giovedì 4 maggio 2017

PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: GRATIS E GRATIIS DA GRATIA

Tutti conosciamo il significato della parola gratis. Pochi però si interrogano sulla sua origine. Ricordo che al liceo P., un autentico materialone che anni dopo sarebbe diventato un fanatico sostenitore di Berlusconi, si stupì quando venne a sapere che in inglese gratis si dice "free". Come gli chiesi il perché della sua reazione, mi disse che aveva sempre pensato che gratis fosse una parola di origine anglosassone, importata di recente dall'America, "perché finisce in consonante". Quando gli dissi che si tratta di una parola latina, fece una faccia da pesce lesso con gli occhi strabuzzati dalle orbite: non ci voleva credere. Anche la presenza in italiano dell'aggettivo gratuito non era da lui considerata nemmeno di striscio. Del resto l'ignoranza di P. andava ben oltre. Avendo notato l'abbreviazone AND sotto uno stemma del Castello Sforzesco a Milano, la pronunciò senza esitare /end/ credendo che fosse la congiunzione inglese (!).

Chiunque abbia anche una minima dimestichezza con la lingua dell'antica Roma, sa che gratis è una contrazione di gratiis, ablativo plurale di gratia "favore". Nella lingua classica gratiis significa "per i favori", "per le benevolenze", da cui il passaggio a "gratuitamente" è stato naturale. L'uso moderno della parola si trova attestato in italiano a partire dal XVI secolo, come riportato nel sito dell'Accademia della Crusca.


Sorvoliamo sulla forma italiana a gratis, erronea e fabbricata dall'ignoranza del volgo illetterato prendendo come modello la locuzione a sbafo, vediamo di fare chiarezza su alcuni aspetti fonetici del vocabolo che stiamo trattando. 

Pronuncia restituta: 

gratia /'gra:tia/, /'gra:tja/
gratiis /'gra:tii:s/
gratis /'gra:ti:s/ (forma contratta) 

In Plauto si aveva ancora soltanto la forma /'gra:tii:s/, che era scandita come un trisillabo /'gra:-ti-i:s/. Più tardi, ma ancora in epoca classica, ebbe luogo la contrazione in /'gra:ti:s/, che è ovviamente un bisillabo /'gra:-ti:s/.

Pronuncia ecclesiastica: 

gratia /'gratsja/
gratiis /'gratsjis/
gratis /'gratis/ (forma contratta)

Si nota subito che la pronuncia ecclesiastica dovrebbe mostrare assibilazione parziale di /tj/ in /tsj/ soltanto se la vocale seguente è diversa da /i/, mantenendo invece l'occlusiva dentale integra in gratiis /'gratiis/, in modo tale da spiegare l'esistenza della forma contratta. Per coerenza, ci si augura che nessun ecclesiastico pronuncerà mai /'gratsjis/. Ahimé, invano. 

Questo mostra la natura secondaria delle forme assibilate, che non possono essere state presenti nella lingua ab aeterno. La cosa è tanto più comprensibile dal momento che la stessa parola gratia è derivata tramite un semplice e comunissimo suffisso -ia dall'aggettivo gratus /'gra:tus/, donde l'italiano grato. Il bello è che queste cose appaiono in massimo grado chiare a un gran numero di ministri della Chiesa Romana, che pure usano la pronuncia ecclesiastica per i loro scopi. Quando ero ancora un ragazzo, sentii parlare di pronuntiatio restituta proprio da un prete cattolico. Eppure esistono ancora in Italia individui legati ai più rancidi ambienti accademici, come quello della setta archeologica, che si ostinano a non voler comprendere cose così semplici e di per sé evidenti.

Un dottismo latino in inglese

Dobbiamo infine rilevare che anche gli anglofoni hanno preso la voce gratis dal latino, pronunciandola /'gɹeɪtɪs/ o /'gɹa:tɪs/, e la usano talvolta come un vocabolo dotto (avverbio e aggettivo). Questi sono alcuni esempi del suo uso trovati nel Web:

The manufacturer provided an extra set of coats gratis.

But I understood from the plat that the consultations were gratis.

Now and then a still more positive character baits the hook with the offer of gratis services.


Si vede subito che si tratta di scelte molto lontane dal linguaggio colloquiale.

martedì 2 maggio 2017

IL SOFFITTO DI CORALLO

Era uno di quei giorni d'estate in cui non si sa materialmente che fare della propria esistenza, giorni in cui i pensieri evaporano come gocce d'acqua cadute sull'asfalto arroventato dal sole. Dalla finestra del suo appartamento, Carmello osservava, in una condizione psichica prossima alla trance, una banda di energumeni avanzare sul marciapiede antistante l'ingresso della palazzina. Procedevano a passo dinoccolato, berciando e schiamazzando da veri trogloditi. D'un tratto, da un bidone della spazzatura, schizzò fuori una pantegana e si avventò contro uno di loro, un individuo dall'aspetto patibolare che indossava pantaloncini da basket, azzannandogli un polpaccio. Il tipo lanciò un urlo, seguito da una sfilza di bestemmie. Intorno a lui si fece immediatamente il vuoto. Tra i "fratelli" vi fu chi prese a sghignazzare, mantenendosi a distanza di sicurezza, e chi invece mise mano allo smartphone per riprendere la scena. Nessuno intervenne in aiuto dell'aggredito. Questi, urlando a squarciagola, fece per afferrare la pantegana nel tentativo di strapparsela di dosso, ma il grosso topo di fogna non mollava la presa, anzi, si fece ancor più accanito. Estratto un coltello a serramanico dalla tasca dei pantaloni, il fratello lo conficcò nel corpo del ratto, che reagì avventandosi con furia sull'avambraccio armato. La scena andava assumendo aspetti sempre più orripilanti, al punto che Carmello se ne distolse e si rifugiò in un'altra stanza, disgustato. Accese la tivù per non sentire le urla, ma non potè fare a meno di udire, pochi minuti dopo, il suono del campanello. Dallo spioncino scorse il volto della vicina, l'anziana signora Torrejon. Aprì, rassegnato.

"Ha visto? Ha visto che roba?".

"Si, signora, ho visto."

"Lo vado dicendo da mesi che bisogna fare pulizia nel quartiere! Pulizia accurata! Quelli non sono ratti, ma belve sanguinarie. Venga, venga da me che le preparo un caffè. E' pallido come un cencio."

Carmello obbedì. L'appartamento della signora Torrejon presentava più di una singolarità, prima fra tutte la decorazione del soffitto della sala: vi era raffigurato un banco di coralli, dipinto con maestria. La signora praticava una devozione religiosa tutta sua; allineate su una cassettiera, a fianco del ritratto del marito defunto, facevano bella mostra di sé due statuette: una raffigurava la Vergine di Guadalupe, l'altra la Santa Muerte.

"Si accomodi, le porto subito qualcosa."

La signora tornò con un vassoio su cui erano posate una tazza e una piatto con dei panini tondi.

"Li assaggi, non faccia complimenti. Sa come li chiamiamo in Messico? Pan de muertos, il pane dei morti."

"Grazie, signora, molto gentile."

"Dunque, dicevo, ha seguito tutta quanta la scena?"

"In parte."

"Avrebbe dovuto. Quanto sangue ha perso quel tipaccio! E il ratto anche da morto affondava i denti nella carne! Eh, mi sa che quel bruto farà meglio a farsi vedere in ospedale, e in fretta. C'è un lago di sangue sul marciapiede, deve avergli reciso una vena, vedesse che roba. Poi scendo a gettare un secchio d'acqua."

"Ci penso io signora. Ma quegli altri se ne sono andati?"

"Si si, e di corsa! Lei forse non sa cosa combinano, in un garage qui vicino."

"Sinceramente no".

"Girano filmacci porno con delle puttanelle bianche a cui la cocaina ha corroso il cervello. Che schifo, non so se siano peggio loro o i ratti che infestano il quartiere. Gente simile non merita di stare al mondo."

Sul tavolino di fronte al divano stava un giornale aperto su una pagina interna, riservata alla cronaca. Un titolo calamitò l'attenzione di Carmello:

Incendio nel negozio di un antiquario

Per un istante, gli parve che la stanza prendesse a girare vorticosamente intorno a lui.

"Che c'è, si sente bene?"

"Si, solo una momentanea vertigine."

"Carmello, lei è troppo sensibile,"

"Ora è passata."

Nell'articolo compariva un nome: Melvin Grimshaw.

Dopo un'ora circa, Carmello si trovava dinanzi all'abitazione dell'antiquario. L'incendio l'aveva annerita senza tuttavia distruggerla. L'edera sui muri, cotta dal colore sprigionatosi dall'interno, appariva color ruggine. Sinistro e funereo come una lapide in marmo nero, l'edificio emanava odore di legno combusto.

Dalla finestra al piano superiore si udì una voce:

"Entri, la prego!"

Carmello non si sottrasse alla richiesta accorata. La porta blindata non era chiusa a chiave, gli bastò sospingerla per aprirla. La vista del disastro provocato dal fuoco lo gettò nello sconforto; dei tanti, begli oggetti esposti nel negozio non restava più nulla.

"Salga, la scala è alla sua sinistra."

Il piano superiore era stato risparmiato dalle fiamme grazie alla presenza di una porta tagliafuoco, ma vi stagnavano un odore acutissimo di bruciato e un tanfo indescrivibile. Grimshaw sedeva su una poltrona, sul suo volto era impressa un'espressione di dolore e terrore.

"Si sieda, la prego. Lei non può immaginare quel che ho passato in questi ultimi giorni".

"Non si è trattato di un cortocircuito, vero?"

"Ha letto il giornale? E' la versione fornita dai vigili del fuoco. Non credo che l'abbiano imbastita a casaccio. Potrebbe essere plausibile".

"Potrebbe, ma sappiamo entrambi che non è così. Lei era in casa?"

"No, ero alla chiesa dell'ascensione, ad assistere al concerto di un clavicembalista."

"Dal giorno in cui venni qui sino a quello dell'incendio si sono verificati altri... problemi?"

Grimshaw si prese la testa fra le mani.

"Non mi hanno dato tregua."

"Ora cosa conta di fare? Non vorrà restare qui, spero!"

"Non lo so. Ha sentito?"

Si sarebbe detto che una scossa elettrica avesse attraversato il corpo dell'antiquario, facendolo sobbalzare sulla poltrona. Carmello tese l'orecchio. Dal pianterreno saliva un suono melmoso e raschiante, simile a un gracidio.

"Andiamocene subito!"

"Non posso, lei non si rende conto delle conseguenze."

Il gracidio si trasformò in un muggito gorgogliante.

"Mi rendo conto benissimo invece, prenda l'indispensabile, in fretta, e andiamocene!"

Grimshaw infilò poche cose in un borsone. Scendendo la scala, furono investiti da un coro di urla inumane, provenienti dalla cantina, la cui porta veniva percossa, a intervalli regolari, da colpi possenti.

Mentre si dirigevano all'uscita, risuonò un colpo tremendo. La porta cedette di schianto, abbattendosi sul pavimento, mentre i cardini e l'intelaiatura volavano in pezzi. Dalla soglia della cantina, immersa in un'oscurità impenetrabile, si sprigionò una nube di putredine salmastra così intensa da togliere il fiato. La carcassa di un grosso cetaceo in decomposizione su una spiaggia assolata non avrebbe potuto produrre un lezzo più penetrante. Non parve vero ai fuggitivi di poter raggiungere indenni il giardino. Il gorgoglio cessò nel momento esatto in cui misero piede fuori dall'edificio.

Fu solo a bordo dell'autobus che Carmello si accorse di un particolare che gli era sfuggito sino a quel momento. Dal borsone in cui Grimshaw aveva riposto le proprie cose spuntava il dorso di un libro che riconobbe immediatamente: il Necronomicon.

"Non mi dica che se l'è portato appresso!"

"Non volevo dargli la soddisfazione di impadronirsene. Non che la cosa faccia differenza, ormai."

Durante il tragitto, a bordo del mezzo si accese, per ragioni ignote, un alterco tra due passeggeri: una corpulenta donna afroamericana di mezza età e un vecchio asiatico. La donna, in preda alla furia, rovesciò sul poveretto un torrente di insulti, mulinando le braccia come pale. L'asiatico rimasto silenzioso e a capo chino sotto quella grandinata di ingiurie, a un certo punto prese qualcosa dalla borsa di iuta che portava a tracolla e la gettò verso la donna che troneggiava su di lui. Carmello non riuscì immediatamente a capire di che si trattasse, vide però l'espressione della donna cambiare all'istante, assumendo le sfumature della paura. Un grido di raccapriccio scaturì dalla sua bocca. L'asiatico le aveva scagliato addosso un rettile, un geco leopardino per la precisione, che lesto le si era insinuato nella scollatura dell'abito. La donna cominciò a spogliarsi nel tentativo di liberarsi dal geco. L'asiatico, allontanatosi di qualche passo, osservava la scena con un sorrisetto crudele. Dinanzi allo sguardo allibito di Carmello e dei pochi passeggeri presenti sull'autobus, la donna si privò di tutti gli indumenti, mentre il geco si sottraeva a ogni tentativo di cattura. Quando Carmello e l'antiquario scesero dal mezzo, l'ossessa si stava ancora dimenando, nuda e urlante,. L'autista ripartì, del tutto indifferente a quanto stava accadendo.

"Non credo si libererà tanto facilmente da quel rettile", osservò Grimshaw, "l'ho già visto accadere altre volte".

"Ha già assistito a una scena simile?", domandò Carmello stupefatto.

"Oh sì, certo. Pensi che una tale dovette rassegnarsi a portare su di sé un geco per un'intera settimana. Non se ne voleva andare. Aveva trovato un microclima confortevole tra le pieghe adipose dell'ospite. Del resto, li addestrano apposta."

"Li addestrano?"

"Si, ha capito bene. Ha osservato quel tale, l'indonesiano? Le sembra normale che uno salga sull'autobus con un geco nella borsa? Avrà anche notato con che rapidità fulminea il geco si è infilato nella scollatura. Era chiaramente addestrato."

"Mi sfugge il senso di tutto ciò."

"Dovrà abituarsi a ben altro, amico mio: la natura degli eventi straordinari è celata talvolta allo sguardo degli uomini comuni da una fitta trama di elementi apparentemente riconducibili a cause ordinarie. Essa si rivela solo all'occhio di colui che sappia osservare ciò che giace oltre la superficie, in profondità."

Carmello destinò il proprio letto all'antiquario e attrezzò per sé una branda in soggiorno. Il disordine regnante in casa faceva apparire vano ogni tentativo di porvi rimedio.

"Grimshaw, per qualche giorno potrà restare qui. Nel frattempo penseremo al da farsi. Adesso si prepari a conoscere la mia vicina di casa, la signora Adelita Torrejon. E' una brava donna ma molto curiosa. La presenterò come mio zio. Prima sbrighiamo quest'incombenza, meglio è."

L'incontro fu più breve del previsto, la vicina disse di essere indaffarata in cucina e, sia pur con cortesi, liquidò piuttosto sbrigativamente i due visitatori.

"Strano davvero", disse Carmello, "credevo ci trattenesse chissà per quanto sottoponendola a un terzo grado e invece... Beh, meglio così."

"La signora soffre di una singolare forma di strabismo."

"Già."

"Ed è pure claudicante. Ha forse una malformazione?"

"Non saprei. Zoppica, questo sì."

"Trascina la gamba destra in modo assai evidente e penoso."

"Signor Grimshaw, lei è un attento osservatore. Ed ora che ne direbbe se mangiassimo qualcosa? Una frittata le va?"

Conclusa la magra cena, Carmello si stravaccò sul divano con una birra. L'antiquario sedeva sconsolato, i gomiti appoggiati al tavolo della cucina.

"Dobbiamo tornare al negozio e chiudere la porta. L'abbiamo lasciata aperta, uscendo."

"Sta scherzando spero!"

"Niente affatto: metta il caso che dei ragazzini si introducano in casa."

"E allora? Non è rimasto più niente da rubare!"

"Non è quello che mi preoccupa. Pensi a ciò che potrebbero combinare le abominazioni in cantina."

"Senta, l'ultimo autobus parte dal suo quartiere alle undici, se proprio dobbiamo andare, diamoci una mossa."

Nella luce fioca del crepuscolo la casa dell'antiquario sembrava una belva in attesa di presa.

"Direi che è tutto tranquillo, non le pare?"

"Chiudiamo quella benedetta porta."

Tutto si svolse senza incidenti. L'interno del negozio era immerso nel più assoluto silenzio.

"Bene, direi che possiamo andare."

Alla fermata dell'autobus sostava un uomo di mezza età visibilmente ubriaco. Indossava un cappello dalla foggia insolita, un tricorno, rimediato chissà dove. Non smise un istante di parlare da solo, a voce alta.

Carmello non ci fece neppure caso, avvezzo com'era alla presenza di reietti, prostitute, emarginati, alienati di ogni genere.

"Grimshaw, le lascio una copia della chiave di casa, lei vada pure a dormire se vuole, io passo allo store a comprare qualcosa da bere."

"Preferirei accompagnarla."

"Come crede."

Salirono a bordo dell'autobus, semivuoto. L'ubriaco rimase a terra, col suo cappello e le sue conversazioni solitarie.

"Questa città sta perdendo il lume della ragione."

"Ammesso e non concesso che l'abbia mai posseduto."

"Non si rattristi. Lei è giovane, ha tutta la vita davanti a sé."

"E' proprio questo che mi preoccupa."

Lo store, gestito da un coreano, disponeva di un reparto alcolici assai ben fornito.

"Che ne direbbe, già che ci siamo, di prendere qualcosa da mangiare?"

"In effetti non sarebbe una cattiva idea."

Grimshaw si diresse col carrello verso gli scaffali degli alimentari, lasciando Carmello a contemplare estasiato le bottiglie di birra e liquori.

L'antiquario dichiarò di voler pagare personalmente tutto quanto e Carmello oppose una resistenza puramente simbolica.

Non fecero in tempo a varcare la soglia della palazzina che la signora Torrejon uscì di casa in vestaglia da camera e sguardo spiritato.

"Carmello!"

"Che succede?"

"Una cosa terribile! Venga subito!"

"Il tempo di riporre la spesa e sono da lei."

"Porti anche suo zio."

Carmello imprecò sottovoce.

"Grimshaw, è prioritario mettere in frigorifero la birra."

Posate le borse furono immediatamente in balia della vicina.

"Seguitemi in cucina!"

Nell'attraversare il soggiorno Grimshaw osservò con stupore il soffitto di corallo ma non proferì parola.

La signora Torrejon aprì il rubinetto del lavandino: ne sgorgò un getto di acqua color ruggine che emanava un pesantissimo odore salmastro.

"E' così da almeno un'ora!"

Carmello e l'antiquario riconobbero immediatamente quel lezzo e si scambiarono un'occhiata preoccupata.

"Ho provato ad aprire la porta dello scantinato e ne è uscito un puzzo tale che per poco non svenivo. Potreste dare un'occhiata voi?"

"Domattina provvederemo senz'altro, signora", tagliò corto Carmello, "mio zio è piuttosto stanco per il viaggio. Le auguro la buonanotte."

Un minuto dopo aver varcato la soglia di casa, Carmello stava già tracannando birra a garganella.

"Giovanotto, non è certo bevendo che risolveremo i nostri problemi."

"Se è per quello, non li risolveremo nemmeno da sobri. Quelle cose ci hanno seguito sin qui, vero?"

"Temo proprio di sì."

"E allora mi sa tanto che siamo fottuti."

"Vado a coricarmi un poco. Non sarò suo zio ma stanco lo sono davvero."

Carmello, che soffriva di insonnia, si scolò altre due birre seduto sul divano, rimuginando intorno agli eventi di quel giorno. Alle tre esatte, un suono cupo e distante si levò dallo scantinato della palazzina. Lo si sarebbe potuto descrivere come l'incrocio fra un muggito e la sirena di una nave lontana. Carmello scattò in piedi come una molla.

Il suono si ripeté a distanza di qualche minuto, questa volta con maggiore intensità. La porta della camera da letto si aprì. Grimshaw, che doveva aver vegliato a sua volta, rivolse a Carmello uno sguardo che esprimeva più afflizione che spavento.

Un grido di donna acutissimo, proveniente dall'appartamento vicino, richiamò l'attenzione di entrambi. Vi si diressero senza indugio. La porta era chiusa. Dall'interno provenivano invocazioni disperate d'aiuto.

"Si sposti Grimshaw, provo a sfondare la porta."

Carmello, pur essendo persona mite, possedeva una certa energia: con alcune vigorose spallate fece saltare il chiavistello. Le luci nell'appartamento della signora Torrejon erano spente, eppure la casa era percorsa da uno strano chiarore azzurrino. Le urla provenivano dal salotto. Carmello si arrestò sulla soglia, atterrito da quanto vide oltre.

Era come se la stanza fosse ruotata su sé stessa ed il soffitto e il pavimento si fossero scambiati di posto. La signora Torrejon giaceva al suolo, distesa su un vero banco di coralli fra i quali serpeggiavano creature simili a murene, che, con fulminei assalti, infliggevano alla povera donna morsi crudeli.

Grimshaw si precipitò all'interno, dimostrando un'agilità insospettata e, facendo attenzione a non scivolare sui coralli, afferrò la donna per le ascelle, nel tentativo di trascinarla all'esterno. Carmello, ripresosi, intervenne a sua volta e sollevò la signora Torrejon da terra guadagnando in tutta fretta l'uscita.

Deposta la signora sul divano, corse in bagno a prendere una boccetta di Mercurocromo e delle garze. Le ferite sulle gambe e le braccia della signora Torrejon non erano profonde, ma la donna appariva in forte stato di choc.

"Chiamiamo subito un'ambulanza!" esclamò Grimshaw.

"Provveda lei, io come vede ho da fare."

"Il telefono è fuori uso."

"Come sarebbe a dire a fuori uso?"

"Non funziona! Non ha un cellulare?"

"Sì, è lì vicino al televisore ma temo abbia la batteria scarica."

"Lei, piuttosto, non ne ha uno?"

"Purtroppo no."

"Vada in casa della signora, telefoni da lì."

"Facciamo così: io bado alla signora e lei telefona."

Carmello, non senza qualche sommessa imprecazione, tornò nella casa della messicana. Il telefono era in cucina e, fortunatamente, a questa si poteva accedere dal corridoio senza dover attraversare il soggiorno.

Compose il 911. Dal ricevitore gli giunse quella che tutto pareva fuorché una voce umana. Si sarebbe detto che, dall'altro capo del filo, qualcuno stesse cercando di sturare un lavandino otturato.

"E che cazzo!"

Carmello riagganciò rudemente il telefono. Il corridoio sfavillava di luce azzurra come l'ingresso di una discoteca di Brooklyn.

"Niente, non funziona manco quello!" esclamò una volta rientrato in casa.

Grimshaw seduto accanto alla signora Torrejon il cui deliquio pareva in via di attenuazione, scosse il capo sconsolato.

"Come sta la signora?"

"Meglio direi, si è acquietata, respira senza affanno."

"Esco a chiedere aiuto."

Non fece in tempo a dar corso alla sua intenzione: l'edificio fu scossa da quella che sembrava una scossa sismica.

"Via di qui, subito!". Prese in braccio la signora - che grazie al cielo era minuta - e intimò all'antiquario di seguirlo.

"Non prenda niente, tantomeno quel fottuto libro!"Non si fermò finché non giunse ad alcune decine di metri di distanza dalla palazzina.

"Carmello, la casa!" gridò l'antiquario.

Carmello, sudato fradicio, si volse a guardare. Sulle prime credette di essere vittima di un'allucinazione: l'edificio stava sprofondando nel suolo, come se quest'ultimo si fosse tramutato in fanghiglia. Metro dopo metro, con sconvolgente rapidità, ne fu del tutto inghiottito, sino a scomparire alla vista.

Pietro Ferrari, 2015

lunedì 1 maggio 2017

RIPENSAMENTI  

Tra le offerte di lavoro affisse alla bacheca dell’istituto di Antropologia ve n'era una scritta a mano, con calligrafia incerta: “Cercasi commesso per negozio di antiquariato. Si richiedono puntualità e serietà. In fede, Melvin Grimshaw”.

Tra i tanti annunci stampati a computer, taluni dei quali persino a colori, quel foglietto, che pareva provenire da epoche remote, faceva una strana impressione.

Carmello annotò su un taccuino il numero di telefono e l’indirizzo del negozio.  Decise di recarvisi immediatamente, senza farsi precedere da una telefonata.

Uscendo di casa, quella mattina, aveva assistito a una scena singolare. Dinanzi ai suoi occhi, il portalettere – un sordomuto – era caduto in un tombino lasciato incautamente aperto dagli operai del gas. Le urla gutturali dello sventurato attirarono sul posto un nugolo di pensionati che presero subito a discutere animatamente circa il da farsi. Una pattuglia della polizia che transitava da quelle parti, richiamata dall'assembramento, accostò e, appurata la situazione, allertò via radio i vigili del fuoco. Dal tombino non giungevano ormai che suoni sporadici, disarticolati e raschianti.

L’episodio non turbò Carmello: il portalettere era un individuo crudele e perverso, che si divertiva a catturare gli uccellini per poi staccare loro la testa a morsi. Anni prima, gli aveva mostrato un barattolo di vetro pieno zeppo di testoline rinsecchite di passeri.

Il negozio del signor Grimshaw sorgeva all’incrocio fra Aberdeen Road e Kent Street, non lontano dalla Chiesa dell’Ascensione.

La fermata del bus più vicina distava pochi minuti a piedi.  Il quartiere, ricco di alberi e di edifici in pietra a vista, era piuttosto gradevole a vedersi – una piccola oasi, a confronto del distretto limitrofo.

Il negozio sorgeva in una casa sulle cui pareti un’edera tenace e rigogliosa si era arrampicata sin quasi a raggiungere il tetto.

La vetrina era stata allestita con gusto: vi erano esposti volumi antichi, ceramiche, statue lignee, strumenti musicali. Il negozio era deserto: l’odore delle rilegature in cuoio, della carta pergamena e del legno, unitamente al silenzio ovattato, contribuivano a trasmettere una sensazione straniante al visitatore.

Parve a Carmello di essere entrato in una dimora situata fuori dal tempo, sospesa in una specie di bolla d’aria. Uno scricchiolio, proveniente da dietro a un armadio ricolmo di libri, richiamò d’un tratto la sua attenzione. Si sporse a guardare e vide un uomo disteso sul pavimento, con le mani giunte sul petto.

Si trattava di un vecchio dalla barba candida, elegantemente vestito.

Senza perdere la calma, Carmello esclamò:

“Signor Grimshaw?”.

L’anziano aprì gli occhi e gli rivolse uno sguardo bonario.

“Sarebbe così gentile da aiutarmi ad alzarmi?”.

La manovra non richiese fatica: l’antiquario pesava come una piuma.

“Si sente bene? Vuole che chiami un medico?”

“Non si preoccupi, ho avuto un semplice mancamento. Mi capita, a volte. Fortunatamente il mio sistema neurovegetativo ha il buon gusto di darmi sempre una sorta di preavviso, così ho il tempo di adagiarmi a terra ed evito di schiantarmi. Ciò mi risparmia bernoccoli, lussazioni o peggio.”

Carmello sorrise, divertito dall’insolito frasario del suo interlocutore.

“Immagino che lei sia qui per l’annuncio.”

In quel preciso istante un orologio a cucù prese a battere le ore.

“E’ intagliato in un legno della Foresta Nera. Posso sapere il suo nome?”.

Carmello si presentò.

“Ha mai fatto il commesso prima?”

“Sì, per un breve periodo, presso un negozio di alimentari.”

“Beh”, osservò l’antiquario carezzando il dorso di un volume “Anche questo è cibo, in fondo. Cibo per l’anima. Questo invece,” disse indicando un tavolo Servant fine Ottocento inglese in mogano massello, “è cibo per le tarme. Lasci che le mostri una cosa.”

L’antiquario sparì dietro a uno scaffale e ricomparve poco dopo recando un volume vetusto.

“Una rarità assoluta: la traduzione dall’arabo in lingua latina del Necronomicon di Abdul Alhazred, eseguita da Pietro il Venerabile.”

“Ho sempre creduto che il Necronomicon fosse un testo immaginario”.

“E invece eccolo qui.”

“E in questo libro ci sono formule magiche, rituali?”.

“No. Questo libro è una porta.”

“Una porta? E quanto costa?”

“Non è in vendita. Ne esistono solamente altri due esemplari: uno è custodito in Germania; l’altro in Spagna. Da privati”.

“Io non so il latino.”

“Ho provveduto personalmente a tradurlo nella nostra lingua.”

“Mi piacerebbe leggerlo.”

“Non ci capirebbe nulla. Io stesso non ci ho capito granché. Alhazred era quasi certamente un folle o un posseduto, oppure entrambe le cose insieme. Si narra che Pietro il Venerabile, ultimata la traduzione del testo, si sia segregato in un eremo e non abbia più scritto nulla, né predicato in pubblico. Le entità descritte nel Necronomicon sono reali, non immaginarie.”

“Lei ha provato ad evocarle?”

“Certo che no, del resto non saprei neppure come procedere, il libro non dice come farlo”.

“E  cosa c'è nel libro allora?”

“Il Necronomicon descrive queste entità demoniache primordiali e ne indica i nomi, ma non spiega come evocarle. Non è un testo di demonomanzia, capisce?”

“In che senso, allora, lei lo ha definito una porta?”

“Perché tale è, a tutti gli effetti. Solo che ad adoperarlo non siamo noi, ma loro. Mi capisce?”

Carmello avvertì un brivido corrergli lungo la schiena.

“Quindi il Necronomicon è una porta attraverso la quale le entità possono entrare nel nostro mondo?”

“Precisamente.”

“E le è mai capitato che lo facessero?”

“In tutta sincerità non saprei dirglielo. Se ciò è accaduto, io non me ne sono accorto. Ed ora, se permette, vado a riporlo nella teca in cui lo custodisco da decenni”.

Dopo un paio di minuti Grimshaw riapparve. "In questa busta troverà i dettagli del contratto. Non amo discutere a voce certe questioni. Ne prenda visione e decida come crede.”

Carmello aprì la busta che l’antiquario gli porgeva: su un foglio sottilissimo erano indicati gli orari di apertura del negozio e la somma che avrebbe ricevuto a fine mese.

"Grazie signor Grimshaw. Non la deluderò, vedrà".

"Ci conto, figliolo, ci conto".  

Rientrando a casa Carmello vide che un paranco elettrico a catena era stato collocato nei pressi del tombino: il portalettere ne veniva estratto proprio in quell’istante, inzaccherato ma vivo.

I pensionati, posizionati a distanza di sicurezza, osservavano la scena confabulando fra loro.

Uno di essi prese da terra un ciottolo e lo scagliò contro il portalettere, subito imitato dai presenti. In breve, il sordomuto fu fatto segno di una vera e propria sassaiola.

La polizia dovette intervenire con decisione per disperdere la folla di vecchietti decisi a lapidare lo sventurato, il quale approfittò della circostanza per darsi alla fuga. Una muta di cani delle più diverse taglie e razze, scavalcate le recinzioni dei cortili adiacenti, si lanciò immediatamente all’inseguimento dell’uomo latrando in modo indiavolato.

Carmello notò che l’uscio della sua abitazione era fuori squadra: qualcuno doveva aver tentato di forzarlo durante la sua assenza. Imprecò a bassa voce e diede un gran calcio a una lattina di birra vuota. La lattina si sollevò in aria, percorse una lunga traiettoria parabolica e cadde in testa a un passante, che si accasciò al suolo senza un lamento.

Indeciso sul da farsi, Carmello diede uno strattone alla maniglia della porta, che cedette rumorosamente, schiantandosi in mille pezzi.

La disintegrazione della porta – evento inaspettato e inspiegabile – produsse un’impressione profonda sul giovane, che osservò attonito le minute scaglie di legno sparse un po’ dappertutto, sulla veranda e sui gradini.

Il cane del vicino, uno spitz tedesco, approfittando di un varco nella rete metallica che separava le due proprietà, si mise a curiosare qua e là, annusando i resti della porta. Carmello si lasciò cadere sul divano del soggiorno, sopraffatto dalla stanchezza, e si appisolò.  

 A dividerlo dal mare era solo una lingua di terra. Correva e gli pareva di camminare, camminava e gli sembrava di star fermo. E se si fermava, le onde si ritiravano. Non c’era verso di potersi immergere, in quel mare insocievole e scostante. Un’imbarcazione a vela apparve all’orizzonte. Un istante dopo scompariva fra i flutti. Gli parve di udire le voci dei naufraghi, ma non si esprimevano in una lingua a lui conosciuta.  

Si svegliò di colpo. Il cane del vicino era ai piedi del letto, addormentato sul tappeto. Erano da poco trascorse le quattro del pomeriggio, un refolo di vento spargeva foglie secche in giro per la casa. Il telefono in cucina squillò due volte e poi tacque. Dopo circa un minuto riprese a squillare. “Sono Grimshaw, può raggiungermi in negozio? E’ un’emergenza”. Seguì un lungo silenzio: la comunicazione si era interrotta.

Carmello se ne accorse dopo un quarto d’ora di attesa al ricevitore. Riappese e diede un calcio a una palla da tennis finita chissà come in cucina. La palla si alzò in volo, traversò la finestra aperta e colpì alla tempia un nano che transitava proprio in quell'istante sul marciapiede.

Nell’uscire di casa, Carmello ne scavalcò il corpo e si diresse verso la fermata del bus, zoppicando a causa di un crampo improvviso al polpaccio.

Benché provato nel fisico e nel morale, il giovane sentiva di non potersi sottrarre alla richiesta d’aiuto dell’antiquario.

Appena giunto in prossimità del negozio percepì delle urla animalesche provenire dall’abitazione di Grimshaw. Sembrava che vi fossero state liberate delle scimmie o dei maiali. Carmello aprì la porta con circospezione e il baccano cessò come d’incanto. Dall’interno si udì la voce dell’antiquario.

“E’ lei? Venga, presto!”

L’anziano indicò una porta situata nel retro del locale.

“Che succede signor Grimshaw?”

“Succede che quei maledetti stanno cercando di entrare!” esclamò l’antiquario, scosso da un tremito convulso.

Carmello lo guardò basito.

“Quelli chi?”

“Le cose innominabili che strisciano e gorgogliano nelle intercapedini fra il nostro ed altri mondi!”

Carmello vacillò come un albero colpito da una violentissima raffica di vento.

Da dietro la porta si levò un coro di ruggiti, seguito da una raffica di colpi che ne fecero sussultare i cardini.

“Mi aiuti a puntellare l’uscio, in nome del cielo!”

Sembrava che un’orda di creature grottesche stesse premendo per uscire dalla cantina, i suoni che ne provenivano non avevano nulla di umano: si trattava, piuttosto, di una cacofonia infernale, che avrebbe fatto cedere i nervi al più compassato degli individui.

Carmello sospinse una pesante cassettiera contro la porta e prese ad accatastarvi ogni genere di oggetti su cui riuscì a metter mano.

Grimshaw, pallido come un cencio, farfugliava parole inudibili, reggendosi a malapena sulle gambe.

Il telaio della porta in legno massiccio parve sul punto di cedere in seguito a un colpo di inaudita violenza.

Dalla fessura apertasi tra il telaio e la parete si sprigionò un fetore nauseabondo di putredine.

D’improvviso, le urla si interruppero.

Nel locale invaso dal lezzo calò il silenzio.

Carmello si asciugò il sudore dalla fronte con il dorso della mano e si rivolse all’antiquario.

“Signor Grimshaw”.

"Sì?"

"Mi sa che non accetto il posto". 
 
Pietro Ferrari, 2015

sabato 29 aprile 2017

I "MURATINI":
UNA LEGGENDA POPOLARE  

Si narra che presso un'abbazia in Molise fosse costume, ogni Venerdì Santo, segregare all'interno di piccole celle sotterranee i giovinetti del luogo che si preparavano alla cresima.
Quivi i fanciulli trascorrevano una notte e un giorno in meditazione, con una brocca d'acqua e del pane quali unici generi di ristoro.
Sul tronco di una leggenda se ne innestano sovente altre. Si narra che, nei primi dell'Ottocento, uno dei muratini, una volta estratto dalla cella sotterranea in cui era stato rinchiuso, avrebbe riferito di esser stato testimone di eventi prodigiosi.
Durante la notte, il giovinetto udì un rumore improvviso all'interno dell'angusto locale e vide aprirsi un ampio spiraglio in una delle pareti di roccia. La curiosità ebbe il sopravvento sulla paura e il ragazzino si sporse ad osservare: al di là della parete, si estendeva una vasta grotta illuminata da un tenue chiarore azzurrognolo.
Dal varco apertosi nella parete, il "muratino" si introdusse nella grotta. Ne osservò sbalordito la vastità e prese a percorrerla sino ad imbattersi in uno specchio d'acqua sul fondo del quale guizzavano creature stranissime che egli descrisse come "pesci con le gambe". Nella grotta regnava un profondo silenzio. Il ragazzino, proseguendo nella sua esplorazione, scorse poi una nicchia ricavata nella roccia, al cui interno giaceva una statua dalle fattezze assai singolari: la forma era vagamente umana, ma la testa era simile a quella di una tartaruga; inoltre, al posto delle dita, le mani disponevano di tentacoli come quelli di un polipo. Atterrito da questa visione, il giovine corse a nascondersi nella sua cella.
All'indomani, dopo che ebbe raccontato la propria esperienza, la cella fu sottoposta ad attento esame, ma non fu trovata traccia di aperture nelle pareti. 

Pietro Ferrari, 2015

venerdì 28 aprile 2017

L'UOMO CHE PERDEVA I TRENI

Il giorno in cui mi fu diagnosticato un tumore al polmone in stadio avanzato, ovvero sei mesi prima della mia morte, appena uscito dal policlinico mi recai alla stazione ferroviaria. Mancava circa un'ora alla partenza del mio treno, così andai a sedere in sala d'aspetto. All'epoca ve n'erano due: una di prima e l'altra di seconda classe, quest'ultima stranamente semivuota. I soli presenti, a parte me, erano un'anziana donna e un uomo di mezza età, dall'aria assai patita, che, dopo avermi osservato per alcuni istanti, si alzò dal proprio posto e, avvicinatosi, mi disse: "Signore, mi scusi, le potrei parlare? Non intendo disturbarla".

Annuii.

"Sin dal suo ingresso in questa sala ho capito che lei è una persona cui ci si può confidare. Desidero raccontarle una storia e sono certo di poter contare sulla sua discrezione. Molti anni fa, in questa stazione, io spinsi sotto a un treno il mio insegnante di applicazioni tecniche. No, non mi guardi così, non sono un pazzo né un sadico. Lo uccisi, è vero, ma con ottime ragioni. Era un individuo orribile, un uomo cattivo."

"E non l'arrestarono?"

"No, non ci furono testimoni. Quel demonio tutti i giovedì si recava da una prostituta a Porta Calcinara, cenava in una trattoria e rientrava a casa col treno delle 20. Lei non sa quante volte dovetti rinunciare al mio proposito prima di poterlo attuare. Infine si presentò l'occasione giusta, in una sera nebbiosa di novembre."

"Ed è tutto?"

"Non esattamente. Il destino presenta sempre il conto, e da allora la mia vita è legata a doppio filo a questa stazione. Sa cosa faccio per vivere?"

"Sentiamo."

"Perdo i treni."

"Sarebbe a dire?".

"Sarebbe a dire che, ogni giorno, svariate volte, fingo di dover prendere un treno e lo perdo."

"Scusi, ma non riesco a capire: a che pro?"

"Sono pagato per farlo."

"Pagato da chi?"

"Da un'agenzia. Ce ne sono in tutte le città, non lo sapeva?"

"Sinceramente no."

"In tutte le città italiane ci sono individui pagati per recitare questa scena. E' costume che qualcuno debba giungere in stazione in ritardo, correre appresso al treno in partenza e infine arrendersi imprecando. Una tradizione che non si può interrompere."

"E lei è pagato per perdere i treni?"

"Si."

"Mi sembra una follia."

"Alla stazione di Santa Maria Novella, a Firenze, un mio collega perde i treni da vent'anni."

"E la pagano bene?"

"Per nulla, ma mi mantengo in vita. Inoltre mi hanno messo a disposizione un bugigattolo per dormire, vicino al deposito bagagli. Ora però devo salutarla, devo perdere il treno per Milano delle 12. E' stato molto gentile ad ascoltarmi, le auguro una buona giornata."

Il mio treno partiva alle 12 e 30. Nei mesi successivi, sino al mio decesso, non misi più piede in stazione e non incontrai più quel singolare personaggio. Lo rividi tuttavia in sogno: sostavamo nei pressi di un binario ferroviario, al sopraggiungere del convoglio, l'uomo, dopo avermi rivolto un sorriso disperato, si gettava sui binari venendo travolto dalla locomotiva.

Pietro Ferrari, 2015