lunedì 14 gennaio 2019


1994 LA NUDITÀ E LA SPADA

Autore: Ferruccio Parazzoli
Anno: 1990
Genere: Romanzo
Sottogenere: Ucronia, distopia, fantareligione, fantapolitica
Argomenti: Religione cattolica, integralismo, guerra santa

Ambientazione: Italia, 1994-95, 2015
Lingua originale:
Italiano
Editore: Mondadori
Collana: Omnibus italiani
Codice ISBN-10: 8804333227
Codice ISBN-13: 978-8804333227
Codice EAN: 5000000403320
Pagine: 275

Panoplia satyrica 

Personaggi "reali":
    Monsignor Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano in un periodo particolarmente difficile. Fa di tutto per mediare le varie anime cattoliche presenti nella sua diocesi e per far sì che la situazione non diventi troppo incandescente. Nonostante il suo grande impegno, fallisce. Il suo destino è la fucilazione.
    Don Luigi Giussani, fondatore della setta neopelagiana dei Mammoniti (più nota come Comunione e Lottizz... pardon... Liberazione). Ridotto alla clandestinità, finirà fucilato assieme a Martini, che lo aveva nascosto nella sede arcivescovile.  
     Don Roberto Busti, descritto come un prete-manager dai capelli fulvi; ora Google lo mostra come un attempato vescovo. Gli tocca una patata bollente: gestire il videomessaggio dell'arcivescovo sull'epidemia di AIDS. 
    Cesare Cavalleri, scrittore e giornalista, dirige la rivista Studi cattolici. Descritto come aspro e intrattabile, ma dotato di sprito profetico. Adepto della setta dell'Opus Dei - quella che esalta come dono il dolore... degli altri. Il suo dramma Cristo, il Grande Terrorista fa precipitare la situazione, gettando Milano nell'anarchia, con conseguente repressione. 
   Vittorio Messori, scrittore e giornalista cattolico, presente alla cena di Don Busti. Noto per essere un amante dei tortellini alla carne, che a sua detta giustificherebbero lo sterminio dei Catari.
     Ferruccio Parazzoli, scrittore presente alla cena di Don Busti. Autore di opere non immuni da una vena di ispirazione mefistofelica. 
     Roberto Formigoni, un celebre capo della setta mammonita (vedi sopra). Presidente del Movimento Popolare, al Meeting riminese intona geremiadi a causa della sempre maggior lontananza delle autorità ecclesiastiche.
     Giulio Andreotti, politico democristiano, considerato un tappo dal volgo italiano, in realtà era gigantesco e non aveva nemmeno la gobba. 
     Giovanni Spadolini, corpulento politico repubblicano, calato sul palco al Meeting di Rimini per un'improbabile crociata neo-illuministica, quasi linciato da folle di mammoniti urlanti.
   Ciriaco De Mita, politico democristiano, proprio quello che alcuni soprannominano Re Mida. Presidente del Consiglio dei Ministri dal 1945 al 1995.
     Eugenio Scalfari, un giornalista-scrittore e politico, direttore de La Repubblica. Si salva per il rotto della cuffia dall'attentato in cui perde la vita Giampaolo Pansa.
    Gaspare Barbiellini Amidei, arriva trafelato alla cena di Don Busti, annunciando che Giovanni Paolo II ha deciso di trasferire la Santa Sede a Manila. 
  Giampaolo Pansa, un giornalista-scrittore-saggista, vicedirettore de La Repubblica. Viene ucciso in un attentato.
    Giuliano Ferrara, un giornalista, conduttore televisivo e politico, fautore dell'idea del cosiddetto "ateismo devoto" e dotato di barba rossiccia, poi in parte incanutita. Nel romanzo non viene citato per nome, bensì con l'evocativo soprannome Bretelle Rosse.  

Personaggi immaginari: 
    Tommaso Vegas, il protagonista, un professore universitario di Storia del Cristianesimo alla Cattolica; è di incerte convinzioni, in ogni caso incline al nicodemismo.
    Mara, la milf amante di Tommaso, ninfomane, perennemente scolvolta da flussi ormonali, stravagante e imprevedibile. È una tipica radical chic milanese sconvolta da immani quantità di droga.
    Claudia Vigevani, studentessa del corso di Tommaso e infine sua amante. La sua famiglia è di origine ebraica. Avvicinatasi alla setta di Comunione e Liberazione, durante le rivolte finirà imprigionata, torturata e uccisa.
    Marco Vigevani, il padre di Claudia, docente ebreo convertito in gioventù al cattolicesimo, ancora traumatizzato dalle leggi razziali del '38, a cui assimila la presente repressione anticattolica. La sua passione è la fanta-paleontologia.
   Antonio Mattalia, un militante mammonita, che seduce e radicalizza Claudia, condividendone il triste destino in uno stadio uso campo di concentramento di pinochetiana memoria. 
   Leone Besana, un amico di Mara, cultore delle arti marziali nonché omosessuale confesso, ma aperto ad assumere ruoli di assoluta passività con Mara, improvvisatasi dominatrice armata di fallo di gomma.
   Don Giacomo Carnevali, parroco di San Babila e amico di vecchia data di Tommaso; persa la fiducia nei suoi parrocchiani e nel mondo intero, deciderà per l'abiura. Non sopportando un'esistenza divenuta senza significato, si darà fuoco come un bonzo.
     Don Luigi Crivelli, parroco di San Simpliciano e studioso delle dottrine gnostiche, per cui sembra quasi provare un'occulta simpatia. Consultato dall'arcivescovo Martini per un cruciale videomessaggio sull'AIDS, gli raccomanda di non discostarsi dal magistero della Chiesa - ovviamente senza menzionare in modo esplicito l'idea fondante dell'epidemia come punizione divina per i peccati umani.

Trama: 
Il romanzo parazzoliano, che è assai denso e di straordinaria complessità, è incentrato su un drammatico tema: la fine violenta e improvvisa della religione cristiana in Italia e più in generale nell'intera civiltà occidentale. La narrazione, troppo articolata per essere ridotta a una stringata sinossi, si divide in più parti.

Parte prima: 2015 
In Italia l'esercizio del culto cattolico è proibito con leggi draconiane. Il narratore va con la mente ai fatti che hanno portato a simili sviluppi, risalenti a un decennio prima. Mentre rimugina, viene avvicinato da un giovane che lo invita a una celebrazione della Veglia pasquale nel segreto di un appartamento privato. Non essendoci più sacerdoti, il rito clandestino viene officiato da un diacono. Finita la cerimonia, il narratore torna a casa e decide di mettere per iscritto la storia degli eventi di cui è stato testimone, utilizzando i confusi appunti lasciati da Tommaso Vegas.

Parte seconda: 1994 
Tommaso Vegas, docente dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, convive con la sua amante Mara: la loro dimora è frequentata da un vasto assortimento larve umane. Una studentessa che segue il corso di Storia del Cristianesimo, Claudia Vigevani, rimane coinvolta in uno scontro tra militanti di Comunione e Liberazione e anticlericali. Tommaso accompagna la ragazza a casa e fa la conoscenza del padre, un pensionato ex insegnante di scienze naturali che passa il suo tempo a costruire fantasiosi modelli di dinosauri ucronici.
Febbraio 1994: Tommaso è invitato in Arcivescovado per un incontro presieduto dall'arcivescovo Martini, il cui argomento è la difficile situazione della Diocesi di Milano. Martini cerca di affermare l'autonomia della Chiesa ambrosiana da tutte le parti in causa: Comunione e Liberazione,
il Papato wojtyliano e la Massoneria. A distanza di pochi giorni, Tommaso è invitato a una cena a casa di don Busti, ove trova i rappresentanti dell'intellighenzia cattolica milanese. Un corrucciato Cavalleri profetizza l'imminente avvento di feroci persecuzioni anticristiane. Nessuno lo ascolta: tutti hanno come unico orizzonte i tortellini! A questo punto fa la sua irruzione il direttore di Avvenire, che gela tutti con la notizia della traslazione della corte pontificia a Manila. Il papa polacco, interessato solo al supposto risveglio cristiano dell'Est e all'evangelizzazione del Terzo Mondo, ha abbandonato la Chiesa italiana a se stessa. 
Agosto 1994: Tommaso riceve l'invito al Meeting di CL a Rimini. Si reca quindi nella città romagnola con l'amante più giovane, Claudia. Durante una visita al Tempio Malatestiano, incontra Cavalleri, che profetizza nuovamente, vaticinando un fosco futuro. Il Meeting è teatro di eventi convulsi. Il rapporto tra Tommaso e Claudia si rovina in modo subitaneo: lei mostra segni di fanatismo e non vuole più avere rapporti. Al ritorno del professore a Milano, anche il rapporto con Mara è ormai in crisi.
Autunno 1994:
Gli eventi precipitano a causa dei tumulti scatenati a Milano dalla rappresentazione del dramma incendiario di Cesare Cavalleri, Cristo, il Grande Terrorista. La devastante epidemia di AIDS non fa che esacerbare gli animi. I cattolici sono accusati di questo disastro, a causa della loro pervicace opposizione all'uso del profilattico. L'arcivescovo Martini - ormai papa de facto - in un messaggio televisivo sul contagio, pavidamente non affronta la questione del condom. 
23 dicembre 1994: Uccisione di Giampaolo Pansa in un attentato. Eugenio Scalfari riesce invece invece a sfuggre al Tristo Mietitore. L'accaduto, visto come un attacco alla stessa laicità del Paese, porta a un nuovo giro di vite contro i cattolici. 

Parte terza: 1995
Il potere, dopo mesi di crisi di governo, passa alla Giunta di Unificazione Nazionale, che subito applica leggi restrittive contro i cattolici, secondo l'autore su modello delle leggi razziali del '38, ma direi piuttosto simili a quelle emanate dal presidente Plutarco Elías Calles in Messico nel '26. Ai cattolici praticanti, messi sotto stretto controllo, è assegnato un tesserino giallo, necessario per poter assistere alle funzioni. L'Università Cattolica viene chiusa: Tommaso perde quindi la sua cattedra. Per mantenersi si vede costretto a curare un'edizione dei frammenti di Eraclito per la Mondadori. Risale a questo periodo la sua frequentazione di Marco Vigevani, con cui visita il Museo di Storia Naturale. 

La congravescenza dell'epidemia di AIDS è incessante, i casi si moltiplicano senza sosta. Comincia a diffondersi un'infamante accusa rivolta ai volontari cattolici che assistono i malati: quella di essere untori e di diffondere il morbo per sterminare i peccatori. Agli estremisti cattolici viene attribuito anche un attentato alle Ferrovie Nord, con morti e feriti. La folla insorge e devasta le Librerie Paoline a Milano. L'Arcivescovado viene posto sotto assedio. Claudia, entrata a far parte di un movimento oltranzista, viene arrestata e fucilata assieme ad alcuni compagni. I loro corpi vengono esposti al pubblico ludibrio, mentre l'esercito interviene coi carri armati.
6 dicembre 2015: Fucilazione dell'arcivescovo Martini e di don Giussani. Il cattolicesmo italiano, privato del clero, in pratica cessa di esistere. I superstiti, che vegetano in stato catacombale, si confonderanno sempre più in una galassia di conventicole settarie.


Epilogo: 2015
A questo punto si viene a sapere che il narratore della storia è proprio Tommaso Vegas. Nuove elezioni sono state indette per pacificare gli animi degli italiani, dopo anni di dittatura militare. In un'ultima pagina si introduce un ulteriore livello di ucronia: l'intero romanzo sarebbe l'invenzione di uno scrittore in un'Italia teocratica in cui Martini siede sul soglio pontificio! 


Recensione: 

Mi è molto piaciuta quest'opera, senza dubbio una pietra miliare della narrativa ucronica, il cui titolo rimanda al 1984 di George Orwell e all'Apostolo delle Genti. Ne raccomando a tutti la lettura: è come ossigeno per la mente. Come penso debba essere ovvio, accolgo il principio cardinale della sospensione dell'incredulità ogni volta che mi immergo nei meandri di una trama fantascientifica o fantastica. Se però dobbiamo passare all'analisi dettagliata dei contenuti, siamo costretti ad evidenziare le nostre perplessità.

Fantasia e realtà 

Una scena di vivida violenza. Una rivolta anticattolica è in atto. In un bar alcuni adepti di Comunione e Liberazione vengono aggrediti, trascinati in strada e percossi selvaggiamente. A uno di loro vengono assestati poderosi calci nel ventre, che gli provocano l'eruzione di getti di vomito. Una volante giunge a sirene spiegate e carica gli attivisti di Comunione e Liberazione, senza badare nemmeno per un attimo a chi li ha massacrati di botte. Non posso fare a meno di confrontare questo pezzo di bravura del Parazzoli con quanto da me vissuto all'università, quando frequentavo il corso di laurea in Fisica, in Via Celoria a Milano, proprio nei tardi anni '80 e primi anni '90. Il braccio politico della setta neopelagiana dei Mammoniti era noto come movimento dei Cattolici Popolari, il cui nome era abbreviato in CP; in pratica avevano il potere incontrastato nell'ateneo. Non c'era alcuno che si opponesse loro. I Comitati Leninisti erano ridicoli e patetici, si limitavano a distribuire il loro fogli di carta igienica con baggianate incomprensibili scritte a caratteri fittissimi. Intanto i Cattolici Popolari invadevano interi corridoi e si mettevano a pregare, senza nessun rispetto per chi non voleva sentire le loro lagne. Il punto è che in un corridoio c'erano tavoli e sedie, con molti studenti che studiavano. Verso chi voleva studiare in pace non c'era rispetto di sorta. Arrivavano i CP e tutti dovevano sgomberare immantinente per lasciar posto alla folla orante. Si aveva l'impressione di vivere in una teocrazia. Dei militanti laicisti e di sinistra evocati come picchiatori dal romanzo parazzoliano non c'era traccia alcuna. Solo fievole segno di insofferenza verso i teocrati ciellini: una scritta in un cesso, il cui testo era il seguente: "Odiare i negri è razzismo. Odiare i CP è intelligenza!"  Non ho scritto io quella sentenza - non mi abbasso a scrivere nei cessi - ma in un'occasione ho reagito con tali parole alla provocazione di un gran numero di ciellini, che avevano ostruito il corridoio con i posti per gli studenti, rifiutando di farmi passare. Un amico mi ha trascinato via prima che lo scontro degenerasse: all'epoca ero temerario e non mi era chiaro che sarei finito pestato come un sacco di patate. Più tardi avrei ideato una forma di scherno nei confronti dei CP, il cui nome ha subìto una magica trasformazione in CIPPIRIMERLO. Il trucchetto funziona ancora, con la metamorfosi del PD in PIDDIRIMERLO.

Alcune note antropologiche 

La facilità con cui Tommaso Vegas riesce a farsi delle amanti è tale da non avere precedenti nemmeno nella storia del paese di Sodoma e Gomorra. Al docente universitario nicodemita basta una breve conversazione casuale sul treno per convincere Mara, la milfona divorziata, a concedersi e a iniziare una convivenza. E che dire dell'invereconda, morbosissima seduzione messa in atto dalla giovane Claudia, che si mette nuda nella sua stanza permettendo al professore di sbirciarla? Il Parazzoli evita di evocare l'atmosfera plumbea che regnava ai tempi in cui il romanzo stesso fu scritto, regnante Karol Wojtyła. Il tonitruante pontefice polacco rivolgeva incessantemente alle nazioni del mondo i suoi anatemi e i suoi tentativi di moralizzazione sessuale, il cui testo poteva sintetizzarsi grossomodo così: E BUBÙBU BUBÙBU!! Convinto seguace delle dottrine dell'homunculus spermatico, Wojtyła riteneva che ogni eiaculazione fosse un genocidio, così cercava di imporre alle genti, con determinazione tirannica, che lo sperma fosse trattenuto nei testicoli. I fatti paiono mostrare che, almeno implicitamente, ammettesse un'unica possibile valvola di sfogo: la pedofilia ecclesiastica (vedi i casi Groër e Maciel Degollado, etc.). Di tutto questo non troviamo la benché minima traccia in 1994 La nudità e la spada. Com'è possibile? Parazzoli si limita a menzionare qualcosa di sfuggita sull'esaltazione wojtyliana dei popoli del Terzo Mondo, che "rifiutano la contraccezione e credono nei valori". Si tace sul fatto che secondo il pontefice cracoviese, agendo così, questi popoli contribuivano a far battezzare il maggior numero possibile di homunculi prodotti dalle gonadi, altrimenti destinati alla dannazione eterna. 

Ucronia oppure onirostoria? 

Una domanda pressante. Dove possiamo collocare il punto di divergenza tra il nostro corso storico e quello del romanzo? Non è poi così facile dare una risposta sensata. La narrazione parazzoliana potrebbe anche essere onirostorica, relativa a eventi che non si sarebbero mai potuti verificare nell'universo in cui siamo costretti a vivere. Le fosche profezie che lo scrittore romano naturalizzato milanese mette in bocca all'intellettuale dell'Opus Dei, Cesare Cavalleri, lasciano piuttosto perplessi, soprattutto se si pensa al contesto dei primi anni '90 dello scorso secolo, quando la teocrazia wojtyliana rasentava il totalitarismo. Posso contare sulla punta delle dita le manifestazioni di dissidenza antiwojtyliana di cui sono stato testimone nel corso degli anni di pontificato del tiranno polacco. Eccole:

1) A Seregno comparve sul muro di un palazzo la scritta: "IL PAPA E' PEGGIO DELLA PESTE".
2) Su un banco di un'auletta di Via Celoria, nell'edificio di Fisica, uno sconosciuto ha scritto in pennarello: "WOYTILA = HITLER DELLE COSCIENZE".
3) Nei primi anni del XXI secolo, io e il fraterno amico P., esasperati dai continui "BUBÙBU BUBÙBU!", definivamo il pontefice di Cracovia "DEMENTE BAVOSO". In un'occasione un medico cattolico è rimasto raggelato nell'udire queste parole dalla bocca di P., ricordo le labbra che gli tremavano come per un tic. Come se nell'Antico Egitto qualcuno avesse inveito contro il Faraone.
4) Mentre eravamo sul treno, io e l'amico P. udimmo le proteste di una milf e di due suoi amici, che seppur timidamente protestavano contro l'invadenza dei media papisti. Come intervenimmo e facemmo sapere che eravamo d'accordo, la milf e gli altri furono sinceramente rincuorati.

5) Possiamo aggiungere una protesta politica, ma senza dubbio antiwojtyliana. Sui muri cittadini di Seregno comparve una scritta in rosso: "SOLIDARNOŚĆ FUORI DALLE PRIGIONI... NEI FORNI!" (ricordo che i diacritici del nome del movimento polacco erano corretti). Immagino lo sdegno del pubblico per il fatto che riporto queste memorie nella loro durezza. Pochi poi parlano del fatto che Lech Wałęsa proponeva la castrazione degli omosessuali. 

E poi? E poi basta. I media erano nelle salde mani dei Mammoniti, che imponevano una cappa di censura e di oppressione senza precedenti. Una situazione quasi iraniana!
Si noterà che il teologo dissidente Hans Küng ha pubblicato la requisitoria Wojtyła, il Papa che ha fallito soltanto quando l'interessato era da poco spirato, nell'Anno del Signore 2005.
Approfitto dell'occasione per scagliare vergogna sulla barba di F., un convinto anticlericale che disse di sostenere Wojtyła e di apprezarlo per via del suo impegno contro la guerra! 


Possiamo giungere a una conclusione forse lapalissiana: il punto di divergenza tra il nostro cosmo e quello del romanzo si deve per necessità collocare dopo l'insediamento di Giovanni Paolo II sul soglio pontificio, il 16 ottobre 1978 e prima dei fatti narrati. Quello che temo è che un così breve lasso di tempo sia insufficiente a giustificare la prodigiosa accelerazione degli eventi descritta da Parazzoli, così come il diffuso clima anticlericale. Un'impetuosa ondata di anticlericalismo si è verificata soltanto con l'elezione di Benedetto XVI, il 19 aprile 2005, in parte a causa dell'origine etnica del nuovo pontefice - essendo molto diffuso in Italia l'antigermanismo - in parte a causa della reazione eruttiva alla pervasiva oppressione di 26 anni di dominio wojtyliano.

Il mito della Chiesa del Silenzio

Parazzoli descrive con maestria e dovizia di particolari il commovente rito della Veglia pasquale, celebrato da un ingegnere elettronico che faceva del suo meglio per mimare il sacerdozio cattolico, ormai soppresso. Leggendo le pagine in questione, una lampadina si è accesa nella mia mente. Ricordo quando il mitissimo don F. ci parlava della repressione della religione cattolica in Cecoslovacchia, con preti che venivano torturati, rinchiusi in cubicoli in cui non potevano nemmeno muoversi, privati del sonno. Così ci disse don F., che a quei poveri testimoni di Cristo veniva applicata la corrente ai testicoli eppure essi non cedevano. "Un prete non può abiurare", precisava, come se fosse un'impossibilità fisica o concettuale, un autentico adynaton - dimenticando ovviamente la stessa esistenza di Cristóvão Ferreira e l'efficacia estrema dei feroci sistemi dei Tokugawa. Poi dovetti sorbirmi ore di geremiadi sulle comunità cristiane cecoslovacche e polacche, costrette a incontri clandestini in case di montagna e in scantinati. In netto contrasto con l'opulenza di noi brutti e cattivi cresciuti nella bambagia di un futile consumismo, quegli slavi vivevano in condizioni paleocristiane, come i perseguitati sotto l'Impero di Decio e di Diocleziano! Una mattina, mente con fatica mi levavo e mi preparavo per la quotidiana razione di tortura scolastica, mio padre ascoltava la radio. Usciva da quella macchinetta una vocina stridula, con ogni probabilità di un mammonita di CL, proclamava: "In Russia ogni giorno milioni di giovani si convertono a Dio!" Su un giornalaccio, non ricordo se fosse Famiglia Crisitana o qualche immondizia similare, un prete faceva un altro proclama: "Mentre in Occidente ci sia affanna a negare Dio, in Russia ci si sta accorgendo che senza Dio non si può vivere!" Ecco, di queste pornografie concettuali si nutriva e si accresceva giorno dopo giorno lo sconcio mito della Chiesa del Silenzio. Poi, caduto quello che il mitico Giurato chiamava Mudo li Merlino, ecco svelata la realtà. La Chiesa del Silenzio non è mai esistita! Era tutta una baggianata, un imbroglio inverecondo! Sapete quali sono i frutti del fantomatico risveglio cristiano dell'Est? Ve lo dico io. Mafia, mafiosi, gangster, assassini, papponi, puttane, pornografi, pedofili, cannibali, carnefici, produttori di snuff videos, oligarchi, policanti iniqui, tiranni, pingui popi orgiasti e corrotti col crocefisso pieghevole sul sontuoso copricapo! Schifo assoluto e nemmeno un uomo di Dio! 

Cristianesimo e asfissia

Così dice il Cavalleri a Tommaso Vegas: 

«È la conclusione di una lotta mortale. È il progetto di asfissia del cristianesimo e di ogni altra forza che si opponga in nome di una fede ad un potere che si è venuto ad identificare con lo Stato, ad una democrazia che è stata di mano in mano, subdolamente o apertamente, sostituita da una tecnocrazia manovrata da oscure oligarchie economiche che, attraverso alcuni ingenui e ambiziosi intellettuali, si sono impadronite degli strumenti di comunicazione, sotto la mascherata di un'élite laicista.» 

Tutto molto condivisibile. C'è solo un piccolo dettaglio. Cosa asfissierebbe un Cristianesimo trionfante? Ecco che ci risponde Emil Cioran: verrebbe il tempo del Carnefice della Croce. Sostengo la Rivoluzione quando mi han tolto le sostanze e son ridotto a un povero tra i poveri. Poi riconquisto le sostanze e divento un tiranno spietato. Il bello sta tutto qui. 

Curiosità 

A quanto ho letto, pare che il vescovo Roberto Busti sia stato molto sorpreso e infastidito dal trovarsi descritto nel romanzo di Parazzoli. Per contro, il Cavalleri sarebbe stato lusingato dal ruolo attribuitogli. Già mi sento il consueto urlo stridulo: "Fonti?!" Eccole: 

Ecco l'estratto, con un uso massiccio della paratassi e separazioni moleste tra l'apostrofo e la parola successiva: 

"Minaccioso eppure divertente, 1994, la nudità e la spada (e la scelta dell' anno è ovviamente un riferimento ad Orwell) intreccia pochi personaggi inventati alle tante figure reali del presente, da Giuliano Ferrara a Ida Magli, da Miriam Mafai a Eugenio Scalfari, da Giampaolo Pansa che, toccando ferro, muore in un attentato, a Barbiellini Amidei (diventato direttore dell' Avvenire), da Berlusconi a De Benedetti, dando spazio soprattutto a figure di credenti come Cesare Cavalleri, elegante ed enigmatico direttore della rivista Studi Cattolici e membro dell' Opus Dei, autore di un celebre articolo sull' Avvenire di qualche anno fa, intitolato le Mimosanti, con il quale aveva attaccato il movimento femminista. Si sono divertiti anche i personaggi da lui così disinvoltamente usati, per esempio il fucilato cardinal Martini e lo stesso Cavalleri? Quest' ultimi certamente sì: dalla Curia non ho avuto reazioni ufficiali, ma soffiate mi dicono che soprattutto Don Busti è rimasto sconcertato e arrabbiato. L' Avvenire non sa come reagire: aspetto Il sabato, per vedere come se la cavano."

Che altro aggiungere? Davvero divertente!

Altre recensioni e reazioni nel Web 

Come per altri capolavori parazzoliani, esiguo è purtroppo lo spazio dedicato sul Web. Oltre all'estesa descrizione su Wikipedia (gennaio 2019), che mi è anche servita da canovaccio per costruire questa recensione, troviamo ben poco di significativo. C'è una stringata descrizione sul sito di fantascienza wwww.delosstore.it

Sul mitico Anobii.com si trovano al momenti ben poche recensioni. Questo è il link: 

Illuminante il breve commento di Marco Cobianchi: 

"Letto molti anni fa. Bello, anche se non amo i romanzi."

Più estesa la recensione eulogistica di Lucia, che sospetto essere una simpatizzante di Comunione e Liberazione. Ne riporto il nucleo:

"Non avevo mai letto altre opere di fantastoria; e soprattutto, non avevo mai letto un’opera di fantastoria in cui il cattolicesimo è stato dichiarato fuori legge, qui, in Italia. Magari, gli abituè del genere conoscono anche dei titoli migliori: però, questo mi è piaciuto un sacco, per l’originalità della trama.
Scritto nel 1990, il romanzo è particolarmente affascinante perché ambientato in un posto che conosciamo benissimo (Milano), con protagonisti che sono in gran parte esistiti realmente (es. Don Giussani; Messori; Carlo Maria Martini). È un romanzo assolutamente realistico, nel senso che la persecuzione anticattolica comincia in sordina, poi diventa un po’ più seria, poi cresce ancora… ma in maniera del tutto graduale. E quindi, potenzialmente verosimile. Non c’è nessuna forzatura.
Anche i “capi d’accusa” alla Chiesa sono quelli che i cattolici si son sentiti ripetere millemila volte in queste anni: rifiuto del preservativo, ingerenze temporali, e bla bla bla. Nelle note, ho inserito tre citazioni che sono tratte dal romanzo, ma potrebbero campeggiare su qualsiasi quotidiano d’oggi: verosimiglianza al massimo. Da brividi."


Bizzarra è anche la recensione di Nick:

"allucinato? irrisolto?
premetto che questo libro è rimasto non letto sugli scaffali per troppo tempo, e non riesco a capire perchè...
non è il primo libro di questo filone apocalittico che leggo, e probabilmente non sarà l'ultimo. ma questo mi ha stupito, proprio come mi stupisce il motivo per cui l'ho riposto senza leggerlo per così tanto tempo...
il protagonista è uno storico, e narrando in prima persona narra da storico, è giusto... e infatti alla fine ti resta in bocca proprio lo stesso sapore come di aver letto un libro di storia, senza suspance (spero si scriva così...), senza introspezioni e retrospezioni...
eppure la lettura ti prende come un romanzo, vuoi arrivare fino in fondo anche se il finale ti è stato già raccontato nelle prime dieci pagine e il resto è tutto un racconto al passato...
boh... in ogni caso, da leggere."


Mi auguro che molti altri contributi si aggiungeranno in futuro e che di 1994 si continuerò a parlare a lungo!

sabato 12 gennaio 2019


TI VESTIRAI DEL TUO VESTITO BIANCO

Autore: Ferruccio Parazzoli
Anno: 1997

Editori:
    Frassinelli (1997)
    Mondadori (2008, formato Altri)

Genere: Romanzo
Sottogenere: Romanzo di formazione, romanzo della memoria,
     pseudo-autobiografia

Codice EAN (Frassinelli): 9788876844645
Codice EAN (Mondadori):
9788804576556
Codice ISBN (Frassinelli): 8876844643
Codice ISBN (Mondadori): 8804576553
Pagine (Frassinelli): 142 
Pagine (Mondadori): 125


Trama: 
Milano, anni '60. La bella Regina, una ragazza delicata e snob, è amata e desiderata da due uomini. Il primo spasimante è un ventiseienne bohémien che vive in una zona periferica, in una squallida mansarda, conducendo fiaccamente studi universitari senza fine e giocando ogni notte immaginarie partite a scacchi con Mefistofele. Il suo nome, che non doveva essere molto fantasioso, è sprofondato nei miei banchi di memoria stagnante e non sono riuscito a recuperarlo nel Web (forse era Stefano, ma potrei ingannarmi). Il secondo spasimante si chiama Lorenzo ed è un ex militante del Partito Comunista, pieno di nauseabondo idealismo e sposato a una donna scialba che sembra sua sorella. Ha anche un figlio, una specie di clone, roba da villaggio dei dannati! Dalla vivida descrizione dell'aspetto fisico del comunista rottamato si capisce all'istante qual è stato il modello che lo ha ispirato: Piero Fassino. Regina, che è una allumeuse, si diverte a illudere entrambi i proci, senza concedere loro granché. Ne nasce un ambiguo ménage à trois, fatto di debilitanti escursioni domenicali in bicicletta e di altre simili trovate afflittive. Lorenzo viene scaricato nel corso di una gita a Genova. Lo studente riesce invece a ottenere qualche strusciamento, ma poi quando la ragazza gli si concede è lui a rifiutarla: lei non vuole farlo nella mansarda, ma lui, in preda a un invincibile attacco di pigrizia, si sottrae alle profferte. Regina, sconvolta, abbandona tutto e si reca in un paese barbarico dell'America Centrale come missionaria laica, solo per finire brutalizzata e uccisa da una banda di spaventosi energumeni. Il finale, che mi asterrò di rivelare, ha in sé un'inaspettata vena macabra... 

Recensione: 
Questo scritto parazzoliano, definito dai critici romanzo di formazione e della memoria, è della massima importanza per un motivo molto semplice: uno dei suoi personaggi è Dante Virgili. È proprio lui: l'inquilino del terzo piano! Anche se non viene mai menzionato per nome, non ci sono dubbi sulla sua identità. Quello che più sorprende è l'omogeneità stilistica pressoché assoluta con il secondo romanzo attribuito a Virgili, Metodo della sopravvivenza, composto a quanto si dice nel 1990 - sempre stando alla narrazione di Antonio Franchini - ossia sette anni prima della prima pubblicazione del presente testo di Parazzoli. Quando ho letto Ti vestirai del tuo vestito bianco ho avuto la nettissima sensazione che interi passi di Metodo della sopravvivenza vi fossero migrati come per un prodigioso gioco di prestigio. Subito ne ho avuto piena coscienza: Metodo della sopravvivenza è stato scritto da Ferruccio Parazzoli, dalla prima sillaba all'ultima. Sono assolutamente sicuro di quanto sostengo, e che Thor mi possa incendiare il cranio con la folgore se dico il falso!

Questo riporta Franchini sul perverso personaggio parazzoliano:   

"Ricostruito con esattezza filologica assoluta: ogni frase pronunciata dall'inquilino del terzo piano era stata presa da qualche pagina di Virgili, verosimilmente, era stata da lui pronunciata nella realtà e fedelmente registrata nella memoria [...]"
(Cronaca della fine) 


Bisognerà ammettere che l'ipotesi di un Parazzoli che ricorda con memoria assoluta ogni singola sillaba proferita da un Dante Virgili somigliante al pupazzo Provolino appare per forza di cose piuttosto improbabile. Se invece Dante Virgili fosse un'invenzione di Parazzoli e dei suoi compari, in toto costruita a tavolino, tutto ciò avrebbe una spiegazione immediata, semplice e diafana come cristallo di rocca. Probabilmente Parazzoli ha scritto Ti vestirai del tuo vestito bianco introducendo una figura che poi gli sarebbe servita qualche anno dopo per scrivere proprio Metodo della sopravvivenza. In altre parole, la mia tesi è questa: in realtà Ti vestirai del tuo vestito bianco precede cronologicamente Metodo della sopravvivenza e ne costituisce il germoglio.

La descrizione di Dante Virgili occupa qualche pagina. Invito tutti a procurarsi una copia del romanzo di Parazzoli, magari prendendolo in biblioteca come ho fatto io, e a leggere con attenzione. L'inquilino del terzo piano è ossessionato dalla pornografia e dalle pratiche sadomasochistiche. Invita persino Regina nel suo appartamento e le mostra un apparato di contenzione con cui vorrebbe immobilizzare qualche vittima (si capisce fin troppo bene che la sua è un'esistenza di vagheggiamenti e di desideri inappagati). Si fa cenno alla strana alimentazione dell'uomo luciferino, che consiste quasi esclusivamente di prosciutto e di carne cruda. Si fa allusione anche alle sue croniche difficoltà pecuniarie: è proprio la caritatevole Regina a comprargli la carne trita, che altrimenti lui non si potrebbe permettere. A un certo punto l'inquilino del terzo piano ferma la ragazza sulle scale ed erompe in una sinistra profezia: "Ti vestirai del tuo vestito bianco". Proprio la frase che dà titolo al libro. Non alludeva però a un abito da sposa, bensì all'abito bianco delle missionarie laiche. Era quindi una promonizione dell'atroce morte della ragazza, che sarà violentata e sottoposta a torture prima di essere uccisa. 

Una famiglia selvatica e pagana 

Una simpatica storiella è incorporata nella trama del romanzo del Parazzoli. Si narra di un prete che nel corso del suo magistero in una valle montana impervia si imbatta in una famiglia descritta come "selvatica e pagana". Il punto è che a questa famiglia di pastori, sfuggita chissà come alla cristianizzazione, appartiene una bellissima fanciulla con l'abitudine di girare nuda per i pascoli - quasi un'immagine tratta da un quadro silvestre neoclassico in cui campeggiano procaci dee e lascive ninfe. Che accade? Semplice: il prete getta la tonaca alle ortiche, se la strappa proprio di dosso, quindi si congiunge con la pastorella pagana. Abbandonata la Chiesa di Roma, l'ex chierico finirà i suoi giorni invecchiando assieme alla sua amata, lontano dallo spettro della sua passata vita cattolica. Il tema dell'abiura della Chiesa di Roma da parte di persone che le erano devotissime non è affatto isolato nella produzione parazzoliana. Potremmo dire che si tratta quasi di un Leitmotiv. Anzi, sarà lo stesso scrittore romano, agli inizi del XXI secolo, a seguire in qualche modo le orme di Cristóvão Ferreira e per giunta senza essere stato sottoposto a coercizione alcuna dai Tokugawa, emergendo dal suo passato teista come "sciamano" e "cavaliere Jedi"

Pregi del romanzo 

Certe descrizioni evocano atmosfere melanconiche e sognanti. Questo brano mi è stato possibile trovarlo nel Web, lo riporto a titolo d'esempio:

“L’aspettammo con delle biciclette appoggiate al marciapiede, il rumore dei treni che entravano in stazione e un odore molle di sera estiva come può darlo soltanto una grande città quando il sole non si decide a tramontare ma rimane sospeso in un cielo senza colore e sembra che il buio non debba venire mai, un misto di catrame, di gas e di ligustri che ti scioglie quel filo di volontà che hai tenuto con i denti per tutta la giornata e se sei giù di corda ti mette voglia di non sai che cosa, la nostalgia di quello che non hai avuto mai.” 

E ancora: 

Nel ricordo, piacere e dolore si confondono e benchè la memoria tenda per sua natura ad addolcire ogni cosa, nel rievocare a me stesso quei giorni provo un'impercettibile fitta, come di una spina mai uscita dalla carne.

Tutto ciò fa vibrare una fibra di masochismo nel mio essere, come quando il nervo di un dente mal devitalizzato inizia a pulsare in sottofondo proprio nel bel mezzo di un orgasmo.  

Altre recensioni e reazioni nel Web 

Mi ha incuriosito una recensione apparsa su La Stampa, intitolata Sotto il vestito molto dolore. Parazzoli in stile Bergman. Nell'incipit l'autore si lamenta del fatto che il romanzo parazzoliano avrebbe raccolto meno di quanto meritava. Dubito che il problematico caso Virgili abbia anche soltanto sfiorato la sua mente. Purtroppo non è possibile procedere oltre: il sito Web richiede un pedaggio per poter proseguire nella lettura. Non pago tributi feudali agli editori e ai giornalisti! Riporto il link, nel caso qualche abbonato abbia la possibilità di completare la lettura: 


Su Anobii.com ci sono alcune recensioni: 


Numerose sono le banalità (troppo nordico, troppo intellettuale, etc.), ma trovo assai utile una citazione riportata da un commentatore:

Basta restare soli perchè ci si possa persuadere di decifrare il labirinto di fatti e sentimenti che si è venuto a creare intorno a noi. Allora siamo disposti ad assegnare un preciso valore ad ogni più piccolo avvenimento, a caricare ogni frase, che abbiamo conservato nella memoria, di un significato recondito che le parole certo non esprimono se non secondo un codice segreto, il cui vero senso porta a conclusioni spesso opposte a quando ci è sembrato intendere in un primo momento.

Che Parazzoli volesse alludere cripticamente a Dante Virgili?

giovedì 10 gennaio 2019


ROMA SENZA PAPA 

Titolo completo: Roma senza papa. Cronache romane di fine secolo
      ventesimo 
Autore: Guido Morselli
Prima pubblicazione:  1974
Editore: Adelphi
Genere: Romanzo
Sottogenere: Ucronia, satira, fantascienza fantareligione,
     fantapolitica
Codice EAN:
9788845909344
Pagine: 184 (Brossura)


Ambientazione:
Roma, Zagarolo

Personaggi: 
Don Walter, il prete svizzero.
Lotte, la moglie di don Walter, da lui amatissima ma affetta da 

     sterilità.  
Don Costantini, il nostalgico della vecchia Chiesa; leggendo tra le
     righe, si capisce che ha inclinazioni pedofile.
Don Rusticucci, il prete-affarista, romano de Roma.
Padre Johnson, un papabile afroamericano con un sorriso a 
     trentasei denti, ex giocatore di basket.
Giovanni XXIV, un monaco irlandese salito al soglio pontificio:
    fidanzato con una teosofa di Bengalore, ha la passione di allevare
    vipere.


Trama:
Fine XX secolo. L'Urbe è resa orfana della presenza papale e si respira un'aria di grande decadenza. La Santa Sede è stata infatti trasferita a Zagarolo in uno squallido complesso edilizio che sembra un gruppo di motel, il Vaticano è stato ridotto a un grande museo, la presenza papale nella basilica di San Pietro si riduce a un ologramma, proiettato lungo le navate a ciclo continuo da un'apposita macchina. L'edificio della Chiesa Cattolica Romana ha subìto riforme epocali: solo per fare un esempio, il celibato dei preti è stato abolito, anche se ai chierici non è permesso l'uso della pillola. In questo scenario stravagante e convulso, il prete svizzero Don Walter si reca a Roma con l'intenzione di sottoporre all'attenzione del Pontefice, Giovanni XXIV, un suo testo teologico intitolato Difesa dell'Iperdulia, che propugna la necessità del culto mariano in un'epoca in cui le stesse fondamenta della tradizione cattolica sono messe in discussione dallo stesso clero. Come l'ecclesiastico elvetico scoprirà presto, essere ricevuti dal papa nella sua residenza non è impresa facile. Nella defatigante attesa, non perderà occasione di annotare le principali bizzarrie antropologiche in cui si imbatte durante il suo inquieto vagare per l'augusta città. 

Recensione:
Questo è il primo romanzo di Morselli ad essere stato pubblicato, un anno dopo il suo suicidio, provocato dalla vigliaccheria e dalla perfidia del mondo editoriale italiano. Roma senza papa è un capolavoro di ironia tagliente e di sferzante satira, pieno di considerazioni oltremodo interessanti. Eppure lo scrittore nichilista non è riuscito a prevedere gli sviluppi che hanno portato alla morte teologica e ontologica della Chiesa Romana. Senza dubbio il romanzo fu ispirato dall'atmosfera del Concilio Vaticano II, che prometteva tante innoazioni. Le proiezioni nel futuro fatte da Morselli hanno però un sapore incongruo, combinando elementi di varia implausibilità. Ad esempio vediamo dipinto un clero composto in maggior parte da sacerdoti sposati e con figli, ma tuttora in abito talare e celebrante la messa in latino. Il risvolto del volume edito da Adelphi riporta quanto segue: "È questa la ‘Roma senza papa’ che si mostra a un discreto e percettivo sacerdote svizzero che vi torna dopo anni di assenza, in attesa di essere ricevuto in udienza da Giovanni XXIV: una città offesa per l’oltraggio commesso dal papa contro il turismo, ormai principale attività del Paese, «impigrita, svuotata, con un che di depresso», ma pur sempre una città che continua ad accogliere, con la consueta indifferenza, un instancabile cicaleccio teologico. Negli antri climatizzati della Università Gregoriana, in ampi refettori dalla luce soffusa, in modeste case di parroci, in convegni di seriosa incongruità proliferano e si accavallano come mai prima le teologie, e le nuove tesi vengono spesso pronunciate da sacerdoti che parlano una lingua mista fra il romanesco e lo slang americano." E ancora:  "L’acutezza ironica di questa vicenda, la padronanza con cui Morselli si muove nei labirinti delle dottrine, vere e immaginarie, della Chiesa, i magistrali ritratti di ecclesiastici di alto e basso rango, l’incessante invenzione satirica, fanno di questo libro un felicissimo romanzo di ‘anticipazione teologica’, dove le idee hanno la concretezza e il grottesco dei personaggi e dove, a ogni passo, si sente uno sguardo disincantato e penetrante posarsi su un futuro che incontriamo ogni giorno." Alcune trovate sono davvero irresistibili, come il Meridione d'Italia trasformato in un feudo dei Gesuiti con applicazione del sistema delle reducciones. Resta in ogni caso il fatto che nel testo ci sono pochi elementi profetici. Morselli immagina una Chiesa in cui il dibattito teologico è poderoso e pervasivo, in nettissimo contrasto con lo scenario a cui assistiamo ai nostri giorni, che può descriversi soltanto come morte teologica. Una morte sopravvenuta dopo una lunga agonia. Il punto di divergenza tra la nostra realtà e l'ucronia morselliana può essere collocato in qualche momento del pontificato di Paolo VI (menzionato più volte nel testo), procedendo linearmente lungo la via già tracciata da Giovanni XXIII. Nel mondo in cui viviamo, le cose sono andate ben diversamente. Si è prodotta una drastica discontinuità. Con il trapasso di Paolo VI la Chiesa Romana è sprofondata nel coma. Il pontificato mediatico di Giovanni Paolo II non deve essere visto come nuova linfa per l'istituzione ecclesiastica, ma come un villaggio Potëmkin in terra di desolazione: ciò che si è lasciato dietro è il Nulla. Il Papa Teologo Benedetto XVI è stato espulso a calci nell'augusto deretano, in brevissimo tempo, per volontà del collegio cardinalizio, forse preoccupato dalle ondate di odio antitedesco che si registravano tra il popolino. Nello stesso istante in cui Ratzinger annunciava le proprie dimissioni forzate, un fulmine si è abbattuto sulla cupola di San Pietro. Ora vediamo tutti che col Papa Podologo, Francesco I (e si spera ultimo), la morte della Chiesa Romana è realtà. Scambiare per vitalità le manifestazioni della religione cattolica nel secondo decennio del XXI secolo è come confondere con segni di vita il brulichio di masse di cagnotti in una salma decomposta! Morselli fa succedere Liberi I a Paolo VI, evitando così questo scenario.


Fantareligione e fantapolitica 

Qualcuno ha detto che la Chiesa descritta da Morselli è più spirituale di quella della nostra linea storica. Spirituale? Ne siamo proprio sicuri? Se devo essere franco, vedo nella narrazione una Chiesa altamente politicizzata e dotata di un potere temporale immenso. Nonostante il trasferimento della corte pontificia a Zagarolo, Giovanni XXIV è in grado di compiere un arbitrato per noi inconcepibile e plasmato sul modello di quel papa che spartì il nuovo mondo tra Spagna e Portogallo: essendo sorto un conflitto tra USA e URSS sul possesso della Luna, ecco l'irlandese in abito bianco dividere l'argenteo satellite con una linea ideale e attribuire le parti così ottenute alle due superpotenze. Questa è purissima ironia morselliana! Che dire poi della politica italiana in Roma senza papa? In pratica si tratta di un fantasma, di un mero riflesso della sagoma imponente e torreggiante del Papato! Mi domando quale mai possa essere stato il propellente di una simile trasformazione in senso teocratico.

Fantareligione e sessualità

Il lettore che sia arrivato fino a questo punto già lo sa: l'ecclesiastico di Roma senza papa è il prete che scopa! Il prete lo si riconosce non soltanto dall'abito talare, ma dalla prole numerosa che conduce seco per le vie. Quale stridore rispetto a ciò che si è realizzato! Nel mondo in cui viviamo, non soltanto l'abito talare è stato abolito ed è odioso alle genti, ma persino il clergyman non è più utilizzato. Questo per un motivo molto semplice: i preti si nascondono, hanno terrore di essere aggrediti in pubblico da qualche energumeno. Coi miei occhi ho visto quelle che già soltanto quando ero giovane era impensabile: a quanto pare hanno più paura i preti in un paese post-cattolico come l'Italia che nel Giappone dell'epoca Edo! Il romanzo ci dice qualcosa di più. La sessualità imposta ai preti fin dai tempi di Libero I è stata canalizzata sulla proceazione con un espediente molto semplice, il divieto degli anticoncezionali. Don Walter soffre molto perché non ha discendenti. Nonostante il suo ravanare tra le cosce dell'amata Lotte, il suo sperma non si condensa in un embrione, non trovando un ambiente adatto nell'utero di lei. Nel quadro delineato da Morselli, esiste anche qualcosa di molto oscuro. Don Costantini, fautore del celibato ecclesiastico e in questo senso ribelle ai costumi imperanti, è un pedofilo praticante. Si circonda di ragazzi di vita e li concupisce. Per usare un lessico tecnco, egli è un sodomizzatore che penetra le sue giovani vittime dopo averle adescate. In sostanza il suo modello è Gilles de Rais, con la precipua differenza che non uccide. Come il Maresciallo di Francia, egli prova disgusto per l'odore della pelle femminile e ha nei confronti degli infanti un'insaziabile quanto infame passione. Che dire? Nel nostro mondo le riforme immaginate dallo scrittore di Bologna non troverebbero assolutamente fautori, nonostante i ripetuti tentativi del Papa Podologo, anche perché il lupo don Costantini è pur sempre più vicino alla realtà rispetto all'agnello don Walter. Nel frattempo, nel mondo di Roma senza papa, Giovanni XXIV è concupito da un'illustre quanto matura fellatrice: Jacqueline Kennedy!

Fantareligione e fantapsicanalisi

Il robusto arruffone don Rusticucci fa un'esposizione delirante quanto dettagliata delle sue surreali dottrine, che integrano la psicanalisi freudiana nell'edificio della teologia nicena, per arrivare a conclusioni paradossali come la negazione dell'anima della donna. Non è difficile immaginare le cause di tutto questo. Il denaro. Don Rusticucci è dannatamente avido. Un prete-manager con le mani in pasta dappertutto, sempre pronto a sfruttare qualsiasi nuova suggestione per estendere il proprio potere, per farlo diffondere nell'Urbe come una metastasi vorace. In questo, egli incarna lo stesso Spirito della Corruzione.

Dio non è un prete 

Queste sono le parole che l'irlandese Giovanni XXIV rivolge a don Walter nel finale: 

"I preti sono portati a vedere il buon Dio a loro immagine e somiglianza, anche quando predicano che siamo noi a immagine e somiglianza Sua. Invece... bisogna persuaderci che Dio è diverso, Dio non è prete... E nemmeno frate."  

Non si tratta di parole scritte dalla moglie di don Walter, Lotte, come erroneamente riportato dalla Wikipedia in italiano (gennaio 2019). Senza dubbio alcuno siamo di fronte dal concentrato della massima profondità teologica riscontrabile in tutta la storia del pensiero cattolico. Peccato che ben pochi abbiano compreso appieno i concetti espressi da Morselli, che poi non distano troppo da quelli enunciati a suo tempo in modo assai chiaro da Senofane di Colofone (570 a.C. - 475 a.C.). I Traci hanno occhi azzurri e capelli rossi, così sostengono che i loro dèi hanno gli occhi azzurri e i capelli rossi; gli Etiopi hanno il naso camuso e sono neri, così sostengono che i loro dèi hanno il naso camuso e sono neri. Allo stesso modo, i preti hanno immaginato Dio come un prete. Non è escluso che tra le loro schiere possa esserci persino chi attribuisce alla divinità la pedofilia, seguendo lo stesso ragionamento che all'epoca fu fatto dai Traci e dagli Etiopi. 

Altre recensioni e reazioni nel Web

Segnalo una breve ma meritoria recensione di Carlo Menzinger, il famoso scrittore ucronico. Si intitola Er Papa a Zagarolo! 


Anche a costo di essere impopolare, non nasconderò l'impressione che ho sempre avuto. Non soltanto il Lazio al di fuori di Roma - ma gran parte dell'Italia Centrale - sembra una terra di nessuno, dove ogni abitato è qualcosa di spettrale e destinato all'Oblio, un po' come un nulla in mezzo al niente. Nello scritto del buon Carlo è riportata un'interessante testimonianza antropologica, che riporto in questa sede: 

"Ricordo che quando, da ragazzino (vivevo a Roma), si doveva dire di un posto triste e squallido si citava Zagarolo, pur non avendo la minima idea di come e dove fosse questa cittadina laziale. Dire “e che sei de’ Zagarolo” equivaleva a dare del “burino” al nostro interlocutore. Nel contempo sembrava un posto “lontano”, nonostante il suo essere a pochi chilometri.
Un papa a Zagarolo appare dunque come un’incongruenza allo sguardo dei romani." 


Interessante è anche la recensione comparsa su Rivista Pagina Uno, intitolata Esorcismi letterari:

http://www.rivistapaginauno.it/riflettori7.php

Queste sono le conclusioni a cui giunge l'autrice, Luciana Viarengo: 

"Anche in questo romanzo, Morselli conferma la sua capacità di affrontare realtà spinose – come già ne Il comunista o in Dramma Borghese – con la freddezza di un ricercatore, il distacco di un analista, insofferente alle ‘verità consolidate’. Talmente outsider da potersi permettere una visione dissacrante e disincantata dei tabù contemporanei." 

Su Anobii.com vediamo un gran numero di recensioni (la prima è ancora quella del Menzinger), di cui molte brevi o brevissime: 


Si insiste sul profetismo del romanzo, cosa a mio avviso abbastanza controversa.  "Mi sa che ci ha preso molto", afferma ad esempio un certo Sirjo. "Tristemente profetico", commenta AK-47, alludendo al pontificato bergoglionesco, "dirittumanistico" e pauperistico. Eppure mi piacerebbe tanto sapere dove questi utenti vedono il dibattito teologico ai nostri giorni, dove vedono l'ipertrofia dell'apparato ecclesiastico che Morselli profonde nel testo, inondando il mondo di torme di preti sposati in talare. :)  

martedì 8 gennaio 2019


DISSIPATIO H. G.

Autore: Guido Morselli
Prima pubblicazione: 1977

Editore: Adelphi
Genere: Romanzo 
Sottogenere: Fantascienza post-apocalittica 

Trama:
Nella solitudine della sua casa di montagna, un uomo di mezza età fa un bilancio impietoso della sua esistenza. Giunge alla deprimente conclusione che il 70% di cose sgradevoli e moleste che la compongono non compensa affatto il 30% di cose piacevoli. La decisione che trae da questo cupo quanto razionalissimo elucubrare è l'impellente necessità del suicidio. Si reca quindi in una profonda caverna nelle viscere di un'impervia montagna, con l'intento di gettarsi in un pozzo naturale, che tramite una struttura simile a un sifone giunge fino nelle viscere del Tartaro. È mezzanotte. Immerso nell'oscurità ctonia e nel silenzio assoluto, seduto sul bordo dell'abisso, l'uomo ha un repentino ripensamento. Qualcosa di incomprensibile si muove in lui, spingendolo a non uccidersi, a rifuggire quella voragine più profonda dell'Averno. Ritorna in superficie, ma presto capisce che c'è qualcosa di strano in tutto ciò che lo circonda. Ogni traccia delle persone viventi sembra essersi dissolta nel nulla. Le evidenze dell'evaporazione dell'intero genere umano sono sempre più cogenti. Dopo vari e infruttuosi tentativi di trovare qualche suo simile ancora in vita, il protagonista capisce di essere il Superstite, l'ultimo uomo sulla Terra.


Recensione: 
Il titolo di quest'opera immaginifica è di una chiarezza sconcertante. L'abbreviazione H. G., solo a prima vista enigmatica, sta per Humani Generis. Così il titolo esteso è Dissipatio Humani Generis, ossia Evaporazione del genere umano. Notevoli sono le allusioni alle dottrine del neoplatonico Giamblico (250 d.C. - 330 d.C.) e del cristiano Salviano da Treviri (circa 400 d.C. - 451 d.C. o succ.), più noto come Salviano di Marsiglia, su cui Morselli costruì questo suo romanzo. No, Salviano non è un improbabile incrocio tra Salvini e Saviano. Ci tengo a precisarlo. Ecco la citazione a cui alludo, che reputo di fondamentale importanza e riporto in questa sede:

Faccio ritorno alla mia prima ipotesi. Volatilizzazione - sublimazione. Sublimazione - assunzione (nei cieli).
Vediamo. C'è una mia vecchia lettura, un testo di Giamblico che ho avuto sott'occhio non ricordo per che ricerca. Parlava della fine della specie e s'intitolava
Dissipatio Humani Generis. Dissipazione, non in senso morale. La versione che ricordo era in latino, e nella tarda latinità pare che dissipatio valesse 'evaporazione', 'nebulizzazione', o qualcosa di ugualmente fisico, e Giamblico accennava nella sua descrizione appunto a un fatale fenomeno di questo tipo. Rispetto a altri profeti era meno catastrofico: niente diluvio, niente olocausto «solvens saeclum in favilla», assimilabile oggi a un'ecatombe atomica. Gli esseri umani cambiati per prodigio improvviso in uno spray o gas impercettibile (e inoffensivo, probabilmente inodoro), senza combustione intermedia. Il che, se non glorioso, perlomeno è decoroso.

Ho dei trascorsi eruditi di cui, dopo un'astinenza di anni, non mi pento.
Sino a Ezechiele (10 secoli circa dopo Mosè) nessun indizio, nello stesso Ebraismo, del concetto di una vita ultraterrena riservata dopo il soggiorno nel mondo degli umani. I giusti venivano premiati con la prosperità (terrena) e con la longevità; così di Abramo è detto che morì
«sazio di anni». In seguito, il compenso ultraterreno divenne, come è noto, uno dei fondamentali ingredienti della ricetta religiosa per Ebrei, Cristiani, Mussulmani, e argomento prediletto della teologia e letteratura annessa. Fra gli innumerevoli, un Salviano da Treviri, vissuto nel III o IV secolo. Autore cristiano di non larga fama, agiografo e apologeta. In una lettera al vescovo della sua citta, De Fine Temporum (mi sembra: ora non ho modo di verificare), preso di pietà evangelica per i patimenti degli uomini, Salviano parla di una loro, auspicata «sublimatio» generale.
  Cosa da apprezzare, il finale riscatto lui lo accordava persino ai pagani, e consisteva in un'assunzione al cielo dopo che i corpi, vivi, fossero resi eterei in un unico portentoso evento. Repentino e inatteso. Cito a memoria:
«Mundus permanebit». (E in questo, ci siamo). «Viri, mulieres, pueri, humani viventes cuiuscumque aetatis, ordinis vel nationis, raptim sublimabuntur». (Salviano non ha ispirato Freud; la sublimazione di Freud è una blanda metafora).
  Senonché, Salviano univa alla clemenza una discriminante giustizia.
«Nihil huius gloriae decet peccatorem». I pagani come tali possono sublimarsi, i peccatori no. Sarebbe interessante sapere a quale delle due categorie appartenga io. Supposto che non le cumuli tutt'e due. Ma la mia scienza, e autocoscienza, non arrivano a tanto. Rinuncio. 

Queste descrizioni morselliane sono semplicemente sublimi! Con buona pace di Giamblico, non credo tuttavia che il gas derivante dalla dissipazione dell'umanità sarebbe inodoro. Ho ragione di ritenere che olezzerebbe piuttosto di scorregge sulfuree! Scavando nella carcassa del mondo antico, possiamo dire qualcosa di più sul concetto che Salviano da Treviri aveva dei peccatori che, stando a quanto riportato dal Morselli, non avrebbero conosciuto la Pace nell'imminente Grande Sublimazione. Quando parlava di peccatori, il presbitero gallo-romano alludeva ai sodomiti, ossia a coloro che praticavano, in modo attivo o passivo, l'immissio penis in anum. Pagani o cristiani che fossero. Possiamo dedurlo da altri scritti di tale autore, in cui le invasioni dei popoli germanici (volgarmente detti "barbari") sarebbero state provocate dalla collera divina per l'uso romano di eiaculare negli intestini, in mezzo alle feci. Evidentemente gli erano sconosciuti gli usi degli Eruli e dei Franchi, che sodomitavano assai. A minare le fondamente degli edifici concettuali attribuiti a Giamblico e a Salviano sta in ogni caso un fatto pesante come un macigno: la dissipazione del genere umano non si è verificata!

Salviano o un moderno pseudo-Salviano?

Perché parlo di edifici concettuali attribuiti a Salviano? Lo faccio per un semplice motivo: a questo punto viene infatti da porsi una cruciale domanda. Morselli ha citato davvero Salviano da Treviri? Oppure si tratta di una sua ingegnosa fabbricazione? Il dubbio è senz'altro legittimo. Cercando nel Web i brani riportati in latino, gli unici risultati ritornati da Google sono relativi proprio a Dissipatio H. G.! Abbiamo la possibilità di verificare ogni cosa. 
Questa è la procedura adottata:
    1) Cerchiamo in un formato utile l'opera omnia di Salviano;
   2) Cerchiamo in essa parole significative dei passi riportati (es. sublimabuntur). 

Risultati: 
Nihil inventum est. Non è stato trovato nulla. 
Questo è un sito in cui è possibile trovare quanto serve alla dimostrazione:


Le opzioni si scaricamento del file con l'opera omnia del presbitero sono molteplici. Se si usa il file di testo (.txt) occorre fare attenzione perché spesso i caratteri sono alterati. Nel file in formato .pdf la lettura è della massima chiarezza, ma non è attiva l'opzione di ricerca, occorre quindi scorrere tutto il testo, cosa che pur mi riuscirebbe agevole, se non fosse per il fatto che non ho a disposizione grandi risorse di tempo. In ogni caso, questa benedetta sublimazione delle scorie umane non sembra proprio esserci, né nelle Epistolae, dove a rigor di logica dovrebbe stare, né nel De gubernatione Dei. Che seccatura questo "vero poetico"

Un mondo intellettuale canagliesco e vile

Dissipatio H. G. è l'ultimo romanzo di Guido Morselli (Bologna, 1912 - Varese, 1973), scritto pochi mesi prima del suo suicidio. Quasi il suo testamento. L'autore, che pure era un convinto nichilista, non ha potuto reggere la totale indifferenza da parte dell'arido mondo delle case editrici, che si rifiutavano con pervicacia di pubblicare le sue opere - anche adducendo scuse assolutamente inverosimili. La colpa prima attribuita a Morselli era, se così si può dire, l'essersi discostato dal romanzo italiano tradizionale. L'intero mondo intellettuale italiano gli ha vilmente voltato le spalle. Soltanto dopo la sua tragica morte, le sorti dei suoi potenti scritti sono cambiate. Come erano sordi e sprezzanti quando l'autore era in vita, a un certo punto gli stessi che lo spinsero alla morte gli tributarono grandi e meritatissimi onori, seppur con un ritardo ben colpevole. A un certo punto fu persino definito Il Gattopardo del Nord. Si potrebbe quasi pensare che l'editoria pulluli di sciacalli necrofili che leccano l'orifizio anale ai morti, disdegnando al contempo la carne dei viventi. Oggi si è scesi ancora più in basso, con editori che strepitano e istigano a compilare liste di proscrizione per chi si autopubblica! 

Qualche nota filologica 

La grande città di Crisopoli, è stato fatto notare più volte dalla critica, altro non è che Zurigo. Il nome che Morselli ha coniato, usando vocaboli dell'antica lingua ellenica, significa Città dell'Oro e di certo allude all'importanza del suo sistema bancario. Si scorgono tracce di toponomastica di sostrato, di cui non sono riuscito a trovare riscontro nella geografia reale. Così viene menzionato un torrente Zemmi, forse un microtoponimo, che però trova nel Web solo menzioni associate proprio a Dissipatio H. G.! Al momento non mi riesce di azzardare un'etimologia. Un monte si chiama Mountàsc: questo nome ha tutta l'aria di essere un relitto della Romània sommersa, una prova del fatto che un idioma romanzo era parlato a Crisopoli-Zurigo prima che vi si imponesse la lingua degli Alemanni. Un altro monte, noto per i suoi ghiacciai, è chiamato Karessa: direi che contiene la radice preindoeuropea *kar- "roccia", ben documentata su vaste aree. Abbiamo quindi la Malga dei Ross. Il termine malga è ben noto come relitto preindoeuropeo e indica un riparo di pastori: deriva certo da *mal- "monte". I Ross sono i proprietari dell'alpeggio, credo che il loro cognome sia derivato da un antico termine tedesco indicante il cavallo - posto che non sia un'etimologia popolare ingannevole. Due toponimi germanici: Widmad e Alpa. Di certo Widmad è formato dal protogermanico *wiðu- "legno; bosco" (donde l'inglese wood). Questa radice si è persa in tedesco durante il medioevo, ma aveva subito la rotazione consonantica: antico alto tedesco witu, wito "legno", medio alto tedesco wite, wit. Anche -mad è chiaro: viene dal protogermanico *mēðwō- "pascolo", che ha dato l'inglese meadow "prato" e il tedesco Matte "pascolo montano". Ancora una volta, la consonante non ha la seconda rotazione. Quindi da dove è stato tratto questo Widmad? Mistero. Alpa sarà da alp "incubo", dalla stessa radice di elfo (protogermanico *alba-, *albi-). Oscurissimo resta invece Lewrosen. Resta da capire se Morselli fosse consapevole di queste perle. Era un esperto di filologia germanica? Forse non lo sapremo mai. Numerosissime sono poi le citazioni in lingue diverse dall'italiano, incastonate come gioielli nel testo. Oltre al latino, ad esempio nelle frasi attribuite al presbitero Salviano, troviamo il francese: « toutes choses sont déjà dites, mais comme personne n'écoute il faut toujours recommencer », etc. Ecco una splendida frase, in cui la lingua di Roma si mescola all'italiano: "Ci torno per un esperimento, in cerca del metus silvanus, dell'antico, favoloso pavor montium." Ciò esaspera non poco alcuni lettori, stizziti dalla mancanza di traduzione. Stupiscono alcune convenzioni ortografiche che appaiono ben superate. Così troviamo un improponibile Hiroscima (sic) per il più sensato Hiroshima. In un'epoca in cui imperversava il dannato malcostume delle pronunce ortografiche, spesso si rendevano indispensabili simili espedienti per impedire spropositi. 

Recensioni e reazioni nel Web 

Questa recensione è opera di Alessandra Fontana: 


Nel testo della blogger-giornalista è citato un passo del romanzo, che trovo geniale per i paradossi ontologici che introduce:

"(…) come storico registrerò che si è instaurata l’Anarchia con l’abbattimento del suo nemico primordiale, il principio di proprietà. E si è instaurata nello stesso tempo la Monarchia nel valore categorico del termine, tutto il potere a Uno solo. Anarchia e Monarchia coincidono, ora e in me. Nessuno dispone di me, io dispongo di tutto." 

Un gran numero di recensioni, il più delle volte brevi o brevissime, si trova su Anobii.com:


Ne riporterò una in particolare, opera di una certa LAI LAI HEI:

"Purtroppo, una prosa troppo complicata, non mi ha permesso di apprezzarlo."

Che dire? Anche questo è un segno dei tempi!

sabato 5 gennaio 2019


METODO DELLA SOPRAVVIVENZA 

Autore: Dante Virgili
Anno: 1990 
Genere: Romanzo
Sottogenere: BDSM, diario, pseudo-autobiografico, apocalittico 
Prima pubblicazione: 2008
In commercio da: 20 marzo 2007
Casa editrice: Pequod
Collana: Pequod
Pagine: 224, Brossura
Seconda pubblicazione: 2016
Casa editrice: ITALIA Storica
Collana: Off Topic
Pagine: 182, Brossura

Codice EAN (2008): 9788860680341
Codice EAN (2016): 9788894226515


Sinossi (da www.ibs.it):
Duecento pagine in cui si rincorrono disordinatamente (apparentemente) temi politici nazionali e internazionali, quotidianità allucinate e citazioni dal tedesco. Nessuna trama. Solo pensieri, annotazioni, incontri sessuali in bilico tra la realtà e la fantasia. Il protagonista è un professore di tedesco in pensione, un «misero Ulisse corrotto inabissato nella perversione». È l'estate del 1990 a Milano. L'anno del mondiale di calcio giocato in Italia. «Il gioco più idiota che l'umanità abbia inventato» ruggisce la voce narrante, sia pure senza potere fare a meno di tifare per la Germania. «Nell'anno della riunificazione sarebbe un grande dono. Se la Germania vince chiudo in bellezza. Ormai le fortune sono affidate al calcio - osserva con il solito rimpianto - mentre un tempo l'obiettivo era l'Europa». Già, Hitler! «E ora apprendo che il condottiero è Matthäus...». Si compiace nel vedere sventolare la bandiera tedesca sotto il Duomo, anche se si tratta della solitaria bancarella di un ambulante. L'Italia perde e lui ghigna: «Se gli azzurri avessero vinto, un'esaltazione ulteriore del calcio avrebbe allontanato ancor più l'italiano dai problemi».


Riassunto:  
Siamo nell'anno della caduta di quello che Luca Giurato chiamava Mudo li Merlino. Intrappolato nella canicola di una desolante, spettrale estate milanese, un attempato professore di tedesco vegeta nel suo microcosmo bizzarro. La sua principale attività consiste nell'adescare donne che trasforma in schiave sessuali, reclutando anche ragazzi per realizzare fantasie orgiastiche. Sullo sfondo aleggia l'atmosfera di enthusiasmos che pervade le acefale masse italiote per via dei mondiali di calcio.

Recensione:  
Abbiamo mostrato che Dante Virgili non è mai esistito, che è una fabbricazione letteraria. Passiamo quindi ad analizzare i testi a lui attribuiti per scoprirne le incoerenze interne. 

C'è una differenza abissale tra Metodo della sopravvivenza e La distruzione. Innanzitutto dal punto di vista dello stile. Mentre il primo romanzo di Virgili era dominato dal cut-up, tanto da sembrare il prodotto di una narrazione collassata, poi fracassata in più punti e riattaccata assieme con l'adesivo in disposizioni grottesche, nel secondo romanzo la lettura è infinitamente più scorrevole. La distruzione, soprattutto avvicinandosi al finale, sfoggia un cut-up tanto spinto da far impallidire quello usato da William S. Burroughs. In Metodo della sopravvivenza si potrebbe semmai parlare di residui di cut-up, incorporati in una struttura la cui razionalità è quasi perfetta. Questi residui sembrano motivati dalla necessità di porre in essere una parvenza di continuità col passato dello scrittore. Vediamo di fare un esempio concreto. Nel linguaggio tipico de La distruzione, un periodo può interrompersi in modo brusco senza considerazione alcuna per la sintassi e per la comprensibilità del testo, finendo persino con una preposizione, con un pronome relativo, con una particella, etc. Così possiamo imbatterci in capolavori come: 

Perché vivo se non. 

Dopo avere precisato che essi portavano con sé una valigia di pelle nera nella quale hanno posto il denaro, la signorina Bianca Salinari ha affermato che 

La sola donna che 

Prendo in mano il coltello comincio a  

E.  

Questa amputazione delle frasi, lasciate finire in modo folle, non è affatto tipica di Metodo della sopravvivenza. Ne ricordo pochissime occorrenze e tutte hanno l'aspetto di elementi incongrui incorporati in un contesto per il resto abbastanza omogeneo. Anche l'uso della punteggiatura è decisamente migliorato.

Non è soltanto la forma ad essere cambiata. C'è anche una differenza ontologica tra le due opere virgiliane. Il protagonista del primo romanzo era un uomo sessualmente insoddisfatto. Agognava di realizzare fantasie morbose, atti erotici che tuttavia non si materializzavano mai. La scusa era la cronica penuria di liquidità. Mancando i soldi, le giovani prostitute si sottraevano alle sue attenzioni, non ne volevano sapere di lui. Soltanto le masturbazioni che faceva ai ragazzi restavano alla sua portata, per quelle erano sufficienti pochi spiccioli. Il protagonista del secondo romanzo è invece un uomo sessualmente soddisfatto, che ha trovato il modo di irretire un gran numero di donne con cui realizzare ogni desiderio. Così vediamo Anna, una giovane moglie cornificatrice che rende becco il marito. Si reca nell'appartamento del vecchio professore e si presta a fare da schiava. Striscia ai piedi del suo master e glieli lecca, passando la lingua tra le dita. Poi gli prende in bocca il fallo, per passare quindi a lambirgli le emorroidi con voluttà, infilando nell'ano la punta della lingua. Dice al padrone che se vuole può anche sodomizzarla, ma lui le dice che farlo sarebbe troppo faticoso. Anna ha diversi amanti a cui concede la propria intimità anale. Si fa sfondare il retto dai focosi stalloni, mentre nega tutto ciò al marito, a cui è permesso al massimo di deporre un po' di albume nella vagina, lui sopra e lei sotto. In realtà al professore sadico non piace tanto farsi praticare il sesso orale: ama invece moltissimo costringere le sue schiave a praticarlo ai ragazzi reclutati di volta in volta. La sua morbosità è infinita. Ha sempre cura che le fellatrici mandino giù tutto lo sperma emesso loro in bocca, affinché lo digeriscano e lo trasformino in sterco. Al giorno d'oggi tutto ciò è ordinario, qualsiasi casalinga si eccita guardando video con simile materiale su YouPorn, Xvideos, Pornhub o in altri siti similari. Nell'epoca pre-Internet si trattava invece di autentiche perversioni sadiane, in grado di sconvolgere anche persone abbastanza disinibite. 

Sopravvivenza e parazzolitudine 

L'idea che non posso togliermi dalla mente è questa: la paternità di Metodo della sopravvivenza è da attribuirsi per intero a Ferruccio Parazzoli, uno degli artefici dell'entità memetica conosciuta come Dante Virgili. In questo si differenzia da La distruzione, che era opera di un'altra mano, anzi, con ogni probabilità di più autori - di cui uno doveva essere proprio Antonio Franchini. Più mi immergo nella lettura della produzione letteraria del Parazzoli, più mi convinco della fondatezza della mia ipotesi. Metodo della sopravvivenza non è tanto virgiliano, posto che l'aggettivo abbia un reale senso, quanto parazzoliano nell'essenza più profonda. Franchini ci parla anche delle vicissitudini di questo romanzo, sempre in Cronaca della fine. Stando a quanto sostiene, in Mondadori ci sarebbero state forti perplessità sulla pubblicazione: la cosa andò per le lunghe, trascinandosi per tutto il 1991, finché l'anno successivo la morte dell'autore avrebbe bloccato ogni progetto editoriale. Mi pare invece plausibile che il testo controverso sia stato prodotto in fretta e furia in seguito all'esumazione del primo romanzo attribuito a Virgili, La distruzione, ripubblicato nel 2003.

Analisi del testo e inconsistenze varie

N.B. I numeri di pagina delle citazioni si riferiscono all'edizione del 2008, quella della Pequod.

Benissimo, cominciamo con i pompini. 

Le variazioni, impasto di voluttà. Blow-job. Le immagini mi esaltano. al risveglio pieno vedo la camera invasa dal giorno chiaro.
pag. 121 


Frustavo Mirella mentre in ginocchio faceva un blow-job a Franco in poltrona.
pag. 205 

Commento: 
Come mai compare il termine blow-job (attualmente scritto blowjob) negli anni 1990-91? 
Nel doppiaggio del film Insatiable con Marilyn Chambers, del 1980, l'inglese blowjob è tradotto in italiano con "lavoro di soffio", in modo letterale nonostante il palpabile nonsenso. Eppure in Metodo della sopravvivenza, che dovrebbe risalire al 1990, troviamo il termine blow-job, scritto col trattino, già nell'uso corrente, incorporato senza troppi problemi nel patrimonio lessicale della lingua italiana. Parazzoli, cui Franchini sembra attribuire in Cronaca della fine una certa dimestichezza col materiale hard, deve avere avuto familiarità con questo termine, che suppongo abbia inserito nella narrazione attribuita a Virgili. Il fatidico vocabolo blowjob è diventato di pubblico dominio a causa dell'affaire Clinton-Lewinsky, risalente al 1998, ma solo sporadicamente compare in testi in italiano: non è riuscito a spiazzare il nativo pompino o il latino fellatio. Questi sono indizi, anche se non prove inconfutabili, del fatto che Metodo della sopravvivenza sarebbe stato scritto più tardi del 1990.

Dai pompini passiamo ora alla letteratura. 

"Interessante, vado avanti. A sessantotto anni Carlo Levi si toglie la vita gettandosi nella tromba delle scale. Thomas Mann ha avuto due sorelle suicide; nel 1949 si uccide il figlio Klaus."
"Ricordiamo che dobbiamo un gallo ad Asclepio, fu l'ultima frase di Socrate dopo aver bevuto la cicuta", aggiunge il dermatologo. "Si dice che Diogene si sia suicidato trattenendo il respiro. Come va la schiena?"
"Male, mi gratto".

pag. 213 


Commento: 
Com'è possibile che Virgili confondesse Primo Levi (1919-1987) con Carlo Levi (1902-1975), ma ricordasse quanti anni aveva lo scrittore torinese quando si è suicidato? Per inciso, Carlo Levi, autore di Cristo si è fermato a Eboli, è morto di polmonite. Il commento del carissimo amico Sergio quando gli ho fatto notare la stranezza è stato: "Un cialtrone, questo Virgili." Ok. Il punto è che la cialtroneria non risolve il mio interrogativo. Sembra quasi che  Parazzoli abbia lasciato scientemente nel testo un'esca per il lettore, come a dire: "Vediamo se capisci che si tratta di una beffa letteraria".

Anche se non contiene elementi di prova, riporto un dialogo tra il protagonista e il suo psicologo, che è un autentico capolavoro: 

"Non riesco a intuire le cause del suo odio direi biologico per gli americani. Forse c'è un rapporto con la guerra, ne parlammo allora ma lei era insensibile, assente".
"In parte. La casa di mio padre andò distrutta nel corso di un bombardamento. Gli americani distruggono, poi diventano i liberatori. Le racconto un fatto, se ha voglia di ascoltarmi".
"Volentieri, noto che oggi ha tendenza all'espansività, ma non esageri".
"Nell'ambiente in cui vivo il dialogo è impossibile, dovrei approfondire il calcio".
"A me piace, a lei no, suppongo". Guarnieri ride: "Vado spesso alla partita".
"Come spettacolo, giusto, non come centro della cultura collettiva. Per evitare il servizio di leva accettai durante l'ultimo anno di guerra un posto d'interprete presso un reparto dell'esercito di occupazione. Furono giorni rischiosi ma animati da eventi insoliti... Scomparsi i tedeschi non volli reintegrarmi subito nella vita civile.
Viaggiai per l'Italia, mi fermai a Napoli. Ho una conoscenza approssimativa dell'inglese e venni assunto come aiuto interprete da un ufficiale britannico."
"Cerco di convincere mio figlio a perfezionare inglese e tedesco, ma è svogliato. A lei le lingue sono state utili".
"Sì, mi hanno portato nel mondo dell'avventura. Dopo qualche mese, non ricordo perché, l'ufficiale mi prese a calci. Da allora cominciai a rimpiangere il mancato annientamento degli inglesi a Dunkerque. Non mi restava che abbordare gli americani. Andai a Livorno, che rigurgitava di yankee. Alle italiane piacevano, e cominciai a divertirmi in qualche compagnia estrosa. a favore della guerra gioca l'abbondanza di sesso. Fu questo che mi portò nella pineta di Tombolo. ne ha mai sentito parlare?"
"Vagamente, ero nella culla allora".
"La vita quasi selvaggia che si svolgeva a Tombolo era tollerata dalla Military Police. I soldati vi andavano a trascorrere il weekend o una breve licenza trascinando donne. Avevano provviste inesauribili di scatolame, alcol. Vivevano in capanne, in rifugi sugli alberi. Ballavano, orgiavano, erano in lite continua fra loro. Anch'io bevevo. I particolari di quella notte non li ricordo con chiarezza. Il litigio iniziò a causa di due toscane che volevano accoppiarsi soltanto coi loro boys e i militi erano quattro. Mi ero unito a loro masticando un po' d'inglese e interessato, divertito. La contesa degenerò in pugilato furibondo. A un tratto vidi nell'oscurità la lama di un coltello, sentii una donna urlare. Un soldato si accasciò al suolo, un altro fuggì. Un terzo orinava accanto a un pino, reggendosi in piedi a stento, ubriaco. È il momento, pensai. Estrassi il coltello a serramanico che avevo tolto al cadavere di un tedesco, arma appena sufficiente per questi tempi. Il quarto traballava tra le foglie aghiformi chiamando a squarciagola una donna. Pisciamo insieme, dissi avvicinandomi. Poi gli piantai nel ventre la lama, la estrassi rapido. Si afflosciò lungo il tronco con un borbottio, un sibilo. Non so se lo uccisi, lo spero, non vidi il sangue".
"Non sa se è o se non è un omicida" soggiunge Guarnieri sorridendo. "Un caso pirandelliano".
"Uccidere un americano con un'arma tedesca non è un omicidio, è un atto di guerra".

pag. 134-135 

Che dire? Questo è puro parazzolismo letterario! 

Il nostro Dante Virgili inciampa sul latino, lingua che non padroneggia affatto. 

Questo brano l'ho ricopiato al volo dal libro di Antonio Franchini, l'ormai familiare Cronaca della fine, dopo che avevo riconsegnato alla biblioteca il libro di Virgili, così non sono riuscito a recuperare il numero della pagina: 

Era oltre i sessanta, grassa, elegante, una collana di perle al collo, imbellettata, gli occhi le brillavano. Gli uomini di una certa età, mi disse, hanno un fascino speciale coi capelli quasi bianchi. Mi elargiva sorrisi, un giorno mi prese la mano che ritirai. A sentirla parlare dubitai che fosse laureata. Mi vide con alcuni quotidiani sotto il braccio, mi domandò: "Lei non è di Torino. Perché compra La Stampa?" Una sera il caso volle che ci incontrassimo, soli, sul pianerottolo. Nell'ombra mi baciò, mi accarezzò. Stavolta non ritirai la mano ed ebbi un'eiaculazione silenziosa. Mi pentii di essere stato al gioco. Si fece sempre più insinuante, più ardita. Come liberarmene. Eravamo nel gabbiotto. Confessò di annoiarsi spesso vivendo sola. "Hai il gatto nero" risposi. "Io acquisterò un cane per liberarmi del tedium vitae." Dalla sua perplessità compresi che non aveva afferrato, conclusi che era stata una bidella. Si ammalò, per tre mesi fu ricoverata. Al ritorno la vidi salire spesso sull'auto di un vecchio adiposo, calvo. Non mi importunò più, zum Glück, per fortuna. 

In pratica il protagonista si è sburrato addosso, eccitato dal contatto con la mano di una vecchia carampana, ma non è questo quello che mi preme evidenziare. La locuzione latina che indica la noia di vivere ritorna ancora nel romanzo: 

Un giorno mi scappò un tedium vitae e non capì.
pag. 65 

Commento: 
Se ammettiamo che una persona in carne ed ossa, di nome Dante Virgili, abbia scritto il romanzo, dobbiamo allora porci una domanda. Com'è possibile che un autore colto scriva tedium vitae anziché taedium vitae? Non doveva quindi conoscere bene il latino. Doveva aver appreso a scrivere correttamente vitae dalla locuzione curriculum vitae o dal titolo dell'enciclica Humanae vitae. Non era stato in grado di scrivere taedium col dittongo perché non aveva mai letto la locuzione taedium vitae in un testo: l'aveva soltanto sentita dalla viva voce di qualcuno! Se però ammettiamo che l'autore sia Parazzoli, dobbiamo vedere nel tedium vitae senza dittongo un'altra esca rivolta al lettore, per rivelare tra le righe la beffa letteraria.  

Sopravvivenza e Nazionalsocialismo

Sono evidenti gli inganni relativi alla politica. Il professore di tedesco sembra incapace di distinguere Helmut Kohl da Adolf Hitler: basta che una persona parli tedesco e diventa subito una divinità ai suoi occhi. Legge persino le opere di Thomas Mann, cosa che come minimo disgusterebbe un autentico eguace del Nazionalsocialismo tedesco. Non dobbiamo dimenticare che Mann esaltò gli esecrabili stupri compiuti dagli uomini di Ilya Ehrenburg ai danni delle donne tedesche, gioì per le immani devastazioni apportate dall'Armata Rossa e per i bombardamenti che incendiarono le città tedesche. Se ci mettiamo nei panni di un patriota tedesco che ha assistito alla riduzione in cenere della Germania, Mann può soltanto essere un lupo vorace e un demonio, un traditore che ha rinnegato il proprio Sangue (Blut) e il proprio Suolo (Boden), squarciando il ventre stesso della Patria (Heimat). Il protagonista di Metodo della sopravvivenza, così come il suo autore, dovrebbe condividere il medesimo sentire. Applico quindi la logica consequenziale. Se fosse vera la favola di Virgili "scrittore nazista", questi avrebbe potuto fare soltanto una cosa con i libri di Mann: bruciarli. 

Conclusioni:
Il Male incarnato da Dante Virgili nella teologia parazzoliana non è un principio creatore funesto. Non è un Demiurgo. Non è Ahriman. Tuttavia non è nemmeno l'assenza di Bene di cui parlava Agostino d'Ippona. Si tratta di qualcosa di assai più simile al Lato Oscuro della Forza nella mitologia di Guerre Stellari. Il cardine del parazzolismo ha tutta l'aria di essere una strana forma di panteismo influenzato in modo profondo dalla religione dei Cavalieri Jedi, cosa sorprendente per uno scrittore che per anni è stato presentato come un pilastro della Chiesa di Roma. In quest'ottica, Virgili è concepito come una specie di Sith, un Darth Vader, una massa di oscurità scaturita dagli abissi di quell'Energia Cosmica che costituisce e tiene insieme tutte le cose. Come uno sciamano nel corso di una catabasi, il vero autore di Metodo della sopravvivenza avrebbe affrontato un'impresa densa di rischi, misurandosi con questa idea di Male. Alla fine, dopo tanto tempo, le falle in questa architettura concettuale cominciano a rivelarne la natura posticcia.