Dio di Occidente.
Ognuno lamenta la moneta perduta, l'ansia della ricerca, il proprio smarrimento, la debolezza della propria nostalgia. In realtà non hanno più alcun Dio a cui parlare. Parlano a un cielo oscurato, forse già vuoto. Il vecchio Dio di Occidente non ritorna in scena.
La Rappresentazione, scaduta in spettacolo, non lo interessa più. Scivolato giù dal Trono, il Dio di Occidente si aggira dietro le quinte, dietro le cupole e i colonnati, nei sotterranei della Storia."

(pagg. 79-80)


Mancuso paragona il testo di Parazzoli all'oracolo che annunciò la morte di Pan, così ben descritto da Plutarco. Si chiede se l'annunciata morte del Dio Unico non possa essere al contempo una resurrezione di Pan e del paganesimo politeista. Poi favoleggia sul passaggio dal Deus cristiano (maschile, personale) a un Deum pagano (neutro, impersonale). Se devo essere franco, non amo molto queste trovate. Iniziamo a stendere un pietoso velo sul fantomatico Deum: le antiche divinità erano peronali e dotate di sesso. Passiamo quindi alla natura stessa delle cose del mondo. In questo Universo dominato dalla crescita dell'entropia, non avvengono resurrezioni. L'antico politeismo si è eroso e degradato, si è mutato in scorie che sono state disperse dalla nuova religione del Dio Unico. Questo è un processo che non ha possibilità alcuna di essere reversibile. Nulla ritorna mai dalla dispersione e dall'Oblio. Una volta che il fuoco delle Vestali è stato spento, nessuno potrà mai pretendere che la sua fiamma, presa a viva forza dai secoli passati in cui ardeva, possa formarsi dal nulla e riprendere ad attecchire. L'Eclisse del Dio Unico non dà nuova luce a ciò che c'era prima che questo Dio Unico sorgesse in Occidente, come la fantasia mancusiana vorrebbe: costituisce invece un inarrestabile progredire dello sfacelo, verso l'orizzonte della Mors Ontologica.