sabato 18 gennaio 2020

PRONUNCIA ORTOGRAFICA DI NOMI GENOVESI, VENETI E SICILIANI IN ITALIANO

Accadde molto tempo fa. Non importa, ci sono traumi che non si dimenticano. Ci sono ferite che non rimarginano. Una stoltissima annunciatrice televisiva disse che sarebbe stata trasmessa La Venexiana, film erotico di Carlo Bolognini (1986), vagamente ispirato all'omonima commedia composta da un anonimo autore nel XVI secolo. C'è un piccolo problema. L'annunciatrice in questione - possa Yog-Sothoth divorare in eterno la sua anima, defecarla, vomitarla e ingurgitarla di nuovo in un eterno ciclo di dannazione atelorroica - pronunciò la lettera -x- di Venexiana come un gruppo consonantico /ks/, uscendosene con un'oscenità innominabile: una pronuncia ortografica escrementizia, ossia /vene'ksjana/, mentre deve essere /vene'sjana/. Infatti in veneto la lettera x trascrive la sibilante s sorda e la sibilante sonora /z/ come nell'italiano rosa, ad esempio in xe "è", voce del verbo esser "essere" da pronunciarsi /ze/, non certo /*kse/ come fanno alcuni. Un tempo anche Venexia era pronunciata con la consonante sonora /z/, ma questo uso sembra essere tramontato. La televisione - sia dannato in eterno nella Geenna quel porco del suo inventore - ha sì una colpa fondamentale nella diffusione del peggior materiale fecale ideologico. Non bisogna però dimenticare che un'istituzione diabolica, creata direttamente dal Principio del Male, ossia il sistema scolastico, è responsabile dello sterco che la televisione poi diffonde. L'annunciatrice microcefala che ha inventato un gruppo consonantico /ks/ inesistente, avrebbe potuto chiedersi da dove diavolo si sarebbe dovuta originare una pronuncia tanto insensata, Diabole Domine! Invece nulla. Perché vige la totale sottomissione ai dettami di una scuola demente in cui il corpo docente insegna che la lettera x va pronunciata sempre e comuncue /ks/, indipendentemente dal contesto. Su Splinder, la piattaforma blogosferica oggi sparita nel Nulla, esisteva un blogger che si faceva chiamare Rosso Venexiano. Ebbene, in un'occasione ho sentuto una tipa pronunciare il nick come /'rosso vene'ksjano/, quando avrebbe fatto bene a dire /'rosso vene'sjano/ (a parte il fatto che in veneto sarebbe Roso Venexiàn). Ho quasi avuto una sincope! Maledetta -k- intrusiva, io ti esorcizzo!

Roberto Benigni, attore e comico di cui non ho alcuna stima, in un'occasione ebbe a dire che il cognome Craxi in realtà si dovrebbe scrivere Crasi e che la lettera x il celebre Bettino se l'è messa per far colpo. Questa opinione non era poi così lontana dal vero. Lo stesso politico socialista lo riconobbe nel corso di un'intervista. La vera pronuncia del suo cognome, anche se non è proprio il Crasi postulato dal comico toscano, è Crasci. Infatti in siciliano la lettera x si usa per trascrivere il suono palatale che in italiano è reso con sc davanti a vocali anteriori (e, i). Oggi questo uso è in declino, ma un tempo era generale e si scriveva xumi "fiume", xuri "fiore", etc. Facendo sfoggio di una gran simpatia, lo stesso Craxi disse che esiste anche una variante tronca del suo cognome, la più antica, che suona Crascì. Resta da capire per quale motivo ideologico lo stesso possessore di questo cognome abbia sempre tollerato l'abominevole pronuncia ortografica /'kraksi/ (che in Meridione spesso diventava /'krakkissi/ e simili). Forse sapeva bene che contro la belluina ignoranza del volgo crasso non è possibile andare, pena l'impopolarità. Così ha fatto dell'errore delle plebi scolarizzate una specie di vessillo, un nome d'arte - cosa che alla fine l'ha perduto. Per il resto, devo riportare che mi sono imbattuto in una siciliana matura malata di pronuncia ortografica, che giungeva nei suoi eccessi a risultati inverecondi. Apparteneva alla mala genia dei burosauri e pronunciava la stessa lingua italiana in modo assurdo e grottesco, tanto da articolare EX INAM come EKISSÌNAME /ekis'siname/: un suo interlocutore andò su tutte le furie, pensando che gli stesse parlando di una fantomatica entità denominata EKISSÌNAMA, al plurale. Per scrivere in siciliano, oggi si usano ortografie italianizzate, ad esempio ciumi "fiume", sciuri "fiore", il che almeno ha evitato ulteriori tremendi abusi. Maledetta -k- intrusiva, io ti esorcizzo! 

Veniamo ora all'augusta e inclita città marinara di Genova. Tutti sanno dell'esistenza del patriota Nino Bixio, genovese doc. Ecco, ora rivolgo una domanda retorica a tutti gli utenti. Come pronunciate il cognome Bixio? Immagino che lo facciate come la scuola maledetta vi ha insegnato, ossia attribuendo a quella strana, singolare -x- il valore di un gruppo consolantico /ks/. Così ecco che Bixio lo pronunciate /'biksjo/. Invece nell'ortografia tradizionale genovese la lettera x suona come j nel francese jour: è una fricativa palatale sonora /ʒ/. Così il genovese quaexi "quasi" suona /'kwɛʒi/. Ricordo che il carissimo amico Kremo riportava la cosa parlando della microtoponomastica del circondario genovese e di Torriglia in occasione di una mia visita. Il cognome Bixio si deve pronunciare /'biʒu/. Proprio come il francese bijou, ma con l'accento sulla prima sillaba. L'etimologia è la stessa dell'italiano bigio "grigiastro". Adesso, e qui son dolori, veniamo a come la pronuncia ortografica di Bixio è stata adattata nel Meridione d'Italia. Data la difficoltà endemica a pronunciare il gruppo consonantico /ks/, si sono prodotte molteplici pronunce aberranti: bìkissio /'bikissjo/, bìkkissjo /'bikkissjo/ e addirittura bikìssjo /bi'kissjo/, con l'accento su una sillaba inesistente, come se significasse "Colui che bacia due volte". Ma se lo avessero chiamato Nino Bigio non sarebbe stato meglio per lui e per tutti? Maledetta -k- intrusiva, io ti esorcizzo!

mercoledì 15 gennaio 2020

PRONUNCIA ORTOGRAFICA DI PAROLE SPAGNOLE E NAHUATL IN ITALIANO

Infinite sono le aberrazioni indotte dalla pronuncia ortografica. Persino una lingua come lo spagnolo, sorella dell'italiano per comune origine dal latino volgare, non è riuscita a sfuggire a questo tristissimo fato. Televisione e scuola hanno provocato scempi che dire atroci è ancor poco.
 
Dai banchi di memoria stagnanti stoccati nel mio cervello sofferente e infiammato emergono ogni giorno ricordi disgustosi, come fiotti di bile rigurgitati dallo stomaco. Ricordo ancora un caso di pronuncia ortografica dello spagnolo emerso quando vidi un film con Gilberto Govi, Che tempi!, di Giorgio Bianchi (1948). Il signor Felice Pastorino, interpretato dal famoso comico genovese, si trovava di fronte un argentino, Manuel Aguirre, interpretato da Alberto Sordi. Così accadeva che il Pastorino, leggendo il cognome Aguirre /a'girre/, lo pronunciasse come se fosse *Agüirre /a'gwirre/. Subito l'argentino gli faceva notare l'errore, ma ecco che il genovese batteva i piedi per terra, prendendola male, strepitando. Protestava con furia, pretendendo di aver ragione: "Guardi che so leggere!" Non voleva capire che in Aguirre la -u- è soltanto un segno diacritico per indicare la retta pronuncia della -g-, non diversamente da quanto accade in italiano con la -h- in parole come ghetto. Il Pastorino eccedeva anche sul piano lessicale, affermando che in spagnolo hombre significherebbe "amico" anziché "uomo", ma questo è un altro discorso. Di fronte a tanti spropositi, Aguirre replicava serafico e sorridente: "Muy simpático!" Forse pensava "Maricón cabrón hijo de puta!", ma non lo dava a vedere. Un tempo erano molto comuni in tutta Italia personalità simili al signor Pastorino da Genova. In Brianza un uomo così lo si chiama Paulìn Vunciùn, perché "el g'ha semper resùn". Suo fratello è Bastiàn Cuntrari.   
 
Su una televisione privata lombarda, all'epoca in cui ancora scanalavo, mi imbattei in un gruppo folkloristico che cantava una singolare canzone milanese. Il protagonista era un pappone che faceva prostituire la compagna e la massacrava di sganassoni a ogni minimo segno di ribellione. Era un energumeno, un gorilla! Ai nostri giorni una cosa simile non potrebbe nemmeno più essere pensata, figurarsi trasmessa nell'etere. Alla fine, le gesta dello squallido magnaccia si concludevano in modo inglorioso. Arrivavano i poliziotti e caricavano il criminale su un cellulare denominato Mosquito, conducendolo a marcire in galera. Il punto è che il cantante pronunciava Mosquito con una consonante labiovelare /kw/, come se fosse stato scritto in italiano: /mos'kwito/ anziché /mos'kito/

Non si creda che questa peste della pronuncia ortografica risparmiasse persone di cultura elevata. Ricordo quando consultai l'Enciclopedia UTET e mi imbattei nella voce QUEBRACHO, che è il nome di varie specie di piante dal legno durissimo (Aspidosperma quebracho-blanco, Schinopsis Lorentzii, Schinopsis balansae), assai diffuse in Argentina: era riporta in caratteri fonetici la falsa pronuncia /kwe'brako/, quando sarebbe stato semplicissimo trascrivere /ke'bratʃo/. Non si dice di usare la /β/ bilabiale dello spagnolo, abbastanza simile alla mostra /v/, ma almeno si potrebbero rendere in modo corretto suoni presenti nella nostra lingua, evitando vere e proprie aberrazioni! 

Sembra che secoli fa ci fosse maggior senno. Il famosissimo nome di Don Chisciotte (Don Quijote, Don Quixote) fu scritto così in Italia proprio per evitare delittuose pronunce ortografiche. In inglese invece la trascrizione è stata fedele all'originale, Quixote, cosa che ha generato una terrificante falsa pronuncia /kwik'soʊti:/ o /kwik'səʊti:/, tuttora in uso. In tempi più recenti è incappato nelle maglie della pronuncia ortografica il generale Armando Diaz (Napoli, 1861 - Roma, 1928). Il militare era italiano, ma il cognome mostra una chiara origine spagnola. La sua pronuncia quindi ha avuto una consonante affricata: /'diats/. Si noterà che in Brianza questo stesso cognome ha dato origine a bestemmie un tempo comunissime: da giovane avrò sentito un milione di volte urlare "porco dìaz!" e anche "porco dìez!", con indebolimento della vocale atona, ma sempre con la consonante affricata finale /-ts/. Non sarebbe stato più semplice pronunciare un più verosimile /'dias/? Non si pretende certo una consonante interdentale /θ/, inesistente in italiano e in lombardo, ma non ci sono dubbi che realizzare una fricativa /-s/ costa meno fatica che realizzare un'affricata /-ts/.  

Tutte queste aberrazioni sono ben lungi dall'essere estinte: non di rado ci si imbatte tuttora in una falsa pronuncia del cognome della prosperosa Belén Rodriguez, che le genti della televisione pronunciano ortograficamente /ro'drigwets/ (in gran parte della Spagna è /ro'ðrigeθ/, in America Latina è /ro'ðriges/). Direi che pronunciare come se fosse scritto Rodrighes andrebbe più che bene per un italiano. Pronunciare -gu- come in italiano è un'assurdità, visto che la -u- è qui soltanto un segno diacritico che non ha nessuna realtà storica.

Il malcostume della pronuncia ortografica di origine scolastica si applica purtroppo anche alla lingua Nāhuatl, scritta per tradizione secondo le consuetudini ispaniche. Così lo stesso nome degli Aztechi subisce in Italia pronunce false come /ats'teki/ e addirittura /at'tseki/ (come se fosse scritto *Azzechi!), mentre si deve pronunciare /as'teki/, con una semplicissima /s/. La forma Nāhuatl era infatti āztecatl /a:s'te:katɬ/ "azteco", al plurale Āztecah /'a:s'te:kaʔ/ "Aztechi". Un'altra vittima dello scempio è la famosa larva branchiata di una salamadra messicana, detta axolotl. Gli studenti fanno la gara tra chi riesce ad articolare la pronuncia più inverosimile. Di solito vince quello che pronuncia /akso'lotel/, seguito da un altro che pronuncia /akso'lolt/. La pronuncia corretta è /a:'ʃu:lutɬ/. La parola deriva infatti dal Nahuatl āxōlotl e significa "servo dell'acqua", da ātl "acqua" e da xōlotl "servo". La consontante -x- si pronuncia come la sc- di scena. La caratteristica -tl finale non è una sequenza di suoni ed è difficile da pronunciare per un europeo: la -t- deve essere articolata quasi contemporaneamente a una -l- sorda. L'accento è sulla penultima sillaba, che ha la vocale lunga.  
 
I Russi hanno evitato le pronunce ortografiche in modo molto naturale, trascrivendo i nomi traslitterati in cirillico secondo criteri fonetici approssimativi ma abbastana validi. Non ho affatto simpatia per le genti di Vladimir Putin, ma devo dire che hanno evitato la devastazione che da noi è stata prodotta dalla scuola e dai media - almeno per quanto riguarda la pronuncia delle parole straniere.

domenica 12 gennaio 2020

PRONUNCIA ORTOGRAFICA DI PAROLE INGLESI IN ITALIANO

Una delle massime aberrazioni concepibili dalla mente dell'essere umano è senza dubbio la stramaledetta pronuncia ortografica. Tale immondizia concettuale nasce dalla perversione di chi considera la lingua scritta come anteriore alla lingua parlata. La definisco in un solo modo: bestemmia contro il Logos!

Una delle lingue che ha più sofferto le maledizioni delle pronunce ortografiche è stata quella della millenaria Regina Elisabetta. Ecco le più popolari pronunce ortografiche di parole inglesi entrate in italiano, incluse alcune sigle commerciali diffuse tramite la pubblicità televisiva:

tranvai /tran'vai/ "tram"
     < tramway "tramvia" 
block notes /blok 'notes/ "blocco per appunti" (anche abbreviato in
 notes /'notes/)
     < notes "note")
water /'vater/ "tazza del cesso"
     < water closet "gabinetto con scarico ad acqua"
     closet è stato adattato persino in cloche per falsa etimologia: un 
     tempo era comune water cloche /'vater 'kloʃ/ 
Lines /'lines/ (pannolini per bambini)
     < lines, plurale di line "linea, striscia"
Carefree /kare'fre/ (assorbenti intimi)
     < (to) care "prendersi cura" + free "libero"
Colgate /kol'gate/ (dentifricio)
    dal cognome del fondatore William Colgate, probabilmente da 
    coal "carbone" + gate "cancello"
Somatoline /somato'line/ (dimagrante)
    < somato- "corpo" (dal greco accademico) + line "linea"


La deleteria influenza della televisione, scatola maligna inventata da Mefistofele, è stata determinante nella diffusione di questo schifo. Se water /'vater/ "tazza del cesso" è un vocabolo ancor oggi diffusissimo nella parlata quotidiana, altre forme come tranvai si possono ritenere obsolete. Non sempre i parlanti italofoni si sono mostrati consapevoli della natura di questi vocaboli. Solo per fare un esempio, mi è capitato di sentir sostenere che tranvai sarebbe derivato da un'onomatopea tran tran mimante lo sferragliamento del mezzo urbano e da vai inteso come voce del verbo andare.  

In epoca precedente erano pronunciati in modo ortografico o semi-ortografico anche numerosi altri prestiti dall'inglese. Questi due esempi li ho udito con le mie stesse orecchie, il secondo da mia madre (RIP): 

boogie woogie /'budʒi 'budʒi/ (con la -g- di getto)
      anziché /'bu:gi 'wu:gi/ (con la -g- di ghetto)
one step /one'step/ anziché /'wʌnstep/ 

I fumetti di Topolino hanno dato il loro contributo con una gran quantità di onomatopee e di ideofoni importati dal mondo anglosassone, a cui tutti abbiamo attribuito naturalmente una pronuncia ortografica che oggi siamo inclini a considerare delittuosa. Questi sono alcuni esembi celeberrimi:

sigh: indica sospiro, pianto
sob: indica singhiozzo, pianto
thump: indica un rumore sordo
chomp: indica masticazione rumorosa 
 
Il sospiro paperoniano sigh è pronunciato /sig/ in Italia, ma la pronuncia inglese è /saɪ/; si noterà che la pronuncia ortografica di sigh è la stessa data alla prima parola del saluto nazista Sieg Heil.
Il tonfo paperoniano thump è pronunciato /tump/ in Italia, ma la pronuncia inglese è /θʌmp/
Talvolta nei fumetti si scriveva ciomp anziché chomp per evitare che qualche sprovveduto realizzasse ch- come una velare occlusiva /k/, perdendo l'onomatopea. In genere non ho mai sentito una simile atrocità, anche perché a scuola le maestrine stavano molto attente che si pronunciasse correttamente ch come un'affricata in toponimi come Michigan e via discorrendo. Un esempio scolastico di pronuncia di ch è sempre stato Chicago, ma il nome della città dell'Illinois in realtà si pronuncia con una /ʃ/ iniziale, la stessa dell'italiano scemo.

Anche nella microtoponomastica questa piaga della pronuncia ortografica era alquanto diffusa e in molti casi non è tuttora estinta: Viale Jenner è ancora pronunciato in modo sistematico /'jenner/ anziché /'dʒenner/, come se l'augusto medico fosse un figlio della Germania anziché di Albione. Spesso se ne esce qualche cronista a dire che ci sono stati tumulti nei pressi della moschea di Viale Jenner, pronunciando /'jenner/. Una simpatica cinesina mi raccontò di un islamico di Viale Jenner che si recò al ristorante a ingozzarsi di carne suina e di grappa. Anche lei pronunciava /'jenner/, come tutti. Herr Edward Jenner di Prussia è una realtà. Lunga vita al concittadino del sacrosanto Cancelliere Otto von Bismarck!  Si deve quindi menzionare il caso di Via Washington un tempo subiva la pronuncia ortografica /'via 'vaʃʃington/ dai Milanesi, con tanto di -g- sonora grande come una casa, articolata con pena perché a scuola insegnano che le lettere mute non devono esistere. Credevo che questo uso fosse estinto e che avesse ceduto definitivamente il passo a un più corretto /'woʃin(g)ton/; proprio qualche giorno dopo la ruminazione di questi pensieri, ecco che un amico milanese ha pronunciato /'via 'vaʃʃington/.

Non penso che la causa degli atroci scempi descritti fosse la semplice ottusità del volgo: tutti sapevano ad esempio che il francese non si può leggere come si scrive - e chi osasse farlo veniva schernito senza pietà, additato a tutti come un somaro. Si trattava di forme di resistenza e di boicottaggio contro l'introduzione della lingua inglese, odiatissima. Fino a prova contraria, nessuno usava pronunce ortografiche del francese. Chi lo avesse fatto sarebbe stato bollato come un immondo zotico. Invece la lingua di Albione era vilipesa dal sistema scolastico. Mi fu riferito da una minuta e frizzante brunetta che suo zio pronunciava James Dean come I-àa-mes Dé-aan, con netta sillabazione. Non c'era verso di spiegare a quel rozzo villico della Brianza che una simile pronuncia è assolutamente erronea. Lui insisteva, picchiava i pugni sul tavolo, tirava bestemmie e urlava. A sua detta, a scuola gli avevano insegnato a scrivere e lui aveva imparato: se su un foglio c'è scritto James Dean, ecco, doveva leggersi come se fosse un nominativo italiano, I-àà-mes Dé-aan. La lingua della Germania è riuscita a ottenere un maggior rispetto. Solo qualche contadino paccianesco nelle campagne della Toscana applica la pronuncia ortografica a parole tedesche, tanto che Volkswagen diventa sulle sue labbra Fosfage, con suono palatale - si sente dire ben più spesso Fosfaghe, col suono velare. Però mi pare che davanti ai Lager e alla Gestapo si caghino tutti in mano anche in quelle contrade: i suoni palatali spariscono come per incanto!

mercoledì 8 gennaio 2020

UN ITALIANO UCRONICO

Nostra grande curiosità è sempre stata l'allostoria linguistica dell'italiano. Come si parlerebbe nella nostra Penisola se l'evoluzione del latino volgare nella Toscana antica fosse stata diversa e i poeti avessero elaborato una lingua colta molto diversa da quella a cui siamo abituati? Cercherò di fare alcune ipotesi e di produrre qualche risultato, disegnando per sommi capi un corso storico ucronico, da prendersi ovviamente come un semplice esperimento concettuale. 
 
Notando che nella realtà in cui viviamo non si sono prodotte forme pur ineccepibili come *netticchia "nipotina" (< lat. nepticula) e *anocchia "vecchietta" (< lat. anucula), ne approfittiamo per plasmare una nuova conlang (ossia constructed language "lingua costruita"), una forma di italiano ucronico che non ha subìto rilevanti infusioni di latino letterario e di greco, ma che continua meglio certe forme latine. Ecco, per il vostro piacere filosofico, una lista di vocaboli di questo peculiare idioma:

albo "bianco"
annicchio "capretto di un anno"
anócchia
"vecchietta"
appolcrare "abbellire"
articchiare "articolare"
articchio "articolo" 
ave "uccello"
bello "guerra"
capicchio "capitolo"
gerre "portare"
magno "grande"
màssomo "massimo"
ménomo "minimo"
merchie! "accidenti!" < lat. mehercle
miracchio "miracolo"
netticchia "nipotina"
noverca "matrigna" 
òle "un tempo"
pólcro "bello"
presézzo "presidio"
privigno "figliastro"
puèro "bambino"
rufo "rosso"
sue "maiale"
suéllo "maialino"
tasto "silenzioso" < lat. tacitus
vasto "vuoto" < lat. vacitus 
vétrico "patrigno"
 
Non si sono prodotti dittonghi dalle vocali /e/ e /o/ brevi toniche del latino: 
 
èri "ieri"
mètere "mietere"
mèto "paura"
òmo
"uomo"
fòra
"fuori"
òve
"pecora" 
scòla "scuola"
tòrlo
"tuorlo" 

Si conservano arcaismi come óvo "uovo" e óva "uova", dalla parola latina con vocale tonica lunga /o:/. Così si hanno esiti regolari di parole che hanno invece esiti irregolari nell'italiano del nostro corso storico: 
 
lópo "lupo"
óscio "uscio" 
 
Ai romanisti sarà saltata subito all'occhio l'irregolarità dell'italiano lupo, dato che il latino lupus ha una -u- tonica breve, che non si sarebbe dovuta conservare immutata. Alcuni hanno spiegato il vocalismo di lupo ipotizzando l'influsso dei dialetti umbri, altri lo hanno visto invece come un dottismo causato da tabù linguistico. Ecco, assumiamo che nell'italiano ucronico queste interferenze non ci siano state.

Altri arcaismi: 

meco "con me"
teco "con te"
novésco "con noi"
vovésco "con voi" 

Le prime due forme pronominali, meco e teco, esistevano nell'italiano letterario. Le altre due sono notevoli, dato che già nell'Appendix Probi si stigmatizzava noscum per nobiscum "con noi" e voscum per vobiscum "con voi". Si tratta quindi di esiti in qualche misura dotti, a dispetto della regolare evoluzione fonetica. In italiano letterario sono note le forme nosco e vosco.  

Mancano le lenizioni delle consonanti sorde, che tanto sono diffuse nel nostro italiano: 

aco "ago", "aghi"
laco "lago", "laghi"
péscopo "ispettore" 

Quest'ultimo vocabolo non ha mai avuto significato religioso, mantenendo la sua origine militare; si ipotizza che il Punto di Divergenza tra l'ucronia in questione e il nostro corso storico risalga all'epoca di Diocleziano.   
 
Restano sostantivi che distinguono il nominativo da una forma obliqua (usata come accusativo, dativo, ecc.): 
 
frate "fratello" (obliquo fratre)
latro "ladro" (obliquo latrone)
mate "madre" (obliquo matre)
òmo "uomo" (obliquo òmine)
pate "padre" (obliquo patre)
sòro "sorella" (obliquo soróre

Al posto di antichi neutri possono trovarsi occasionalmente forme maschili rifatte per analogia: 

còre "cuore" (obliquo corde, ma plurale/collettivo corda, di genere neutro)

Si hanno femminili in -o, come fico (che nel nostro italiano è passato al maschile) e querco "quercia (che nel nostro italiano è passato al femminile): ella fico "il fico" (albero e frutto), ella querco "la quercia".

Alcune parole dell'italiano ucronico sopra illustrato esistono nella nostra lingua italiana soltanto come reliquie: menomo è ben noto ed usato dallo stesso Leopardi, ormai nessuno lo usa, ma ha dato origine a parole tuttora correnti come menomare, menomato, menomazione. Questa è la dimostrazione più eloquente di come sia possibile per il volgo dimenticare l'etimologia delle parole e non comprendere neppure le connessioni più elementari. Altre volte una parola dell'italiano ucronico da me proposto vive soltanto come toponimo. Questo è proprio il caso di presezzo, che esiste come nome di un paese lombardo, Presezzo (in provincia di Bergamo), che è derivato direttamente dal latino praesidium. La consonante -zz- è sonora come quella di mezzo.  
 
I verbi sono meno regolari di quelli del nostro italiano. 
 
Questa è la coniugazione del verbo esse "essere" al presente indicativo:

son "sono"
ei "sei" 
è "è" 
sómo "siamo"
este "siete"
son "sono" 
 
Le forme del presente congiuntivo sono le seguenti: 

sén "sia"
sei "sia"
"sia"
sémo "siamo"
séte "siate"
sén "siano"

Questa è la coniugazione del verbo posse "potere" al presente indicativo: 
 
posso "posso"
pòte "puoi" 
pòte "può" 
pòssomo "possiamo"
potèste "potete"
posse "possono" 
 
Le forme del presente congiuntivo sono le seguenti: 

posse "possa"
posse "possa"
posse "possa"
pòssimo "possiamo"
pòste "possiate"
posse "possano"

 
Questà è la coniugazione del verbo avere "avere" al presente indicativo: 
 
abbio "ho" 
ave "hai"
ave "ha"
avémo "abbiamo"
avete "avete"
ave "hanno"

Il presente congiuntivo è quasi identico a quello da noi usato: 
 
abbia "abbia"
abbia "abbia"
abbia "abbia"
abbiamo "abbiamo"
abbiate "abbiate"
abbia "abbiano"
 
Questà è la coniugazione del verbo amare "amare" al presente indicativo:

amo "amo"
ama "ami"
ama "ama"
amàmo "amiamo"
amate "amate"
ama "amano" 

Le forme del presente congiuntivo sono le seguenti: 

ame "ami"
ame "ami"
ame "ami"
amémo "amiamo"
améte "amiate"
ame "amino"
 
Questà è la coniugazione del verbo vedere "vedere" al presente indicativo:

vezzo "vedo"
vede "vedi"
vede "vede"
vedémo "vediamo"
vedete "vedete"
vede "vedono" 

Le forme del presente congiuntivo sono le seguenti: 

vezza "veda"
vezza "veda"
vezza "veda"
vezzàmo "vediamo"
vezzàte "vediate"
vezza "vedano" 

Questà è la coniugazione del verbo dùcere "guidare" al presente indicativo:

duco "guido"
duce "guidi"
duce "guida"
dùcimo "guidiamo"
duste "guidate"
duco "guidano" 

Le forme del presente congiuntivo sono le seguenti: 

duca "guidi"
duca "guidi"
duca "guidi"
ducàmo "guidiamo"
ducàte "guidiate"
duca "guidino"
 
Questà è la coniugazione del verbo odire "udire, sentire" al presente indicativo:

ozzo "odo, sento"
odi "odi, senti"
odi "ode, sente"
odìmo "udiamo, sentiamo"
odite "udite, sentite"
ozzo "odono, sentono" 

Le forme del presente congiuntivo sono le seguenti: 

ozza "oda, senta"
ozza "oda, senta"
ozza "oda, senta"
ozzàmo "udiamo, sentiamo"
ozzàte "udiamo, sentite"
ozza "odano, sentano"
 
Nell'Italia ucronica in cui si parla questa lingua non si è imposto il Cristianesimo, che è stato annientato da Diocleziano. Nemmeno il Neoplatonismo ha avuto fortuna: sono rimasti soltanto culti pagani vernacolari. Alcuni nomi di divinità sono identici o quasi a quelli a noi conosciuti: 

Giove "Giove"
Marte "Marte"
Vènere "Venere"
Bacco "Bacco"
Giano "Giano"

Altri hanno subìto evoluzioni fonetiche prevedibili: 

Erchie "Ercole"
Giana "Diana"
Mercóro "Mercurio"
Piuto "Plutone" (obliquo Piutone)
Satórno "Saturno" 

Altri elementi del vocabolario cultuale, scomparsi nel nostro corso storico, perdurano: 

ara "altare" 
fano "tempio"
èppia "banchetto sacro"
nèmo "bosco sacro" (obliquo nèmore, plurale nèmora)  
piàcchio "espiazione cruenta" 

L'ortografia adottata è praticamente identica a quella che usiamo quotidianamente, con l'uso gli accenti dove abbiamo ritenuto necessario chiarire la pronuncia ed evitare ambiguità. Si potrebbe quasi dire che questo italiano ucronico sia una sorta di livellatore che regolarizza l'evoluzione dal latino, più classico che volgare, restaurando una regolarità che nella nostra realtà è andata perduta. Sembra quasi un metro di paragone tra le condizioni ideali di evoluzione linguistica e quelle reale, di gran lunga più caotiche e imprevedibili. Se poi si vorrà dire che questa non è davvero "ucronia", bensì "onirostoria", si faccia pure.

sabato 4 gennaio 2020

UN INGLESE UCRONICO

Immaginiamo ora che non ci sia mai stata la battaglia di Hastings e che i Normanni non abbiano mai conquistato Albione. Immaginiamo di avere un arcipelago abitato da contadini dal carattere non dissimile da quello degli Hobbit descritti nelle immortali pagine di Tolkien. Immaginiano anche che non si sia prodotta l'enorme immissione di prestiti dal norreno dovuta all'influenza di dialetti formatisi nell'Inghilterra settentrionale, fenomeno che ha portato nella lingua del nostro corso storico parole come big "grande", black "nero", fellow "compagno", skipper "vogatore", they "essi, esse", to take "prendere", to call "chiamare", to cast "gettare", to get "ottenere", to give "dare", etc. Che lingua parlerebbero in questa singolare Ucronia? Mi inoltro in un esercizio concettuale da prendersi per quello che è, con sospensione dell'incredulità e per il puro piacere filosofico del lettore. Ovviamente non è possibile scorporare gli effetti di un mancato evento, non è possibile prevedere le conseguenze di qualcosa nemmeno a breve termine. Non mi azzardo a ipotizzare un Punto di Divergenza, posso soltanto immaginare che qualcosa di cruciale sia accaduto nell'epoca oscura dei tardi regni anglosassoni, durante il X secolo e la prima metà dell'XI.    
 
Molte parole dell'inglese ucronico da me costruito sono parole dell'inglese della nostra realtà, ma con significato più generale, mentre parole a noi assai familiari non vi esistono affatto. In altri casi si usano parole che nell'inglese della nostra realtà hanno cambiato profondamente significato. Esempi:
 
Non esiste bird: si usa solo fowl "uccello"
Non esiste blackbird: si usa solo oozle "merlo"
Non esiste dog: si usa solo hound "cane"
Non esiste eagle: si usa solo erne "aquila"
Non esiste flour: si usa solo meal "farina"
Non esiste flower: si usa solo blossom "fiore"
Non esistono hog, piglet, pigling: si usa solo farrow "porcello"
Non esiste pig: si usa solo swine "maiale" 
 
Spesso sussistono differenze semantiche: 
 
Inglese deer "cervo"
Inglese ucronico deer "animale, bestia"
 
Inglese fowl "pollame"
Inglese ucronico fowl "uccello"
Il significato di "uccello, volatile" ricorre però anche nel nostro corso storico, nell'inglese arcaico e poetico.
 
Inglese hound "segugio" 
Inglese ucronico hound "cane" 

Inglese meal "pasto"
Inglese ucronico meal "farina"
Nell'inglese del nostro corso storico il significato di "farina" è conservato soltanto in composti: oatmeal "farina di avena".
 
In moltissimi casi le parole sono diverse da quelle che noi usiamo, e risalgono direttamente all'anglosassone. I prestiti dal latino esistono, ma continuano direttamente quelli già presenti in anglosassone: non ne sono giunti dalla Francia né dal latino accademico. Questo è un piccolissimo campione di lessico peculiare:  
 
camp /kæmp/ = battle "battaglia"
car /ka:r/ = rock "roccia"
coaser /'koʊzər/ = emperor "imperatore"
coaserdom /'koʊzərdəm/ = empire "impero"
chester /'tʃestər/ = castle "castello"
chettle /'tʃetḷ/ = kettle "pentola"
Creeks /kri:ks/ = Greeks "Greci"
drake /dreɪk/ = dragon "drago"
dry /draɪ/ = wizard "mago"
engel /'end
ʒəl/ = angel "angelo"
etched /'etʃɪd/ = vinegar "aceto"
ey /aɪ/ = egg "uovo" 
eyren /'aɪr
ən/ = eggs "uova"
kemp /kemp/ = champion "campione"
leed /li:d/ = people "gente"
marmstone /'marmstoʊn/ = marble "marmo"
mise /maɪz/ = table "tavolo"
mitchel /'mɪtʃəl/ = big "grande"
moathom /moʊðəm/ = present "dono"
to nim /nɪm/ = to take "prendere"
orc /ɔ:rk/ = demon "demone"
orc /ɔ:rk/ = pitcher "bicchiere"
Roume /raʊm/ = Rome "Roma"
Roumewals /raʊmwɔlz/ = Romans "Romani"
swart /swɔrt/ = black "nero"
yigant /'jaɪgənt/ = giant "gigante"
yift /jɪft/ = gift "dono"
yim /jɪm/ = gem "gemma"
to yive /jɪv/ = to give "dare" 

Nel nostro corso storico il verbo to nim si trova soltanto in ristrette aree dialettali col significato di "rubare". Nell'inglese ucronico da me costruito, to nim è il verbo di base per dire "prendere".
 
La pronuncia di certe parole fondamentali è diversa: 
 
one /oʊn/ anziché /wʌn/ "uno" 
onse /oʊns/ anziché once /wʌns/ "una volta"
Non si ha l'ortografia in -ce in questa parola, essendo nata dall'imitazione del francese. 

Si hanno diversi casi di omofonia assai singolari: ey "uovo" suona identico a eye "occhio"; camp "battaglia" suona in modo abbastanza simile a kemp "campione". 

La grammatica presenta alcuni caratteri peculiari. 
 
I plurali sono molto più irregolari di quelli a cui siamo abituati. Sono molto più comuni formazioni come children "bambini" da child "bambino".
Il plurale di brother "fratello" è sempre brethren "fratelli". Nel nostro corso storico esiste brethren, ma è usato esclusivamente in contesti religioso col senso di "confratelli".
Il plurale di cow "vacca" è kine "vacche"
Il plurale di bee "ape" è been "api"
Il plurale di engel "angelo" è englen "angeli"
Il plurale di eye "occhio" è eyen "occhi"
Il plurale di hear "orecchio" è hearn "orecchi"
Il plurale di horse "cavallo" è horse "cavalli"
Il plurale di hose "calzone" è hosen "calzoni"
Il plurale di house "casa" è housen "case"
Il plurale di knee "ginocchio" è kneen "ginocchia"
Il plurale di shoe "scarpa" è shoon "scarpe"
Il plurale di thing "cosa" è thing "cose"
Il plurale di tree "albero" è treen "alberi"
Esempi simili sono assai numerosi.
I plurali in -s nell'inglese ucronico sono giusto quelli derivati dagli antichi maschili della declinazione forte anglosassone, come ad esempio stones "pietre" da stone "pietra". 

Anche il genitivo sassone non è come quello a noi familiare. Al plurale termina in -(e)n anziché in -s'; al singolare in molti nomi è in -es, ma scritto senza apostrofo, mentre in molti altri è in -(e)n.

Molti verbi hanno forme irregolari che da noi sono cadute in disuso nell'inglese moderno. Un esempio valga per tutti: 
 
to help "aiutare",
holp "aiutò"
holpen "aiutato"
 
Non si usa mai you come pronome singolare: esiste soltanto il pronome thou "tu" (accusativo e dativo thee "te, a te", possessivo thy, thine "tuo"), con il verbo col suffisso -st, -t
 
thou art = you are "tu sei" 
thou hast
= you have "tu hai" 
thou shalt = you shall "tu devi"
thou wilt = you will "tu vuoi"
thou nimest = you take "tu prendi"
thou seest = you see "tu vedi"  

Nel nostro corso storico queste forme sono usate soltanto dai credenti di alcune confessioni religiose, come quella dei Quaccheri.
 
Il pronome di seconda persona plurale è ye "voi" al nominativo, you "vi, a voi" all'accusativo e al dativo. Il genitivo è your "vostro" come nel nostro corso storico.
Il pronome di terza persona plurale è he "essi, esse", come il singolare maschile, con l'accusativo e dativo him "loro, a loro", genitivo her "loro". I pronomi di terza persona singolare sono identici a quelli del nostro corso storico: he "egli", she "ella", it "ciò". Il contesto permette di evitare ambiguità tra he "egli" e il plurale he "essi, esse".
 
Non si è prodotta la famosissima -s della terza persona singolare del presente indicativo: si sono mantenute le forme con la fricativa interdentale -th
 
he doeth = he does "egli fa" 
he goeth = he goes "egli va"
he nimeth = he takes "egli prende"
he cometh = he comes "egli viene" 
he seeth = he sees "egli vede" 
 
La nostra -s è derivata dalla totale assibilazione di -th: l'inglese ucronico ha giusto mantenuto una situazione più arcaica.  
 
Non si è prodotto l'uso generale del presente progressivo in -ing, e il suffisso è piuttosto -end
 
thou art comend = you are coming 

Alcuni esempi di frasi:

I yive thee a moathom = I give you a present
Thou art the Coaser of Roume = you are the Emperor of Rome
I nim some eyren = I take some eggs; I'm taking some eggs

In realtà c'è un inghippo. Per il nostro inglese ucronico abbiamo usato un'ortografia che è comunque molto simile a quella del nostro corso storico. Ci aspetteremmo ad esempio l'uso generale della lettera þ (thorn) per trascrivere il suono di th (sordo e sonoro): þe, þis, comeþ, etc. Inoltre sono comuni all'inglese del nostro corso storico alcuni processi che hanno portato alla trasformazione delle vocali e alla formazione di dittonghi. Questi cambiamenti, verificatisi nella prima fase dell'inglese moderno, avrebbero benissimo potuto non verificarsi in un corso storico diverso. Tuttavia notiano che alcune dittongazioni si sono avute in modo del tutto indipendente in diverse lingue. Così vediamo che le antiche vocali lunghe /i:/ e /u:/ hanno sviluppato si ha lo stesso dittongo in inglese e in tedesco:
 
Inglese house "casa"
Tedesco Haus "casa" 
 
Inglese mouse "topo"
Tedesco Maus "topo"
 
Inglese swine "porco"
Tedesco Schwein "maiale" 
 
Inglese wine "vino"
Tedesco Wein "vino"
 
Vero è che l'uso del dittongo ou per trascrivere la vocale lunga /u:/ nel medio inglese, prima della dittongazione, si è sviluppato a causa dell'influsso dell'antico francese portato dai Normanni. Potremmo invece pensare che nel corso storico alternativo tale consuetudine grafica si sia imposta per trascrivere proprio la dittongazione nelle sue prime fasi - anche se resterbbe oscuro perché non si sia imposto il dittongo grafico ei per trascrivere il dittongo sviluppatosi dalla vocale lunga /i:/.  
 
A questo punto possiamo ritenere accettabili le convergenze fonetiche e ortografiche tra l'inglese ucronico e quello del nostro corso storico, con qualche riserva, postulando che si siano sviluppate in modo indipendente anche in contesti abbastanza dissimili. Altrimenti basterà etichettare con l'aggettivo "onirostorico" questo bizzarro inglese da noi elaborato.

mercoledì 1 gennaio 2020

 
FRIGYES KARINTHY E LA SUA OPERA
 
Lo scrittore e linguista ungherese Ferenc Karinthy (Budapest, 1921 - Budapest, 1992) è l'autore del romanzo surreale Epepe, più conosciuto nel mondo anglosassome come Metropole.
 
 
Il padre di Ferenc, Frigyes Karinthy (Budapest, 1887 - Siófok, 1938), non era affatto uno sconosciuto. Nato da una famiglia borghese di origine ebraica, si distinse per il suo grande ingegno e per la sua vena satirica: fu poliglotta, scrittore, drammaturgo, parodista, umorista, utopista, poeta, giornalista e traduttore in ungherese. Non smise mai di studiare e accumulò un’immensa mole di conoscenze sia umanistiche che scientifiche, cosa molto rara tra gli scrittori di quei tempi. Alcune delle sue traduzioni sono tuttora in circolazione. Tradusse opere di Charles Dickens, Heinrich Heine, H.G. Wells (The Sea Lady, The Country of the Blind), Stephen Leacock, A. A. Milne (Winnie-the-Pooh, reso con Micimackó), Christian Morgenstern, Luigi Pirandello (Sei personaggi in cerca d'autore), Jonathan Swift (I viaggi di Gulliver), Mark Twain (Tom Sawyer), Metta V. Victor e Franz Wedekind. 
 
Particolare attenzione merita il suo rapporto con H.G. Wells, e non soltanto in relazione alla letteratura fantastica: la traduzione in lingua magiara delle opere dello scrittore britannico comportò modifiche di non poco conto, e in alcuni casi una vera e propria propria riscrittura. 
 
L'influenza di Wells si nota anche in due interessantissimi romanzi fantascientifici e utopistici di Karinthy padre: Viaggio a Faremido (Utazás Faremidóba, in inglese Voyage to Faremido, 1916) e il suo seguito Capillaria (Capillária, 1921). Viaggio a Faremido è strutturato come un seguito de I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift e preconizza l'intelligenza artificiale. Un pilota si addentra in un paese sconosciuto i cui abitanti hanno corpi costituiti da materiali inorganici e si esprimono in un linguaggio musicale: si tratta di veri e propri robot dotati di intelletto e indipendenti dagli umani. Una visione notevole per gli inizi del XX secolo e certamente profetica.  

In Capillaria è descritto un mondo sottomarino abitato soltanto da donne, mentre i maschi sono ridotti a esserini residuali chiamati bullpop, poco più che genitali deambulanti. Il tema del feroce contrasto tra i sessi e della servitù sessuale è portato ai suoi limiti estremi: il maschio debole è descritto come un "piccolo verme ripugnante", ignorato dalla società femminile sia come mantenitore che come propagatore della specie, condannato quindi a una morte vergognosa. Anche questo è un tema di scottante attualità. 
 
 
Il contributo di Frigyes Karinthy alla Scienza è stato notevole, avendo introdotto un concetto completamente nuovo che si è dimostrato di grande utilità nella matematica, nella sociologia, nella fisica, nella cibernetica e nella teoria delle reti. Si tratta dell'idea dei sei gradi di separazione, che compare nel suo racconto Catene (Láncszemek, 1929), inedito in Italia e parte dell'antologia Ogni cosa è diversa (in inglese Everithing is different). Secondo questo cruciale concetto, ogni persona è connessa a tutte le altre da un piccolo numero di passaggi, che è sempre minore o uguale a sei. L'assunto di Karinthy è semplice: il mondo si sta contraendo a causa dell'accresciuta connettività tra gli individui. Nonostante le persone vivano separate da grandi distanze, la loro crescente densità sul globo porta inevitabilmente a una riduzione delle distanze sociali. Così scrisse nel racconto in questione: 
 
"Comunque, dalla discussione venne fuori un'idea interessante. Uno di quelli che vi partecipava propose un gioco per dimostrare che gli abitanti del globo terrestre sono molto più vicini l'uno all'altro, sotto molti punti di vista, di quanto lo siano stati nel passato. Dato un individuo qualunque tra il miliardo e mezzo di abitanti della terra, che vive in un posto qualsiasi, lui sosteneva di riuscire a mettersi in contatto con quell'individuo al massimo attraverso cinque altri individui che si conoscessero tra loro personalmente." 
 
 
Possiamo renderci conto di questo fatto nella nostra quotidianità. Ho avuto occasione di sperimentare che le distanze che mi separano da diversi personaggi famosi (nel bene o nel male) sono molto minori di quanto possa sembrare. Solo per fare un esempio, a quanto ho potuto appurare, George W. Bush è separato da me da solo tre gradi: un amico di un mio amico lo ha conosciuto alla Casa Bianca, dove ha lavorato per un certo periodo. Questo significa che numerosissimi politici statunitensi sono separati da me al massimo da quattro gradi. Tra questi possiamo enumerare Bill Clinton e sua moglie Hillary, Barack Obama e Donald Trump. Non è affatto escluso che un domani possa darsi la dimostrazione che il mio vero numero di gradi di separazione con ciascuno di questi individui è ancora minore. Un caso ancora più sorprendente è quello di Moana Pozzi: anche se è defunta, i gradi di separazione sono due, dato che mi sono imbattuto in ben tre uomini che l’hanno conosciuta direttamente. Questo fa sì che ci siano soltanto tre gradi di separazione tra me e un numero enorme di attrici e di attori di film hard, vivi e trapassati. 
 
Veniamo infine a una questione davvero singolare. Frigyes Karinthy era un ardente sostenitore dell'esperanto, partecipava ai congressi degli esperantisti e dal 1932 fu a capo dell'Associazione Esperantista Ungherese (Hungaria Esperanto-Asocio). È tuttavia riportato che non parlava affatto tale lingua. Non sono in grado di fornire un'adeguata spiegazione, dal momento che l'esperanto è una lingua di apprendimento molto facile, che non avrebbe dovuto scoraggiare un valente poliglotta. Forse si trattava di una peculiare idiosincrasia che gli impediva di memorizzare le parole? Ancora più strano che un uomo che nutre passione per qualcosa poi mostri una tale difficoltà ad apprenderla.