sabato 26 dicembre 2015

ANCORA SULLA LINGUA AQUITANA

Proseguiamo la nostra analisi di antroponimi e teonimi della lingua parlata dagli Aquitani e dai Vascones, iniziata con una descrizione delle principali radici e di alcuni morfemi.

ABI- "proprio; proprietà"
    basco nerabe 'servo' < 'mia proprietà'
Compare in due composti: 

    ABISUNHARI (dat. lat.) "il proprio olmo"
   ABISUNSONIS (gen. lat.) "la propria fibra" 
  Il primo antroponimo è attestato in un'iscrizione di Lerga, il secondo in un'iscrizione di
Ízcue. La voce SUNHAR, che si trova in basco come zunhar, zumar, etc., sarà un composto di zur "legno" e di ar "maschio": alla lettera "albero maschio". L'elemento suns- sembra formato dalla stessa radice di sunhar, ma con diverso suffisso. In basco attuale è zuntz, che significa "fibra". Evidentemente in origine il significato doveva essere "fibra di legno".
   Possiamo fornire un vocabolo basco formato in modo simile agli antroponimi di cui sopra:
abaritz 'quercia coccifera'
   In aquitano la parola sarebbe *ABIHARIX- "quercia coccifera" < ABI- + ARIX-. Lo slittamento è stato "propria quercia" > "vera quercia"

   Anche in iberico esiste un simile elemento. Abbiamo infatti attestata la parola abiner in un'iscrizione bilingue (Caminreal), e la sua traduzione è il latino servus. Vediamo che iberico abiner "servo" corrisponde a basco ner(h)abe "servo" < *neure-(h)abe.
   L'esistenza degli antroponimi ispanici Abinericus e Abinnericus non nega affatto questa traduzione: sarebbe come dire che in latino la parola servus non può indicare lo schiavo perché esiste l'antroponimo Servius. È così confutato l'articolo di Moncunill e Velaza sull'argomento. 
   L'elemento in questione non va confuso con il quasi omofono basco habe "palo, trave", che deriva da un precedente *kabe (cfr. abar "ramo"-kabar) e che avrebbe k- anche in iberico.

AGEIO- "apparenza, aspetto"
   basco agi 'apparenza'
La parola è formata dalla stessa base di AGIR- "appariscente", basco ageri "manifesto".

ARHE "coraggio" < "fegato" 
   basco arhi 'fegato'
Teonimo maschile: ARHE D[EO] [OPT]IM[O] (Lombez). Evidentemente un dio della guerra.

BARHOS- "recinto (di alberi, sterpi, etc.)"
   basco berho, berro 'terra lavorata; recinto vegetale'  
   sardo (neolatino) barrasone 'setto di sterpi' < paleosardo
Attestato con la desinenza latina del genitivo: BARHOSIS (CIL 13, 39).

BEGI "occhio; guardiano" 
   basco begi 'occhio'
   iberico biki(r) /'bigi(ṛ)/ 'occhio; guardiano'
Attestato nel teonimo LACUBEGI in un'iscrizione di Uxue. Si tratta di una divinità degli Inferi che corrisponde ad Ade. È, alla lettera, il Guardiano delle Parvenze.

BELLAIS- "cornacchia"
   basco bele, bela 'cornacchia'
Attestato come genitivo: BELLAISIS (CIL 13, 53). L'uso di una consonante liquida doppia è eccezionale, ma è ben confermato dall'immagine della stele: la trascrizione *BELAISIS non è fondata. Non è chiaro il suffisso -IS-. La stessa radice è attestata come BELHEIO- in BELHEIORIGIS (gen.).  

BEREXE "se stessa"
   basco bere 'egli; ella'
Attestato come antroponimo femminile: BEREXE SEMBI FILIA (Gorrochategui, 2003). L'iscrizione, contenente materiale onomastico aquitano, è stata trovata a Hagenbach, in Germania, assieme a numerose altre, segno che una comunità intera era stata deportata. 

BORROCO- "lottatore"
   basco borroka 'lotta, battaglia'
Antroponimo attestato con desinenza latina del genitivo: BORROCONIS (CIL 13, 30). Il suffisso non è chiaro, potrebbe trattarsi di un'influenza latina o celtica. Le proposte etimologiche dei vasconisti citate nel dizionario di Agud e Tovar per la voce borroka appaiono inconsistenti. 

CALIXSO- "chicco di grano"
   basco gari 'grano' < *gali
   iberico kalir 'grano'
   paleosardo GALILLENSES (etnon.)
Attestato come antroponimo con desinenza di genitivo latino: CALIXSONIS (CIL 13, 54).

EDER- "bello" 
   basco eder 'bello'
Attestato con un suffisso diminutivo onomastico: FABIA EDERETTA (CIL II 2976).

GERE- "roccia" 
   iberico keŕe 'pietra, roccia'
   basco gerenda 'roccia' < iberico
   paleosardo KERE 'pietra, roccia'
Teonimo maschile. Compare con un suffisso -X-, come dativo lat. SUTUGIO GEREXO (CIL 13, 164), che allude di certo al culto di un dio della pietra del focolare (vedi SUTUGIO).  
Dall'iberico è giunta in basco la voce gerenda "roccia".  Evidentemente questa radice esisteva anche in aquitano, come provato dall'onomastica.

LACU- "parvenza, somiglianza"
   basco lako 'somigliante a'
Il termine, documentato nel teonimo LACUBEGI (vedi sopra). Si noterò che in iberico si ha un simile antroponimo, ma con l'ordine dei membri invertito: bikilako /bigi'lako/. Difficile credere che tra le due forme non esista alcun nesso. 

ODOX- "cane maschio" :
    basco (h)or 'cane' + -dots (variante di -ots)
Attestato con desinenza latina del dativo: ODOXO (CIL 13, 268; CIL 13, 11011). Notare l'assenza di aspirazione nella forma aquitana. Questo composto non si è preservato in basco.  

ORCO-, ORGO- "fonte, scaturigine"
    basco: -
    paleosardo: ORGA, ORGO- 'fonte, scaturigine'
Documentati in
ORGOANNO (CIL 13, 80), ORCOTARRIS (CIL 13, 342), ORCUARI (CIL 13, 461) e ORGOT(I) (Epigraphische Datenbank Heidelberg HD016958). È notevole questa testimonianza di una radice scomparsa in basco e conservatasi in Sardegna.

SONBERABON- "crema, formaggio molle"  
    basco zenbera 'formaggio molle'
Attestato con desinenza di genitivo latino nell'antroponimo SONBERABONIS (CIL 13, 157).
In basco troviamo forme estese come zenberauen (ant. basso navarrese) e zendereben (alto navarrese) < *zenbereben con dissimilazione. In latino ca:seus "formaggio" poteva usarsi nell'idiomatica per indicare una persona amabile (in Plauto abbiamo dulciculus caseus e meus molliculus caseus). È possibile che in aquitano si usasse un'idiomatica simile. 

SUTUGI- "focolare"
    basco su 'fuoco' + tegi 'luogo'
Attestato come dativo con la desinenza latina: SUTUGIO (CIL 13, 164 e altre).  

Numerosi sono i prestiti indoeuropei, non necessariamente celtici. 

ABEL(L)IO(N)N- "dio delle mele" 
  < IE precelt.
Attestato al dativo: ABELLIONNI, ABELIONI, ABELIONO, etc. (es. CIL 13, 337). Il nome, corrispondente del celtico *aball- "mela": tardo gallico avallo "mele" (Glossario di Vienne), antico irlandese ubull "mela", gallese afal /'aval/ "mela"). Doveva avere un profondo significato religioso, come dimostrato dal mito britannico della Terra di Avalon.

ALARDOS(S)- "cervo maschio" 
  < IE precelt.
La radice ALAR- si trova attestata con l'aggiunta dell'elemento -DOS(S)-, che significa "maschio" (con numerose varianti). Si trova come dativo ALARDOSSI (CIL 13, 48) o ALARDOSTO DEO (CIL 13, 313). Si vede che il prestito è avvenuto da una forma antica di lingua indoeuropea, dell'ondata "idronimica" che ha la vocale /a/ dove le lingue IE occidentali storiche hanno invece /o/.

BORIENN- "sommo" 
  < IE precelt. gwer- 'montagna'
Attestato come dativo: BORIENNO DEO (CIL 13, 301). Corrisponde alle forme teonimiche lusitane Bora e Borea segnalatemi da Octavià Alexandre. Chiaramente -ENN- è il suffisso superlativo. Questa radice non ha lasciato superstiti in basco.

BORTO- "alto"
   < IE precelt.
Attestato come BORTUS e BORTOSSUS, con desinenza latina (Gorrochategui, 1984). È ben possibile che sia un prestito IE preceltico < *bhorkto-, adottato come *BORTO e parallelo al successivo vocabolo basco bortitz "violento", che proviene dal parente latino fortis.
Un falsi parente è basco bort "bastardo" (cfr. catalano, prov. bord < lat. burdu(m) "mulo", di origine iberica). 

DUSANHAR- "animale maschio" 
Attestato con l'uscita del genitivo latino in -isDUSANHARIS (Sofuentes).
Ritengo che contenga -HAR "maschio" (basco ar 'maschio'): anche se sarebbe preferibile un esito in -HARRIS, non mancano casi di rotica forte trascritta con una semplice -r-. La radice DUSAN- deve essere un prestito. Potrebbe provenire da IE *dhwes- "fumo", gallico *dusios "demone" (attestato come glossa lat. dusius). Compare anche nel basco tusuri "bestia", che però mostra una consonante sorda. Nel qual caso potrebbe significare "animale maschio" o "demonio maschio". Tuttavia la morfologia è abbastanza incerta. 

MONS- "elevato"  
   < IE precelt.
Latinizzato in MONSUS (CIL 13, 301). La radice si trova nel latino mo:ns e nel celtico *monios > gallese mynydd "monte".

OLON- "cervo"
   basco orein 'cervo' < *oleni
   < IE precelt.
La radice è attestata nel toponimo OLONTIGI. La base non è attestata in questa forma in celtico. 

-PENN- "importante; potente"
   basco: ben 'serio; importante', men 'potente' 
Attestato con una desinenza del genitivo latino nell'antroponimo SENIPENNIS (CIL 13, 125), se la lettura verrà confermata, come appare probabile. La forma di base deve essere stata *BENN-: il trattamento fonetico è analogo a quello di BONN- "buono" in SENIPONNIS. Pare un antico prestito dal gallico *penno- "testa", se si ammettesse uno slittamento semantico da "testa" a "capo", quindi a "importante; potente". In ogni caso non mi risulta che nelle lingue celtiche note tale slittamento abbia avuto luogo. 

SEND- "forte, robusto" 
   basco sendo 'robusto'
Attestato come genitivo con suffisso latino: SENDI (CIL 13, 2). A parer mio l'attestazione aquitana confuta l'etimologia della parola basca dal latino exemptus, anche se le varianti sentho (zuberoano) e sento, sonto (roncalese) rimangono problematiche. Esiste la possibilità che la voce sia di origine IE preceltica, parallela a gotico swinþs "forte", e che -nd- sia un esempio precoce di sonorizzazione.
Il lemma basco sendor "catasta di legna" non è adatto a spiegare l'antroponimo aquitano.

Abbiamo fatto grandi progressi nella comprensione degli antroponimi e dei teonimi aquitani, ma vi sono ancora voci che resistono ad ogni tentativo di spiegazione o che in ogni caso si presentano troppo incerte. Eccone una lista: 

ACAN 
Antroponimo, attestato come dedicante di una stele (CIL 13, 130) al dio XUBAN (vedi sotto). Alcuni leggono AGAN, ma dall'immagine della stele questa lettura non mi sembra giustificata. Potrebbe provenire da una lingua sconosciuta e non aquitana. 

ACCATEN
Attestato come nominativo non marcato (CIL 13, 555). Mostra un suffisso accrescitivo, ma la radice permane oscura.

ARSERR-
Attestato con desinenza latina del genitivo: ARSERRIS (CIL 13, 95). Se AR- potrebbe essere la parola per "maschio", anche se in aquitano è HAR- quando ricorre come primo membro di un composto, -SERR- è decisamente enigmatico. Altrimenti è possibile dividere ARS- + ERR-, ma si noterà che in aquitano HARS- "orso" ha l'aspirazione iniziale come in basco hartz id. 

ARSILUNN-
Attestato con desinenza latina del dativo: DEO ARSILUNNO (Argein). È chiaramente formato con ILUNN- "scuro", ma il primo membro del composto è problematico. 

CAHENNA
Antroponimo femminile (ILTG 136, Lasséran). Forse da connettersi con le oscure forme basche kaheka (basso navarrese) e kahaka (zuberoano) "gufo femmina". In ultima istanza potrebbe essere parente del gallico *cavannos "gufo" (attestato come glossa lat. cavannus), se l'aspirazione può essere un separatore iatale nato dalla scomparsa del celtico /w/.

CUNDUESE-
Attestato come dativo CUNDUESE-NI (CIL 13, 125), è un femminile, formato con il noto suffisso -SE. La base tuttavia rimane oscurissima. 

DAHO
Attestato come dativo: DAHO DEO (CIL 13, 87). A rigor di logica deve trattarsi di un prestito, come provato dalla consonante iniziale. Potrebbe essere un termine celtico col senso di "fuoco" o di "ardente" (< *da:w-), se l'aspirazione è un separatore iatale derivato dalla scomparsa di un antico /w/

DERRO
Antroponimo maschile oscurissimo (CIL 13, 30). Data l'iniziale, deve trattarsi di un prestito. Non sembra che possa essere un celtismo. 

ELIAMAR
Antroponimo oscurissimo, che ricorre assieme a USOCAR (Sacaze n. 355, vedi sotto). Non sembrano esserci paralleli in alcuna lingua conosciuta. 

EBERR-
Teonimo maschile attestato con desinenza di dativo latino: DEO EBERRI (ILTG 53, Gensac-de-Boulogne). Potrebbe significare "cinghiale" ed essere un prestito da una forma di indoeuropeo preceltico.

ER(R)IAPE
Teonimo maschile attestato in numerose iscrizioni trovate a Saint-Béat: DEO ERIAPE, DEO ERRIAPE. Anche con desinenza latina del dativo: DEO ERIAPO, ERRIAPO DEO, ma anche ERIAPPO. Non mi è chiaro se possa andare con la radice ERRE- "ardere" presente in ERRENSAE (dat.); la frequenza di forme con -R- semplice mi fa propendere per il no.  

FAFIER-
Attestato come genitivo con suffisso latino: HAHANTEN FAFIERI UXOR (CIL 13, 173). Non ha l'aria di essere un nome aquitano, per via della presenza della fricativa /f/. Non è tuttavia facile fare un'ipotesi sulla sua natura. Non può neppure essere un celtismo.

GELAIS 
Oscuro sia a livello di radice che di morfologia (Sacaze n. 303). Si può soltanto dire che è improbabile che -IS sia una desinenza latina del genitivo: in genere questa si aggiunge a un tema in vocale come -N-IS, e un simile uso è notato anche in antroponimi paleosardi. Più plausibile quindi che GELAIS non sia analizzabile.

HARAUSON-, HAROUSONN- 
Attestato come dativo: HARAUSONI (CIL 13, 78) e HAROUSONNI (Sacaze n. 199). L'aspetto e la variante in -ou- farebbero pensare a un prestito gallico, ma potrebbe ben trattarsi di una suggestione ingannevole, vista anche la presenza di un'aspirata iniziale - a meno che non sia un residuo di un'antica *p- scomparsa. Non credo che possa essere una variante di HERAUS- "cinghiale"

HARONTARR- 
Attestato al genitivo con suffisso latino: HARONTARRIS (CIL 13, 289). La radice potrebbe essere una variante di NAR(H)UN-, NARHON- "nobiltà", ma la cosa non è del tutto certa, così includo l'antroponimo in questa sezione.  

HOTARR-
Attestato con suffisso latino del genitivo: HOTARRIS (CIL 13, 267). Non è affatto certo che sia una variante di HONTHARR- (CIL 13, 306). Una radice *HO- indipendente risulta tuttavia incomprensibile. Se invece fosse una semplice varante di HON- "piede; colle" (basco oin 'piede'), si dovrebbe rilevare una netta divergenza dal trattamento di questa radice in basco.

HUNNU
Nome maschile, del tutto incomprensibile (CIL 13, 334). Si fa notare che la morfologia è del tutto isolata. Potrebbe essere un antroponimo di una popolazione di lingua sconosciuta e non aquitana.

ISCI-
Documentato come teonimo con un suffisso diminutivo: ISCITTO DEO (CIL 13, 00335). Non mi paiono convincenti paralleli le forme basche iski "affanno, ansia" e iski, izki "leggero, insignificante".

ITTI-
Attestato con un suffisso diminutivo, al genitivo: ITTIXONIS (CIL 13, 17). La radice compare anche in paleosardo, ad esempio nel toponimo ÍTTIRI, ma non ho ancora trovato una spiegazione soddisfacene. Non ho trovato esiti baschi documentati.

LAHE
Teonimo femminile: LAHE DEAE (CIL 13, 143). Navighiamo in alto mare, senza la benché minima idea di possibili paralleli. Nonostante l'aspetto fonetico perfettamente compatibile con la fonotattica protobasca, non ho trovato esiti baschi documentati.

LESURIDANTAR-
Attestato come patronimico con la desinenza latina del genitivo: LESURIDANTARIS (CIL II 2900). La formazione è enigmatica.
 

LEXEIA
Nome femminile (CIL 13, 64). La base, LEX- è oscura. La formazione femminile in -EIA è presente anche in altri casi (BELEXEIA, etc.). Un'iscrizione trovata a Lès (Valle d'Aran), che riporta un dativo LEXI DEO è a quanto pare opera di un falsario. 

ODANN-
L'antroponimo potrebbe essere formato dal corrispondente del basco (h)or "cane" e dalla voce DANN- "guardiano", che si trova anche in celtico. Tuttavia la formazione appare decisamente singolare e non sono affatto certo che questa analisi sia attendibile, così includo la voce in questa sezione. 

OSCITAR-
Attestato come genitivo: OSCITARIS (ILTG 138). Con ogni probabilità deriva da un toponimo, col tipico suffisso -TAR.
 

PIANDOSSONN-
Attestato come genitivo con suffisso latino: PIANDOSSONNII FILIUS (CIL 13, 124). Se è chiaro che si tratta di un composto di ANDOSS-, il primo membro del composto è incomprensibile e incompatibile con la fonotattica protobasca. 

SERHUHOR-
Attestato con l'uscita del genitivo latino in -is: SERHUHORIS (Hispania Epigraphica 16131).
Ritengo che contenga -HOR "cane" (basco (h)or 'cane'), già visto in ODOX- e sospettato in ODANN-, ma la prima parte del composto è a dir poco enigmatica. La -r- debole della parola basca sarebbe perfettamente in linea con l'attestazione aquitana.

SEXSARBOR-
Potrebbe essere interpretato come latino SEX ARBORES, e in effetti si trova un dativo plurale SEX ARBORIBUS (CIL 13, 129). Tuttavia la presenza della forma singolare SEXSARBORI DEO (CIL 13, 132), oltre alla grafia -XS-, invita a rinunciare all'identificazione.

SIHAR-
Attestato con desinenza latina di genitivo: SIHARI FILIUS (Saint-Aventin).

SIRICCO-
Attestato al dativo: SIRICCONI F(ILIO) (CIL 13, 265), Naturalmente non può avere nulla a che fare con basco ziriko "seta", che è dal latino sericu(m). Non può neanche essere connesso con basco zirin "escrementi di uccelli", per ovvi motivi semantici.

SOMENAR-
Attestato come genitivo SOMENARIS (Sacaze n. 403)
.

ULOHOX-
Attestato come genitivo ULOHOXIS (CIL 13, 334) e come dativo ULOHOXO (CIL 13, 170). C'è anche una variante ULOHOSSII (ILTG 136, Lasséran). Direi che a giudicare dal suffissoide -HOX- "maschio" deve essere il nome di un animale, soltanto che non è chiara la radice ULO-. Potrebbe essere connessa a basco urubi "allocco" < *ulubi, ma questo è ben lungi dall'essere certo. 

ULUCIRR-
Formato dalla stessa base di ULOHOX- (vedi sopra): in un'iscrizione (CIL 13, 00170) si trova ULOHOXO ULUCIRRIS. Questa constatazione tuttavia non è di grande aiuto. 

USOCAR
Attestato in un ex voto nella formula onomastica ELIAMAR USOCAR (Sacaze n. 355). Non sembrano esserci paralleli in alcuna lingua nota.

XUBAN
Un teonimo enigmatico (CIL 13, 130). Potrebbe provenire dalla lingua di una popolazione sconosciuta e non aquitana.

Occorre infine menzionare il fatto che esistono numerosi falsi teonimi pirenaici, ad esempio ARAM, ARMASTON, ISORNAUS, NARDOSION, TEIXONOX, TEOTAN-. Alcuni sono dovuti a cattive letture, altri a falsificazioni consapevoli. Tra questi falsi, ne discutiamo uno particolarmente interessante.

HELIOUCMOUN- 
Attestato al dativo in un ex voto che sarebbe stato trovato a Martres-Tolosane: HELIOUCMOUNI DEO (Du Mège, 1814). Oggi è ritenuto un falso coniato dallo stesso Du Mège, e il monumento su cui l'iscrizione sarebbe stata incisa non si trova da nessuna parte. Il teonimo era stato costruito, non senza ingegno, come un nome preso a prestito dal greco, traducibile con "Cammino del Sole". L'intenzione dell'autore era di produrre un termine della religione dei Druidi.

venerdì 25 dicembre 2015

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI BASCO ABERE 'ANIMALE' E ABERATS 'RICCO'

Il vocabolo basco aberats "ricco" è formato da abere, che attualmente ha il significato di "grande animale domestico", tramite il suffisso -tsu che marca l'abbondanza. Questa è la trafila dei mutamenti: aberats < *aberatsu < *aberetsu. Se supponiamo che abere < lat. habe:re avesse l'originario senso di "proprietà, possesso", ben attestato nella Romània, non sarebbe necessario alcuno slittamento semantico per spiegare aberats. Così *aberetsu "che ha molti averi" si sarebbe sviluppato direttamente nel basco aberats "ricco".

Nel database di Sergei Starostin, il prof. John Bengtson afferma che lo slittamento semantico dal latino habe:re "avere" al basco abere "animale" sarebbe contorto, e suggerisce un'etimologia nord-caucasica:

«Cf. PNC*bü̆ɫV 'horned animal'. The variant abel- appears in compounds such as abel-buru 'head of cattle'. Michelena (1961) derives this word from Lat. habere, though the semantic derivation is tortuous ('to have' > 'possession' > 'animal'), and internal reconstruction brings us to *a(=)bele, phonetically and semantically a straightforward match with PSC *bVɫV.»

Tuttavia noi possiamo notare queste evidenze:

1) Lo slittamento in questione è molto comune in società pastorali;
2) Esistono buoni esempi di simili slittamenti in nomi del bestiame, come il castigliano ganado "bestiame" da ganar "guadagnare", e analogamente il portoghese gado < *ganado
3) Nelle lingue romanze sono ben documentati termini derivanti dal latino habe:re come protoforma produttiva. Riguardo a queste denominazioni del bestiame e di animali, q
uesto è riportato sul dizionario etimologico di Manuel Agud e Antonio Tovar alla voce ABERE:

«Parece estar fuera de duda que es el lat. habere en la acepción sustantivada de 'hacienda', 'bienes', que se halla en lenguas románicas (esp., prov., fr. etc.: Luchaire Origenes 45, Sch. ZRPh 27, 625, Mich. FHV 226 y FLV 17, 193, FEW 4, 364), y más específicamente con la acepción de 'bienes en ganado'. (Cf. lat. pecus / pecunia, esp. ganar / ganado : Corominas 2, 655): haberío, abrío significa 'mula' en Aragón y Ribera de Navarra, 'asno' en Soria, averío en Murcia 'bestias para el trabajo agriesto', en Segovia 'ganado', en Cataluña avería 'cabeza de ganado mayor', en gall. haber 'res vacuna' (GDiego RFE 8, 411 Y Corominas 2, 859 y 655) prov. aver 'animales, rebaño' (con el cual lo relaciona Mich. 1. c.); norm. aver 'animales'; lyon. avair 'enjambre de abejas'; cat. aviram, que ha sido aproximado a avería 'bétail' (Rohlfs Gaseon 63 y RIEV 24, 336; REW 3958) (Corominas 10 da como cruce de los sinónimos aviam (< auiamen) con averza (de habere).»

Come sopra riportato, l'altra obiezione di Bengtson è che abere dà nei composti abel-, e che questo punterebbe a una protoforma *abele. Anch'io sono stato sedotto da simili considerazioni, al punto che ero giunto ad affermare in modo indipendente già anni prima che il lavoro di Bengtson fosse pubblicato. Questo argomento, condiviso con l'amico Octavià Alexandre, ha nel frattempo fatto strada: anche António Marques de Faria nella pubblicazione digitale Crónica de onomástica paleo-hispânica (in portoghese) ha scritto quanto segue:

«Em relação a abel, não podemos deixar de notar que, em contraposição à tradicional etimologia latina unanimemente prescrita para o basco abere ‘animal’, ‘gado’, assente no lat. habere (DEV I, pp. 282–283), foi, em data recente, sugerido por Octavià Alexandre que “el vasco abere supone un pre‑vasco *abele, como muestran la forma combinatoria abel‑ y las inscripciones aquitanas e ibericas”» 


Tuttavia a distanza di anni, dopo aver lasciato sedimentare i miei studi sulla lingua Euskara, mi rendo conto che l'idea di una protoforma *abele è abbastanza inverosimile. Ho riflettuto a lungo non solo sui paralleli romanzi della parola basca, troppo diffusi e differenziati per essere prestiti, ma anche sul fatto che in basco esistono esempi di -l- derivata da -r- in composti formati a partire da alcuni significativi prestiti dal latino:

amore "amore" : amol-tsu "docile, amabile"  
    < lat. amo:re(m) 
zamari "cavallo" : zamal-dun "cavaliere"  

    < lat. sagma:riu(m)

Sarebbe assurdo separare basco amore dal latino amo:re(m) ricostruendo un fantomatico *anbole, o separare zamari da sagma:riu(m) ricostruendo *zanbali: è evidente che a dispetto di -l-, le protoforme sono latine e hanno -r-

Potrebbe trattarsi di residui di un fenomeno affine alla lisca di Livorno, una singolare pronuncia che trasforma -r- e -s- davanti a consonante in -l-, per cui Livorno diventa Livolno. L'origine di questa "lisca" in basco potrebbe però anche essere analogica e formata a partire da importanti parole native, come ad esempio gari "grano", che realmente deriva da *gali e che dà composti come galbae "setaccio per il grano", galburu "spiga di grano", galsoro "campo di grano", galtzuri "grano duro"

Così per analogia con zamari, è accaduto che abere ha dato forme in abel-. In origine doveva essere *aberdun (notiamo che tra l'altro un aberedun è documentato), poi la variante abeldun è prevalsa.

Le forme iberiche e aquitane assonanti con abel-, hanno a parer mio una differente origine, che riconduco a un indoeuropeo preceltico *abell- "frutto, mela", affine al celtico *aball- "mela", in ultima analisi da IE *abel-, di origine sconosciuta. Di questo avremo modo di parlare in seguito.

sabato 19 dicembre 2015


LA NUOVA EPIDEMIA DI SIFILIDE

Parlando col mio diabetologo, il discorso è caduto sulle malattie veneree. Il tutto era partito dal grottesco questionario per la valutazione della funzionalità erettile, che spesso viene sottoposto all'attenzione, visto che elevati livelli di glicemia possono ledere la potenza sessuale. Non ho fatto menzione delle mie convinzioni encratite, e ho spiegato che evito il contatto col gentil sesso per via del terrore delle malattie veneree, soprattutto della sifilide. Così mi ha detto il dottore: "La sifilide è una cazzata che si cura in pochi giorni". Sarà, non metto certo in discussione la sua esperienza medica, ma le sue parole mi hanno lasciato molto perplesso. Saranno anche vere, ma soltanto a due condizioni:

1) che la malattia sia scoperta per tempo;
2) che il Treponema pallidum contratto non appartenga a un ceppo resistente agli antibiotici
.

Purtroppo per gli amanti della conoscenza in senso biblico, queste due condizioni non sono affatto certezze garantite.

Diversi anni fa, discorrendo con un amico, che è un gran fornicatore, gli ho fatto notare che a Milano si registrava un nuovo caso di sifilide ogni giorno, e che anche a Roma le cose non dovevano andare in modo tanto diverso. L'amico mi ha risposto che quel nuovo caso non sarebbe mai stato lui: "Ogni giorno ci sono milioni di persone che scopano, e le probabilità che la disgrazia becchi proprio me nel mucchio sono in pratica zero". Se è contento così, beato lui. Io nei suoi panni non mi sentirei così tranquillo. Ricordate il famoso film Il Cacciatore, quello in cui il protagonista faceva la roulette russa? Ogni volta che lo tramettevano in TV qualcuno lo imitava e si faceva saltare le cervella. Ecco, tutti quei poveretti erano molto più al sicuro di chi confida nel caso per sfuggire al contagio.

Fossero tutti qui i problemi, sarebbe ancora niente. Non sono infatti rare le persone che sostengono a spada tratta e senza mezzi termini che le malattie veneree non esistono, o che al massimo riguardino solo i sodomiti. A questo proposito esiste una tradizione popolare inveterata. 

Ancora una volta la mia memoria mi è di grande aiuto. Ricordo T., e sua moglie M., un'allegra compagnia, non c'è che dire. All'epoca non avevo ancora capito che persone fossero, e commettevo il grave errore di frequentare il loro salotto. Ad ogni menzione dei morbi venerei, T. reagiva con stizza. In dialetto brianzolo sbottava alla moglie, che nutriva qualche timore: "Dagh minga a trà. Chi rollà gh'inn nò". Alla fine, costretto ad ammettere che le malattie veneree non le ho inventate io, aggiungeva col contorno di qualche rustica bestemmia: "I ciàpen dumà i cü". Come obiettavo che virus e batteri colpiscono le donne e gli uomini senza alcun pregiudizio, M. si ricomponeva, ed ecco che enunciava con sussiego la sua sintesi hegeliana: "Beh, se una donna va con tanti uomini, bisogna capire che qualcosa la deve avere, non si può pretendere che sia sana come un pesce". Come se fosse qualcosa di cui una donna dovesse andar fiera. 

Sarebbe però un errore pensare che queste nocive convinzioni siano una prerogativa del volgo più grossolano: esse intaccano qualsiasi strato sociale, quale che sia il livello di istruzione delle persone. Il negazionismo venereo è incredibilmente tollerato e gode dell'approvazione nemmeno tanto segreta di chiunque intrattenga relazioni carnali. Esso è sostenuto dal potere politico e dai suoi ripugnanti lacchè: i mass media. Non solo: è sostenuto a spada tratta dal Papato. Questi poteri del mondo fanno di tutto perché le genti copulino senza alcuna protezione e senza alcuna preoccupazione delle conseguenze. Si può parlare di una vera e propria censura, che proibisce di trattare l'argomento e anche soltanto di alludervi. Tuttavia, a dispetto dei desiderata di politicanti e cardinali incartapecoriti, batteri e virus trovano la loro strada da un corpo all'altro e banchettano allegramente con le carni delle loro vittime.

Già all'epoca dell'università mi era giunta voce di un focolaio di supergonorrea incurabile che si era formato in Thailandia. Adesso il contagio è arrivato fino in Italia e in Inghilterra. Una dozzina di anni fa sono venuto a sapere che un focolaio di sifilide, formatosi a Mosca, aveva dato origine a nuovi centri di infezione a Lugano e a Milano. La lue, che gli stolti Svedesi si erano affrettati a dichiarare scomparsa dalla loro nazione, aveva fatto la sua ricomparsa. 

Sfidando la censura imposta dai mass media, allego a questo punt il link alla tesi di dottorato di Francesca Negosanti, intitolata "La nuova epidemia di Sifilide". Un ottimo documento, che rende almeno l'idea di quella che è soltanto la punta dell'iceberg.     

domenica 13 dicembre 2015

CONTRO LA STUPIDITÀ NEANCHE GLI DEI POSSONO NULLA

Un'annunciatrice televisiva galvanizzata ha aperto il telegiornale serale con un sorriso smagliante e se ne è uscita annunciando un evento storico, "in grado di cambiare la nostra vita, quella dei nostri figli e dei nostri nipoti". Si tratta del famigerato Accordo di Parigi sul Clima, presentato come una panacea in grado di risolvere una volta per tutte il problema delle emissioni climalteranti. Peccato che esista una futilità di fondo che impedisce alle genti di vedere le cose per come sono.

1) L'elevato potenziale di riscaldamento globale (GWP) del "black carbon", il carbonio elementare contenuto nelle polveri da combustione, e il massiccio rilascio di metano dovuto allo scioglimento del permafrost sono in grado di vanificare i già dubbi benefici dell'Accordo di Parigi. Per motivi politici, ecco che a queste realtà non si può neanche alludere. 

2) I fondi stanziati per i paesi in via di sviluppo (100 miliardi di dollari l'anno!) saranno bruciati in orge e in cocaina, senza produrre alcun risultato - con la possibile eccezione dei soldi dati ai paesi arabi, che finiranno direttamente nelle casse dello Stato Islamico. Stolti sono coloro che cercano di risolvere il problema dei gas climalteranti con misure economiche, essendo l'economia fondata interamente sulla corruzione. Che poi esista un nesso lineare, diretto e quantificabile tra queste misure economiche e il contenimento dell'aumento della temperatura media globale entro i 2 °C, è tutto da dimostrarsi. 

3) La natura "vincolante" dell'accordo è di per sé assolutamente ridicola. Cosa faranno se la Cina continuerà a bruciare carbone a manetta? Manderanno un commissario a dire agli alti papaveri del Partito Comunista Cinese: "Bu! Siete brutti e cattivi?" Estorceranno loro denaro, mi dicono. Certo, peccato che questo non ricaccerà le emissioni di CO2 nei camini delle centrali e nei tubi di scappamento delle automobili. 

4) Nella loro assoluta cecità, i poteri del mondo non capiscono un fatto molto semplice. Se anche si implementassero misure talmente efficaci da ridurre del 50% tutte le emissioni climalteranti del pianeta - cosa che potrebbe fare soltanto Harry Potter con la sua bacchetta magica - il risultato sarebbe semplicemente un rallentamento del processo di surriscaldamento. Si arriverebbe in venti anni dove arriveremmo in dieci anni senza alcuna misura (scenario BAU, ossia Business as Usual). Si noterà che vent'anni sono un lasso di tempo irrilevante non solo in termini geologici, ma anche in confronto alla durata della storia del genere umano.

5) L'unico rimedio in qualche misura efficace, la riduzione della popolazione umana tramite riduzione della natalità, soprattutto nel Terzo Mondo, è considerato un tabù e non se ne vuole nemmeno parlare. La formula del cosiddetto "sviluppo sostenibile" è un ossimoro, molto più insensato del classico ghiaccio rovente, o della proverbiale pretesa di avere la botte piena e la moglie ubriaca. Di più, è una mera invenzione nata per piaggeria nei confronti dei poteri religiosi embriolatrici. 

Alla luce di queste semplici ma inesorabili considerazioni, la fine del genere umano e la riduzione del pianeta a una distesa sterile sono cose sommamente desiderabili, in grado di portare la Pace. Qualsiasi misura di mitigazione dei mutamenti climatici, per quanto di dubbia efficacia, è da considerarsi come accanimento terapeutico

martedì 8 dicembre 2015


DALLO SCARICO ALL'ALBA
ll nuovo capolavoro della Scat Science Fiction

Autore: Vinicio Motta
Anno: 2015
Genere: Scat Science Fiction (Fantascienza
     scatologica)
Pubblicazione: VERDE
    (mensile elettrocartaceo, autoprodotto e gratuito
    di protolettere, interpunzioni grafiche e belle
    speranze, fondato a  Roma nell’aprile 2012 da
    Pierluca D’Antuono)
Link:


Attesissimo seguito di Mercuriale sulfureo-scatologico. Il protagonista prosegue il suo viaggio allucinatorio nelle vastità fecali di una cloaca, alla deriva in un flusso cangiante di escrementi delle più svariate provenienze. Questo è l'incipit del racconto: 

La gianni è bella, la gianni è saporita. Io però – non fraintendetemi – la gianni non voglio mica mangiarla. Non sono un cannibale, no no. Attorno a me, in questa profumatissima fogna, infinite gianni. L’una diversa dall’altra, ciascuna con una personalità e un nome. Tutte bellissime.
Io sono la gianni e la gianni è me.
Sono felice.
Perché la gianni è bella. Perché la gianni è saporita.
Nostalgia fantasma: vorrei tanto ricordare da dove vengo.
«Lascia fare a noi!» dicono in coro tutte le altre gianni del mondo.
«Grazie!» rispondo. «Vi amo!»
Veloce come un fiotto di diarrea incontrollabile, permeo migliaia di cadaveri di esseri umani, coccodrilli e pesci rossi, chiedendo aiuto alla gianni intrappolata nelle loro viscere putrescenti.
Nessuna risposta.

Il linguaggio è visionario, il lessico presenta innovazioni geniali. Nel linguaggio della Chiesa Fecale, ecco che compare il sostantivo "gianni", che si traduce con "stronzo". Si noterà che tale vocabolo è di genere femminile: così si dice "la gianni". Se la Merda è il Principio Creatore in una delirante visione di panteismo escrementizio, ecco che ogni singola gianni ne è un componente. In altre parole, la gianni è un atomo della Merda. Mi auguro che il progetto prosegua culminando in un terzo racconto, in modo da formare una trilogia che potrebbe ben intitolarsi Gianni 3000.

Invito l'autore, l'ottimo Vinicio Motta, a commentare questa mia recensione. 
 

IL PIANETA DI SATANA

Autore: Mike Resnick
Titolo originale: Walpurgis III
Editore: Mondadori (Urania 984)
Prima pubblicazione: 1982
Pubblicazione su Urania: Novembre 1984
Copertina: Giuseppe Festino

Sinossi (da Mondourania):
Conrad Bland è Satana incarnato, un essere così immensamente malvagio che se qualcuno non s'incaricherà di fermarlo finirà per distruggere ogni vita nell'Universo. Jenko è l'assassino più efficiente di tutta la Galassia, ed è a lui che la Repubblica affida il compito di eliminare Bland. Ma Bland ha trovato asilo su Walpurgis III, un pianeta di Satanisti Antirepubblicani che si preparano a difenderlo con ogni mezzo. Il duello all'ultimo sangue sarà dunque tra un assassino solitario e un intero pianeta di malvagi scatenati.

Recensione:
Un autentico capolavoro, unico nel suo genere. Suo grandissimo pregio è quello di andare contro la peggiore pestilenza della nostra epoca: la dottrina del Principio Antropico. L'autore afferma in modo deciso e strenuo l'idea del Male Metafisico, che nel mondo odierno gode di ben pochi sostenitori (di cui uno, fierissimo, è proprio il sottoscritto). Data questa premessa importantissima, sorvolo sull'amicizia di Resnick con Anton Szandor LaVey. Anche se l'autore si professa "ebreo ateo", mostra di conoscere bene la Chiesa di Satana, il cui culto dell'edonismo egoista è largamente illustrato nel libro. Il pianeta Walpurgis III, la cui popolazione deriva per intero da un'antica colonizzazione ad opera di adoratori del Maligno, è il centro dell'azione. La cosa più singolare è però il personaggio di Conrad Bland, che irrompe come un astro mortifero nella narrazione. Qualcuno, non ricordo più chi, disse che egli incarna il concetto manicheo del Male, inteso come essenza propria e non come assenza di qualcosa. Definizione molto acuta. Nella buona sostanza, non mi convince l'etichetta di "ateo" che Resnick stesso si è dato. Difficile credere che un uomo che "non crede a nulla" - come l'autore si definisce - possa concepire un personaggio simile. La cosa è tanto più stupefacente se si considera che l'intero panorama del pensiero moderno è animato da una totale avversione verso il concetto stesso di esistenza del Male come qualcosa in grado di trovare in sé la sua spiegazione. 

Queste sono alcune citazioni di Conrad Bland: 

Il male ha una giustificazione in se stesso. Di conseguenza sono prive di senso spiegazioni come potere, piacere e profitto.

Se uccidi una persona, sei un assassino. Se uccidi un milione di persone, sei un conquistatore. Se uccidi tutti, se un dio.

Confusione e Caos sono le ancelle del Male.

Il male non ammette alternative.

Perché mai qualcuno vorrebbe andare all'Inferno, se non per impadronirsene? 

Il trionfo del male è inevitabile come il succedersi delle stagioni.  

Ancora una volta viene smentito il pregiudizio della natura asettica di Urania. Il killer Jenko, che si ritrova a vagabondare su Walpurgis III in cerca di un modo per uccidere il genocida Conrad Bland, entra in un tempio dove assiste a una celebrazione satanica. Una ragazza gli si offre per un rapporto sodomitico durante la Messa Nera. Jenko non si tira indietro e la penetra nell'ano, fino ad eiacularle dentro, nelle feci. E non basta: "Nella successiva mezz'ora, con svariati partners d'ambo i sessi, si ritrovò a dovere partecipare ad atti tanto degradanti che finora aveva creduto esistessero solo nella fantasia contorta dei più volgari pornografi della Repubblica." Che dire? I lettori bulimici, che leggono una riga sì e dieci no, con ogni probabilità si sono persi questo brano.

Segnalo la recensione di Moreno Pavanello, pubblicata sul blog Storie da Birreria


È interessante, anche se non entusiastica come la mia. Mi lasciano perplessi alcuni passaggi, come questo: 

"Simpatico il world building, secondo cui un mondo basato totalmente su culti che prevedono spesso sacrifici umani e altre simpatiche usanze spesso in contrasto tra loro (e tante volte anche abbastanza ridicole, come le donne che vanno in giro a seno nudo), comunque riesca a stare insieme." 

L'usanza delle donne a seno nudo si trovava ad esempio nell'antica Creta, e difficilmente si possono liquidare i costumi delle sue matriarche come semplici carnevalate. Per quanto riguarda il dubbio che un mondo i cui abitanti hanno usanze tanto eterogenee possa stare insieme, mi sembra infondato, considerata la storia del pianeta Terra, in cui si trovano nazioni non meno inconsistenti di Walpurgis III. Eppure in qualche modo riescono a sopravvivere. Un esempio? Gli Stati Uniti d'America.

E ancora: 

"Insomma, questo libro è proprio il più classico degli Urania: corto, scorrevole, divertente, senza eccessive pretese di complessità o profondità. Perfetto da portare in spiaggia. Se invece cercate qualcosa di più profondo, potete anche guardare da un'altra parte."

Penso di aver dimostrato che non solo non si tratta di un romanzo superficiale, ma che in esso sono trattati temi filosofici e morali di cruciale importanza.

Note: Spero di dare una risposta soddisfacente alla curiosità di molti navigatori sull'enigmatica nave nella copertina di Urania 984. La copertina di Giuseppe Festino non appartiene in realtà a quest'opera, ma fu scambiata per errore con quella del numero precedente di Urania, L'equazione del Giorno del Giudizio, di R.A. Lafferty. Si vede in essa un Jenko stralunato che si nasconde dietro un muro, mentre passano alcune donne lascive col seno scoperto, intente a trasportare un inconsueto feretro: il corpo di un felino deceduto.

 

LA FISICA DEL KARMA
(in due volumi)

Autore: Arsen Darnay
Titolo originale: The Karma Affair
Editore: Mondadori (Urania n. 856 e 857)
Prima pubblicazione: 1978
Pubblicazione su Urania: Ottobre 1980 (in due parti)
Copertine: Karel Thole

Sinossi (da Urania 856 e 857):
La dottrina indiana del Karma corrisponde a ciò che i Greci chiamavano palingenesi e metempsicosi ovverossia reincarnazione delle anime. Secondo filosofi come Schopenhauer, psicologi come Jung e fisici teorici come Pauli, questa dottrina non è così pazzesca come sembra. Ma se allora qualcuno proprio in base al principio di Pauli e alle esperienze sul neutrino scoprisse un modo per impedire agli spiriti di reincarnarsi? Se laboratori e depositi nucleari si trasformassero in un diabolico strumento per bloccare la legge cosmica del Karma? Il grandioso, stupefacente romanzo di Arsen Darnay, che presentiamo diviso in due fascicoli, si fonda appunto su questa possibilità e la sviluppa fino alle sue più inimmaginabili conseguenze.

Seconda parte:
Attenzione - Questa seconda parte della Fisica del Karma può essere "studiata" anche da chi, eventualmente, avesse mancato la prima. Basti sapere che Aspic, l'eterno nemico di Jack, è il fisico che ha tentato di fermare la legge del Karma e la reincarnazione delle anime.

Indice: 

Prima parte:
I  -  Nascita di una tecnologia
II  -  I fatti del 1992
III  -  La cattura degli spiriti 

Seconda parte:
IV  -  Le carovane
V  -  Plutonium
VI  -  L'ultima battaglia


Recensione: 

Una sintesi per punti della prima parte: 

. Le terre inospitali chiamate Shashtuk
. Una popolazione indiana superstite che abita nelle Shashtuk
. Lo sciamano Cammina-In-Aria, capo della comunità indiana delle Shashtuk 
. Il progetto di costruire nelle Shashtuk un deposito di scorie radioattive
. La necessità, sostenuta da Jack C. Clark, di dar vita a un clero monastico di guardiani delle scorie, che adorano il plutonio come loro Dio
. Templar e la dottrina del Karma, sua esposizione dettagliata
. Il progetto di Teddy Aspic, che mira a costruire una macchina mostruosa in grado di intrappolare gli spiriti
. Rivalità tra Teddy Aspic e Jack Clark per via di Evelyn, una donna libidinosa: lei si concede a Aspic e Clark giura al suo rivale odio eterno
. Esistenza di un "nodo karmico" che lega Aspic, Clark e la lussuriosa Evelyn, svelato da Templar
. Teddy Aspic costruisce lo Psicotrone proprio nelle Shashtuk 
. Jack Clark diventa il primo Direttore del deposito di scorie...

La seconda parte si apre su uno scenario del tutto diverso. Molto tempo è passato dagli eventi narrati nella prima parte: c'è stata la Guerra Olocaustica, il cielo è diventato polverulento e cupo, la civiltà è crollata. Dove un tempo sorgevano città e terre coltivate, ora è tutta una distesa selvaggia di erba geneticamente mutata, chiamata mutaerba. I centri abitati più grandi somigliano alle città minerarie del vecchio Far West. Le conseguenze delle azioni di Jack Clark e di Teddy Aspic perdurano: i discendenti dei monaci di Plutonium sono relitti umani chiamati Plutotizi (una traduzione infelicissima dell'originale Plutojacks), che chiamano il plutonio Godbod (ossia God's body "Corpo di Dio"), e lo Psicotrone è ancora in funzione. Gli stessi Clark e Aspic, reincarnati, finiranno con l'interagire di nuovo, e nulla potrà evitare la resa dei conti...   

E chi l'ha mai detto che Urania rifugge da temi scabrosi? Chi ha mai detto che la celebre collana è improntata a un generale puritanesimo che impedisce ogni descrizione di atti sessuali? Ebbene, coloro che hanno pensato queste cose sono in errore e non sono lettori attenti. Per forza: "leggono" un libro in un'ora e un migliaio di libri in un anno :) Ricordo ancora che molta gente si è stupita quando è stato pubblicato E-doll di Francesco Verso, stigmatizzando le scelte editoriali di Urania, a loro avviso diventata all'improvviso hot. Che dire allora del romanzo di Arsen Darnay? Vi sono narrate le gesta di un mago che frusta una gigantesca cogniglia dotata di poteri telepatici, godendo di un perverso rapporto sadico e raggiungendo l'orgasmo eiaculando nel vuoto mentre la sua vittima spasima sotto la sferza. Come se non bastasse, un cercatore di tesori brama di congiungersi sessualmente con tale mostruoso animale: rinchiuso in un carrozzone con l'oggetto dei suoi desideri, ne fruga il pelame alla ricerca della vulva. Tutto questo tenendo conto che in America la bestialità erotica è ritenuta un crimine paragonabile alla pedofilia. L'autore, nato in Ungheria e trasferitosi negli States, ha dato prova di grande coraggio, dimostrando che non esiste un solo argomento, per quanto scabroso e ripugnante, che possa essere privo di interesse ai fini della fantascienza.

L'originalità del libro sta nel tentativo di far rientrare nel dominio della Scienza il destino dell'uomo oltre la morte. L'autore descrive così bene i princìpi del funzionamento della terribile macchina psicotronica da dar l'impressione di essere riuscito nell'impresa galileiana di rendere misurabile ciò che non è misurabile. L'impostazione che ne consegue è di certo pseudoscientifica e a tratti risente dei concetti popolari nella California tossica degli anni '70, ma di certo è qualcosa di atipico che non mi è mai capitato di riscontrare in altre opere di fantascienza. Ne nascono spunti per interessanti riflessioni filosofiche. 

sabato 5 dicembre 2015

SULLA NATURA IRREVERSIBILE DEL FLUSSO TEMPORALE

Un esperimento svoltosi al CNR ha dimostrato la natura irreversibile del flusso temporale non soltanto nel mondo macroscopico, ma anche in quello microscopico. Un grave problema della fisica quantistica è stato finalmente risolto. In estrema sintesi, non si può riformare una particella una volta che è decaduta. Per maggiori approfondimenti rimando al testo pubblicato sul sito del CNR:


Questo è lo studio di Claudio Conti, Physical realization of the Glauber quantum oscillator, pubblicato su Scientific Reports


Tutto ciò ha conseguenze severe, specie sulla letteratura fantascientifica che descrive viaggi nel tempo verso il passato. Per la verità, sono anni che vado sostenendo che il flusso temporale è irreversibile sia a livello macroscopico che microscopico, e che l'impossibilità di procedere dal presente al passato è deducibile già utilizzando i soli princìpi della Logica. Ovviamente non fanno testo i tachioni, particelle postulate da Einstein e dotate della proprietà di muoversi verso il passato in un mondo, il Tachiverso, in cui l'effetto precede la causa. Questi tachioni si muovono a velocità superiore a quella della luce nel vuoto e non possono interagire con i nostri strumenti. Infatti il Tachiverso è eternamente separato dall'Universo Tardionico, le cui particelle si muovono a velocità inferiore a quella della luce e in cui l'effetto segue la causa.

Se tuttavia, per assurdo, fosse in certe condizioni possibile viaggiare dal presente al passato, invertendo il flusso temporale, si può mostrare con ottimi argomenti che il fenomeno non gioverebbe in nessun modo alla fantascienza, vanificando tutte le trame che fino a oggi sono state concepite a partire da questo controverso argomento.  

Immaginiamo, fissato un tempo A (ad esempio, ore 0:00 del 01/01/2000), che un ipotetico crononauta si trovi in un tempo B, successivo ad A (ad esempio, ore 0:00 del 01/01/3000). La situazione del crononauta nel suo punto di partenza è frutto dell'evoluzione dal tempo A al tempo B attraverso tutta una serie di eventi che si sono verificati. In questo lasso di tempo, della durata di un millennio, sono compresi tutti gli eventi che vanno dalla nascita del crononauta al suo stato al tempo B, e tutti gli eventi che hanno reso possibile l'esistenza del crononauta stesso (ad esempio le vite dei suoi genitori, dei suoi nonni, e via discorrendo). Se il crononauta si trovasse a viaggiare dal tempo B verso il tempo A, dovrebbe giungere in un'epoca in cui il suo corpo non era definito: soltanto una catena di accoppiamenti avrebbe reso possibile la sua formazione secoli dopo. 

A questo punto, la fantasia degli scrittori di fantascienza si è scatenata portando alle situazioni più imbarazzanti. Questo perché esiste una ben precisa tendenza: quella che porta a considerare il viaggio nel tempo ad opera del crononauta come un viaggio fisico che parte da un soggetto situato nel tempo B e ne trasferisce il corpo nel tempo A. Il corpo e tutte le conoscenze che sono stoccate nel cervello. Così ecco che il crononauta può incontrare un proprio antenato, passeggiare allegramente nel passato, interferire liberamente con atti di ogni tipo. Può persino sedurre una propria antenata commettendo un ben bizzarro incesto e ingravidarla. Ecco allora nascere nella mente dei fantascientisti deboli segnali di paradosso. Ragionamenti appena abbozzati del tipo: "Cosa succederebbe se uno tornasse indietro nel tempo e uccidesse il proprio trisavolo?"

In realtà le cose stanno diversamente. Il viaggio dal tempo B a un tempo A precedente, se anche fosse davvero possibile, non potrebbe portare nel passato nemmeno una particella subatomica, nemmeno un barlume di informazione. Nulla di utilizzabile ai fini di uno scritto di fantascienza. Il tragitto che da A porta a B deve essere immaginato come un video in formato mp3 che viene visionato da un utente. Il viaggio nel tempo da B a A corrisponderebbe dunque all'azione dell'utente che, mosso il cursore del computer, riporta il video dalla fine all'inizio per guardarlo un'altra volta - tal quale la prima e senza alcun cambiamento. 

A un ipotetico crononauta è fatto assoluto divieto, pena la violazione delle leggi stesse della Logica - prima che della fisica quantistica - di muoversi verso un passato in cui il suo corpo non era definito. Questa è soltanto la prima importante conclusione.

Adesso immaginiamo, fissato un tempo A (ad esempio, ore 0:00 del 01/01/2980), che un ipotetico crononauta si trovi in un tempo B, successivo ad A (ad esempio, ore 0:00 del 01/01/3000). Come si vede, il tempo A dista vent'anni dal tempo B. Così se il crononauta ha 40 anni al tempo B, il suo viaggio nel tempo da B verso A, lo riporterebbe all'epoca in cui aveva 20 anni. La differenza rispetto alla prima situazione che abbiamo esaminato è che al tempo A il crononauta aveva la sua esistenza fisica definita. Come nel primo caso, la situazione del crononauta nel suo punto di partenza è frutto dell'evoluzione dal tempo A al tempo B attraverso tutta una serie di eventi che si sono verificati lungo il percorso. In questo lasso di tempo, della durata di vent'anni, sono comprese tutti gli eventi che hanno contribuito alla formazione del crononauta, rendendo possibile la sua stessa identità di quarantenne. Tutte le esperienze vissute e i ricordi della sua esistenza dai vent'anni in poi. Se il crononauta si trovasse a viaggiare dal tempo B verso il tempo A, tutto questo sarebbe vanificato, perché si verrebbe a trovare in un tempo in cui la sua definizione era diversa.

Anche in questo caso la fantasia umana ha immaginato un gran numero di trame assurde, in cui un viaggiatore nel tempo si trova di fronte a se stesso più giovane. In altri casi invece per evitare l'insorgere di paradossi temporali, deve far salti mortali. Grottesco è il film Ricomincio da capo (Il Giorno della Marmotta), il cui protagonista si ritrova a vivere la stessa giornata un gran numero di volte, come se fosse finito in un anello temporale, ma conservando ogni volta la propria consapevolezza integra e ricordandosi di ogni cosa. Un crononauta non solo non potrebbe presentarsi nel passato come persona distinta dal proprio sé più giovane, ma non conserverebbe nessuna memoria del proprio tempo d'origine. Se anche dovesse verificarsi una situazione tipo quella descritta ne Il Giorno della Marmotta, il crononauta non potrebbe rendersene conto, perché nessun ricordo di un dato tempo potrebbe in alcun modo essere contrabbandato in un tempo precedente.