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lunedì 6 agosto 2018

AROMIA MOSCHATA E SUO USO VOLUTTUARIO

Non si smette mai di imparare. Vagando in Facebook, per puro caso sono venuto a conoscenza di qualcosa di estremamente bizzarro, in cui mi sono imbattuto nel gruppo "Insetti e altri artropodi- un fantastico mondo da scoprire". Il post che ha attratto la mia attenzione è stato pubblicato il 24 maggio 2018. Si continua a sostenere che in Occidente gli insetti generano una tale repulsione da rendere impensabile ogni loro uso per finalità quotidiane come ad esempio l'alimentazione (ma non solo). In realtà non c'è nulla di più lontano dal vero. Ancora in tempi non troppo lontani, si usava un coleottero cerambicide noto alla Scienza come Aromia moschata per conferire un grato odore al tabacco. L'insetto è splendido, simile a una pietra preziosa e davvero simpatico. 


(By Simon Eugster, created 28 June 2007 (UTC), CC BY-SA 3.0)

Riporto in questa sede il thread tal quale, comprensivo di refusi:  

Alfred Sternberg:
Le persone di una certa età ricorderanno sen'altro che questo cerambicide veniva utilizzato in passato fino agli anni '60 per aromatizzare il tabacco, sia quello per il fiuto che per il trinciato da pipa. Il modo consisteva nell'inserire nella scatola del tabacco questo insetto vivo, che sprigiona un forte aroma di fiori.
L'aromia moschata, splendido cerambicide dal colore blu/verde metallizzato, è diffuso in buona parte dell'Europa ed è facilmente rintracciabile sui salici, del quale è parassita e veniva ricercato per l'aromatizzazione del tabacco. Dopo circa una settimana il tabacco a contatto con questo insetto assumeva un certo odore difficilmente definibile, tra il muschio ed il floreale con una certa prevalenza verso la rosa.

Laura Grilli:
Ricordo quando ero bambina di questo insetto profumato ...mia madre lo chiamava Mosca americana ...Non ne ho più visti da allora

Alfred Sternberg:
E' abbastanza comune, completamente scomparso è invece il loro uso per questa finalità

Aromia moschata nei forum

Si trovano menzioni del prezioso coleottero e delle sue proprietà anche in luoghi del Web ben diversi da Facebook. Riporto alcuni interventi particolarmente significativi tratti dalle conversazioni occorse in due forum. 

1) Ritrovo Toscano della Pipa


Olòrin, riportando Ramazzotti:
"Questo insetto è un Coleottero (più precisamente un Cerambicide) dalle lunghe antenne e dall'aspetto elegante, con elitre di color verde metallico o bronzeo; misura da un centimetro e mezzo a poco più di tre centimetri, abita in modo particolare i salici ed esala un gradevole aroma, che è un mezzo fra il muschio e la rosa. Nelle campagne si usava raccogliere l'Aromia, ucciderla e riporla in mezzo ai forti tabacchi di allora, perchè coferisse loro un profumo di fiori; credo che oggi sia spento perfino il ricordo di questa pratica: mio nonno notaio mi assicurava che il risultato era buono, ma ero allora decenne e non mi fu possibile sperimentarlo; nè - più tardi - ne ebbi mai l'occasione"

Aqualong:
Mi ero riproposto di provare il metodo,poi non l'ho mai fatto,qualche anno addietro avevo anche chiesto in giro,c'era la memoria del fatto,ma non quella dell'esperienza diretta.
Comunque i vecchi fumatori interpellati che ricordavano il nonno o l'amico etc.. erano tutti concordi che la cerambice andava inserita viva nella custodia del tabacco,che spesso era un pezzo di canna vuota, grossotto, con un tappo di sughero e qualche forellino in alto per far respirare la bestia.
Quello che profumava il tabacco erano le deiezioni dell'insetto,( a Napoli direbbero cacatielle)che quindi doveva campare il più possibile per irrorare il trinciato col suo prezioso aroma. 8)

PaperoFumoso:
Va bene sperimentare ma, a fumarmi la merda del Cerambicide, non ci avevo ancora pensato :-)

Aspetto dovertente è scoprire, con grande sorpresa, che non tutta la merda puzza: si sfata un luogo comune  :o

Aqualong: 
Pensiamo alle api,nelle arnie non ci sono wc,può essere che le deiezioni delle operaie contribuiscono al flavour del miele? 8) ;D 
"non olet"
(Vespasiano)

Giala:
Amico, mai sentito parlare di pajata?
Il caffe' migliore del mondo (ed anche il più caro) lo caca uno zibetto indonesiano.

La merda fa miracoli!

PaperoFumoso:
W la merda!
Più merda per tutti! ;D :D ;D :D

2) Il Piacere del Tabacco da Fiuto


smokeless:
Ho recentemente sperimentato un metodo di aromatizzare il tabacco del quale a suo tempo mi parlò mio babbo, che mi diceva si usasse dalle nostre parti sia per il fiuto che per il trinciato da pipa sino all'avvento, nei primi anni 60, dei tabacchi da pipa aromatizzati (clan e skipper in primo luogo). Il modo consiste nell'inserire nella scatolina del tabacco un coleottero vivo, del genere cerambicidi, che sprigiona un forte aroma di fiori.
Grazie all'aiuto di mio fratello, di professione biologo ed entomologo per passione, ho identificato questo coleottero nella bellissima aromia moschata, di uno splendido colore blu/verde metallizzato, diffuso in buona parte dell'Europa, facilmente rintracciabile sui salici, del quale è parassita. Mio fratello me ne ha anche procurato un esemplare che, benchè morto già da qualche settimana, continuava a emanare un intenso profumo.
Ho pensato quindi di inserirlo in un barattolo a tenuta contenente del SC blu, tabacco assolutamente neutro, e che credo più somigli ai vecchi tabacchi utilizzati un tempo, e lasciarlo riposare per una settimana.
Dopo questo tempo effettivamente il tabacco ha preso un certo odore difficilmente definibile, floreale con una certa prevalenza verso la rosa, comunque diverso dalle profumazioni da me conosciute; forse il più vicino potrebbe essere l'aroma di qualche wilson o SG (forse il Princess Gold), ma meno saponoso e più incerto. L'aroma è comunque più spiccato all'apertura del contenitore che nel naso, dove risulta poco persistente, non aiutato certo dal SC blu, anch'esso di breve durata.
Rimangono poi dei fastidiosi effetti collaterali: il coleottero si è in parte sbriciolato, si sono polverizzate le lunghe antenne e le zampette, e, benchè l'insetto sia veramente bello, fa un po' schifo nasarne parti insieme al tabacco.
In conclusione si è trattato di un esperimento interessante, che vorrei riprovare con un insetto più fresco (mio fratello passa i fine settimana a caccia di coleotteri per la sua collezione), anche se è chiaro che, con l'avvento della diffusione dei tabacchi aromatizzati, si sia estinta questa abitudine, del resto abbastanza ripugnante e sanguinaria per noi cittadini non più abituati al contatto quotidiano con la campagna.
C'è da aggiungere che, dopo una breve ricerca su internet, ho rilevato che questa usanza non era esclusiva della mia isola, ma anzi diffusa in tutta europa, almeno nelle zone in cui questo insetto è comune.
Mi spiace, non riesco ancora bene a caricare immagini, ma una foto dell'aromia è facilmente ricavabile da una ricerca su internet

bering:
Bellissima descrizione smokeless, anch'io ha letto Ramazzotti e mi ricordo dell'aromatizzazione "all'insetto". Se non ricordo male , e quindi potrei sbagliarmi, l'insetto veniva messo vivo nella tabacchiera e credo che gli escrementi aromatizzassero il tabacco. Non vorrei "!sparare una bischerata" come si dice in toscana, ma cosi ricordo, magari andrò a ricercare il libro.

smokeless:
Si, Bering, ti cofermo che anche a me è stato detto che l'insetto veniva messo vivo nella scatola, ma più che dagli escrementi l'odore dovrebbe essere emanato da ghiandole che secernono feromoni utili ad attirare soggetti della stessa specie, almeno così mi è stato riferito.
So che è un paradosso, ma mi sentirei spietato nel richiudere un insetto vivo (e particolarmente carino) nella scatoletta del tabacco, ma non ho avuto nessun senso di colpa quando, in quei giorni, mi sono immerso nel gelido mare di dicembre per poi divorarmi, vivi, una cinquantina di ricci di mare (bè, in realta si mangiano solo le uova).

Axel#6: 
Anche a me risulta che la "mosca del tabacco" (così la chiamava mio nonno, andava messa viva nella tabacchiera. Così mi ha raccontato mio nonno e così ho già raccontato in questo forum da un'altra parte. Davanti alle mie rimostranze di bambino già sensibile alle problematiche animaliste, il nonno aggiungeva poi che non si trattava di una barbarie, anzi: la nicotina inebriava l'insetto al punto che non ne voleva più sapere di uscire dalla scatola magica della polvere neppure quando questa veniva aperta. E così trascorreva beatamente la sua esistenza immersa nella nicotina fino a concludere i suoi giorni tranquilla al riparo di una tabacchiera, morendo di "morte naturale", cosa strana per un insetto che invece di solito muore "spetasciato" o ingoiato da qualcuno o qualcosa... pensate un po': non è forse la fine che anche noi "tabacconi" ci auspicheremmo???!!

bering:
Anch'io caro smokeless avrei remore a mettere un insetto vivo nella tabacchiera, e son contento che l'animo di uomini fiutatori di tabacco (pensa rudi e forti :huh: ) sia invece cosi sensibile anche nei confronti di un insetto. Sarebbe un altro mondo se tutti fossimo "fiutatori di tabacco".
Lo so ragazzi siam tutti dei romantici, gente d'altri tempi 

Logiche conclusioni

Il tempo macina ogni cosa, stritola e divora interi mondi. Il passato è la misura della perdita delle informazioni: più qualcosa si allontana dalla misteriosa entità che chiamiamo "presente" - la sola in cui è definita la nostra esistenza - più perde i propri contorni, più si erode, come se svanisse pezzo per pezzo. Man mano che gli oggetti e le informazioni sprofondano, meno si può conoscere. Al termine di questo gorgo inghittitore c'è un buco nero concettuale che possiamo definire "filtraggio", oltre il quale non esiste più nulla che possa servirci per ricostruire ciò che è andato perduto. Possiamo conoscere il passato soltanto perché nel presente perdurano suoi fossili, sempre più fragili ed evanescenti man mano che procediamo lungo la nostra linea di esistenza. Il caso dell'Aromia moschata usata per aromatizzare il tabacco è un esempio di quanto fragile sia il tessuto di ciò che conosciamo come "realtà". Un costume un tempo diffuso è sparito dal sapere comune quasi da un giorno all'altro, senza che quasi nessuno se ne accorgesse. Le scarse testimonianze che ne rimangono sono anch'esse minacciate, rischiano di perdersi nel rumore di fondo del Web. Tutto è molto confuso e presenta anche alcune contraddizioni, almeno in apparenza. Ad esempio c'è chi sostiene che il coleottero fosse aggiunto vivo al tabacco, mentre secondo altri che fosse aggiunto morto e che venisse sbriciolato. Forse erano diffusi entrambe le preparazioni, ma ormai chi può dirlo? Alcuni chiamavano il cerambicide "mosca americana", ma si tratta di una specie euroasiatica, che non è stata certo importata dagli Stati Uniti! Come e quando a qualcuno sarà venuto in mente di mettere questo insetto nel proprio tabacco? Non possiamo dare una risposta. Ignoriamo troppe cose e Google non ci è poi di grande aiuto. Mi auguro che in futuro possano essere compiute ricerche più approfondite e fruttuose.

giovedì 29 marzo 2018

NOTE SUL LAVORO DI DELLA TORRE ARRIGONI

Dianora Della Torre Arrigoni è l'autrice dell'interessantissimo trattato Seta selvatica: passato e presente. Il lavoro è diviso in due parti, consultabili e scaricabili sia dal sito del GENM (Gruppo Entomologico Naturalistico Meldolese) che dalla pagina dell'autrice su Academia:

Prima parte:



Seconda parte: 



Indice

Parte prima
  Caratteristiche, proprietà e usi
  Amica dell'ambiente
  Panorama storico
  La stagione europea
  Bibliografia

Parte seconda  Scenario attuale
  Da parassiti dannosi a fonte di guadagno
  Madagascar: un modello per l'Africa
  Referenze bibliografiche
  I bachi da seta esistono ancora

Immergendosi nella lettura, si apprendono molte utili nozioni. Il baco da seta, ossia la larva del bombice del gelso (Bombyx mori), non è l'unico bruco in grado di produrre un filo serico utilizzabile dal genere umano per confezionare indumenti. Esistono in natura circa 400 specie diverse dal Bombyx mori, i cui bruchi tessono un bozzolo che permette di ottenere la seta selvatica, usata da epoche immemorabili in varie parti del mondo. L'allevamento di queste larve presenta diversi vantaggi: si tratta di specie non completamente domesticate, che non dipendono dall'uomo, inoltre si nutrono di foglie di diversi alberi - mentre il baco da seta si nutre esclusivamente di gelso. L'autrice tratta le caratteristiche dei vari tipi di seta selvatica e fa un quadro storico molto esauriente del loro utilizzo. In Cina, prima ancora della domesticazione del Bombyx mori, era usata la seta ottenuta dall'Antheraea pernyi, originaria della Mongolia e utilizzata anche dalle sue genti già nel II secolo a.C. In India, la seta selvatica era conosciuta già diversi millenni prima di Cristo, mentre il baco da seta vi fece la sua comparsa soltanto più tardi, verso il III secolo d.C. Alcune farfalle produttrici di seta sono da epoche immemorabili ritenute sacre dalla religione Hindu, come ad esempio l'Antheraea mylitta, i cui ocelli erano visti come il disco di Visnu. In tempi più vicini a noi, Gandhi affermò nel corso della sua visita in Assam che "le donne Bodo tessevano sogni sui loro telai": la specie utilizzata in quella regione è Antheraea assama. Nel Messico precolombiano, gli Aztechi e altri popoli traevano la loro seta dai grandi nidi comuni delle larve di Gloveria psidii. I bozzoli di una Pieride, Eucheria socialis, fornivano agli Aztechi non soltanto tessuti, ma anche la carta. L'estinzione dell'uso della seta selvatica in Messico è molto recente, risale a circa cinquant'anni fa. Le informazioni raccolte nel trattato sono numerose e di gran pregio: ne consiglio vivamente la lettura a tutti, è qualcosa che allarga i propri orizzonti e permette di far luce su aspetti poco noti dell'esistenza.  

L'epidemia di pebrina e le sue conseguenze 

Si apprende che l'uso della seta selvatica si diffuse in Europa nel XIX secolo. Una spaventosa epidemia di natura virale aveva aggredito i bachi da seta in molti paesi, devastando la sericoltura tradizionale. La malattia era detta pebrina, dall'occitano pebre "pepe", perché sul corpo dei bachi colpiti comparivano caratteristiche macchie nere, che ricordavano nella forma grani di pepe. Il motivo di una denominazione di origine occitana è presto spiegato: i primi focolai della malattia si sono formati nel Midi francese verso la metà del secolo, diffondendosi poi a macchia d'olio. La sericoltura dipende dal seme-bachi (il vocabolo ha una struttura abbastanza curiosa), che consiste nelle uova della farfalla da seta. Col propagarsi della pebrina in Francia, l'unica risorsa degli allevatori era procurarsi seme-bachi sano da regioni in cui non era ancora giunta l'infezione. Per porre rimedio alla calamità, iniziarono così a importare seme-bachi dall'Italia. Quando l'epidemia oltrepassò le Alpi, la situazione divenne critica: la sericoltura italiana, diffusa e prospera nella quasi totalità degli stati preunitari, subì danni ingentissimi. Di qui la necessità di ricercare seme-bachi sano in terre lontane: i semai andarono a procurarselo nei Balcani, in Turchia, in Asia Centrale, in Cina e persino in Giappone - dove era iniziata l'apertura commerciale ai paesi stranieri dopo secoli di isolamento. Mi ha molto colpito la determinazione con cui i semai affrontavano la durissima via del Giappone, giungendo fino a Yokohama, dove si teneva da agosto a fine ottobre un regolare mercato del seme-bachi. I molli francesi, incapaci di tanto eroismo e privi di tempra, non tentarono nemmeno simili imprese, così quando la pebrina si estinse, la sericoltura non si fu in grado di risollevarsi. Un effetto collaterale di questa crisi fu l'importazione e l'acclimatazione in Europa di specie di farfalle da seta diverse dal Bombyx mori, come alternativa alla seta tradizionale. In particolare furono utilizzati Saturnidi provenienti dalla Cina e dall'India.  

Il Brucaliffo e la serendipità

Sono giunto a conoscere il presente lavoro per puro caso, mentre cercavo notizie sull'allevamento delle larve di Saturnia pyri, farfalla notturna nativa dell'Europa, da cui secondo alcune fonti si può ottenere seta di alta qualità. Ho ricordi d'infanzia di questi bruchi del pero, grossi e molto appariscenti, tanto da somigliare al Brucaliffo. Avevo letto da qualche parte che questa specie, diffusa dalla Spagna alla Siberia e in parte del Nordafrica, in passato era stata utilizzata nella sericoltura. Ho potuto constatare che la Della Torre Arrigoni menziona a malapena nel suo lavoro, ma riporta un fatto importante. Il bozzolo tessuto dal bruco del pero è composto da filamenti spezzati in più punti e necessita di cardatura e filatura per poter essere utilizzato. Peccato: essendo una specie autoctona, avrebbe potuto essere una risorsa importante. In passato supponevo che le larve della Saturnia pyri non fossero di facile allevamento o che la resa fosse scarsa: non potendo disporre di conoscenze più dettagliate, facevo illazioni. Adesso ho imparato qualcosa di molto utile. Navigando nel Web ho poi scoperto che la specie non si trova in Inghilterra, anche se ne sono stati recentemente scoperti alcuni esemplari a Swaythling, nello Hampshire. Con ogni probabilità provengono da un allevamento abbandonato, anche se si specifica che questa pratica non è attestata nel Regno Unito.


Etimologia di tussah

In inglese la seta ricavata dai bozzoli di bachi selvatici è detta tussah, con le varianti tussor, tussore, tusser, tussas, tussus. L'origine di questa parola è dall'indostano tasar, a sua volta dal sanscrito tasara, trasara "spola". Per motivi fonetici, il vocabolo sanscrito non può essere derivato dalla radice taṃs- "decorare; muovere", come suggerito da Monier-Williams (non dimentichiamo la variante con tr-!): è con tutta probabilità un relitto di una lingua del sostrato preindoeuropeo dell'India. 

Gli Aztechi, i bachi selvatici e la seta

Non sono riuscito a reperire i nomi Nahuatl delle farfalle Gloveria psidii ed Eucheria socialis, menzionate dall'autrice. Gli Aztechi usavano il nome ocuilicpatl per indicare la seta (selvatica), nome derivato da ocuilin "verme" e da icpatl "filo" (alla lettera "filo del verme"). Il bruco produttore di seta era chiamato tzāuhqui ocuilin "verme filatore" (da tzāhua "filare"), mentre il bozzolo era chiamato cochipilōtl (da cochi "dormire"). Un sinonimo di cochipilōtl è calocuilin, alla lettera "verme-casa" - e non "casa del verme", che sarebbe *ocuilcalli

Etimologia del nome Dianora

Non posso resistere alla tentazione di inserire un'ultima nota etimologica. Il nome Dianora, davvero curioso e raro, è attestato già in epoca medievale. La sua origine è controversa. Nasce a parer mio da Eleonora, di cui sono attestate le varianti Lionora e Lianora. Alla forma Lianora si è sovrapposto il nome della dea Diana, il cui culto è riuscito a sopravvivere alla dissoluzione dell'Impero Romano d'Occidente, perdurando a livello popolare per tutto il Medioevo.

domenica 15 ottobre 2017


LA MOSCA

Titolo originale: The Fly
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 1986
Durata: 92 min
Genere: Orrore, fantascienza
Regia: David Cronenberg
Soggetto: George Langelaan
Sceneggiatura: Charles Edward Pogue, David
    Cronenberg
Produttore: Stuart Cornfeld
Casa di produzione: Brooksfilm
Fotografia: Mark Irwin
Montaggio: Ronald Sanders
Effetti speciali: Chris Walas, Jon Berg, Louis Craig,
    Hoyt Yeatman
Musiche: Howard Shore
Scenografia: Carol Spier
Interpreti e personaggi   
    Jeff Goldblum: Seth Brundle/il Brundlemosca
    Geena Davis: Veronica Quaife
    John Getz: Stathis Borans
    Joy Boushe: Tawny
    Leslie Carlson: Dr. Brent Cheevers
    George Chuvalo: Marky
    David Cronenberg: ginecologo
    Carol Lazare: infermiera
    Shawn Hewitt: impiegato
Doppiatori italiani   
    Romano Malaspina: Jeff Goldblum
    Pinella Dragani: Veronica Quaife
    Renato Cortesi: Stathis Borans
    Massimo Foschi: Dr. Brent Cheevers
    Stefano De Sando: ginecologo

Trama: 

Veronica "Ronnie" Quaife è una giornalista, futile e annoiata, che lavora per un'importante rivista scientifica. A un party incontra un bizzarro scienziato, Seth Brundle. Dovendo scrivere un servizio ma non sapendo bene su che argomento farlo, Ronnie finisce con l'intervistare lo studioso. Introverso e problematico, questi è molto lusingato dall'interesse della donna bellissima e le rivela di aver fatto una scoperta scientifica che cambierà il mondo. Si tratta del prototipo di una macchina del teletrasporto, che ha costruito sfruttando i fondi che gli arrivano dall'ente per cui lavorava. L'uomo vive in una specie di scantinato, dove ha assemblato un computer collegato a due grosse capsule metalliche: una è il trasmettitore, in cui entra l'oggetto da teletrasportare, l'altra è il recettore, dove l'oggetto teletrasportato si materializza. Convinta di aver messo le mani sullo scoop del secolo, Ronnie convince lo scienziato a permetterle di seguire e di documentare ogni fase della sperimentazione, mantenendo però il segreto fino a che non sarà raggiunto il risultato definitivo: il teletrasporto di un essere umano. Infatti la macchina è in grado di trasferire da una capsula all'altra soltanto oggetti inanimati. Se si cerca di teletrasportare materia vivente, si ha un'inversione di simmetria. Un babbuino usato per la sperimentazione finisce rovesciato come un guanto e trasformato in un orribile ammasso di carne pulsante. Ronnie spera di ottenere dal suo capo ed ex-amante Stathis Borans la pubblicazione del materiale raccolto, anche se questi si dimostra scettico. A questo punto nella vita di Seth Brundle accade un piacevole imprevisto, i cui frutti saranno tuttavia luttuosi. La sensuale giornalista, allo scopo di assicurarsi ogni esclusiva e di motivare il ricercatore, gli si concede. Ispirato dallo stato di beatitudine trasmessogli dal sesso, all'improvviso Seth ha un'intuizione geniale e riesce a capire come rimediare all'inconveniente della sua macchina. L'esperimento di teletrasporto di un secondo babbuino riesce alla perfezione. L'intenzione è di festeggiare, ma proprio sul più bello Ronnie dice al suo amante che deve chiudere alcuni conti con il passato, e allo scopo si reca da Borans. Seth si sente abbandonato e tradito. Dopo aver consumato uno squallido pasto cinese e aver bevuto molto spumante, è roso dalla gelosia e teme che la sua Ronnie si sia messa sotto la scrivania di Borans a fellarlo. Così si accende in lui la determinazione a compiere un atto spaventoso, che avrà conseguenze assolutamente funeste: decide di sperimentare le capsule del teletrasporto su se stesso. Si verifica infatti una fatalità, che forse sarebbe stata evitata se Seth non si fosse lasciato traviare da una donna: una mosca si infila con lui nella capsula un istante prima che la macchina si attivi. Il computer, ottuso come tutte le macchine, non sapendo come risolvere il problema, opta per la fusione a livello genetico e molecolare dell'uomo con l'insetto... 


Recensione:

Come ormai sanno anche i sassi, al centro del pensiero di Cronenberg sta il corpo umano con tutte le sue possibili trasformazioni, specie se teratogene. L'origine di questo film è il racconto La mosca (The Fly) di Georg Langelaan, risalente al 1957 e pubblicato per la prima volta su Playboy. Prima che se ne occupasse l'illustre regista di Toronto, il racconto di Langelaan era già stato tradotto in pellicola da Kurt Neumann nel 1958. Il film in questione, interpretato da Vincent Price, è anch'esso intitolato The Fly, che in Italia è stato reso come L'esperimento del Dottor K. per via della sua indebita associazione con Kafka. Va detto che tra l'opera di Neumann e quella di Cronenberg sussistono differenze abissali. Il film del 1958 ci mostra il tragico fallimento di uno scienziato positivista e prometeico la cui personalità è del tutto priva di spessore. Per contro, il film del 1986 ruota attorno a Seth Brundle, una figura tenebrosa e conflittuale, di cui ci viene mostrata la caduta agli Inferi. L'universo di Cronenberg è un abisso di tenebra assoluta in cui non filtra nemmeno un raggio del sole dell'illusione. Incomunicabilità totale e disperazione. I personaggi sono come fantasmi alla deriva nel vuoto intergalattico mentre ogni struttura del cosmo collassa, sono mere fluttuazioni di nulla quantistico sommerse dal rumore di fondo della morte ontologica.


Una terribile rivelazione

Cronenberg descrive magistralmente la catabasi di Seth Brundle, il suo passare dalle tenebre dell'ignoranza alla terribile Luce Nera dell'Annientamento man mano che si manifestano gli effetti della sua contaminazione genetica e molecolare. All'inizio, appena operato il proprio teletrasporto, l'uomo di scienza è convinto di aver subito una catarsi totale. Si sente forte e brillante, ogni sua naturale capacità fisica e mentale è enormemente accresciuta. Egli attribuisce questo prodigioso effetto a una sorta di palingenesi compiuta dal processo di riaggregazione del corpo disintegrato: è come un filtro che agisce su ogni singolo atomo eliminando ogni scoria, permettendo a tutti gli organi di funzionare al massimo delle proprie possibilità. A smentire queste rosee razionalizzazioni, presto fanno la loro comparsa sintomi subdoli, chiari soltanto allo spettatore. Alcuni peli neri e setosi crescono sulla ferita dove l'insetto ha fatto il suo ingresso. La pelle comincia ad alterarsi, coprendosi di foruncoli. Gli appetiti si esasperano e si fanno ben strani: l'uomo comincia a mangiare quantità industriali di dolci, arrivando al punto di affogare il caffè nello zucchero. Copula con l'amante in modo instancabile, sfinendola e facendola sudare come in un bagno turco: presto la donna non riesce a fornirgli prestazioni sufficienti, così lui va a cercare la compagnia di una prostituta. L'odore della pelle comincia a diventare nauseabondo, come il sentore delle mosche, in cui al dolciastro si mescola lo sterco. Subentrano segni di rigetto, dalla perdita dei padiglioni auricolari alla caduta dei denti. Anche le modalità dell'alimentazone cambiano: l'uomo-mosca rigurgita una poltiglia acida biancastra sulle merendine, sciogliendole, quindi si sorbisce il tutto. Due genomi incompatibili, uno umano e uno di dittero, lottano tra loro in ogni cellula, plasmando il corpo secondo un progetto incoerente a cui si può soltanto dare il nome di cancro


Punti deboli nella narrazione 

A parer mio viene meno troppo rapidamente l'impossibilità di teletrasportare esseri viventi o loro parti. Non si capisce affatto quale fosse il problema e ancor meno quale sia stata l'intuizione che ha portato Seth Brundle a risolverlo, riuscendo così nei propri intenti. Questa improvvisa accelerazione narrativa nuoce un po' alla comprensione. Forse il regista avrebbe potuto giocare meglio sul thriller filosofico, con tutte le sue implicazioni, magari enucleando qualche terribile segreto della fisica subatomica. Una grave omissione è invece riscontrabile nelle pulsioni della mosca che emerge sempre più nel Seth ibridato: Cronenberg non ci mostra quella che è la caratteristica principale di quell'insetto, la coprofagia! A mio avviso il ricercatore mutato avrebbe dovuto cercare gli escrementi di Ronnie e poi quelli della prostituta per ingurgitarli avidamente, anche a costo di sfidare radicati tabù, come aveva invece osato in un altro suo film: Shivers - Il demone sotto la pelle.   

Difficoltà ontologiche

Al momento la Scienza è in grado di teletrasportare soltanto particelle subatomiche, per l'esattezza fotoni (quanti di luce). Se anche il teletrasporto esistesse e fosse operativo per esseri umani, non mi azzarderei mai e poi mai a sperimentarlo. Nessuno può dare la certezza che l'essere che arriva sia lo stesso di quello che parte. In altre parole, l'individualità della persona scompasta e quella della persona riassemblata potrebbero benissimo essere due cose diverse. Chi entrasse nella capsula potrebbe morire all'istante come la macchina entra in funzione, e potrebbe comparire altrove un essere differente, dotato di tutti i ricordi e di tutte le emozioni della persona appena scomparsa nel niente - ma con una storia interamente fittizia. Il problema è che non può esistere alcun esperimento capace di risolvere la questione. Questa indeterminazione è talmente tremenda, che penso sia meglio non sperimentare mai una simile tecnologia su esseri viventi - posto che si arriverà mai a portarla a compimento. 

Contraddizioni insanabili

Ovviamente questo splendido film va preso per quello che è, senza elucubrare troppo su ciò che è possibile e su ciò che è impossibile. Tuttava non posso fare a meno di pormi domande e di cercare risposte. In realtà non sarebbe necessaria una mosca per innescare la catastrofe: il rudimentale computer con interfaccia primitiva avrebbe incontrato lo stesso problema con i moltissimi acari demodex che infestano la cute dell'uomo, annidandosi nei follicoli sebacei. Sono presenti su tutti gli esseri umano. Anche le modelle ne hanno, anche se in piccolo numero e senza segni visibili - mentre io ne ho un allevamento che mi provoca irritazioni, punti neri e foruncoli purulenti. Per non parlare dei batteri. Come potrebbe fare il computer a teletrasportare la flora batterica mantenendone la coerenza? Se la macchina fosse stata capace di farlo, a maggior ragione avrebbe teletrasportato anche la mosca tenendola separata dall'uomo. O dobbiamo forse pensare che il processo di teletrasporto presenti difficoltà soltanto con esseri al di sopra di certe dimensioni? Se così fosse, quale ne sarebbe mai il motivo?

Altre recensioni:

Segnalo un interessantissimo articolo sul film, apparso su Sentieriselvaggi.it

lunedì 14 agosto 2017


BROOD - LA COVATA MALEFICA

Titolo originale: The BroodAnno: 1979
Paese di produzione:
Canada
Lingua: Inglese
Durata: 90 min
Genere: Orrore
Regia: David Cronenberg
Soggetto: David Cronenberg
Sceneggiatura: David Cronenberg
Produttore: Claude Heroux
Fotografia: Mark Irwin
Montaggio: Luciano Pigozzi
Effetti speciali: Allan Kotter
Musiche: Howard Shore
Scenografia: Carol Spier
Interpreti e personaggi   
    Oliver Reed: Dr. Hal Raglan
    Samantha Eggar: Nola Carveth
    Art Hindle: Frank Carveth
    Henry Beckman: Barton Kelly
    Nuala Fitzgerald: Juliana Kelly
    Cindy Hinds Candice Carveth
    Susan Hogan: Ruth Mayer
    Gary McKeehan: Mike Trellan

Trama:

Siamo a Toronto negli anni '70, epoca in cui furoreggiavano le peggiori storture psicologiche. Il dottor Raglan dirige una clinica psichiatrica di avanguardia, il Somafree Institute, dove sperimenta sui suoi pazienti una terapia chiamata "psicoplasmia". Si potrebbe definire questo trattamento come una forma di vivisezione dell'anima, anche se si accompagna volentieri a maltrattamenti fisici. In pratica lo psichiatra demoniaco sottopone i poveri sofferenti a tremende sedute in cui li tagliuzza vilmente nei punti più deboli, fino a straziarli. Lo scopo di questa tortura sarebbe quella di rimuovere le turbe aggressive, non si sa bene secondo quale principio. Frank Carveth è un uomo di mezza età la cui moglie, Nola, è sotto rigido trattamento da parte di Raglan. Candice, la figlia della coppia, è esposta al malsano ambiente della clinica e ne ha grave nocumento. A un certo punto Frank nota sul corpo della bambina segni simili a quelli lasciati da percosse, così cerca con ogni mezzo di sottrarre la moglie al controllo del malefico dottore, che la tiene in evidente stato di soggezione, segregandola. Frank, esasperato, prende con sé la figlia e la porta da Juliana, sua suocera. A questo punto fa irruzione nella narrativa il diabolus ex machina, ossia l'uccisione di Juliana ad opera di una mostruosa creatura umanoide, piccola ma sommamente aggressiva, che la riduce in poltiglia sanguinolenta. Ruth Mayer, la maestra della figlia di Frank, viene massacrata a martellate da esseri identici a quello che ha ucciso Juliana. Questo è solo l'inizio di un incubo agghiacciante, che porterà Frank a scoprire qualcosa di tremendo oltre ogni umana immaginazione: sua moglie Nola genera per abiogenesi un gran numero di questi atroci nani!

Recensione:

Un film assolutamente geniale e al contempo profetico. Lo reputo di un estremo interesse non soltanto come inconsueto capolavoro del genere horror, ma anche perché presuppone conoscenze di genetica e di xenobiologia che all'epoca in cui fu fatto non erano disponibili al genere umano.


Sconvolgenti esiti di un esame autottico

La creatura mostruosa sottoposta ad autopsia presentava peculiarità incompatibili con un'origine umana. Innanzitutto gli occhi, sprovvisti di retina. Gli stimoli visivi giungevano direttamente sul nervo ottico. L'apparato digenerente non era da meno. La lingua tumefatta impediva la deglutizione, cosicché il nano malefico non avrebbe potuto mangiare né bere nulla. Per nutrirsi si serviva di una sacca contenuta del ventre, residuo del processo di embriogenesi, che conteneva una gran quantità di nutrienti iperconcentrati affini al tuorlo d'uovo, destinati ad essere assorbiti direttamente nel circolo sanguigno. Una volta terminato quel "combustibile", l'essere aberrante incorreva in un rapido processo di consunzione, finendo col morire all'improvviso. Non vi era traccia alcuna dell'ombelico e non esisteva neppure un abbozzo di organi genitali. Il pube era piatto e imperforato come quello di una bambola. A quanto pare mancava anche l'orifizio anale. Evidentemente l'entropia veniva smaltita tramite la pelle, facendo trasudare le scorie del metabolismo. Spaventoso. Seguendo le mie conoscenze di biologia, posso garantire che simili peculiarità possono essere definte soltanto come aliene. In altre parole, non siamo di fronte a un prodotto della Natura.


Spiegazione della genesi della covata

Le creature sono parassitoidi. Si tratta di un'arma genetica, proprio come gli xenomorfi della serie di Alien. Sono neomorfi a tutti gli effetti: embrioni mostruosi germogliati nel corpo di un ospite. Lo si capisce benissimo dal loro funzionamento, descritto con precisione nel film. Il contaminante genetico entra attraverso la pelle e induce la formazione di masse tumorali simili a papule e di un vero e proprio utero preternaturale, che produce senza sosta nuova covata. A differenza delle creature concepite da H.R. Giger e sviluppate da Ridley Scott, questi parassitoidi non sono necrogeni. L'ospite dal cui corpo si origina l'utero preternaturale non muore, ma continua a dare origine a nuove creature, con cui mantiene una sorta di contatto telepatico. Una cosa un po' simile a questo singolare rapporto tra parassitoide e ospite esiste anche in Natura: le larve dei braconidi parassitano i bruchi divorandone i tessuti molli senza ucciderli, ma riducendoli a zombie. Accade così che il bruco parassitato sia spinto da una forza misteriosa a difendere la covata del parassitoide.


Dettagli tecnici della xenogenesi  

Il processo di xenogenesi consiste nella riscrittura del DNA dell'ospite, ossia nella sua traduzione in XNA e nella sua riorganizzazione. Le creature neomorfe, nate dall'acido xenonucleico, attaccano qualsiasi creatura fatta di DNA naturale. Questo è un estratto della pagina del sito Xenopedia che tratta dell'accelerante genetico noto come Black Goo:

"The primary purpose of the Chemical A0-3959X.91 – 15 pathogen is to cleanse planets of unwanted non-botanical life forms. Once exposed to another organism, the virus begins mutating its host by rewriting their DNA. The host becomes exceedingly aggressive and seemingly mindless as it attacks any living thing in sight."

Si noterà che questi dettagli sono stati chiariti da William Gibson per il film Covenant di Ridley Scott. Prima della meritoria opera di Gibson, semplicemente non era accessibile al pubblico alcun chiaro concetto di xenogenesi. Quando vedemmo Alien e gli altri film della serie, ci cullammo a lungo nell'illusione: tutti noi ritenevamo che lo xenomorfo fosse una creatura priva di relazione col corredo genetico dell'ospite, un po' come gli icneumonidi che parassitano i bruchi e i ragni. Con Prometheus ci rendemmo conto che gli xenomorfi traggono la loro origine da una contaminante genetico, ma ancora non ci era chiara la sua azione. Bastò una breve frase in Covenant per illuminarci, facendoci capire ogni cosa: "riscrive il DNA". Il punto è che questo meccanismo in qualche modo Cronenberg lo aveva già chiaro quando girò The Brood.


Un'interpretazione rivoluzionaria

Non esito a dirlo. Il professor Raglan potrà anche raccontare tutte le baggianate che vuole sulla fantomatica "psicoplasmia" e sul corpo plasmato dalla mente, ma a me non inganna. Egli ha messo le mani su un bidone di patogeno fatto di DNA artificiale (XNA) e ha contaminato scientemente i propri pazienti. Da dove poi abbia tratto questo bidone non lo sappiamo e non lo sapremo mai. Questi sono i misteri più avvincenti, in cui si vede la mano di un genio! La prova inconfutabile della xenogenesi sta nella natura fortemente infettiva del morbo generatore di feti aberranti. Se queste creature nascessero da un'alterazione psichica, come il malfattore Raglan vorrebbe far credere, non sarebbe possibile provocare un contagio. Invece vediamo con la massima chiarezza che il processo germinativo contamina la figlia di Frank Carveth, Candice. Bastano queste considerazioni a spazzar via tutte le assurde spiegazioni metaforiche e fantapolitiche che tanto piacciono ai radical shit. Negli anni '70 la Scienza non era ancora giunta a sintetizzare acidi nucleici artificiali sostituendo allo zucchero pentoso altre molecole. Eppure si ha il sentore che in realtà già si stessero effettuando esperimenti in questo senso. Non è neanche impossibile che siano già stati prodotti alcuni parassitoidi nel corso degli esperimenti, ma che siano stati eliminati con grande efficacia - o non saremmo qui a parlarne. Non è improbabile che Cronenberg sia venuto a conoscenza di qualche porcata davvero ripugnante e che l'abbia trasfusa nei suoi film. Per altri tipi di creature parassitarie, descritte dallo stesso geniale regista, si rimanda a un altro suo film: Shivers - Il demone sotto la pelle.

Una piccola ingenuità

A un certo punto il protagonista, sconvolto dagli orridi avvenimenti, rientra a casa e posa lo sguardo su un giornale, i cui titoli parlano dei nani maligni: "Police seeks dwarf killers". Non facciamoci illusioni. Nella realtà una cosa di questo genere non accadrebbe mai. Se anche circolassero simili parassitoidi e ammazzassero molte persone nei modi più cruenti, sarebbe mantenuto uno strettissimo segreto e non si saprebbe assolutamente nulla. Farebbero intervenire l'esercito e qualora i mostri fossero debellati - ipotesi già di per sé di un estremo ottimismo - ci sentiremmo dire: "Non è successo nulla. Non c'è nulla da vedere".

mercoledì 4 gennaio 2017

I VERMI DEL CORPO UMANO VIVENTE E LE MALATTIE VERMINOSE

Le mosche costituiscono un'estesissima famiglia di esseri, le cui larve si sono oramai riscontrate in quasi tutte le parti dell'umano organismo, non eccettuate le più recondite. Fecondissime nel riprodursi, mentre giusta i calcoli di Gleichen un pajo di mosche domestiche danno nel corso di un anno 2208420 individui, non è meraviglia, se in mancanza di sostanze putrescenti animali e vegetali morte, che formano il prediletto loro pascolo, vadano ad insinuarsi nelle diverse cavità dell'uomo ancora, onde nutrirsi ed ivi deporre le loro uova. Egli è inoltre da aggiungersi, che nel fervore dell'estate le mosche nella libera atmosfera vaganti facilmente insinuano le proprie uova nelle carni degli animali uccisi, massime se queste sieno tenere, e saporite, non che nella sostanza polposa de' migliori frutti, e che queste sono per consefuenza in un con siffatti cibi dall'uomo inghiottite. Sia nell'uno come nell'altro modo gli esseri, che se ne sviluppano, diventano molestissimi all'umana salute in ragione e del loro numero, e delle parti dell'organismo, nelle quali si sono svolti. Infiniti sono perciò gli esempj di affezioni veramente gravi dalla presenza de' bachi e delle larve di loro suscitate.
Già De-Ger e Bonnet ebbero a rimarcare il caso singolare di non poche larve della mosca comune deposte per seccesso. Walbon scrisse putre un'eccellente memoria, che ha per soggetto la narrativa d'una malattia terribile, sofferta da una donzella, cagionata da una straordinaria quantità di larve di mosche annidate nel suo corpo, le quali eliminate si cangiarono in altrettante mosche nere abdomine tenuissimo, nitidissimo (452). Il Dott. Sparr espose un'altra non meno curiosa storia (453), da cui risulta, che dimesse da un infermo molte larve di mosca, queste dopo qualche tempo in numero di trenta si cangiarono  in altrettante mosche meteoriche. Di larve di mosche dall'alvo eliminate ne fanno particolare menzione Bonté, Sparmann, Odhelio (454) e non pochi altri accreditati Autori.
Per vomito ancora sono state queste larve in molti casi rigettate. Osiander ne vide alcune vomitate dalla sua inferma, che nutriva nel proprio seno più vermi, e molte specie di insetti. Werner dimostrò all'evidenza (455), che le pretese ascaridi pedate del ventricolo descritte da Andry, da Redi e da Van-Phelsum non erano che vere larve di mosche.
In un colle orine se ne sono pure vedute sortire dall'umano organismo. Tulpio ragiona di una femmina affetta da insoffribile dolore di testa e de' lombi, la quale sul finire della malattia ogni giorno deponeva unitamente all'orina da cinque in sei vermetti bianchi non dissimili da quelli, che si osservano nel formaggio imputridito (456). Alghisi e Bianchi descrivono alcune di siffatte larve sortite insieme colle orine (457): e lo stesso fenomeno è stato da Werlhof indicato (458). Un caso singolare sotto di questo rapporto si è quello, che mi venne gentilmente comunicato dall'indefesso Sig. Dott. Panada. Una femmina Padovana d'anni 22, di lassa costituzione di corpo, trovandosi nel quarto mese di gravidanza incominciò a vedere nelle orine di recente deposte alcuni piccoli vermicelli grossi quanto una linea e mezza circa, e lunghi appena un quarto di pollice del piede di Parigi, d'un color bianco-latteo, rotondi, col corpo ad anelli, e colla testa dura, nera, e munita di due piccioli filamenti, che sorgevano ai lati d'un'apertura, e colla coda subacuminata e del pari nera. Arrivata al sesto mese di gravidanza abortì senza veruna causa sensibile, e dopo il seguito aborto affatto cessì la comparsa degli accennati esseri viventi nell'orina. Per quanto sorprendenti sieno per riuscire queste osservazioni, esse non arriveranno per altro mai a superare in questo genere il caso riferito da Bianchi, da cui risulta, che
le uova delle mosche possono penetrare fino nel torrente della circolazione dell'uomo ed isvolgersi in un dato punto del sui sistema sanguigno. Si legge nell'opera, che spesso abbiamo citata, di Bianchi (459), che eseguitasi la sezione di un cadavere nello Spedale Pammatone di Genova si rinvenne dilatata in un follicolo la vena spermatica sinistra, aperto il quale ne sortì un insetto vivo colla testa subrotonda, fornito d'occhj, di due antenne, di sei gambe, di due ale, convesso nel dorso, di color cenericcio segnato di punti neri, che aveva in una parola tutti i caratteri d'una vera mosca.

Dalle narici non di rado vedute si sono eliminarsi le larve delle mosche. I Medici-naturalisti confuse le hanno coi vermi nasali distinti col nome di rinarj. Non di rado avviene, che odorando una rosa o qualche altro fiore le picciole uova delle mosche ivi deposte entrino nelle narici e perfini ne' seni frontali, ove sviluppandosi le relative larve divengono causa di fenomeni morbosi pericolosissimi, i quali non cedono se non dietro la loro uscita. Boerahave ne cita un esempio (460), e Bianchi ebbe occasione di osservarne nello spazio di quaranta giorni eliminate dal naso cento settantaquattro. Analoghe osservazioni sono riferite da Ernst, da Razouz, da Kilgour, da Teugelman (461), e da altri distinti Scrittori. Insigne poi si è l'osservazione in proposito registrata da Wohlfart (462), e non meno di questa pregievole parmi il caso, che ebbi campo di rilevare in un giovane contadino seguendo le stesse ricerche da Wohlfart additate. Un agricoltore di 24 anni all'incirca trovavasi già da qualche tempo tormentato da fierissimo dolore di testa fissato principalmente alla radice del naso ed ai seni frontali, entro i quali accusava sentire un particolar formicolìo: non valsero gli opportuni sussidj a sollevarlo per quanto ripetuti e variati si fossero; solo evacuava dalle narici un muco concreto e secco, che aveva l'aspetto d'una sostanza poliposa. Passò sei mesi circa in sì infelice situazione, allorchè giunse nel Dicembre dell'anno 1804 nello Spedale di Crema, ove ricevuto lo si osservò rosseggiante in viso, colla  bocca e colle fauci tumefatte, rosse e dolenti, e col dolore frontale talmente aumentato, che bene spesso cadeva in accessi di vero delirio. Praticati que' sussidj, che atti sono a togliere l'orgasmo flogistico in tali parti, e in seguito ordinata essendosi l'introduzione nelle narici di vapori d'aceto, venne sorpreso da replicati starnuti, dietro i quali gettò fuori dall'una e dall'altra narice una quantità di vivi vermicelli. Nell'atto di questa eliminazione fu assalito da vertigine e da offuscamento di vista. Liberato da questi vermi gli si rallentò il penoso dolor frontale, che lo afflisse fino a quell'epoca; ma gli rimase nelle narici e nell'interno della fronte un'ingrata sensazione di pienezza e di tensione unitamente ad uno scolo di materia acquosa, acre, ed ebbe a soffrire la perdita dell'odorato non che una certa quale impossibilità a servirsi di questa strada per l'importante ufficio della respirazione. Coll'uso continuato de' vapori e delle injezioni emollienti si superarono altresì questi incomodi, così che in breve tempo ricuperò il senso dell'odorato, e pienamente ristabilito potè restituirsi in seno della propria famiglia. Per causa dell'offerta malattia non seppe riferire che di avere spesse fiate in ore calde dormito a faccia scoperta ne' mesi di Maggio e di Giugno ne' luoghi, ove si suole conservare il latte, i quali erano inondati da numeroso stuolo di mosche di diverse specie. I pretesi vermicelli particolarmente esamitati offrirono i caratteri tutti di quelli, che in un caso a press'a poco consimile potè osservare Wohlfart, e che quest'illustre Signore erroneamente distinse col nome di strongli (Tav. V. Fig. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 18. 20. 21. 22. 23. 24.). Presentavano un corpo oblungo diviso in più anelli (Fig. 13.); collocati in un vaso contenente un poco di terra vi si appiattarono totalmente e divennero nerastri e duri (Fig. 14.): ivi conservati per una serie di giorni diedero uscita a mosche di color rossiccio, fornite d'occhj, di antenne filamentose e di proboscide, col dorso azzurro-chiaro a striscie nere (Fig. 15.), e col rimanente del corpo di color giallo-chiaro punteggiato in nero, e della stessa tinta nel centro fregiato (Fig. 16.): spremuto il ventre di queste mosche sortirono ravvolte in più glomeri le picciolissime loro uova (Fig. 17.), Tali vermicelli erano adunque altrettante larve della mosca carnaria, ed in fatti esaminati col microscopio veduti si sono forniti di undici anelli compresi quelli della testa e della coda col capo uncinato, e particolarmente segnati d'una distinta fenditura (Fig. 18. 19. 20.): le antenne e la proboscide della mosca, che ne sortì, contemplate esse pure sotto del microscopio, nulla lasciarono a desiderare sul conto de' caratteri, che diconsi proprj di questi insetti (Fig 21. 22. 23. 24.). Il Sig. Dott. Locatelli, che con distinto successo esercita la pratica della Medicina nelle vicinanza di Roma, mi fece graziosamente comunicare un caso analogo: una femmina della terra di Anticoli Corrada incomodata da grave e diuturno dolore frontale, sorpresa da replicato starnuto, gettò fuori dalle narici ventidue vermicelli della grossezza degli accennati, quali ingranditi colla lente sono rappresentati sotto la Fig. 25. Questo dotto Medico li riconobbe tosto per vere larve di mosche, riputandole principalmente sprigionate dalle uova di quelle mosche comuni all'agro Romano, di color turchino, che ronzano all'intorno delle materie escrementizie. Venni del pari informato dall'esimio Sig. Dott. Picolli di Milano, che in quello Spedale si presentò un contadino da quattro mesi tormentato da feroce dolore di fronte, ove trattato coi vapori emollienti e con una massa pillolare composta di muriato di mercurio e di estratto di aconito napello scaricò dalle narici in varie riprese diciotto larve non differenti dalle indicate, e in simil guisa riacquistò la perduta salute. Già l'insigne nostro Vallisneri descrisse la nascita, la vita, le metamorfosi ed i costumi delle mosche, che annidano nel naso e ne' seni frontali di alcuni quadrupedi ed eziandio dell'uomo. Sia coll'odorare i fiori i più graditi, oppure che le mosche allettate dal sudiciume della mucosità nasale amino deporre le uova nel naso dell'uomo dormiente, egli è certo, che non di rado sono nell'interno delle narici introdotte le vere uova di questi insetti. Il natural calore delle parti, e l'abbondante mucosità, che vi si separa, ne provocano l'incubazione; ne sbucano piccolissimi vermicelli, che seguendo l'orma della fluente mucosità s'inerpicano lentamente, e si rintanano nelle cavità frontali superando le foci, che le mettono in comunicazione colle nasali. Colà vivono, crescono e si nutrono del muco destinato a lubricare que' seni: colla loro presenza destano localmente e consensualmente una serie di morbosi irritamenti, che render possono l'uomo vertiginoso, e stolidamente delirante e feroce. -- 

Queste larve sono nell'esteriore composte di nove anelli o meglio di nove articolazioni senza annoverarne quelle due, che appartengono alla testa ed alla coda. Immature si  mostrano tutte bianche, ad eccezione di due macchie nere, che si riscontrano nella loro  parte posteriore coperte d'una fessura labbiata, in cui si rimarca l'orificio di due trachee (Fig. 18. c). Il capo lo dissimo già munito di due uncini di sostanza cornea (Fig. 18. a a) e piegati all'ingiù, de' quali sembrano servirsi per punti d'appoggio  all'oggetto di camminare: ad essi paralleli sorgono superiormente due papille coperte d'una membrana trasparente, che terminano in una punta ottusa segnata da una macchia oscura; desse sono non molto dissimili dalle pieghevoli corna delle lumache, mentre le ritirano e le allungano, le manifestano e le appiattano a capriccio, e probabilmente sono destinate allo stesso ufficio, a quello cioè di esaminare il luogo, per dove devono camminare. Alzano acora, abbassano, cuoprono e discuoprono i menzionati due uncini ritirandoli entro una certa cavernetta, che è scavata al di sotto delle notate papille, con quello stesso meccanismo, che si osserva nelle ugne de' gatti e ne' denti canini o feritori delle vipere. Del resto tali larve si muovono con celerità; gettate nell'acqua salata vi vivono per alcuni giorni, ed immerse nell'acqua fresca si conservano vivacissime. Sono internamente organizzate di trachee, di esofago, di ventricolo, di intestini, non che d'un apparato vascolare conveniente. Giunte poi al sommo della maturanza, o, come dicono i Naturalisti, al punto dell'ultima perfezione escono dal naso abbandonando il vecchio loro soggiorno, e si scorgono dispostissime ad insinuarsi  sotterra. In questa nuova dimora ritirano al di dentro la testa, non che la coda, si fanno più bervi, più rotonde, più corpacciute, più nere, e le tenere ed arrendevoli loro spoglie stranamente s'indurano (Fig. 14.). In siffatta guisa acquistano le larve la condizione di crisalide, e non appariscono in tale figura che i nove anelli del loro corpo. Ivi l'animale dimette le usitate spoglie, e con curiosissima metamorfosi si cangia in una vaga mosca di sesso differente, di varj e graziosi colori ornata, la quale rotto il carcere fuori se n'esce vagando nel nobilissimo elemento dell'aria. Ordinariamente s'impiega lo spazio di quaranta giorni per questa singolare metamorfosi. Celebra la mosca nostra i liberi e graziosi suoi imemei col proprio maschio, che ad eccezione del sesso e della minor grossezza è di struttura non dissimile, e nasce pure da larve socie ugualmente nutrite. Deposita poi le fecondate sue uova fra le sozzure e sopra le parti fetide degli animali: non di rado le depone nell'interno lembo del naso di alcuni quadrupedi, non che degli uomini dormienti a cielo scoperto, laddove mediante l'aria inspirata sono trasportate nella sommità delle narici.

Nelle orecchie pure si possono incubare ed isvolgere, quale avviene nel naso, le larve delle mosche. Interessante è il caso esposto da Drovin (463) di una femmina, la quale dopo d'essere stata pel corso di due mesi tormentata da continuo pertinace dolore nell'interno dell'orecchio destro, col farvi instillare un miscuglio di olio d'amandole amare, d'olio d'assenzio e di alcool se ne liberò dopo uscite sei picciole larve, ed una settima assai grossa, tutte viventi, le quali si rivelarono appartenere al genere delle mosche. Larve analoghe dall'orecchio umano sortite si vedono delineate nell'opera di Bianchi (464); ed un caso non dissimile dal riferito si legge in una memoria di Daquin (465).
Ben sovente nel tessuto cutaneo rinvengono le uova delle mosche un opportuno ricetto,
epperciò non è da meravigliarsi, se nelle eruzioni cutanee acute e croniche osservate si sieno le larve delle mosche. Paullini pretende di averle scoperte nelle pustole del morbillo e del vajuolo. Sauvages nel ricordare una particolare influenza vajuolosa attesta, che le pustole all'aria esposte venivano forate dalle mosche, le quali vi deponevano le uova, d'onde uscivano alcune larve bianchissime: siffatte larve mantenute per alcuni giorni chiuse in vasi di vetro da Razous si convertirono in altrettante mosche (466). Nelle pustole cutanee d'una negra osservò Bosse queste stesse larve e le descrisse nel Giornale di Medicina di Parigi. Negli Atti Elvetici si legge l'osservazione di Berdot fatta sul conto d'una pustola spuntata sull'omero di un atrofico, la quale essendosi rotta mandò fuori più vermicelli articolati e forniti di uncini sulla testa. Le piaghe immonde e sucide esposte all'aria nella stagione estiva formicolano pure non di rado di esseri di apparenza verminosa, che traggono origine dalle uova in esse dalle mosche deposte. Questo fenomeno è stato già conosciuto da Omero, come si scorge nel Lib. XIX. dell'Iliade, laddove Achille trovasi in pena, perché le mosche riempir potessero di vermi le ferite dell'ucciso Patroclo intanto che egli si affrettava di vendicarlo colla morte di Ettore. Ne' leprosi famigliarissime sono tali larve, e ben lungi dall'essere la lepra fomentata da vermi particolari, altro non sono che larve di mosche quegli esseri, che ne riempiono le schifosissime piaghe, come è stato da Murray pienamente dimostrato (467), e come si può vedere dalla qualità istesssa di questi supposti vermi delineati nella Tavola V. La naturale loro grandezza e figura (Fig. 26.), gli undici anelli, da cui risultano, le estremità in un lato uncinata e nell'altro munita di due stimmate corrispondenti ad uguali trachee disposte al lungo del corpo dell'insetto (Fig. 27.), e in fine i piedi bisolcati dalle produzioni della membrana abdominale (Fig. 28.), sono altrettanti caratteri proprj delle larve delle mosche. Nella malattìa da Sauvages distinta col nome di malis (468) ben sovente la superficie del corpo si vede coperta da larve consimili. Fu, al dire di Salzmann, trasferito l'anno 1718 nello Spedale di Strasbourg un giovanetto, che nella superficie del corpo era diseminato da sorprendente copia di vermicelli, di lungheza e grossezza diversa, insinuati per metà nel tessuto cutaneo: essi ne divorarono in un modo veramente orrendo le parti molli; l'interno del cadavere non ne offrì la benchè minima traccia. Riferisce Enrico di Bra, che l'anno 1696 serpeggiò nella Westfalia e nelle annesse provincie una malattia assai feroce e particolare insieme, perché tutte le parti del corpo andavano con celerità l'una dopo l'altra sorprese da dolori corrosivi, intanto che spuntavano diversi tumori in vicinanza delle articolazioni, e de' piedi in particolare, che passati in suppurazione mandavano fuori molti vermetti articolati simili alle ascaridi vermicolari. Una malattia press'a poco uguale scoppiò nello stesso tempo in Transilvania, come si raccoglie da una lettera scritta da Eurnio a Foresto.

Vi sono delle larve di alcune specie di mosche, le quali con maggior frequenza vedute si sono annidate nell'umano organismo. Quelle della mosca domestica in numero di duecento e più sono state evacuate dal naso di un bambino di otto in nove mesi, giusta l'osservazione di Tengmalm (469). Il verme orinato da un infermo di Tulpio (470) offre tutti i caratteri d'una larva di questa specie: come pure di tal indole pare essere l'ascaride conosoma, in conformità delle riflessioni a suo luogo indicate. Gli animali e gli uomini arrivano talvolta con pena a garantirsi dalla mosca meteorica, la quale ne insidia continuamente le orecchie, onde pascesi degli umori ivi separati e deporvi eziandio le proprie uova. Si pretende ancora, che le sue larve possano svilupparsi e soggiornare nell'umano ventricolo, daddove sono espulse col metodo stato da Nouffer impiegato pel trattamento delle tenie inermi. La mosca carnaria, che si diletta delle calde vivande, e che sopra di esse depone viventi le sue larve, è pure all'uomo infestissima: di tal specie sembrano essere le larve da Wohlfart, da Locatelli e da me vedute dal naso evacuate; e larva appartenente a questo essere pare doversi giudicare l'ascaride stefanostoma del Sig. Lenz, come si è gia dimostrato. Sui cadaveri sono evidentissime le larve deposte da queste mosche, le quali crescono prontamente, perché toccano in sei, sette giorni il termine della loro grandezza. Sogliono insinuarsi sottterra per cangiarsi in ninfe, e quindici o diciotto giorni dopo di questa metamorfosi ne sorte l'insetto perfetto. La mosca putrefatta depone le proprie uova nelle piaghe immonde, ove incubate se ne svolgono le larve, che si osservano nelle piaghe de' leprosi e nelle efflorescenze cutanee: tali larve le rilevò Osiander ancora frammezzo ai varj insetti deposti dalla già enunciata sua inferma in compagnìa di quelle della mosca camaleonte e della mosca pendola. Le larve di quest'ultima le rimarcò Odhelio per seccesso eliminate.

Tratto da "Memorie fisico-mediche sopra i principali vermi del corpo umano vivente e le così dette malattie verminose" di Valeriano Luigi Brera, 1811.