mercoledì 15 gennaio 2020

PRONUNCIA ORTOGRAFICA DI PAROLE SPAGNOLE E NAHUATL IN ITALIANO

Infinite sono le aberrazioni indotte dalla pronuncia ortografica. Persino una lingua come lo spagnolo, sorella dell'italiano per comune origine dal latino volgare, non è riuscita a sfuggire a questo tristissimo fato. Televisione e scuola hanno provocato scempi che dire atroci è ancor poco.
 
Dai banchi di memoria stagnanti stoccati nel mio cervello sofferente e infiammato emergono ogni giorno ricordi disgustosi, come fiotti di bile rigurgitati dallo stomaco. Ricordo ancora un caso di pronuncia ortografica dello spagnolo emerso quando vidi un film con Gilberto Govi, Che tempi!, di Giorgio Bianchi (1948). Il signor Felice Pastorino, interpretato dal famoso comico genovese, si trovava di fronte un argentino, Manuel Aguirre, interpretato da Alberto Sordi. Così accadeva che il Pastorino, leggendo il cognome Aguirre /a'girre/, lo pronunciasse come se fosse *Agüirre /a'gwirre/. Subito l'argentino gli faceva notare l'errore, ma ecco che il genovese batteva i piedi per terra, prendendola male, strepitando. Protestava con furia, pretendendo di aver ragione: "Guardi che so leggere!" Non voleva capire che in Aguirre la -u- è soltanto un segno diacritico per indicare la retta pronuncia della -g-, non diversamente da quanto accade in italiano con la -h- in parole come ghetto. Il Pastorino eccedeva anche sul piano lessicale, affermando che in spagnolo hombre significherebbe "amico" anziché "uomo", ma questo è un altro discorso. Di fronte a tanti spropositi, Aguirre replicava serafico e sorridente: "Muy simpático!" Forse pensava "Maricón cabrón hijo de puta!", ma non lo dava a vedere. Un tempo erano molto comuni in tutta Italia personalità simili al signor Pastorino da Genova. In Brianza un uomo così lo si chiama Paulìn Vunciùn, perché "el g'ha semper resùn". Suo fratello è Bastiàn Cuntrari.   
 
Su una televisione privata lombarda, all'epoca in cui ancora scanalavo, mi imbattei in un gruppo folkloristico che cantava una singolare canzone milanese. Il protagonista era un pappone che faceva prostituire la compagna e la massacrava di sganassoni a ogni minimo segno di ribellione. Era un energumeno, un gorilla! Ai nostri giorni una cosa simile non potrebbe nemmeno più essere pensata, figurarsi trasmessa nell'etere. Alla fine, le gesta dello squallido magnaccia si concludevano in modo inglorioso. Arrivavano i poliziotti e caricavano il criminale su un cellulare denominato Mosquito, conducendolo a marcire in galera. Il punto è che il cantante pronunciava Mosquito con una consonante labiovelare /kw/, come se fosse stato scritto in italiano: /mos'kwito/ anziché /mos'kito/

Non si creda che questa peste della pronuncia ortografica risparmiasse persone di cultura elevata. Ricordo quando consultai l'Enciclopedia UTET e mi imbattei nella voce QUEBRACHO, che è il nome di varie specie di piante dal legno durissimo (Aspidosperma quebracho-blanco, Schinopsis Lorentzii, Schinopsis balansae), assai diffuse in Argentina: era riporta in caratteri fonetici la falsa pronuncia /kwe'brako/, quando sarebbe stato semplicissimo trascrivere /ke'bratʃo/. Non si dice di usare la /β/ bilabiale dello spagnolo, abbastanza simile alla mostra /v/, ma almeno si potrebbero rendere in modo corretto suoni presenti nella nostra lingua, evitando vere e proprie aberrazioni! 

Sembra che secoli fa ci fosse maggior senno. Il famosissimo nome di Don Chisciotte (Don Quijote, Don Quixote) fu scritto così in Italia proprio per evitare delittuose pronunce ortografiche. In inglese invece la trascrizione è stata fedele all'originale, Quixote, cosa che ha generato una terrificante falsa pronuncia /kwik'soʊti:/ o /kwik'səʊti:/, tuttora in uso. In tempi più recenti è incappato nelle maglie della pronuncia ortografica il generale Armando Diaz (Napoli, 1861 - Roma, 1928). Il militare era italiano, ma il cognome mostra una chiara origine spagnola. La sua pronuncia quindi ha avuto una consonante affricata: /'diats/. Si noterà che in Brianza questo stesso cognome ha dato origine a bestemmie un tempo comunissime: da giovane avrò sentito un milione di volte urlare "porco dìaz!" e anche "porco dìez!", con indebolimento della vocale atona, ma sempre con la consonante affricata finale /-ts/. Non sarebbe stato più semplice pronunciare un più verosimile /'dias/? Non si pretende certo una consonante interdentale /θ/, inesistente in italiano e in lombardo, ma non ci sono dubbi che realizzare una fricativa /-s/ costa meno fatica che realizzare un'affricata /-ts/.  

Tutte queste aberrazioni sono ben lungi dall'essere estinte: non di rado ci si imbatte tuttora in una falsa pronuncia del cognome della prosperosa Belén Rodriguez, che le genti della televisione pronunciano ortograficamente /ro'drigwets/ (in gran parte della Spagna è /ro'ðrigeθ/, in America Latina è /ro'ðriges/). Direi che pronunciare come se fosse scritto Rodrighes andrebbe più che bene per un italiano. Pronunciare -gu- come in italiano è un'assurdità, visto che la -u- è qui soltanto un segno diacritico che non ha nessuna realtà storica.

Il malcostume della pronuncia ortografica di origine scolastica si applica purtroppo anche alla lingua Nāhuatl, scritta per tradizione secondo le consuetudini ispaniche. Così lo stesso nome degli Aztechi subisce in Italia pronunce false come /ats'teki/ e addirittura /at'tseki/ (come se fosse scritto *Azzechi!), mentre si deve pronunciare /as'teki/, con una semplicissima /s/. La forma Nāhuatl era infatti āztecatl /a:s'te:katɬ/ "azteco", al plurale Āztecah /'a:s'te:kaʔ/ "Aztechi". Un'altra vittima dello scempio è la famosa larva branchiata di una salamadra messicana, detta axolotl. Gli studenti fanno la gara tra chi riesce ad articolare la pronuncia più inverosimile. Di solito vince quello che pronuncia /akso'lotel/, seguito da un altro che pronuncia /akso'lolt/. La pronuncia corretta è /a:'ʃu:lutɬ/. La parola deriva infatti dal Nahuatl āxōlotl e significa "servo dell'acqua", da ātl "acqua" e da xōlotl "servo". La consontante -x- si pronuncia come la sc- di scena. La caratteristica -tl finale non è una sequenza di suoni ed è difficile da pronunciare per un europeo: la -t- deve essere articolata quasi contemporaneamente a una -l- sorda. L'accento è sulla penultima sillaba, che ha la vocale lunga.  
 
I Russi hanno evitato le pronunce ortografiche in modo molto naturale, trascrivendo i nomi traslitterati in cirillico secondo criteri fonetici approssimativi ma abbastana validi. Non ho affatto simpatia per le genti di Vladimir Putin, ma devo dire che hanno evitato la devastazione che da noi è stata prodotta dalla scuola e dai media - almeno per quanto riguarda la pronuncia delle parole straniere.

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