giovedì 29 marzo 2018

NOTE SUL LAVORO DI DELLA TORRE ARRIGONI

Dianora Della Torre Arrigoni è l'autrice dell'interessantissimo trattato Seta selvatica: passato e presente. Il lavoro è diviso in due parti, consultabili e scaricabili sia dal sito del GENM (Gruppo Entomologico Naturalistico Meldolese) che dalla pagina dell'autrice su Academia:

Prima parte:



Seconda parte: 



Indice

Parte prima
  Caratteristiche, proprietà e usi
  Amica dell'ambiente
  Panorama storico
  La stagione europea
  Bibliografia

Parte seconda  Scenario attuale
  Da parassiti dannosi a fonte di guadagno
  Madagascar: un modello per l'Africa
  Referenze bibliografiche
  I bachi da seta esistono ancora

Immergendosi nella lettura, si apprendono molte utili nozioni. Il baco da seta, ossia la larva del bombice del gelso (Bombyx mori), non è l'unico bruco in grado di produrre un filo serico utilizzabile dal genere umano per confezionare indumenti. Esistono in natura circa 400 specie diverse dal Bombyx mori, i cui bruchi tessono un bozzolo che permette di ottenere la seta selvatica, usata da epoche immemorabili in varie parti del mondo. L'allevamento di queste larve presenta diversi vantaggi: si tratta di specie non completamente domesticate, che non dipendono dall'uomo, inoltre si nutrono di foglie di diversi alberi - mentre il baco da seta si nutre esclusivamente di gelso. L'autrice tratta le caratteristiche dei vari tipi di seta selvatica e fa un quadro storico molto esauriente del loro utilizzo. In Cina, prima ancora della domesticazione del Bombyx mori, era usata la seta ottenuta dall'Antheraea pernyi, originaria della Mongolia e utilizzata anche dalle sue genti già nel II secolo a.C. In India, la seta selvatica era conosciuta già diversi millenni prima di Cristo, mentre il baco da seta vi fece la sua comparsa soltanto più tardi, verso il III secolo d.C. Alcune farfalle produttrici di seta sono da epoche immemorabili ritenute sacre dalla religione Hindu, come ad esempio l'Antheraea mylitta, i cui ocelli erano visti come il disco di Visnu. In tempi più vicini a noi, Gandhi affermò nel corso della sua visita in Assam che "le donne Bodo tessevano sogni sui loro telai": la specie utilizzata in quella regione è Antheraea assama. Nel Messico precolombiano, gli Aztechi e altri popoli traevano la loro seta dai grandi nidi comuni delle larve di Gloveria psidii. I bozzoli di una Pieride, Eucheria socialis, fornivano agli Aztechi non soltanto tessuti, ma anche la carta. L'estinzione dell'uso della seta selvatica in Messico è molto recente, risale a circa cinquant'anni fa. Le informazioni raccolte nel trattato sono numerose e di gran pregio: ne consiglio vivamente la lettura a tutti, è qualcosa che allarga i propri orizzonti e permette di far luce su aspetti poco noti dell'esistenza.  

L'epidemia di pebrina e le sue conseguenze 

Si apprende che l'uso della seta selvatica si diffuse in Europa nel XIX secolo. Una spaventosa epidemia di natura virale aveva aggredito i bachi da seta in molti paesi, devastando la sericoltura tradizionale. La malattia era detta pebrina, dall'occitano pebre "pepe", perché sul corpo dei bachi colpiti comparivano caratteristiche macchie nere, che ricordavano nella forma grani di pepe. Il motivo di una denominazione di origine occitana è presto spiegato: i primi focolai della malattia si sono formati nel Midi francese verso la metà del secolo, diffondendosi poi a macchia d'olio. La sericoltura dipende dal seme-bachi (il vocabolo ha una struttura abbastanza curiosa), che consiste nelle uova della farfalla da seta. Col propagarsi della pebrina in Francia, l'unica risorsa degli allevatori era procurarsi seme-bachi sano da regioni in cui non era ancora giunta l'infezione. Per porre rimedio alla calamità, iniziarono così a importare seme-bachi dall'Italia. Quando l'epidemia oltrepassò le Alpi, la situazione divenne critica: la sericoltura italiana, diffusa e prospera nella quasi totalità degli stati preunitari, subì danni ingentissimi. Di qui la necessità di ricercare seme-bachi sano in terre lontane: i semai andarono a procurarselo nei Balcani, in Turchia, in Asia Centrale, in Cina e persino in Giappone - dove era iniziata l'apertura commerciale ai paesi stranieri dopo secoli di isolamento. Mi ha molto colpito la determinazione con cui i semai affrontavano la durissima via del Giappone, giungendo fino a Yokohama, dove si teneva da agosto a fine ottobre un regolare mercato del seme-bachi. I molli francesi, incapaci di tanto eroismo e privi di tempra, non tentarono nemmeno simili imprese, così quando la pebrina si estinse, la sericoltura non si fu in grado di risollevarsi. Un effetto collaterale di questa crisi fu l'importazione e l'acclimatazione in Europa di specie di farfalle da seta diverse dal Bombyx mori, come alternativa alla seta tradizionale. In particolare furono utilizzati Saturnidi provenienti dalla Cina e dall'India.  

Il Brucaliffo e la serendipità

Sono giunto a conoscere il presente lavoro per puro caso, mentre cercavo notizie sull'allevamento delle larve di Saturnia pyri, farfalla notturna nativa dell'Europa, da cui secondo alcune fonti si può ottenere seta di alta qualità. Ho ricordi d'infanzia di questi bruchi del pero, grossi e molto appariscenti, tanto da somigliare al Brucaliffo. Avevo letto da qualche parte che questa specie, diffusa dalla Spagna alla Siberia e in parte del Nordafrica, in passato era stata utilizzata nella sericoltura. Ho potuto constatare che la Della Torre Arrigoni menziona a malapena nel suo lavoro, ma riporta un fatto importante. Il bozzolo tessuto dal bruco del pero è composto da filamenti spezzati in più punti e necessita di cardatura e filatura per poter essere utilizzato. Peccato: essendo una specie autoctona, avrebbe potuto essere una risorsa importante. In passato supponevo che le larve della Saturnia pyri non fossero di facile allevamento o che la resa fosse scarsa: non potendo disporre di conoscenze più dettagliate, facevo illazioni. Adesso ho imparato qualcosa di molto utile. Navigando nel Web ho poi scoperto che la specie non si trova in Inghilterra, anche se ne sono stati recentemente scoperti alcuni esemplari a Swaythling, nello Hampshire. Con ogni probabilità provengono da un allevamento abbandonato, anche se si specifica che questa pratica non è attestata nel Regno Unito.


Etimologia di tussah

In inglese la seta ricavata dai bozzoli di bachi selvatici è detta tussah, con le varianti tussor, tussore, tusser, tussas, tussus. L'origine di questa parola è dall'indostano tasar, a sua volta dal sanscrito tasara, trasara "spola". Per motivi fonetici, il vocabolo sanscrito non può essere derivato dalla radice taṃs- "decorare; muovere", come suggerito da Monier-Williams (non dimentichiamo la variante con tr-!): è con tutta probabilità un relitto di una lingua del sostrato preindoeuropeo dell'India. 

Gli Aztechi, i bachi selvatici e la seta

Non sono riuscito a reperire i nomi Nahuatl delle farfalle Gloveria psidii ed Eucheria socialis, menzionate dall'autrice. Gli Aztechi usavano il nome ocuilicpatl per indicare la seta (selvatica), nome derivato da ocuilin "verme" e da icpatl "filo" (alla lettera "filo del verme"). Il bruco produttore di seta era chiamato tzāuhqui ocuilin "verme filatore" (da tzāhua "filare"), mentre il bozzolo era chiamato cochipilōtl (da cochi "dormire"). Un sinonimo di cochipilōtl è calocuilin, alla lettera "verme-casa" - e non "casa del verme", che sarebbe *ocuilcalli

Etimologia del nome Dianora

Non posso resistere alla tentazione di inserire un'ultima nota etimologica. Il nome Dianora, davvero curioso e raro, è attestato già in epoca medievale. La sua origine è controversa. Nasce a parer mio da Eleonora, di cui sono attestate le varianti Lionora e Lianora. Alla forma Lianora si è sovrapposto il nome della dea Diana, il cui culto è riuscito a sopravvivere alla dissoluzione dell'Impero Romano d'Occidente, perdurando a livello popolare per tutto il Medioevo.

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