mercoledì 28 giugno 2023

IL MISTERO DELLA CONVERSIONE DI VITICHINDO E DELLA SUA MORTE

Vitichindo (Widukind), nato in Vestfalia nel 730 circa e morto a Enger tra l'804 e l'812, fu un eroico condottiero dei Sassoni di Germania che si oppose con immenso valore a Carlo Magno e alla sua campagna di cristianizzazione forzata. Eppure, dopo una resistenza accanita durata molti anni, dopo molte imprese, è riportato che Vitichindo accettò di essere battezzato, cosa che avvenne nell'anno 785 nella residenza reale di Attigny, nelle Ardenne, essendo stato lo stesso Carlo Magno suo padrino. Qui subentra un grave problema. Da quell'evento in poi, di Vitichindo si perde qualsiasi traccia. Com'era logico attendersi, da allora il nobile sassone non partecipò più ad alcuna azione anticristiana e si astenne dall'avere contatti con i rivoltosi. Tuttavia resta qualcosa di inspiegabile. Nessun contemporaneo di Vitichindo ha scritto qualcosa sulla sua vita dopo il suo battesimo. Niente fonti, niente notizie. 


In sintesi, cosa ne è stato di Vitichindo? Perché è sparito nel nulla? Si possono ipotizzare diverse versioni dei fatti, per necessità tra loro contrastanti e sospette di essere contaminate da motivazioni politiche e religiose. Nel corso dei miei studi, ho raccolto qualcosa che propongo in questa sede:  
1) Vitichindo, convertito o meno, sarebbe stato rinchiuso in un monastero e impossibilitato ad uscire (Althoff, 1983). Non bisogna dimenticare che era una tradizione dei sovrani Franchi rinchiudere gli avversari politici in ambienti monastici, per liberarsi di loro in via definitiva. Non era una cosa leggera e di poco conto: era come seppellirli vivi! Peccato che gli studi di Althoff non abbiano portato alcun risultato concreto ai ripetuti tentativi di identificare l'abbazia in cui Vitichindo sarebbe stato rinchiuso.  
2) Vitichindo si sarebbe convertito in seguito a un miracolo eucaristico. Stando al resoconto, il condottiero sassone si era travestito da mendicante per spiare un sacerdote nell'atto di officiare dell'Eucarestia e di somministrarla ad alcuni soldati franchi: avrebbe  quindi visto nell'ostia la figura di un bambino bellissimo, che finiva in bocca ad ogni partecipante - ad alcuni con gioia, ad altri con ripugnanza e solo dopo costrizione. Riconosciuto da una malformazione ossea ad alcune sue dita, il sassone era stato catturato e avrebbe spiegato l'accaduto ai suoi carcerieri e all'Imperatore, destando in tutti grande impressione. Avrebbe quindi rinunciato all'adorazione degli idoli, chiedendo di ricevere il battesimo. In seguito si sarebbe dedicato a diffondere il Cristianesimo tra i Sassoni, a costruire nuove chiese e a restaurare quelle già esistenti, tanto da acquisire fama di santità. Questo racconto è riportato da Martin von Cochem in Cochem's Explanation of the Holy Sacrifice of the Mass (1896, pagg.), che menziona come unica fonte Albertus Krantius, ossia lo storico Albert Kranz (Amburgo, 1450 - 1517). Sembrano i deliri mistici di un pazzo di DioLa Chiesa Romana ha fatto di tutto per propalare questa versione, dichiarando il sassone Beato. Questa tradizione fissa la data della morte del "Beato Wittikund di Vestfalia" il 7 gennaio 810. Infatti la sua festa è proprio il 7 gennaio. 
3) Vitichindo, in seguito al battesimo, avrebbe ricevuto un trattamento onorevole alla corte di Carlo Magno, vivendo da vassallo o da funzionario, senza alcun ruolo di rilievo nelle vicende politiche della sua terra d'origine (Reuter, 1991). Secondo la Vita Liudgeri, avrebbe accompagnato Carlo Magno in una sua campagna militare contro il capo degli Slavi Veleti, Dragovit. 
4) Secondo la Kaiserchronik (circa 1152 - 1165), documento scritto in medio alto tedesco, Vitichindo sarebbe stato ucciso da un cognato dello stesso Carlo Magno, Geroldo di Baar (noto anche come Geroldo di Vintzgau); questa versione è attestata molto dopo gli eventi e non ha alcun riscontro, cosa che la rende molto sospetta. Se fosse vera, Vitichindo sarebbe dovuto morire prima del 799, dato che in quello stesso anno morì Geroldo. Invece l'anno di morte del sassone è indicato come l'807. Questa tradizione è particolarmente insistente in siti del Web di lingua tedesca. Ho reperito un altro dettaglio: Vitichindo sarebbe morto in una battaglia contro gli Svevi ("Der Sage nach fiel er 807 im Kampf gegen die Schwaben"), guidati per l'appunto dal Duca Geroldo. Quindi non si sarebbe trattato di una lite a corte. Mi sembra tutto piuttosto inverosimile, con ogni probabilità si fonda solo su un'oscura leggenda popolare. 

Come si può constatare, la confusione imperversa. Qua e là si raccolgono dettagli erratici e spesso incongruenti, che sembrano nascere da generazione spontanea. Compaiono anche incroci tra leggende diverse. Ecco un esempio: 

Christliche Legenden berichten von seinem Leben, das bis 807 gedauert habe. Kaiser Karl wandelte demnach in Folge der Taufe Widukinds Wappentier, das schwarze Ross, in ein weißes Ross um und erhob ihn zum Herzog der Sachsen; er herrschte dann auf der Wallburg Babilonie - heute Ruinen nahe Obermehnen, einem Stadtteil von Lübbecke bei Osnabrück - mild und gerecht, ließ Kirchen bauen und bereicherte sie mit Reliquien. 

"Le leggende cristiane narrano della sua vita, che durò fino all'807. Secondo questa leggenda, dopo il battesimo di Vitichindo, l'Imperatore Carlo cambiò il suo animale araldico, il cavallo nero, in uno bianco e lo elevò a Duca dei Sassoni. Governò quindi la Fortezza Babilonia – oggi ridotta a rovine nei pressi di Obermehnen, un quartiere di Lubecca, vicino a Osnabrück – con dolcezza e giustizia, fece costruire chiese e le arricchì di reliquie."


Etimologia di Widukind 

L'origine dell'antroponimo Widukind è trasparente e non presenta alcun problema: proviene dall'antico sassone widu "legno, bosco", kind "bambino". Entrambe le parole sono di chiarissima origine indoeuropea. Widukind significa "Bambino del Bosco". La semantica mostra la sua provenienza dal patrimonio religioso dell'antico politeismo germanico. In alto tedesco si è avuto l'adattamento Wittekind, ancor oggi usato in tutta la Germania. 

Futili genealogie

Divenuto un simbolo nazionalista, a partire dal IX secolo il leggendario Vitichindo è stato ritenuto un capostipite di diverse stirpi nobiliari della Sassonia. Verso il 1100, è stata costruita per lui una tomba ad Enger (la terra degli antichi Angrivari), supposto luogo della sua morte. Recenti scavi in loco hanno potuto appurare che la sepoltura risale realmente a quell'epoca, anche se i resti contenuti sono quelli di una giovane donna. Falsi storici e fake news imperversavano già nel Medioevo! 
La dinastia degli Ottoni, anche denominata dinastia dei Liudolfingi, fu la casata di Imperatori del Sacro Romano Impero che regnò ininterrottamente dal 963 al 1024 - rivendicando la discendenza da Vitichindo. A quanto è stato accertato, Matilde, moglie del Re Enrico I, era realmente una pronipote dello strenuo avversario di Carlo Magno. La Casa di Billung, alla quale appartenevano diversi duchi di Sassonia, aveva tra i suoi antenati la sorella di Matilde e quindi si univa alle rivendicazioni degli Ottoni. Per il resto, non si è giunti a risultati credibili nella validazione di alberi genealogici che sembrano nati nel mondo dei sogni.  
Molti anni fa, con mio grande stupore, ho appreso che persino i Savoia avrebbero una leggenda famigliare che riconduce la loro stirpe a Vitichindo. In seguito ho letto della famiglia aristocratica Del Carretto, col suo supposto ramo francese de Charette, che vanta questa stessa ascendenza. Seguono i Reali d'Inghilterra e molti altri! Se dovessimo ascoltare le pretese di tutti i nobili europei, scopriremmo che traggono le loro origini nel glorioso sassone. Ritengo che queste siano fole degne di ludibrio. 


Edmund Kiss (Kiß nell'ortografia tradizionale, 1886 - 1960), nazionalsocialista fanatico e pseudoarcheologo ossessionato dalle origini aliene del genere umano, nel 1935 scrisse un dramma violentemente anticristiano, Wittekind der Große, "Vitichindo il Grande". Quest'opera teatrale ha destato violente proteste da parte dei cattolici, perché ha presentato una verità nuda e cruda. Dopo il tremendo massacro di Verden, noto come Bagno di Sangue, il condottiero sul palco dice: "Questo è ciò che hanno fatto i Cristiani: fingono amore e portano omicidi!" 
Ecco il piano diabolico di Carlo Magno, evocato da Kiss col violento linguaggio del razzismo hitleriano su base biologica, tipico della NSDAP: egli avrebbe messo in un campo di concentramento 60.000 ragazze Sassoni, minacciando di farle congiungere a "Ebrei, Mori, Negri, Greci, Italiani e altri Orientali" (sic)! Così Vitechindo, inorridito, avrebbe esclamato: "L'Onore e il Sangue, la salute e l'anima tedesca di 60.000 donne Nordiche valgono bene l'onore di un Duca tedesco".
Purtroppo non sono riuscito a reperire il testo del dramma in lingua originale (immagino che gravi la censura). Faccio notare che l'idea della violenza di massa e della contaminazione del sangue germanico è stata propugnata con particolare ossessione da Julius Streicher, fautore convulsionario della dottrina dell'impregnazione e dell'imbastardimento. 

Una ricostruzione immaginaria 
(ma realistica!)

Vitichindo, travestito da mendicante, viene riconosciuto e catturato dagli armigeri di Carlo Magno, senza tanto clamore. L'eroe sassone viene condotto in una segreta, incatenato e massacrato di botte, alla presenza dell'Imperatore. Nel corso del violentissimo pestaggio, uno degli sgherri franchi assesta un colpo "tecnicamente perfetto", che uccide il prigioniero. Ecco il dialogo che si è formato nella mia mente, avente come protagonisti il Re Carlo (Ther Kuning Karl) e gli armigeri Gerold, Adalbert e Arnulf: 

Gerold: "Merda! È morto!" 
Adalbert: "Adesso nella merda ci siamo dentro fino al collo!" 
Arnulf: "Quelli insorgeranno ancor più violentemente!" 
Gerold: "Sarà considerato un martire!" 
Adalbert: "Lo ripeto: siamo nella merda!" 
Ther Kuning Karl: "Non necessariamente." 
Adalbert: "E come facciamo a uscirne?" 
Ther Kuning Karl: "Possiamo volgere questo incidente a nostro favore. Basta tenere nascosta la sua morte e dire che si è convertito." 
Gerold: "Ma se non lo vedranno più in circolazione, quelli si insospettiranno!" 
Ther Kuning Karl: "Diremo che si è ritirato in un monastero per dedicarsi alle opere pie! Funzionerà. Fiaccheremo il loro spirito ribelle, umiliando il loro onore e i loro duri princìpi!" 
Arnulf: "Sì, potrebbe funzionare!"

Così fu fatto e funzionò. L'inganno funziona ancora oggi! In fondo, se una persona scomoda viene soppressa, poi si può dire di lei tutto quello che si vuole: sarà privata all'istante di ogni diritto di ribattere. 

Conclusioni

1) Un proverbio africano dice: "Tu puoi nascondere il fumo, ma per il fuoco come farai?" 
2) L'Unione Europea dice di ispirarsi a Carlo Magno, elogiandolo per la sua opera e per i suoi "ideali di unificazione". Gli storici e i docenti si inchinano, infilando la lingua nelle emorroidi del Sistema. Diffondono per ogni dove simili idiozie funeste! Vorrei che i 4.500 Sassoni martirizzati a Verden fossero evocati e potessero dire la loro!

sabato 24 giugno 2023


GEMISTO PLETONE E IL NEOPAGANESIMO
RINASCIMENTALE

Il filosofo bizantino Giorgio Gemisto, detto Pletone, in greco Γεώργιος Γεμιστός Πλήθων, Geṓrgios Gemistós Plḗthōn (Costantinopoli, 1355 - Mistra, 1452), fu la causa prima del Rinascimento Italiano ed ebbe un'influenza immensa sulla cultura della sua epoca. Quanti ne hanno sentito parlare? Immagino che siano ben pochi. Io per primo non l'ho mai sentito nominare quando frequentavo la scuola. In genere i docenti parlano del neopaganesimo rinascimentale come di un fatto puramente artistico, privo di una vera causa e di qualsiasi reale valenza religiosa e filosofica. Intendo qui dimostrare in estrema sintesi che quest'idea, diffusa dal sistema scolastico italiano e dal mondo accademico, è erronea,  parziale, semplicistica, ideologica. 
Innanzitutto, fu proprio Gemisto Pletone a riportare in Occidente la conoscenza e lo studio approfondito della lingua greca, che era stata da lungo tempo quasi dimenticata e ridotta a rudimenti. Del resto, gli studiosi del Trecento che si erano occupati della materia, come ad esempio Petrarca e Boccaccio, non avevano ottenuto risultati strabilianti. Cosa d'importanza capitale, il filosofo bizantino permise la conoscenza diretta dei testi in lingua originale di Platone, Plotino e altri neoplatonici. Negli anni 1438-1439 partecipò al Concilio di Ferrara e Firenze, occasione di importanza capitale che gli permise di plasmare l'Umanesimo, diffondendo la sua visione del mondo. Fu determinante la sua influenza su Cosimo de' Medici (Firenze, 1389 - Careggi, 1464), che nel 1462 portò alla fondazione dell'Accademia neoplatonica fiorentina. La rinascita del pensiero neoplatonico in Italia fu un movimento che si oppose al monopolio del pensiero aristotelico e della filosofia scolastica, che avevano da secoli il sostegno dalle autorità ecclesiastiche. 
Senza sapere dell'esistenza e dell'opera di Gemisto Pletone, ci sarebbe impossibile comprendere personalità come Leon Battista Alberti (Genova, 1404 - Roma, 1472), Marsilio Ficino (Figline Valdarno, 1433 - Careggi, 1499), Giovanni Pico della Mirandola (Mirandola, 1463 - Firenze, 1494) e numerosissimi altri. Si arriva infatti a Leonardo da Vinci (Anchiano, 1452 - Amboise, 1519), sommo ingegno che fu descritto dal Vasari come "pitagorico e neoplatonico al punto di non essere cristiano"
Ciriaco Pizzecolli (o de' Pizzicolli), noto anche come Ciriaco d'Ancona (Ancona, 1391 - Cremona, 1452), esploratore e padre dell'archeologia, nutriva un vero e proprio culto per il filosofo bizantino. Così scrisse: 

"Lì (1) trovammo Costantino Dragaš (2), della stirpe reale dei Paleologi, l'illustre despota regnante. E presso di lui facemmo visita a quell’uomo per cui eravamo venuti, insigne, senza dubbio il più dotto tra i Greci nel nostro tempo e anche, direi, per vita, costumi e insegnamenti un filosofo platonico illustre e importantissimo."

(1) A Mistra, nei pressi di Sparta. 
(2) Signore semi-indipendente del Regno di Serbia, satellite frammentario dell'Impero Romano d'Oriente.  

Proprio a Mistra (Mistrà, Mizithra), in una terra in cui fiorì una delle più austere civiltà comparse sul pianeta nei millenni, Gemisto Pletone aveva fondato la sua scuola, da cui si irradiava la sua sapienza ancestrale. Protetto dall'Imperatore Manuele II Paleologo, di cui era personale amico, fu sempre al riparo dalla persecuzione della Chiesa Ortodossa, e in particolare del fanatico Gennadio II Scolario, che non riuscì nel suo intento di farlo imprigionare e processare per eresia. 

Etimologia dello pseudonimo 

Il soprannome del filosofo, Pletone (Πλήθων, Plḗthōn) deriva dal greco πληθύς (plēthýs) "folla", "maggioranza", che è semanticamente affine a γεμιστός (gemistós) "pieno". Si tratta quindi di un dotto gioco di parole, la cui origine è da ricercarsi anche dall'assonanza col nome di Platone (Πλάτων, Plátōn). 


Imitatio Iuliani 

L'intera vita di Gemisto Pletone fu plasmata sull'esempio dell'Imperatore Giuliano il Filosofo, che i Cristiani hanno soprannominato Giuliano l'Apostata. Si riconosce subito nelle idee professate dal dotto di Bisanzio l'impronta del fondatore dell'Ellenismo, che cercò di riformare le tradizioni religiose del mondo antico per contrastare l'irruzione del Cristianesimo. Mi chiedo questo: com'è potuto nascere e svilupparsi un personaggio tanto innovativo e al contempo tanto legato a qualcosa che si pensava morto da molti secoli? Gemisto Pletone nacque a Costantinopoli, con ogni probabilità da una famiglia nobile. Non si conosce il motivo che lo costrinse a trasferirsi, ancora molto giovane, dapprima ad Adrianopoli e in seguito a Mistra. Non si hanno notizie certe, anche se sembra che proprio ad Adrianopoli abbia iniziato i suoi studi esoterici, dedicandosi tra le altre cose alla Cabala. Come si formò e divenne compiuta la sua peculiare visione dell'Universo, considerato il contesto cristiano in cui era immerso? Ha ricevuto le sue idee leggendo qualche testo, elaborando quanto aveva appreso, oppure ha ricevuto un'iniziazione da qualcuno che continuava in linea diretta le idee ellenistiche di Giuliano? La seconda alternativa sembrerebbe piuttosto improbabile, tuttavia non credo di poterla escludere. In fondo sappiamo così poco! 

Il Trattato delle Leggi

Questo è il testo dell'Inno al Sole, contenuto nel Trattato delle Leggi (
Νόμων συγγραφή, Nómōn syngraphḗ), opera di Gemisto Pletone che purtroppo ci è nota soltanto per frammenti: 

Ἄναξ Ἄπολλον, φύσεως τῆς ταὐτοῦ ἑκάστης 
Προστάτα ἠδ' ἡγῆτορ, ὃς ἄλλα τὲ ἀλλήλοισιν 
Εἰς ἓν ἄγεις, καὶ δὴ τὸ πὰν αὐτὸ, τὸ πουλυµερές περ
Πουλύκρεκόν τε ἐὸν. μιῇ ἁρμονίη ὑποτάσσεις 
ύ τοι εκ γ' ὁμονοίης καὶ ψυχῖσι φρόνησιν· 
Ἠδὲ διχην παρέχεις, τα τε δὴ κάλλιστα ἐάων, 
Σὺ δὴ καὶ ἵμερον θείων καλλῶν δίδου αἰὲν,
Ἄναξ, ἡμετέρησι φυχαῖς: ὠὴ παιάν.  

Traslitterazione: 

Ánax Ápollon, phýseōs tẽs tautoũ hekástēs 
Prostáta ēd' h
ēgẽtor, hòs álla tè allḗloisin 
Eis hèn ágeis, kaì dḕ tò pàn autò, to poulymerés per 
Poulýkrekón te eòn, miẽ harmoníē hypotásseis
; 
Sý toi ék g' homonoíēs kaì psykhẽsi phrónēsin 
Ēdè díkhēn parékheis, tá te dḕ kállista eáōn,
Kaì rh' hygíean sṓmasi, kallos t' àr kaì toĩsin;
Sỳ dḕ kaì hímeron theiōn kallõn dídou aièn,
Ánax, hēméterēsi psykhaĩs; ōḕ paián.

Traduzione: 

Apollo Re,
tu che regoli e governi l'identità in tutte le cose,
che stabilisci l'unità tra tutti gli esseri,
che sottoponi alle leggi dell'armonia questo vasto Universo, così vario, così molteplice,
sei anche tu che stabilisci l'accordo tra le anime e generi saggezza e giustizia, i beni più preziosi; 
sei tu che dai salute e grazia ai corpi. 
Perciò ispira sempre le nostre anime con l'amore per le bellezze divine; salve, o Peana.

Purtroppo il testo completo del Trattato delle Leggi è stato fatto distruggere dall'acerrimo nemico del filosofo, Gennadio II Scolario, che nel 1454 divenne Patriarca di Costantinopoli. Ormai nella grande città comandavano i Musulmani, ma il potere che l'ecclesiastico conservava gli permetteva ancora di fare gravi danni. Quanto ci resta del Trattato delle Leggi è consultabile nell'Archivio del Web e liberamente scaricabile: 



Sunto dottrinale

Gemisto Pletone era un convinto sostenitore della necessità di unificare tutte le religioni del mondo in una sola, che era quella Ellenistica. Egli faceva risalire le filosofie di Platone e di Pitagora alla dottrina del persiano Zoroastro, ritenuta il fondamento della Conoscenza Primigenia. Da questa sarebbero discesi in linea diretta, nel corso dei secoli, gli insegnamenti di tutti gli antichi saggi, tra cui si possono enumerare Minosse, Licurgo, Numa Pompilio, i Sacerdoti di Dodona, i Sette Sapienti, Parmenide, Timeo, Plutarco, Porfirio, Giamblico, i Magi e i Brahmani (ΒραχμᾶνεςBrakhmãnes) della remota India. Importante il riferimento agli Oracoli Caldaici (
Χαλδαικὰ λόγια, Khaldaiká lógia), importante opera misterica risalente con ogni probabilità alla fine del II secolo d.C., attribuita a Giuliano il Teurgo e giunta a noi in forma frammentaria.   

L'antico politeismo era concepito nello spirito platonico, con Zeus come dio supremo. Gemisto Pletone ideò una liturgia dettagliata allo scopo di rendere l'Ellenismo una religione praticabile. Egli presumeva che gli Dei mantenessero una completa armonia tra loro, evitando così conflitti come quelli descritti da Omero e organizzandosi volontariamente in un sistema gerarchico capace di servire da modello per gli esseri umani. Filosoficamente, ciascuno degli Dei era visto come rappresentante del principio a loro associato, come ad esempio l'unità rappresentata da Zeus e la molteplicità rappresentata da Era. L'Universo era considerato senza inizio e imperituro, in nettissimo contrasto con il Cristianesimo: le stesse parole "creare", "creazione" erano interpretate in senso letterario e metaforico, non come realtà fisiche. 
Riguardo all'anima, il filosofo sosteneva la dottrina platonica della trasmigrazione o metempsicosi. Tuttavia, non concepiva l'esistenza dell'anima nel mondo materiale come punizione o sventura, ma la affermava come necessaria, significativa e immutabile. Pertanto, non dava per scontata alcuna vita ultraterrena accessibile all'anima, nessuna prospettiva di redenzione. Tra le tesi anticristiane da lui fortemente sostenute c'era la dottrina del diritto etico al suicidio. Si sospetta che egli stesso sia morto volontariamente, all'età di quasi cento anni. 

Critica all'aristotelismo 

Nel 1439, Gemisto Pletone scrisse a Firenze il trattato Περὶ ὧν 'Αριστοτέλης πρὸς Πλάτωνα διαϕέρεται (Perì hõn Aritostotélēs pròs Plátōna diaphéretai, in latino De Platonicae atque Aristotelicae philosophiae differentiis) "Sulla differenza tra la filosofia platonica e quella aristotelica". In questa polemica, difese gli insegnamenti di Platone dalle critiche di Aristotele. Scrisse l'opera in fretta e furia mentre era malato, con citazioni fatte a memoria e non esenti da errori. Il suo merito più grande, tuttavia, fu quello di aver attirato l'attenzione sulle differenze fondamentali tra la filosofia aristotelica e quella platonica. Queste differenze ricevettero troppo poca attenzione all'epoca a causa delle tendenze armonizzatrici di molti umanisti. Gemisto Pletone criticò anche i commentatori arabi, in particolare Abū 'l-Walīd Muḥammad ibn Aḥmad ibn Muḥammad ibn Rushd, più noto come Averroè (Cordova, 1126 - Marrakech, 1198), accusato di aver falsificato gli insegnamenti originali. La tesi sostenuta dal filosofo bizantino era questa: il mondo antico antepose sempre Platone ad Aristotele; fu solo grazie alla disastrosa influenza di Averroè che la gente iniziò a preferire Aristotele. Questo era un punto particolarmente controverso degli insegnamenti di Gemisto Pletone, che gli attirò particolare ostilità: basti pensare l'importanza che il pensiero aristotelico aveva come cardine della filosofia sostenuta dalla Chiesa Romana.   

Gemisto Pletone e la politica 

La vita del filosofo fu plasmata dalla fase finale del declino di Bisanzio. Come consigliere di imperatori e despoti, partecipò attivamente a questi sviluppi. Tuttavia, considerò il crollo dell'Impero bizantino e la vittoria dei Turchi in modo diverso rispetto ai suoi concittadini ortodossi, poiché, a differenza di loro, non era radicato nella fede cristiana, ma nel Platonismo. Credeva che lo Stato cristiano, allo stesso modo di quello islamico, fosse un'aberrazione storica destinata al crollo, e che il futuro appartenesse a un nuovo Stato greco, non più cristiano, ma radicato nell'antichità classica. Questo Stato futuro sarebbe stato guidato dai principi platonici, pitagorici e zoroastriani.
Gli elementi centrali del programma politico pletoniano sono i seguenti: 

- Sostituzione del Cristianesimo con l'Ellenismo come religione di Stato. 
- Un sistema monarchico in cui il sovrano dovrebbe ascoltare i consiglieri filosofici. 
Questi consiglieri non dovrebbero essere particolarmente ricchi, poiché altrimenti seguirebbero la loro avidità, ma nemmeno poveri, poiché altrimenti sarebbero suscettibili alla corruzione.
- Divisione del popolo in tre classi (contadini, commercianti e funzionari pubblici/capi di stato).
- Nessun servizio militare per i contribuenti ed esenzione fiscale per i soldati; un esercito puramente professionale, rifiuto del servizio mercenario.
- Aliquota fiscale fissa: un terzo del raccolto agricolo. Nessun altro onere per gli agricoltori attraverso tasse e obblighi di servizio.
- Abolizione di ogni sostegno del monachesimo con il denaro delle tasse, in quanto è un'attività criticata come parassitaria.
- Abolizione delle pene di mutilazione, perché impediscono ai puniti di svolgere attività utili.
Enfasi sulla risocializzazione nel diritto penale, ma – similmente alle Leggi di Platone – ampio uso della pena di morte.
- Impegno sociale per la proprietà terriera, che dovrebbe essere collegata all'obbligo di utilizzarla per l'agricoltura, perché la terra è proprietà comune di tutti gli abitanti.
Se un proprietario terriero trascura questo dovere, chiunque può coltivare qualcosa lì; il raccolto, al netto delle tasse, appartiene quindi a chi lo ha prodotto. Con questa richiesta, il filosofo prese di mira i vasti terreni ecclesiastici, in parte incolti. 


Il lascito e il sarcofago

Questo scrisse il Cardinale Bessarione (Trebisonda, 1403 - Ravenna, 1472) ai figli del filosofo defunto, Demetrio e Andronico, per onorarne la memoria: 

"Ho saputo che il nostro comune padre e maestro ha lasciato ogni spoglia terrena ed è salito in cielo... per unirsi agli dèi dell'Olimpo nel mistico coro di Iacco. Ed io mi rallegro di essere stato discepolo di un tale uomo, il più saggio generato dalla Grecia dopo Platone. Cosicché, se si dovessero accettare le dottrine di Pitagora e Platone sulla metempsicosi, non si potrebbe evitare di aggiungere che l'anima di Platone, dovendo sottostare agli inevitabili decreti del Fato e compiere quindi il necessario ritorno, è scesa sulla terra per assumere le sembianze e la vita di Gemisto. Personalmente, dunque, come ho già detto, mi rallegro all'idea che la sua gloria si rifletta anche su di me; ma se voi non esultate per essere stati generati da un padre simile, voi non vi comporterete come si conviene, perché non si deve piangere un tale uomo. Egli è diventato motivo di grande gloria per l'intera Grecia; e ne sarà l'orgoglio dei tempi a venire. La sua reputazione non perirà, ma il suo nome e la sua fama saranno perennemente tramandati a futura memoria." 

Si resta basiti considerando che queste parole commoventi sono state pronunciate da un ecclesiastico, sostenitore dell'unione tra la Chiesa Ortodossa e la Chiesa Romana; si deve però ricordare che egli fu sempre impegnato nello studio e nella conservazione della cultura greca classica, oltre ad essere il discepolo prediletto dello stesso filosofo - da lui considerato il Secondo Platone e persino la sua reincarnazione!

Nel 1453, un anno dopo la morte di Gemisto Pletone, Costantinopoli fu conquistata dai Turchi e anche Mistra si arrese nel 1460. Pochi anni dopo, il valoroso condottiero Sigismondo Malatesta, al servizio di Venezia, giunse a Mistra con una spedizione militare, riuscì a recuperare le spoglie del filosofo dalla tomba e le portò a Rimini nel 1466. Da allora il sarcofago di Gemisto Pletone è stato collocato su una parete esterna del Tempio Malatestiano, dove è tuttora ben visibile.

Ricordi di scuola

Un professore del liceo, Alberto C., che insegnava storia dell'arte, a volte riportava qualche dato interessante nelle sue lezioni. Ad esempio affermava che durante il Rinascimento i miti greci erano noti persino alle persone di bassa condizione sociali. Non comprendeva però la ragione di questo pervasivo fenomeno culturale. Era un cattolico fanatico e in un'occasione fece alla classe un discorso su Raffaello Sanzio (Urbino, 1483 - Roma, 1520) e su un singolare mito fiorito intorno alla sua persona. Ci disse che molti contemporanei dell'artista lo consideravano la reincarnazione di Gesù, per via della sua bellezza eterea e della morte che lo aveva ghermito quando aveva 33 anni. Poi precisò che "la reincarnazione non esiste", come se fosse depositario della conoscenza di tutte le cose inconoscibili. Ribadì più volte la sua posizione, facendo sfoggio di un atteggiamento di scherno. Quindi affermò che le credenze nella metempsicosi erano tipiche della moda dell'epoca: a suo dire erano cose futili sorte dal pettegolezzo, del tutto prive di sostanza. Non poteva capire che invece si trattava di un esito del Neoplatonismo importato in Italia da Gemisto Pletone! 

I deprecabili bias dei professori

Gemisto Pletone non è menzionato a scuola soprattutto per un motivo: la maggior parte del corpo docente (pur con debite eccezioni) nega in modo reciso l'esistenza di tutto ciò che non è nel programma ministeriale. Sono fin troppi a pretendere che la propria conoscenza parziale sia metro e misura dell'intero Universo! La cosa più scandalosa è che nessuno parli di questo personaggio importantissimo nelle lezioni di filosofia. Almeno un cenno in quel contesto lo meriterebbe.

Prove del successo dell'opera di Gemisto Pletone

È stato scoperto che una famiglia di commercianti di Lucca sacrificava agli Dei un bue ogni anno per propiziarsi gli affari, tra la fine del XVI secolo e l'inizio del XVII. Sono stati trovati resti di una di quelle offerte: 
un teschio di bovino, studiato, che è stato studiato nell'ambito dei reperti del Museo Archeologico Palazzo Poggi. I reperti, provenienti da uno scavo archeologico nella città di Lucca, sono stati sottoposti ad analisi archeozoologiche per comprendere il loro significato storico e culturale, rivelando un passato finora poco conosciuto della città: riti pagani nel Cinquecento! Non ho dubbi sul fatto che questo emergere di pratiche pagane, in un contesto in cui non sarebbero dovute esistere, è connesso agli insegnamenti diffusi da Pletone in Italia nel XV secolo. Deve esserne una naturale conseguenza. Lo stesso Imperatore Giuliano era un gran sacrificatore: i maligni dicevano che se fosse tornato vittorioso dalla campagna militare in Persia, i bovini si sarebbero immancabilmente estinti. 


Nel fondamentale testo di Prudence Jones e Nigel Pennick, A History of Pagan Europe (1995), è menzionato un fatto sorprendente: nel 1522, in pieno XVI secolo e 30 anni dopo la scoperta dell'America, a Roma fu sacrificato un toro a Giove, nel Colosseo, nella speranza di riuscire a fermare un'epidemia di peste che stava infuriando. Lo storico Francis Young riporta ulteriori dettagli. Il Papa e i porporati avevano abbandonato l'Urbe per sfuggire al contagio. Aveva fatto la sua comparsa un greco di nome Demetrio, che aveva proposto al popolino il rito pagano. I magistrati avevano dato la loro autorizzazione. Tuttavia, visto che la pestilenza non accennava a regredire, il volgo aveva ripreso a fare processioni in onore dei Santi e della Vergine, biascicando preghiere, sgranando rosari. 
Cosa possiamo dedurre da questi fatti portentosi? Esistevano ancora Ellenisti agguerriti nella Grecia del XVI secolo e avevano abbastanza audacia da giungere a Roma come missionari!  

Differenze tra Gemisto Pletone
e Vilgardo di Ravenna
 

Il neopagano medievale Vilgardo di Ravenna non aveva mezzi. Non possedeva nulla oltre alla sua erudizione, in ogni caso mediata dalla Chiesa Romana. Le sue conoscenze erano rudimentali. Non aveva alcun testo oltre a quelli dei poeti romani. Il greco gli era completamente sconosciuto. Non aveva il sostegno di un Imperatore e non era riuscito ad ascendere nella scala sociale fino a diventare un consigliere di corte. Inoltre, fatto non meno importante, gli mancava la componente esoterica. 

Conclusioni 

Un grave limite del pensiero di Pletone è l'incapacità di comprendere la natura del Male, concetto da lui rifiutato in modo radicale. Detto questo, la sua opera merita la massima attenzione. Il fatto stesso che sia stata rimossa, prova al di là di ogni dubbio che il Sistema ne ha tuttora un immenso terrore. 

martedì 20 giugno 2023


VILGARDO DI RAVENNA: 
NEOPAGANESIMO MEDIEVALE

Nei primi anni '70 del X secolo si registrò un fatto che possiamo soltanto definire degno della massima attenzione. In un contesto che il sistema scolastico si affanna a definire "solo ed esclusivamente cristiano", fece la sua comparsa un ribelle, un nostalgico del mondo pagano dell'antica Roma. Il suo nome era Vilgardo e fu un grammatico nella città di Ravenna. Immerso nei suoi studi e nelle sue letture classiche, sognava un mondo migliore, forse idilliaco, che credeva di poter realizzare con un'improbabile restaurazione dell'antica religione politeista romana. Tanto vivida era la sua immaginazione da fargli sperimentare esperienze allucinatorie intensissime: era davvero convinto che gli spiriti di Virgilio, Orazio e Giovenale gli avessero fatto visita. Il suo tentativo di comunicare al pubblico il suo mondo interiore gli costò la vita. Un'unica fonte storica ci parla di Vilgardo: Rodolfo il Glabro, monaco benedettino e cronista del XI secolo. Ecco il suo resoconto, ovviamente di parte, contenuto negli Historiarum libri quinque (Libro II, capitolo 12):

Ipso quoque tempore non impar apud Ravennam exortum est malum. Quidam igitur Vilgardus dictus, studio artis grammaticae magis assiduus quam frequens, sicut Italis mos semper fuit artes negligere caeteras, illam sectari. Is enim cum ex scientia suae artis coepisset, inflatus superbia, stultior apparere, quadam nocte assumpsere daemones poetarum species Virgilii et Horatii atque Juvenalis, apparentesque illi, fallaces retulerunt grates quoniam suorum dicta voluminum charius amplectens exerceret, seque illorum posteritatis felicem esse praeconem; promiserunt ei insuper suae gloriae postmodum fore participem. Hisque daemonum fallaciis depravatus, coepit multa turgide docere fidei sacrae contraria, dictaque poetarum per omnia credenda esse asserebat. Ad ultimum vero haereticus est repertus, atque a pontifice ipsius urbis Petro damnatus. 

Traduzione: 

"In quel periodo, anche a Ravenna si verificò un male non dissimile da quello sopra descritto (1). Un certo uomo di nome Vilgardo si dedicò con più zelo che costanza agli studi letterari, poiché era sempre abitudine italiana dedicarsi a questi a discapito delle altre arti. Poi una notte quando, gonfio d'orgoglio per la conoscenza della sua arte, aveva cominciato a rivelarsi più stupido che sapiente, gli apparvero dei demoni nelle sembianze dei poeti Virgilio, Orazio e Giovenale, fingendo gratitudine per l'amorevole studio che dedicava al contenuto dei loro libri e per essere stato il loro felice araldo alla posterità. Gli promisero, inoltre, che presto avrebbe condiviso la loro fama. Corrotto da questi diabolici inganni, iniziò pomposamente a insegnare molte cose contrarie alla santa fede e affermò che le parole dei poeti meritavano fede in ogni caso. Ma alla fine fu scoperto come eretico e condannato da Pietro, arcivescovo di quella città." 

(1) Qui Rodolfo il Glabro allude al protocataro Leotardo (Leutardus) di Vertus, che in realtà non ha nulla a che vedere con idee neopagane.

Dobbiamo notare una cosa alquanto singolare: essendo parte del mondo accademico dell'epoca, Vilgardo era un chierico con gli Ordini minori (tra cui la facoltà di praticare esorcismi). Si arriva così a un paradosso: un esorcista a tutti gli effetti che viene accusato di essere stato sedotto dai demoni fino a deviare completamente dalla stessa religione cristiana! La narrazione di storie come questa era ritenuta edificante, perché serviva a mettere in guardia il gregge dei fedeli dalle opere attribuite al Maligno. Ovviamente manca a Rodolfo il Glabro ogni capacità di comprendere le cause dell'accaduto, da lui interpretato come un segno funesto dell'avvicinarsi della Fine dei Tempi (Quod praesagium Joannis prophetiae congruit, etc.). Il monaco benedettino non ci elenca gli insegnamenti di Vilgardo, le "molte cose contrarie alla santa fede", anche se possiamo facilmente intuirli; riporta invece con orrore un'unica proposizione sulla Verità che si trova nelle opere degli antichi poeti anziché nelle Scritture. È come se descrivesse un tentativo di totale distacco dalla realtà sociale e culturale dei suoi tempi. Robert Black (2001) ritiene che si trattasse di una semplice passione per la letteratura latina, serpeggiante tra i chierici ravennati e ritenuta diabolica dalle autorità ecclesiastiche (un arcivescovo rigoroso, un monaco fanatico e apocalittico, etc.). I tentativi di decostruzionismo sono del resto molto frequenti agli inizi del XXI secolo. 

Rodolfo il Glabro ci dice che in Italia furono trovati e uccisi numerosi neopagani. Ecco il passo in questione: 

Plures etiam per Italiam tempore hujus pestiferi dogmatis reperti, quique ipsi aut gladiis aut incendiis perierunt.  

Traduzione: 

"Molti altri che professano questa dannosa dottrina sono stati scoperti in tutta Italia, e anche loro sono morti, giustiziati con la spada o con il fuoco." 

Nonostante queste evidenze, non è chiaro se Vilgardo abbia avuto seguaci. Sono abbastanza scettico sul fatto che il grammatico di Ravenna abbia potuto dare origine a un movimento capillarmente diffuso nell'intera Penisola. Di questi fermenti neopagani non trovo altre documentazioni. Il fenomeno meriterebbe uno studio più approfondito. Focolai di ribellione neopagana potrebbero essere nati per reazione alla natura squallida ed oppressiva del feudalesimo, in modo indipendente in diverse regioni. In altri termini, sarebbe un movimento multicentrico. La speranza è che emergano nuovi documenti in grado di colmare le gravi lacune nella nostra conoscenza dell'accaduto.  
Il riferimento all'anomala comparsa dei misteriosi eretici Sardi, menzionati da Rodolfo subito dopo i supposti seguaci di Vilgardo e a loro associati, dimostra che il cronista aveva le idee molto confuse e approssimative sul complesso mondo della dissidenza religiosa. Ovviamente, di tutte queste cose, sui libri di scuola non si trova la benché minima menzione. Non sono nemmeno note a piè di pagina. 

Etimologia di Vilgardo

Il nome Vilgardo (latino Vilgardus) è di chiara origine gotica: *Wiljagards "Corte della Volontà" o "Casa della Volontà". Notiamo il passaggio dalla semiconsonante /w/ a una fricativa /v/, come notato anche in altri nomi di origine gotica, in netto contrasto con l'evoluzione di tale fonema nella lingua dei Longobardi, che invece ha portato allo sviluppo di un elemento velare, dando origine a /gw/. La trafila deve essere stata questa: 

*/'wiljagards/ => */'wiligard/ => */'vilgard/,
latinizzato in /vil'gardus/

Esistevano a Ravenna discendenti degli Ostrogoti: non dimentichiamoci che quella città è stata la capitale del Regno Ostrogoto. Abbiamo a che fare con un antroponimo di estremo interesse, del cui studio quasi nessuno sembra essersi finora occupato - anche se non presenta criticità alcuna. I dettagli della sua evoluzione fonologica sembrano far pensare alla lunga sopravvivenza di una forma consunta della lingua dei Goti in un'area che fu a lungo sottoposta al dominio bizantino, finendo conquistata dai Longobardi soltanto nel 751.  

Il problema della pronuncia del latino 

Vilgardo con ogni probabilità utilizzava la pronuncia carolingia del latino, data l'epoca in cui visse. Come gli avranno parlato le apparizioni di Virgilio, Orazio e Giovenale? In che modo avranno pronunciato le parole della lingua di Roma? Evidentemente avranno utilizzato la stessa pronuncia a cui Vilgardo era abituato. Non c'è altra possibilità. Se avessero utilizzato la reale pronuncia del latino aulico dell'antica Roma, è ben possibile che il grammatico ravennate avrebbe fatto molta fatica a comprendere quanto gli veniva detto. Si sarebbe stupito non poco e ne sarebbe rimasto deluso. Egli infatti si cullava nell'illusione di possedere una reale e affidabile conoscenza del mondo antico. Nonostante quello che è popolarmente creduto, la demonologia e la necromanzia sono incapaci di accedere alla vera conoscenza delle cose. L'irreversibilità degli eventi rende impossibile consultare davvero le voci dei Morti. Non si può dimostrare che esista un intervento in grado di prendere un discorso realmente pronunciato da un defunto e di portarlo nella nostra realtà. 

Un problema nell'eresiologia ecclesiastica 

La Chiesa Romana non ha mai saputo distinguere due situazioni a mio avviso del tutto diverse: 

1) Appartenenza a una religione organizzata, che tramanda di generazione in generazione una dottrina considerata eretica; 
2) Sviluppo di una dottrina considerata eretica in un singolo individuo, a causa di una personale esperienza di vita o della lettura di testi.

Nel primo caso, si tratta di qualcosa di vivo e vitale che viene trasmesso e che si trasmette a sua volta, per mezzo della continuità. Nel secondo caso invece si ha un processo discontinuo. La Chiesa Romana, a cui interessa soltanto contrastare ciò che ritiene una forma di "malattia dello spirito" con le caratteristiche di un contagio, teme che ogni dissidente, quale che sia l'origine della sua dissidenza, possa diventare un eresiarca, diffondendo le sue dottrine e organizzando un movimento.  

Link utili

Rodolfo il Glabro, Historiarum libri quinque, testo completo in latino:

Silvana Arcuti (2015), Fermenti spirituali e dissenso religioso nell'Europa medievale 

Giorgio Cracco (1980), Le eresie del Mille : un fenomeno di rigetto delle strutture feudali? 

Giancarlo Benelli (2001), Storia di un altro Occidente, capitolo 5 

venerdì 16 giugno 2023


LA RIVOLTA DEGLI STELLINGA

I
frilingi (uomini liberi) e i lazzi (liberti) furono le due caste del popolo dei Sassoni di Germania, che nei primi anni '40 del IX secolo diedero vita alla rivolta degli Stellinga ("compagni d'armi", "camerati"), scagliandosi contro i loro signori. In tedesco moderno il movimento è anche denominato Stellingabund, ossia "Lega degli Stellinga". Scopo precipuo degli Stellinga era quello di recuperare i diritti goduti in epoca anteriore alla cristianizzazione forzata dei Sassoni ad opera di Carlo Magno. Il Sovrano dei Franchi aveva favorito gli edhilingui, ossia i nobili, che erano stati lesti ad accomodarsi col suo potere e ad accettare la nuova religione, anche perché soggetti a forme più o meno elaborate di intimidazione e di corruzione. Per contro, i frilingi e i lazzi, accesi sostenitori degli antichi culti pagani, costituivano continui focolai di resistenza, così furono ridotti allo stato di meri contadini. Oltre al recupero dei diritti politici, i frilingi e i lazzi intendevano abolire l'obbligo di seguire la religione cristiana, lasciando ai singoli il diritto di professare liberamente il paganesimo. Si chiedeva di fare ritorno all'antica legge dei Sassoni tramandata oralmente, che era stata abolita dalla Lex Saxonum (782 - 803) e dai due capitolari sassoni (782 - 795; 797) - ossia dalla legge messa per iscritto da Carlo Magno. In pratica l'obiettivo era la restaurazione dell'antico modo di vivere. I contadini sassoni erano terrorizzati all'idea di perdere il sostegno degli Dei e degli Antenati, a cui erano legatissimi. I nobili erano poco valorosi, temevano di perdere i loro privilegi ed erano convinti che il Dio dei Franchi li avrebbe protetti meglio. 
In particolare, la legge imposta da Carlo Magno proibiva il Thing, assemblea democratica in cui nei tempi della Sassonia libera tutte le parti sociali avevano la loro rappresentanza. Questa istituzione antichissima, già descritta da Tacito, era il cuore stesso dell'identità germanica, che mal tollerava ogni forma di imposizione tirannica. La politica era confusa con la religione: si compivano riti e si prendevano decisioni anche servendosi delle sorti. Ai tempi dell'indipendenza, ogni anno si teneva un grande Thing cantonale nel luogo chiamato Marklo ("Bosco sacro dei confini"), che era il centro cultuale e decisionale dell'intera Sassonia. Gli Stellinga erano ben consapevoli dell'importanza del Thing di Marklo, di cui chiedevano la restaurazione. 
La rivolta si estese in tutta la Sassonia, minacciando di eliminare la nobiltà e la Chiesa, rappresentando un pericolo concreto in grado di porre fine alla permanenza del potere carolingio e della stessa religione cristiana. È difficile immaginare come sarebbe andata la Storia se i ribelli avessero avuto successo!  

Le fonti storiche che parlano della rivolta degli Stellinga sono le seguenti: 
1) Nitardo (Nithard), Historiarum libri IIII
2) Rodolfo di Fulda, Translatio S. Alexandri 1
3) Gerardo (Gerward), Annales Xantenses
4) Prudenzio di Troyes, Annales Bertiniani;
5) Eginardo (Einhard), Annales Fuldenses sive Annales regni Francorum Orientalis

Le prime quattro di queste fonti sono considerate tra loro indipendenti. All'epoca gli eventi fecero grandissimo scalpore: i cronisti hanno dedicato più spazio agli Stellinga di quanto ne avessero a suo tempo dedicato all'incoronazione imperiale di Carlo Magno a Roma (Goldberg, 1995). Questo fatto è a mio avviso molto significativo.  

Un feroce sistema di caste

Tra i Sassoni le caste erano separate da un'antica proibizione, un tabù radicatissimo, tanto che i matrimoni misti erano puniti con la morte. Rodolfo di Fulda (Translatio S. Alexandri 1, pag. 675) afferma quanto segue: 

"Et id legibus firmatum, ut nulla pars in copulandis coniugiis propiae sortis terminos transferat, sed nobilis nobilem ducat uxorem, et liber liberam, libertus coniungatur libertae, et servus ancillae. Si vero quispiam horum sibi non congruentem et genere prestantiorem duxerit uxorem, cum vitae suae damno componat." 

Traduzione: 

"Ed è stabilito per legge che nessuno dei coniugi, unendosi in matrimonio, oltrepassi i confini della propria sorte, ma un nobile sposi una nobile, un libero una libera, un liberto una liberta e uno schiavo una schiava. Ma se qualcuno di questi sposasse una moglie che non gli si addice e che è più distinta per la sua stirpe, dovrebbe riparare con la perdita della propria vita."

I bastardi non erano tollerati. Il matrimonio con persone di altre stirpi germaniche non era ammesso. Gli stranieri erano odiati. 
Al di sotto dei lazzi c'erano gli schiavi (latino mancipia), che erano privi di qualsiasi diritto e considerati alla stregua di merda umana. Quella non era una società granché tollerante, in cui fosse facile vivere. 
Ossessionati dalla purezza delle caste, proprio come le genti dell'India, i Sassoni arrivavano a un livello di fanatismo che oggi ci appare inconcepibile: punivano con la morte ogni forma di sesso al di fuori del matrimonio, con la sola possibile eccezione dello stupro durante la guerra. Questi costumi severi ci sono attestati nell'opera dell'Arcivescovo Bonifacio (nato Wynfrith). Ci si lamenta della "sessuofobia" della Chiesa Romana? Ebbene, al confronto dei Sassoni antichi, i preti e i fratacchioni (dell'epoca) apparirebbero come "antesignani della liberazione sessuale"

Macchinazioni carolinge

È importante precisare che la rivolta degli Stellinga non fu qualcosa di spontaneo e comprensibile solo a partire dalla società sassone e dalle sue dinamiche interne. Il potere dei Franchi giocò un ruolo determinante nel quadro complesso delle alleanze e delle inimicizie. 
Era infatti in ballo qualcosa di cruciale: la spinosa successione del figlio di Carlo Magno, Ludovico I il Pio. Gli eredi, Lotario I, Carlo il Calvo e Ludovico I il Germanico, precipitarono l'Impero in una guerra civile. 
I frilingi e i lazzi furono fomentati abilmente dall'Imperatore Lotario I, che li indusse ad iniziare le ostilità: li incontrò in segreto nell'agosto dell'anno 841, chiedendo il loro sostegno contro i nobili alleati di Ludovico II il Germanico. Disse loro mille parole ingannevoli, permettendo i culti pagani e promettendo un implausibile ritorno della Sassonia all'indipendenza. Egli intendeva costringere suo fratello Ludovico II il Germanico a rinunciare ad ogni pretesa di fargli cedere parte del potere. Per questo motivo, decise di recargli il massimo danno, destabilizzando il suo dominio. In pratica, i popolani Sassoni furono usati come burattini, manovrati abilmente dal burattinaio. Lotario I aveva piena consapevolezza di ciò che stava facendo: guardava dall'alto un esteso panorama, prevedendo ogni mossa. Invece i popolani Sassoni non avevano alcuna consapevolezza, dato che la loro visuale era molto limitata. Non avevano la benché minima idea di ciò che si stava agitando nell'Impero e più in generale nella Cristianità. Non erano in grado di estendere il loro sguardo al di là delle loro minuscole entità tribali. È stato questo a fregarli, a farli cadere nella trappola. Erano stati indotti a commettere un atto che dalla legge dei Franchi era considerato "alto tradimento": questo stesso fatto avrebbe permesso la loro repressione. Non avrebbero potuto dimostrare, restaurata la legge dei Franchi, che era stato lo stesso Imperatore ad istigarli. 
Accadde così che sul finire dell'anno 841 i frilingi e i lazzi misero in atto le istruzioni di Lotario I e diedero inizio all'insurrezione contro gli edhilingui, cessando di considerarli loro legittimi padroni. Il movimento raccolse un'altissima adesione: la Sassonia era in fiamme! Gli Stellinga si abbandonarono a persecuzioni e a violenze di ogni genere, la cui inaudita gravità fu rimarcata dalle fonti storiche di parte franca. Infuriarono ovunque distruggendo chiese e monasteri, ferendo e uccidendo gli ecclesiastici. Il successo non poteva durare. Si trattava pur sempre di contadini con armi leggere, senza corazza. Ludovico II il Germanico riuscì a prendere il sopravvento. Dopo la pace provvisoria con il fratello Lotario I, a cui era stato costretto anche dalle caotiche condizioni in Sassonia, dall'estate dell'842 in poi si dedicò all'annientamento degli insorti. Istigò i nobili, promettendo loro la restaurazione della legge dei Franchi e il ritorno al pieno potere. Riuscì a far passare dalla sua parte anche quei nobili che sostenevano l'Imperatore e che erano stati da lui fatti espatriare perché fossero al riparo dalla furia degli StellingaLa repressione fu spietata. Ludovico II percorse la Sassonia spazzando via ogni resistenza. Ci furono nuovi focolai del movimento nell'843, ma furono distrutti senza difficoltà. Com'era da aspettarsi, era venuto a mancare ogni sostegno imperiale ai combattenti per i valori dell'antica Sassonia. A quanto pare, dopo l'843, non si sentì più parlare degli Stellinga

Prudenzio di Troyes (DCCCXLI. 115. 1392A-1392B) riporta quanto segue:

Lotharius terga vertens et Aquasgrani perveniens, Saxones ceterosque confines restaurandi praelii gratia sibi conciliare studet, in tantum, ut Saxonibus qui Stellinga appellantur, quorum multiplicior numerus in eorum gente habetur, optionem cuiuscumque legis vel antiquorum Saxonum consuetudinis, utram earum mallent, concesserit;  qui semper ad mala proclives, magis ritum paganorum imitari, quam christianae fidei sacramenta tenere delegerunt. 

Traduzione: 

Lotario, voltate le spalle e giunto ad Aquisgrana, si sforza di conquistare i Sassoni e il resto dei confini per ripristinare il favore della battaglia, al punto che ha concesso ai Sassoni chiamati Stellinga, che sono considerati il ​​numero maggiore nella loro nazione, la scelta di qualsiasi legge o antico costume sassone preferiscano; i quali, sempre inclini al male, hanno scelto di imitare i riti dei pagani piuttosto che attenersi ai sacramenti della fede cristiana. 

Esito della rivolta: 
Ludovico il Germanico, stroncata la rivolta, fece decapitare 140 capitani degli Stellinga, ne fece impiccare altri 14, mentre a moltissimi insorti furono amputati gli arti (Prudenzio di Troyes, Annales Bertiniani). 

Un articolo (Thompson, 1926), menziona una terza insurrezione degli Stellinga, che sarebbero ricomparsi circa dieci anni dopo, nell'852. L'autore rimanda agli Annales Fuldenses di Eginardo, ma analizzando la citazione riportata, non trovo altro che un resoconto delle beghe fondiarie e fiscali di Ludovico II il Germanico, senza alcuna esplicita descrizione di un movimento insurrezionale. 
Esistono comunque testimonianze del perdurare di resti del paganesimo sassone in epoca successiva. Come riportato da Adamo di Brema, nel 1013, quando il Vescovo Unwin giunse ad Amburgo, trovò riti pagani ancora celebrati in alcune parti della diocesi, con i digiuni della Chiesa ignorati e persino sacrifici di sangue (Thompson, 1926).

Glossario sassone  

ethiling "uomo nobile",
     pl. ethilingos, ethilingas, ethilinga 
  forma latinizzata: edhilingus, pl. edhilingui (1)
  glosse latine: pl. nobiles, nobiliores 
frîling "uomo libero",
     pl. frîlingos, frîlingas, frîlinga 
  forma latinizzata: frilingus, pl. frilingi 
  glosse latine: pl. ingenui, ingenuiles
lât "liberto" 
     pl. lâtos, lâtas, lâta 
  forme alto tedesche latinizzate: pl. lazzi, lassi, liti
  glosse latine: pl. liberti, serviles  
stellian "porre", "collocare", "mettere assieme" 
   collettivo stellinga "compagni di lotta", "camerati",
   forme latinizzate: pl. stellingae, stellingi 
   glosse latine: Stellingae, servi Saxonum seditiosi
   cfr. antico alto tedesco gistallo "compagno" 

(1) Il motivo dell'adattamento latino in -ui è semplicemente incomprensibile. 

Le parole sassoni hanno l'accento sulla prima sillaba, mentre le forme latinizzate hanno l'accento sulla penultima sillaba: 

sassone Stèllinga - latino Stellìngae 

La fallimentare analisi marxista 

Gli studiosi marxisti della Germania dell'Est (Stern, Bartmuß et al.) e dell'Unione Sovietica (Porshnev) hanno spiegato le cause della rivolta degli Stellinga in termini di "sfruttamento", "oppressione" e "lotta di classe". Eppure, nel contesto del IX secolo, sfruttamento, oppressione e società fortemente stratificata erano caratteristiche universali in Europa, il che non spiega come mai nell'Alto Medioevo ci siano stati così poche rivolte popolari di questo genere (Goldberg, 1995). Il problema è che l'ideologia marxista non riconosce l'estrema importanza della religione nei conflitti umani, ritenendola una pura e semplice emanazione delle classi dominanti per narcotizzare i sottoposti e impedire loro di insorgere. Invece qui vediamo che l'insurrezione non ha soltanto motivi politici ed economici: è una rivolta religiosa esplosa dopo mezzo secolo di oppressione spietata da parte di un potere invasore ed iniquo. La religione è un fatto viscerale, non razionale né razionalizzabile. Come ben si sa dall'esperienza, le religioni possono portare alla distruzione di beni materiali assai utili e alla rinuncia anche radicale a cose di per sé altamente convenienti. Gli Stellinga avrebbero preferito essere i soli padroni di se stessi nella miseria assoluta, piuttosto che essere coperti di ricchezze ma con un piede franco calcato sul collo! 

Link utili 

Raccomando la lettura dell'articolo di Eric J. Goldberg, Popular Revolt, Dynastic Politics, and Aristocratic Factionalism in the Early Middle Ages: The Saxon Stellinga Reconsidered, pubblicato nel 1995 su Speculum, volume 70, n° 3 (Luglio 1995), pagg. 467-501 (35 pagine)


Molto interessante è anche l'articolo di James Westfall Thompson, The Early History of the Saxons as a Field for the Study of German Social Origins, pubblicato nel 1926 su American Journal of Sociology, volume 31, n° 5 (Marzo 1926), pagg. 601-616:

lunedì 12 giugno 2023

LA PROBLEMATICA ETIMOLOGIA DI SANDOKAN

Tutti sanno chi è Sandokan, soprannominato Tigre della Malesia o Tigre di Mompracem, il pirata protagonista di diversi romanzi dello scrittore veronese Emilio Salgari (1862 - 1911, morto gloriosamente facendo seppuku). Quanti si sono chiesti perché il sanguigno personaggio del ciclo indo-malese è stato chiamato proprio in questo modo? In questo Paese letargico non è costume molto diffuso porsi domande sulle origini di ogni cosa, quindi mi tocca supplire a questa carenza impegnandomi in continue indagini. 


Quando mi sono messo a cercare informazioni credibili sull'etimologia del nome Sandokan, mi sono imbattuto in un racconto che lì per lì mi è parso poco verosimile. Il celeberrimo pirata avrebbe tratto il suo nome da una città, in modo analogo a quanto è avvenuto a coloro che in Italia portano un cognome locativo. In effetti, nel Borneo nord-orientale, nello Stato di Sabah, esiste una città portuale il cui nome è Sandakan. Il significato tradizionalmente attribuito a questo toponimo è "pegno scaduto". Una traduzione migliore dalla lingua Suluk (Tausūg) sarebbe "luogo che è stato dato in pegno". Ecco un'analisi più approfondita, capace di metterne in luce la radice e gli aspetti morfologici: 

Tausūg: 
sandaɁ "pegno", "deposito"  
  -kan, suffisso locativo o agentivo, aggiunto a nomi e a verbi. 

La stessa radice è diffusa anche in altre lingue strettamente imparentate: 


Mapun: sandaɁ "cosa data in pegno" 
Manobo: sandaɁ "impegnare qualcosa",
     "prestare qualcosa lasciando un deposito"
Maranao: sandaɁ "mutuo", "deposito", "pegno"; 
     sandaɁi "prestatore di pegni", "banco dei pegni" 
Tboli: sandaɁ "impegnare qualcosa" 
Yakan: sandaɁ "cosa impegnata", "pegno"
Tiruray: sanda "impegnare qualcosa per denaro"
Minangkabau: sanda "pegno"
Antico giavanese: sanda "pegno", "deposito"  
Balinese: sanda "pegno";
     sandahang "essere indotto a impegnare" 

Un tempo anche in malese esisteva il vocabolo sanda "pegno", ma è caduto in disuso ed è stato sostituito con gadai "pegno".

A quanto si sa, nel XIX secolo il Sultano di Sulu, il cui regno si trovava nelle Filippine meridionali ed estendeva la sua influenza su parte del Borneo settentrionale, si è venuto a trovare in un groviglio internazionale. Uno di quei casini che difficilmente si possono spiegare bene a parole, anche perché c'erano diverse potenze europee che interagivano in quella parte del mondo. Cercando protezione dalla Germania contro le mire della Spagna, il Sultano Jamalul Azam ha venduto nel 1878 la città di Sandakan a un console dell'Impero Austroungarico, il Barone Gustav von Overbeck. Il punto è che Overbeck in seguito ha a sua volta ceduto la proprietà a un mercante coloniale inglese, Alfred Dent. La città ebbe grande prosperità e divenne la capitale del Borneo settentrionale, rimpiazzando Kudat. Dato che si registrava una continua presenza tedesca nell'area, cosa che irritava gli Inglesi, si giunse a un accordo denominato Protocollo di Madrid (1885): la Spagna avrebbe esercitato la sua influenza sull'Arcipelago di Sulu ma non sul Borneo settentrionale. Domanda: Sandakan aveva questo nome già prima della sua cessione? In tal caso si avrebbe ragione di dubitare del valore etimologico della narrazione. Ebbene, sembra proprio che il nome Sandakan sia stato attribuito da un certo William Clarke Cowie, che era un contrabbandiere scozzese di armi da fuoco. Non c'è ragione di credere che i garbugli internazionali siano stati collegati ad hoc a un toponimo più antico per spiegarne l'origine. Sappiamo che la città di Sandakan era anche chiamata Elopura, nome glossato con "Bella Città" e talvolta "Bel Porto": fu lo stesso William Clarke Cowie a coniarlo e ad attribuirlo. Era un autentico poeta scozzese! Come si chiamava Sandakan prima degli anni '7o dell'Ottocento? Non sono stato in grado di appurarlo. Attualmente il toponimo gode di una certa importanza, persino nell'ambito dell'organizzazione territoriale della Chiesa Romana: 

"La diocesi di Sandakan (in latino: Dioecesis Sandakanensis) è una sede della Chiesa cattolica in Malaysia suffraganea dell'arcidiocesi di Kota Kinabalu."
(Fonte: Wikipedia) 


Realtà storica del personaggio 

A quanto è stato appurato, è esistito un comandante navale particolarmente bellicoso, il cui nome era Sandokong. Assieme al sodale Syarif Osman, combatté contro James Brooke, il Rajah Bianco di Sarawak, proprio negli anni in cui sono ambientati i romanzi salgariani. Usava lo stesso vessillo rosso con la testa di tigre. Il luogo che gli ha dato i natali è Marudu (varianti: Maludu, Malludu, Malluda). Syarif Osman, un principe spodestato, avrebbe in qualche modo ispirato la figura di Yanez de Gomera - pur non essendo portoghese. Una appassionata tedesca del ciclo dei pirati della Malesia, Bianca Maria Gerlich, si è recata in Borneo per raccogliere informazioni, riuscendo ad ottenere le prove dell'esistenza storica di questo Sandokong (varianti documentate: SandukongSandokang, Sandukur, Sindukung). Ha inoltre incontrato i suoi discendenti, che sono oggi particolarmente benestanti. A quanto pare, il loro illustre progenitore aveva investito in alcune grotte ricchissime di guano, difendendole con particolare tenacia. Invito tutti a imparare qualcosa di sorprendente leggendo gli articoli contenuti nel sito della studiosa, iniziando da questo:


Dagli interessantissimi dati reperiti, risulta evidente la derivazione dell'antroponimo della Tigre della Malesia dal vocabolo malese sendok "cucchiaio", "mestolo" - come riconosciuto dalla stessa Gerlich. 

Proto-maleo-polinesiano: *sanduk 
    Ricostruzioni alternative: *sinduk 
Significato: cucchiaio, mestolo 
Nota:
In origine lo strumento era fatto con un guscio di noce di cocco, con un manico di bambù.  
Esiti documentati: 
   Tagalog: sandok "cucchiaio", "mestolo" 
      Varianti: sanrok
   Malese: sendok, senduk "cucchiaio", "mestolo" 
      Varianti: sandok 
   Sundanese: séndok, sinduk "cucchiaio", "mestolo" 
Quindi Sandokan doveva significare qualcosa come "che usa il cucchiaio", dato che in malese -an è un suffisso tipico che serve a marcare azioni e che può anche avere funzione di strumentale o di agentivo. Questi sono alcuni esempi, sempre dal malese: 

timbang "pesare" => timbangan "bilancia" 
makan "mangiare" => makanan "cibo" 
pimpin "giudare" => pimpinan "guida", "leader" 
bangun "costruire" => bangunan "costruzione" 
didik "educare" => didikan "educazione" 


Vero è che dalle forme raccolte sul campo, sembrerebbe piuttosto che il suffisso originale fosse -ang (-ong, -ung), che però non sono in grado di spiegare, anche a causa della mia scarsa conoscenza di questa famiglia linguistica. Non sembra comunque esserci molto spazio per i dubbi: si tratterà di varianti locali. 
Evidentemente chi ha dato per la prima volta il nome Sandokan / Sandokang (etc.) a una persona, intendeva indicare una grande voracità, il mangiare a quattro palmenti servendosi di un grosso cucchiaio. Potremmo quasi pensare di tradurre Sandokan con "Cucchiaione"! 

Alcune etimologie farlocche

Mi sono imbattuto in alcune pagine di cui è bene diffidare, perché hanno un altissimo livello di inquinamento memetico. Eccole:


"L'etimologia della parola "SANDOKAN" non è ben comprensibile. Alcuni studiosi sostengono che provenga dal sanscrito "sandhyā", che significa "terra" o "mondo". Altri sostengono che sia una invocazione protettiva."


"La parola "Sandokan" deriva dalla lingua persiana, "sandukān", che significa "ministro" o "capo". Questa parola venne poi adottata dall'italiano con il significato di personaggio o figura di potere." 

Le informazioni contentute in tali testi sono false, inventate di sana pianta. La parola sanscrita संध्या saṃdhyā (sandhyā) ha un significato del tutto diverso da quello indicato dal compilatore del sito di cruciverba: significa "crepuscolo", "unione di giorno e notte"; "transizione", "giuntura". È anche un nome proprio femminile. Ovviamente non ha nulla a che fare con Sandokan.  
La parola persiana صندوق sanduk, sanduq significa "scatola", "cassa", "cofano", "forziere"; è un evidente prestito dall'arabo صُنْدُوق ṣundūq "cassa", "scrigno", "cassetta", "cofano". Anche in questo caso, non c'è connessione alcuna con Sandokan
Mi sorprende che ci siano persone con tanto tempo da perdere, da impegnarsi nel diffondere a piene mani simili stronzate. Danno alle loro spiritosaggini un aspetto verosimile, per gabbare i polli! 
 
Una storiella apocrifa

Riporto ora verbatim ab origine un testo notevole e ameno, che ho raccolto tempo fa: 

"Ebbene, il nome Sandokan deriva da una bestemmia! Salgari, che era un buon veneto amante del distillato di vinacce, cercava invano un nome convincente per il protagonista delle avventure di pirateria malese che gli frullavano per la testa da giorni. Così accadde che inciampò e batté una caviglia contro uno spigolo. Urlò "SAN DIO", seguito dall'epiteto "CAN"! Ecco che la moglie dello scrittore, che era un po' sordastra, fece capolino nella stanza e chiese: "Chi è questo Sandokan?" Aveva interpretato la sonora bestemmia come un nome proprio, perché non aveva sentito la vocale -i-. Ecco il nome che Salgari cercava! Subito fu convinto che avrebbe avuto un gran successo!"  

La grande cultura di Salgari e gli studi della Gerlich mi hanno impedito di credere a una simile favoletta, che appartiene alla immenso oceano delle più grossolane etimologie popolari! Evidentemente lo scrittore conosceva bene gli accadimenti dell'Indonesia ed aveva sentito parlare di Sandokong.

Ricordi di scuola

L'influenza culturale di Sandokan è stata pervasiva in Italia, dando origine ad esiti bizzarri, anche scurrili e goliardici. Ad esempio, Tomas Milian deformava il nome in Sandokazzo, interpretandolo in romanesco come "sa 'ndo cazzo". Ai tempi in cui frequentavo le medie circolava questa canzoncina, che non ho dimenticato:

Sale e scende la marea,
Sandokan ha la diarrea,
e Marianna con piacere,
pulisce e lecca il suo sedere. 

Che altro dire? Aveva proprio ragione Sigmund Freud a definire i marmocchi "perversi polimorfi"!