domenica 9 agosto 2015

PALEOSARDO, LE RADICI LINGUISTICHE DELLA SARDEGNA NEOLITICA

Quando si discuteva della lingua (o meglio delle lingue) della Sardegna preromana, si aveva spesso l'impressione di essere inghiottiti da un baratro spaventoso, si avvertiva una penetrante sensazione di gelido vuoto: questo era il vuoto dell'Ignoranza. Non si riusciva in alcun modo a formarsi un'idea concreta dell'origine dei Sardi antichi e di come parlassero. Certo, esistevano studi sulla toponomastica e su elementi di sostrato prelatino nelle varietà di lingua sarda, ma nessuno arrivava a una conclusione certa. Adesso tutto è cambiato. Grazie al prezioso volume del prof. Eduardo Blasco Ferrer, "Paleosardo. Le radici linguistiche della Sardegna neolitica", si è giunti a una soluzione scientifica del secolare problema. A dire il vero già Massimo Pallottino aveva ipotizzato uno stretto legame tra la lingua preromana della Sardegna e la lingua basca, ma data la sua scarsa conoscenza dell'Euskera, i suoi studi non avevano dato un gran frutto. Certo, questa lingua del ceppo del basco non esaurisce l'esistente: non abbiamo a che fare con un sostrato monolitico. Avemo modo di trattare questi affascinanti argomenti in relazione ai vari popolamenti che hanno avuto luogo nella Sardegna preistorica e protostorica.

Debbo riportare anche una cosa molto disdicevole: il libro di Blasco Ferrer ha avuto nel Web un'accoglienza tremenda. Purtroppo esistono in Sardegna non poche persone che rimangono ancorate a idee pseudoscientifiche. Alcuni credono che le attuali varietà neolatine dell'isola fossero parlate ab aeterno. Tra questi ci sono i seguaci dell'Alineismo, che in modo ridicolo intrepretano la parola nuraghe come "casa della nuora", ma non soltanto loro. Molte persone non sembrano capire che le lingue nel corso dei secoli e dei millenni cambiano, muoiono, vengono sostituite da altre. Così si spiega come possano deridere i suoni dei loro stessi Padri. Poi ci sono quelli che negano addirittura la natura neolatina della lingua sarda attuale e la reputano di origine babilonese e sumerica, a dispetto di ogni evidenza. Tra loro vi sono i Semeranisti. Tutti costoro non hanno perdonato al Blasco Ferrer il suo lavoro, scagliandosi contro di lui selvaggiamente. Altri ancora la menano per l'uso di parole come "Pelliti" e "Mastrucati" rivolte dai Romani ai Sardi antichi: basta citarle in un lavoro - anche solo a fini di conoscenza - per farsi molti nemici mortali. Queste manifestazioni di odio belluino dovrebbero aver fine, perché non fanno onore ai Sardi, popolo di cui ho la massima stima. 

Per invogliare gli studiosi seri ad acquistare il volume, nonostante il suo prezzo non sia esiguo, pubblico senza indugio il suo indice completo, ottenuto da Google Books:



Paleosardo. Le radici linguistiche della Sardegna Neolitica

Autore: Eduardo Blasco Ferrer
Anno: 2010
1a edizione it. (cartaceo): 28 settembre 2010
1a edizione it. (pdf): 22 settembre 2010
Editore: De Gruyter
Collana:  Beihefte Zur Zeitschrift Fur Romanische Philologie
ISBN-10: 3110235595
ISBN-13: 978-3110235593
ISBN (pdf): 978-3-11-023560-9
Formato: Copertina rigida
Pagine: 243 pagg.

Prefazione

1. Il sostrato. Definizione e studio interdisciplinare
1.1. Definizione di sostrato
1.1.1. Il sostrato in Linguistica
1.1.2 Il sostrato in Psicolinguistica i Sociolinguistica
1.1.3. Sostrato, Interferenze, Prestiti
1.1.4. Sostrato e Regole di sviluppo

1.2. Sostrato e Toponomastica
1.2.1. Nomi comuni e Toponimi
1.2.2. Toponomastica e Campi semantici
1.2.3. Fonti e Problemi della Toponomastica

1.3. Sostrato e dati extralinguistici
1.3.1. Sostrato e dati storiografici
1.3.2. Sostrato e Archeologia
1.3.3. Sostrato e Genetica
1.3.4. Ricostruzione linguistica ed extralinguistica
     del sostrato

2. Metodi di analisi linguistica del sostrato

2.1. Sostrato e Metodo storico-comparativo
2.1.1. La ricostruzione dell'Indoeuropeo
2.1.2. Il sostrato paleo(ind)europeo
2.1.3 Il sostrato periindoeuripeo o mediterraneo 

2.2. Sostrato e Metodo bilingue
2.3. Sostrato e Metodo combinatorio e tipologico

3. Storia della ricerca sul Paleosardo

3.1. Sostrato paleosardo e dati extralinguistici
3.1.1. Paleosardo e dati storiografici e mitologici
3.1.2 Paleosardo e dati archeologici
3.1.3. Paleosardo e dati genetici
3.1.4. Consuntivo della ricerca extralinguistica sul
     sostrato paleosardo

3.2. La ricerca linguistica sul sostrato paleosardo
3.2.1 Il metodo storico-comparativo e la scuola
     italiana
3.2.2 Wagner, Hubschmid e il sostrato paleosardo
3.2.3 La ricerca postwagneriana e il metodo storico-
     comparativo
3.2.4 Il sostrato paleosardo e il metodo
     combinatorio e tipologico

4. Tipologia del Paleosardo

4.1. Analisi strutturale dei microtoponimi sardi
4.1.1. Procedimento di Segmentazione
4.1.2. Allomorfi
4.1.3. Radici
4.1.4. Suffissi
4.1.5. Prefissi
4.1.6. Quadro distribuzionale
4.1.7 Esemplificazione illustrativa
 4.1.7.1. Orga
 4.1.7.2. Obi
 4.1.7.3. *Deu
4.1.8. Avvertenze finali

4.2.
4.2.1. Radici
 4.2.1.1. ala 
 4.2.1.2. aran 
 4.2.1.3. arki  
 4.2.1.4. ard  
 4.2.1.5. artz
 4.2.1.6. bar  
 4.2.1.7. berri  
 4.2.1.8. bide
 4.2.1.9. kar(r)a   
 4.2.1.10. kere  
 4.2.1.11. kuk
 4.2.1.12. des  
 4.2.1.13. dol  
 4.2.1.14. donn  
 4.2.1.15. gav
 4.2.1.16. gon(n) 
 4.2.1.17. gorr 
 4.2.1.18. ili 
 4.2.1.19. iri  
 4.2.1.20. is, itz  
 4.2.1.21. isti 
 4.2.1.22. lak    
 4.2.1.23. lats
 4.2.1.24. lok
 4.2.1.25. lur
 4.2.1.26. mand 
 4.2.1.27. masa 
 4.2.1.28. mele
 4.2.1.29. nava

 4.2.1.30. nur  
 4.2.1.31. ola
 
 4.2.1.32. on  

 4.2.1.33. ona 
 
4.2.1.34. ore  
 4.2.1.35. orga
 
4.2.1.36. orri
 
4.2.1.37. ortu
 
4.2.1.38. orve
 
4.2.1.39. osa 
 4.2.1.40. ospe 
 
4.2.1.41. ost
 
4.2.1.42. otzi
 
4.2.1.43. ovi 
 
4.2.1.44. pal
 
4.2.1.45. sala
 4.2.1.46. sara
 
4.2.1.47. sil
 
4.2.1.48. sini 
 
4.2.1.49. sol
 
4.2.1.50. soro
 
4.2.1.51. sune
 
4.2.1.52. tala
 
4.2.1.53. tort
 
4.2.1.54. turki
 
4.2.1.55. turri  

 4.2.1.56. ur 

 4.2.1.57. urri 
 4.2.1.58. zur [tsur]
   

4.2.2. Suffissi
  4.2.2.1. Problemi generali
  4.2.2.2. mele (a) e nele (b)
  4.2.2.3. kore
  4.2.2.4. ertz

4.2.3. Prefissi

4.3. Tipologia del Paleosardo
4.3.1. Tipologia morfologica
4.3.2. Tipologia fonologica

5. Paleosardo, Paleobasco, Iberico
5.1. Giustificazioni del confronto
5.1.1. Coordinate extralinguistiche
5.1.2. Concordanze lessicali e tipologiche

5.2. Breve descrizione tipologica del Paleobasco

5.3. Breve descrizione tipologica dell'Iberico

5.4. Confronto fra Paleosardo e Paleobasco
5.4.1. Radici
 5.4.1.1. al 
 5.4.1.2. (h)aran 

 5.4.1.3. ardi
 
5.4.1.4. (h)artza 
 5.4.1.5. baso 
 5.4.1.6. berri 
 5.4.1.7. bide
 5.4.1.8. *dese 
 5.4.1.9. *dol
 5.4.1.10. ertz
 5.4.1.11. *goni
 5.4.1.12. gorri 
 5.4.1.13. (h)iri
 5.4.1.14. isti(l)
 5.4.1.15. itz, *iz
 5.4.1.16. lats 

 5.4.1.17.
logi
 

 5.4.1.18. lur

 5.4.1.19.
mando

 5.4.1.20. *nur
 5.4.1.21. ola 

 5.4.1.22. on
 5.4.1.23. ona
 5.4.1.24. orri, osto 
 5.4.1.25. (h)otz 

 5.4.1.26. (h)obi
 5.4.1.27. soro 
 5.4.1.28. susune

 5.4.1.29. (i)turri
 5.4.1.30. ur 
 5.4.1.31. zuri

5.4.2. Suffissi
 5.4.2.1. -ake
 5.4.2.2. -ai, -ei, -oi
 5.4.2.3. -tz

5.5. Confronto fra Paleosardo e Iberico
5.5.1. Radici
 5.5.1.1. arki   
 5.5.1.2. bar    
 5.5.1.3. ker'e  
 5.5.1.4. ili      
 5.5.1.5. lako      
 5.5.1.6. beles'/meles
 5.5.1.7. *ortu

 5.5.1.8. sine
 5.5.1.9. tortin 
 5.5.1.10. turki, urki

5.6. Radici di origine incerta o ignota
 5.6.1. *kar(r)a 

 5.6.2. *kuk
 5.6.3. *deu
 5.6.4. *donn  
 5.6.5. gava 
 5.6.6. nava
 5.6.7. ore
 5.6.8. orga
 5.6.9. *orve 

 5.6.10. *osa

 5.6.11. *ospe
 5.6.12. *pal
 5.6.13. *sala
 5.6.14. *sara
 5.6.15. *sil
 5.6.16. *sol
 5.6.17.
*tala

5.7. Collaudo semantico e Ricostruzione
     antropologica
5.7.1. Semantica del Paleosardo
5.7.2. Ricostruzione antropologica

6. Stratigrafia del Paleosardo
6.1. Paleosardo e Paleobasco
6.1.1. Radici primarie
6.1.2. Radici secondarie e dubbie

6.2. Paleosardo e Iberico
6.2.1. Radici iberiche
6.2.2. Radici paleosarde e Semantica iberica

6.3. Paleosardo, Periindeuripeo e Paleoindeuropeo
6.3.1. Problemi di metodo
6.3.2. Radici periindeuropee
6.3.3. Radici contese fra Periindeuropeo e
     Paleoindeuropeo
6.3.4. Radici paeo(ind)europee

7. Paleosardo e reazione etnica del sostrato
7.1. Questioni di metodo
7.2. Accento
7.3. Innalzamento vocalico
7.4. Aspirazione e perdita di [f]-iniziale
7.5. Mantenimento delle occlusive sorde
     intervocaliche e sonorizzazione della sorda
     iniziale [k]
7.6. Altri fenomeni

8. Conclusioni e Desiderata
8.1. Conclusioni
8.1.1. I dati linguistici ed extralingusitici
8.1.2. Tempi e modalità
8.2. Desiderata

9. Bibliografia
9.1. Abbreviazioni bibliografiche

10. Indici
10.1. Indice degli Autori
10.2. Indice delle materie
10.3. Indice onomastico e toponomastico
10.3.1. Indice paleosardo
10.3.2. Indice basco
10.3.3. Indice iberico
10.3.4. Indice di altre lingue
10.3.5. Indice di Radici e Suffissi paleosardi
 10.3.5.1. Paleobasco
 10.3.5.2. Iberico
 10.3.5.3. Periindeuropeo e/o Paleoindeuropeo
 10.3.5.4. Suffissi
10.4. Indice delle parole
10.4.1. Sardo
10.4.2. Basco
10.4.3. Latino
10.4.4 Altre lingue

11. Cartine storico-linguistiche
11.1. Aree storico-linguistiche dei Paesi Baschi
11.2. Aree storiche e comuni di riferimento della
     Sardegna
11.3. Aree di densità toponomastica paleosarda
11.4. Concordanze lessicali paleosipaniche-
     paleosarde
11.5. Reazione etnica del sostrato paleoispanico in
     Sardegna
11.6. Vettori pre-neolitici e neolitici di congiunzione
     tra la Penisola Iberica e la Sardegna

12. Documentazione fotografica
12.1 Aranaké (Orune)
12.2. Desunele (Orgósolo)
12.3. Makumele (Macomer)
12.4. Otzissai (Olzai)
12.5. Santa Maria Navarrese (Baunei)
12.6. Susune (Orgósolo)
12.7. Tuturki (Scano Montiferru)

L'Autore:
Eduardo Blasco Ferrer, laureato in Linguistica romanza presso l’Università di Erlangen, ha conseguito nel 1982 il titolo di dottorato nella stessa materia. Nel 1986 inizia la sua carriera accademica, prima come lettore di catalano all’Università di Cagliari, poi in qualità di professore di Filologia romanza a Sassari, a Bonn, a Monaco, infine come docente di Filologia tedesca a Firenze e di Linguistica sarda presso l’Università degli studi di Cagliari. È inoltre direttore della collana “Studi di Linguistica sarda”, condirettore del Centro Wagner con sede a Nuoro, direttore della collana Samanunga e del Master “Approcci interdisciplinari nella didattica del sardo”. Con la Ilisso ha lavorato alla collana Officina linguistica.

sabato 8 agosto 2015

LA LINGUA ETEOCRETESE E IL CASO DELLE MOSCHE CHE DIVENTANO TOPI

Errare humanum est. Chi non ha mai sentito almeno una volta nella sua vita questo proverbio latino? Nessuno al mondo può dirsi ad esso estraneo. Esiste anche un altro proverbio, questa volta italiano e non meno vero. Non sbaglia mai chi non fa una mazza. Peccato che le genti, a cui pure questi detti sono familiari, non ne tengano conto e non perdano occasione di scagliarsi contro chiunque faccia un minimo errore, arrivando persino a usare refusi per vanificare l'opera altrui. 

Dico queste cose perché ho trovato un grave errore nell'opera del validissimo prof. Giulio Facchetti, studioso per cui nutro la massima ammirazione, cui si devono studi approfonditi ed eccellenti sulla lingua etrusca. Non si pensi che quanto mi accingo ad esporre sia inteso come una critica distruttiva: segnalo ciò che ho scoperto a beneficio della Scienza, perché le nostre conoscenze della lingua dei Rasna possano progredire.

Così scrive Facchetti in Qualche osservazione sulla Lingua Minoica (2001, pag. 10):  

"Anche la glossa esichiana cret. θάπτα = 'topi' troverebbe riscontro nella radice etrusca θap- 'consumare' (perciò min. thapt- sarebbe 'roditore' o simili). Corrispondenze lessicali di questo genere, se esatte, sono certamente importanti, anche se non possono provare molto circa l'eventuale affinità linguistica etrusco-minoica". 

E ancora, in Appunti di morfologia etrusca. Con un'appendice sulla questione delle affinità genetiche dell'etrusco (2002, pagg. 123-124):

"Sul piano meramente lessicale altri punti di contatto tra materiale minoico ed etrusco, la cui semantica è circoscritta o circoscrivibile (in quanto analizzabile combinatoriamente nei rispettivi corpora o ricavabile da glosse), sono i seguenti:

minoico

etrusco

ku-ro 'totale'

χurv(ar) 'completo'

mari- 'maiale'

mar- vittima sacrificale

(in TC 7 e 10)

marti- (prob.
'vergine')

Mariš genietto infante
= ma-te)

thapt- / latt-
'topo, roditore'

θap- 'consumare'
(-aθ/t nomi d'agente)

Ariēda 'Ariadne'

Ariaθa 'Ariadne'


Per tutti i particolari rimando al mio intervento su «Kadmos»."

Concordo con i raffronti relativi a "totale", "maiale" e "Aradne", mentre ho qualche dubbio su "vergine" paragonato al nome etrusco di Marte. Tuttavia sappiamo per certo che nella lingua eteocretese θάπτα (variante λάττα) non significava affatto "topi". Guardiamo con attenzione la parola greca con cui Esichio traduce il termine. Così è riportato nel testo: θάπτα. μυῖα (Cret.); λάττα. μυῖα (Polyrrhen.). 

Facchetti traduce μυῖα con "topi", ma questo è un marchiano errore. Infatti in lingua greca μυῖα significa "mosca". La parola per "topo" è invece μῦς, che è di genere femminile, e al plurale fa μύες (< *mu:ses). Corrisponde alla perfezione al latino mus /mu:s/, pl. mures /'mu:re:s/, con -r- derivante da regolare rotacismo di un'originale consonante sibilante -s- divenuta sonora. Anche nelle lingue germaniche vige questo vocabolo: tedesco Maus, pl. Mäuse, inglese mouse, pl. mice, norreno mús, pl. mýss. L'origine della radice *mu:s- è eminentemente indoeuropea.

Così bisogna correggere senza indugio gli scritti di Facchetti: θάπτα "mosca". Non è quindi lecito associare questo vocabolo cretese alla radice etrusca θap- "consumare". Un verbo formato dalla base θap- ricorre in una formula di maledizione su lamina di piombo (Po. 4.4) e ha un senso chiaramente infausto: la locuzione θapicun θapintas (ripetuta con la variante θapintais) è stata tradotta da come "consumo avendo(li) consumati". Altro famoso vocabolo etrusco da Facchetti associato alla radice verbale θap- "consumare" è θapna, θafna, che è stato tradotto tra le altre cose come "bicchiere". Facchetti pensa che il significato centrale di questa parola sia "consumazione". Questo senso di "consumare" sarebbe per lo studioso il motivo per cui il vocabolo in un'occasione è scritto su un candelabro, dove si consumavano le candele.

Le cose possono non essere così semplici. Una volta respinta la falsa traduzione della glossa cretese di Esichio, l'edificio vacilla e necessita di essere ridiscusso. Sulla derivazione del vocabolo per dire "topo" da "consumare" ho avuto fin dall'inizio qualche dubbio. La lingua etrusca non è un argot, anche se possono essere presenti definizioni tabù.

A parer mio occorre separare le tre radici.

1) L'idea da me proposta è che θafna, θapna significhi semplicemente "oggetto tombale", che la parentela sia col greco τάφος "tomba, sepoltura" (cfr. θάπτω "io seppellisco"). Il significato più antico dovrebbe essere quello di "cavità", che riemergerebbe anche nel còrso tafone "buco" (elemento di sostrato preromano).
Alla radice *dhembh-, *dhṃbh- "tomba" ricostruita dagli indoeuropeisti (es. Pokorny), l'etrusco risponderà così con la radice θaf- (θap- è forma secondaria), documentata a quanto ne so soltanto in questa formazione col suffisso -na, che mi appare del tutto analoga a hupni-na "oggetto tombale", formato da hupni "loculo". Non è chiaro quale sia stato il percorso di questa radice.    

2) Il verbo θap- è stato tradotto con "consumare" non per un volo pindarico, ma per associazione a due parole latine: daps "banchetto sacro" (gen. dapis) e damnum "danno" (< *dapnom). La radice, che sembra indoeuropea come "pizza" e "stiletto" sembrano parole inglesi, è presente anche tra i Germani: norreno tafn "sacrificio"
Alla radice *dap- ricostruita dagli indoeuropeisti, l'etrusco risponderà così con la radice θap-, o meglio θapi-(n)-. Non ho certezze sull'origine ultima di questa radice, anche se è possibile che fosse tipica delle lingue tirreniche e sia passata poi ad alcune lingue indoeuropee.  

3) Quale sarà dunque la parentela dell'eteocretese θάπτα "mosca"? Semplice: latino tabanus, italiano tafano, di origine etrusca. Possiamo quindi dedurre etrusco *taφa "mosca", la cui radice si trova in taφu, taφane "tafano", entrambi attestati come gentilizi, cfr. latino Tappo e Tabanius.
L'eteocretese ci mostra una forma con consonanti diverse rispetto all'etrusco. Siamo forse di fronte a una rotazione consonantica nell'ambito delle lingue tirreniche? Sono indotto a pensare di sì, dal momento che altri esempi tratti dal sostrato pre-greco ne sono la testimonianza (es. greco θεάομαι "io osservo" rispetto a etrusco teu-, tev- "osservare; mostrare",
tva "egli mostra").

Significativi elementi per comprendere l'etrusco e la sua origine sono spesso da rintracciarsi in quella parte di vocabolario latino e greco che non ha origine indoeuropea, e che in non pochi casi è tuttora vivente nelle lingue romanze. Avendo a che fare con strati di lessico molto antichi, tracciare correttamente i percorsi compiuti dalle radici può essere davvero arduo. 

Tornando alle mosche diventate topi, sono convinto che il Facchetti abbia compiuto questo errore in buona fede: mi rifiuto di credere che egli non avrebbe saputo trovare uno svarione che ho trovato a colpo d'occhio io, che pure non sono un grecista di professione. Credo che con ogni probabilità lo studioso abbia lavorato su una traduzione errata già in partenza, trovando l'erroneo θάπτα "topi" su qualche libro e non avendo controllato il testo originale.

Quello che mi fa specie è che nessuno, dico nessuno, nell'intero mondo accademico si sia accorto di questa errata traduzione, che a rigor di logica avrebbe dovuto saltare agli occhi anche di un professore del liceo classico. Nessuno a quanto pare ha segnalato la cosa. Cosa bisogna dedurne? Viene il legittimo sospetto che in Italia la lingua greca sia un libro chiuso, come già lo era per i nipoti di Simmaco.

Colgo l'occasione per salutare il prof. Facchetti, che non ho ancora avuto il piacere di conoscere, e per invitarlo a intervenire sulla questione.

ALCUNE NOTE SULLA LINGUA NEOEBRAICA

Sempre in agguato è l'illusione della perfetta aderenza tra una lingua ricostruita e il modello a cui si ispira. Talvolta questa ingenuità porta ad esiti di un grottesco molto spinto. Un esempio valga per tutti: quello della lingua ufficiale dello Stato di Israele, comunemente chiamata lingua ebraica, ma che più correttamente dovrebbe essere nota come conlang neoebraica. Si tratta infatti di un prodotto artificiale, che si discosta in misura anche notevole dalla lingua delle Scritture. Tempo fa mi capitò di leggere su un quotidiano alcune considerazioni dello scrittore Amos Oz, il quale sosteneva che grazie alla lingua ebraica ricostruita, un israeliano di questi tempi sarebbe in grado di intendere il Re David e i Profeti. In un successivo articolo, forse resosi conto dell'assurdo, lo scrittore correggeva il tiro affermando che non valesse l'inverso, ossia che il Re David e il Profeti non capirebbero molto dei discorsi di un ebreo del giorno d'oggi, a causa dei molti nuovi vocaboli presi a prestito da varie fonti. Sono riuscito a trovare il secondo articolo, ma purtroppo non il primo. Si tratta dell'intervista di Biancamaria Bruno, disponibile in rete a questo indirizzo:


La lingua ebraica ufficiale di Israele non è l'ebraico del Re David, né a maggior ragione quello di Abramo - e tra i due vi erano differenze di pronuncia e di lessico notevoli, essendo intervenuta la rotazione vocalica cananea. 

Ebbene, il Re David non avrebbe capito le parole di Amos Oz, e gli articoli dello scrittore, pur formulati in ebraico, non gli sarebbero parsi diversi da un insieme di formule magiche dei Moabiti o degli Ammoniti. Forse avrebbe pensato che lo scrittore israeliano parlasse fenicio, data la sua difettosa pronuncia di diverse consonanti. Amoz Oz sarebbe riuscito a capire meglio il Re David, in virtù dei suoi studi, ma la pronuncia del sovrano gli sarebbe parsa ostica, innaturale e tesa. Siccome poi le Scritture non attestano l'intero vocabolario della lingua parlata ai tempi in cui i testi biblici furono messi per iscritto, non è improbabile che molti lemmi usati dal Re David non sarebbero conosciuti ai moderni.

Non sono molto fiducioso sulle dichiarazioni di Amos Oz nemmeno sul fatto che un bambino di Israele sia in grado di capire bene le Scritture senza studi specifici. L'ebraico biblico mostra una notevole complessità grammaticale, tipica delle lingue semitiche, che non è stata ripresa per questioni pratiche nell'attuale lingua di Israele. Ad esempio esistono i suffissi possessivi, che si aggiungono ai nomi secondo quella che i grammatici rabbinici chiamano declinazione. Ne fornisco alcuni esempi significativi, tanto per far capire il concetto, usando la traslitterazione per comodità:

sūs = cavallo
sūsī = mio cavallo
sūsekhā = tuo cavallo (m.)
sūsēkh = tuo cavallo (f.)
sūsō = suo cavallo (di lui)
sūsāh = suo cavallo (di lei)
sūsḗnū = nostro cavallo
sūsekhem = vostro cavallo (m.)
sūsekhen = vostro cavallo (f.)
sūsām = loro cavallo (m.)
sūsān = loro cavallo (f.)

sūsīm = cavalli
sūsái = miei cavalli
sūsékhā = tuoi cavalli (m.)
sūsaikh = tuoi cavalli (f.)
sūsāw = suoi cavalli (di lui)
sūséhā = suoi cavalli (di lei)
sūsḗnū = nostri cavalli
sūsēkhem = vostri cavalli (m.)
sūsēkhen = vostri cavalli (f.)
sūsēhem = loro cavalli (m.)
sūsēhen = loro cavalli (f.)

Nella lingua moderna, queste forme sono state sostituite da perifrasi, utilizzandosi la base shel:

sūs shellī = mio cavallo, etc. 
sūs shelkhā = tuo cavallo (m.)
sūs shellēkh = tuo cavallo (f.)
sūs shellō = suo cavallo (di lui)
sūs shellāh
= suo cavallo (di lei)
etc.

Forme simili di suffissi pronominali si aggiungevano poi ai verbi, già di per sé coniugati, dando origine a forme davvero molto complesse.

qeṭaltīkhā = io ti ho ucciso
qeṭaltīkh = io ti ho uccisa
qeṭaltīhū, qeṭaltīw = io lo ho ucciso
qeṭaltīhā = io l'ho uccisa
qeṭaltīkhem = io vi ho uccisi
qeṭaltīkhen = io vi ho uccise
qeṭaltīm = io li ho uccisi
qeṭaltīn = io le ho uccise
qeṭaltánī = tu (m.) mi hai ucciso
qeṭaltāhū, qeṭaltō = tu (m.) lo hai ucciso
qeṭaltāh = tu (m.) la hai uccisa
qeṭaltānū = tu (m.) ci hai ucciso
qeṭaltām = tu (m.) li hai uccisi
qeṭaltān = tu (m.) le hai uccise
 
qeṭaltīnī = tu (f.) mi hai ucciso
qeṭaltīhū = tu (f.) lo hai ucciso
qeṭaltīhā = tu (f.) la hai uccisa
qeṭaltīnū = tu (f.) ci hai ucciso
qeṭaltīm = tu (f.) li hai uccisi
qeṭaltīn = tu (f.) le hai uccise
qeṭālánī = egli mi ha ucciso
qeṭolkhā = egli ti ha ucciso
qeṭālēkh = egli ti ha uccisa
qeṭālāhū, qeṭālō = egli lo ha ucciso
qeṭālāh = egli la ha uccisa

qeṭālānū = egli ci ha uccisi
qeṭalkhem = egli vi ha uccisi
qeṭalkhen = egli vi ha uccise
qeṭālām = egli li ha uccisi
qeṭālān = egli le ha uccise
qeṭāláthnī = essa mi ha ucciso
qeṭālathkhā = essa ti ha ucciso
qeṭālāthekh = essa ti ha ucciso
qeṭālath'hū, qeṭālatō = essa lo ha ucciso
qeṭālathāh = essa l'ha uccisa
qeṭāláthnū = essa ci ha uccisi
qeṭālathkhem = essa vi ha uccisi
qeṭālathkhen = essa vi ha uccise
qeṭālathām = essa li ha uccisi
qeṭālathān = essa le ha uccise
qeṭalnūkhā = noi ti abbiamo ucciso
qeṭalnūkh = noi ti abbiamo uccisa
qeṭalnūkhem = noi vi abbiamo uccisi
qeṭalnūkhen = noi vi abbiamo uccise
qeṭalnūm = noi li abbiamo uccisi
qeṭalnūn = noi le abbiamo uccise
qeṭaltūnī = voi (m., f.) mi avete ucciso
qeṭaltūhū = voi (m., f.) lo avete uccisi
qeṭaltūhā = voi (m., f.) l'avete uccisa
qeṭaltūnū = voi (m., f.) ci avete uccisi
qeṭaltūm= voi (m.,f.) li avete uccisi
qeṭaltūn = voi (m.,f.) le avete uccise
qeṭālūnī = essi/esse mi hanno ucciso
qeṭālūkhā = essi/esse ti hanno ucciso
qeṭālūkh = essi/esse ti hanno uccisa
qeṭālūhū = essi/esse lo hanno ucciso
qeṭālūhā = essi/esse l'hanno uccisa
qeṭālūnū = essi/esse ci hanno uccisi
qeṭālūkhem = essi/esse vi hanno uccisi
qeṭālūkhen = essi/esse vi hanno uccise
qeṭālūm = essi/esse li hanno uccisi
qeṭālūn = essi/esse le hanno uccise

Pur con tutto il rispetto per lo studioso Amos Oz, non si vede come sia possibile che un alunno non opportunamente istruito possa per scienza infusa comprendere le forme sintetiche che si trovano nei testi originali, quando già un bambino italiano fatica non poco a comprendere le forme verbali usate da Dante.

venerdì 7 agosto 2015

UN TERMINE GALLICO NEL QUADRATO MAGICO DEL SATOR

Famosissimo è il quadrato magico del Sator, su cui sono stati scritti fiumi di inchiostro:

S A T O R
A R E P O
T E N E T
O P E R A
R O T A S

Appare chiaro a tutti che non si tratta di un testo latino semplice e lineare. Sono in ogni caso convinto che si possano puntualizzare alcune cose importanti a riguardo. 

Questa è la traduzione che propongo:

Il seminatore con l'aratro tiene in azione le ruote 

Termini problematici:   

1) AREPO. Il latino volgare *arepus, dat./abl. arepo, è una parola celtica che significa "aratro (su ruote)". Non fa specie che non compaia nei vocabolari: è un termine che si è diffuso in alcune varietà della lingua parlata a partire dalla Gallia Transalpina. L'accento è sulla prima sillaba. La formula del quadrato è tradotta in un testo biblico greco dei XIV secolo con ὁ σπείρων ἄροτρον ϰρατεί ἔργα τρόχους "il seminatore tiene l'aratro, le opere, le ruote" (cod. Par. gr. 2511 f. 60v). Anche se il traduttore non doveva conoscere bene la grammatica del latino, si nota che ἄροτρον corrisponde AREPO, anche se all'accusativo. Dalla stessa base di AREPO è formato il gallico arepennis, che indica una misura agraria corrispondente al semiiugerum. Di genere maschile, questa vocabolo è sopravvissuto nel latino popolare delle Gallie, dando infine il francese arpent.

2) OPERA. Il termine opera è qui l'ablativo di un vocabolo femminile. Il latino ha opus, gen. operis, di genere neutro, il cui plurale è opera. Come in molti altri casi, nella lingua popolare il neutro plurale è diventato un femminile singolare: di qui la parola opera, gen. operae, da cui il termine tuttora in uso in italiano. Lo stesso è accaduto con fortia, letteralmente "le cose forti", un neutro plurale che è diventato in italiano il femminile singolare forza. Nel quadrato magico non è possibile interpretare questo OPERA come accusativo plurale neutro, dato che dovrebbe essere l'oggetto del verbo TENET e l'uso dell'accusativo plurale femminile ROTAS non avrebbe alcun senso - a meno di non immaginare una congiunzione sottointesa, quasi TENET OPERA (ET) ROTAS, soluzione che non mi piace per nulla. Questo non è il latino dei metallari.

3) ROTAS. Per evitare il cumulo di accusativi, c'è chi ha interpretato questa parola come una forma volgare di rotans, considerando il participio riferito a SATOR. Tuttavia la proposta non regge per motivi semantici: bisogna ammettere che un "seminatore rotante" visto come simbolo della Sorte è qualcosa di una fragilità logica molto spinta.   

A stento le molte assurdità della pseudoscienza occultista fiorite sul testo del quadrato del Sator meritano qualche menzione. La vecchia scappatoia di chi vede in AREPO un nome proprio di persona non è ancora niente in confronto alle stravaganze che si possono reperire nel Web. C'è chi segmenta le parole facendo di ogni lettera un'abbreviazione, trasformando SATOR in una sigla. Cito poi l'interpretazione mirabolante di AREPO come AREOPAGO (ebbene sì, mi è toccato imbattermi anche in questa inconsistenza). A Rino Cammilleri sembra ripugnare sopra ogni cosa il fatto che possano essere esistite parole galliche in latino - per lui la Verità è italiana, non francese :) - dimenticando l'esistenza di vocaboli come carrus, carpentum, benna, petorritum, alauda, betulla, gaesum, cervisia, bracae, etc. 

Spiegazione: Un tempo si credeva che il quadrato magico in questione fosse stato inventato nel Medioevo per ragioni apotropaiche, ma poi si sono scoperte sue raffigurazioni più antiche, risalenti all'epoca dell'Impero Romano. In particolare ne sono stati trovati diversi esemplari a Pompei, al punto che è stato ribattezzato latercolo pompeiano

Il quadrato è una croce cristiana criptica, usata già durante le persecuzioni come segno di riconoscimento. Se si evidenzia la parola TENET nel mezzo della struttura, salta all'occhio una croce palindromica: 

S A T O R
A R E P O
T E N E T
O P E R A
R O T A S

Anagrammando la frase, Felix Grosser ha ottenuto la seguente croce:


Chiaramente la sequenza A O sta per Alpha Omega. Le possibilità che tutto ciò sia frutto del caso è talmente bassa da poter essere scartata. La spiegazione del quadrato come crittografia cristiana ha incontrato molte resistenze per svariati motivi. Innanzitutto per la data precoce dei reperti pompeiani, che sono per necessità anteriori al 79 d.C., data dell'eruzione. È possibile che in epoca tanto antica esistesse a Pompei una comunità cristiana tanto folta e vitale? È possibile che avesse già sviluppato un simbolismo così elaborato, e per giunta utilizzando la lingua latina anziché il greco? Sembrando queste cose piuttosto improbabili, qualche studioso ha preferito cercare un'origine mitraica o ebraica, usando argomenti che non convincono. Sostengo senza indugio l'interpretazione cristiana. Dal momento che questi reperti presuppongono la presenza di una comunità cristiana molto numerosa a Pompei, bisogna partire da tale dato di fatto e approfondire gli studi, piuttosto che cercare interpretazioni implausibili negando una realtà così evidente.    

Riporto un interessante articolo dell'Università di Manitoba, che purtroppo contiene qualche refuso nella traduzione greca del quadrato:

lunedì 3 agosto 2015

UN ENIGMATICO SOSTRATO TOPONOMASTICO IN ISLANDA

I toponimi dell'Islanda sono in massima parte di origine norrena. Siccome la lingua degli isolani è cambiata soprattutto nella pronuncia, ma ha mantenuto integra la struttura delle sue parole, questi toponimi sono tuttora comprensibili. Si tratta di nomi di luogo trasparenti. Alcuni esempi:

Flatey "isola piatta"
  norreno flatr "piatto", ey "isola"
Gullfoss "cascata d'oro"
  norreno gull "oro", fors, foss "cascata"
Ísafjörður "fiordo dei ghiacci"
  norreno íss "ghiaccio", fjǫrðr "fiordo"
Reykjavík "baia dei fumi"
  norreno reykr "fumo", vík "baia"
Varmá "fiume caldo"
  norreno varmr "caldo", 
ǫ́, á "fiume"
Vatnajökull "ghiacciaio delle acque (o dei laghi)"
  norreno vatn "acqua", j
ǫkull "ghiacciaio"

Al loro arrivo agli inizi del IX secolo, i coloni norvegesi trovarono alcuni monaci irlandesi che vivevano come anacoreti nella desolazione. Subito questi asceti lasciarono l'isola per non essere costretti a convivere con i pagani, o furono costretti a farlo (i cristiani non erano trattati molto bene in tale contesto). Questo seppur esiguo popolamento anteriore alla colonizzazzione dell'Islanda ha dato qualche traccia nella toponomastica. Si tratta di qualche toponimo formato a partire dal vocabolo papi "monaco", pl. papar "monaci", la cui radice il norreno sembra aver preso dall'antico irlandese (popa, pobba "padre"). Alcuni esempi:

Papafjörður "Fiordo dei Monaci"
  norreno papar "monaci", fj
ǫrðr "fiordo"
Papey "Isola dei Monaci"
  norreno papar "monaci", ey "isola"
Papýli
"Fattoria dei Monaci"
  norreno papar "monaci", býli "fattoria"

Nel Libro degli Stanziamenti (Landnámabók), che documenta la colonizzazione dell'Islanda, si racconta che i Papar vivevano nel luogo poi detto Kirkjubær á Síðu prima dell'arrivo dei norvegesi, e che per questo motivo nessun pagano poteva stabilirsi in quella terra. Si racconta anche un singolare aneddoto. Il capo norvegese Ketill, detto lo Stolto, prese possesso del paese di Síða. Vi poté vivere e fondare una fattoria, perché era cristiano. Quando morì, un uomo di nome Hildir Eysteinsson volle stabilirsi a Kirkjubær á Síðu, ma prima di poterlo fare morì all'improvviso, e si pensò che fosse perché era pagano. A dispetto di una tale ricchezza di documentazione, non sono state trovate prove archeologiche degli stanziamenti di questi monaci, come ad esempio croci o campane. La cosa non deve stupire: i coloni pagani devono aver distrutto le croci e rifuso le campane per recuperare il metallo.

Esistono tuttavia alcuni toponimi islandesi che resistono ad ogni tentativo di plausibile interpretazione.

Bóla (fattoria sullo Skagarfjörður)
Esja (una montagna sul Kjalarnes)
Ferstikla (fattoria presso lo Hvalfjörður)
Hekla (un noto stratovulcano)
Kjós (zona che dà nome alla Kjósarsýsla)
Tintron (un cratere vulcanico nel Lyngdalsheiði)
Vigur (isola nell'Ísafjarðardjúp)
Ölfus (zona nella Árnessýsla, attraversata dal fiume
    Hvíta-Ölfusá)

Per una minima parte di questi nomi alcuni studiosi insistono a proporre un'etimologia norrena, a dispetto delle molte difficoltà. Per esempio, Bóla viene ricondotto al vocabolo ból "giaciglio; abitazione, fattoria", anche se l'uscita (femminile col tema in -n-, gen. Bólu) non sembra avere alcun senso. Esiste un vocabolo bóla "umbone dello scudo; pustola", che è un etimo ancor più improbabile per il toponimo. Kjós viene ricondotto al verbo kjósa "scegliere" e interpretato come "Terra Scelta", anche se i derivati nominali di tale verbo sono r "scelta, decisione" e kostr "scelta", e non risulta che la formazione abbia paralleli. Esiste in norreno una parola hekla "mantello con cappuccio" (gotico hakuls "mantello"), ma tale semantica non si applica verosimilmente a uno stratovulcano. In altri casi, si può solo brancolare nel buio. Né può l'antico irlandese fornire lumi per capire l'origine di questo enigmatico materiale toponomastico: i tentativi fatti per fornire un'etimologia celtica a questi nomi di luogo si sono dimostrati fallimentari. 

Come spiegare tutto questo?
Se si esclude la possibilità di spiegare i toponimi con il norreno, rimangono due soluzioni.

1) I toponimi sono dovuti a un popolo antichissimo che abitava l'Islanda prima dell'arrivo dei coloni norvegesi, che conviveva con i Papar e che è stato assorbito dalle nuove ondate migratorie.
2) I toponimi sono stati portati da norvegesi che provenivano da aree in cui era ancora parlata o almeno conosciuta una lingua diversa dal norreno, la cui origine possiamo tracciare nella popolazione pre-germanica. 

Obiezione alla soluzione 1): Non risulta alcuna descrizione di un simile popolo. I libri che documentano gli stanziamenti norvegesi concordano tutti nel descrivere cerimonie con cui i coloni prendevano  possesso di vaste estensioni di terre disabitate, utilizzando specifici riti. Persino alcuni coloni che erano di fede cristiana per far valere la loro dichiarazione di proprietà sono stati spesso costretti a ricorrere a riti pagani. Non si fa la benché minima menzione dell'interazione con un popolo aborigeno - mentre ad esempio ci sono descrizioni dell'incontro con gli Skrælingar in Vinland.

A parer mio la soluzione 2) è quella giusta.

Sono convinto che si tratti della lingua degli Adogit, popolazione antichissima stanziata nel paese di Halagoland e menzionata da Iordanes nella sua opera Getica:

"Quanto alla Scanzia, soggetto del nostro discorso, essa è abitata da un gran numero di stirpi diverse, sebbene tolomeo non ne ricordi che sette, e non vi alligna nessun tipo di ape, data la rigidità del clima. Nella sua parte settentrionale è popolata dagli Adogit di cui si dice che, d'estate, godano il sole ininterrottamente per quaranta giorni e per quaranta notti; per uno stesso periodo, d'inverno, non vedrebbero la chiara luce: in un'alternanza di tristezza e di gioia allora godono d'un privilegio e soffrono d'una privazione ignoti ad altri popoli. E perché tutto questo? Perché nei giorni più lunghi vedono il sole riportarsi ad oriente lungo l'estremità dell'asse terrestre, mentre per loro non è visibile in quelli più brevi, quando segue il periplo meridionale. Così lo stesso sole che per noi sorge in basso, a questi sembra invece che giri lungo il circuito della terra."

Vari sono i motivi che mi fanno pensare alla sopravvivenza tarda di un idioma diverso dal norreno nel paese di Halogaland. Innanzitutto il termine Adogit non è germanico e non ha alcuna etimologia nota, e non è separabile dal toponimo Hálogaland, la cui base Háloga- è pure fortemente problematica. Si possono notare ben tre fenomeni indicatori di un termine di sostrato preindoeuropeo:

1) Alternanza tra forma iniziante in vocale e forma iniziante con l'aspirazione;
2) Alternanza tra un'occlusiva dentale -d- e una liquida -l-;
3) Presenza nella forma non assimilata di un plurale non indoeuropeo uscente in -it.

Consideriamo poi il nome usato in norreno per indicare un abitante di Halogaland: háleygr, pl. Háleygir. Si noterò la presenza di un dittongo -ey- che alterna con -o- di Hálogaland (e di Adogit). È chiaro che queste variazioni, che non hanno giustificazione alcuna in norreno, si spiegano al di fuori di tale lingua.

A questo punto le possibilità sono due: 

1) Si tratta di una lingua finnica parlata dai Saami, più conosciuti come Lapponi
2) Si tratta della lingua sconosciuta che i Saami parlavano prima di adottare una lingua finnica.

Nella lingua dei Saami sono presenti alcune parole che non hanno alcuna corrispondenza in altre lingue di ceppo uralico, che fanno pensare a un sostrato remotissimo e che potrebbero ben essere residui della lingua degli Adogit. Questo spiegherebbe la presenza dei misteriosi toponimi islandesi. Naturalmente è necessaria un'approfondita analisi sui toponimi della Norvegia per acquisire maggiori informazioni e tentare di capire qualcosa di più su questa ingarbugliata situazione.