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giovedì 18 giugno 2020


DOVE SOGNANO LE FORMICHE VERDI

Titolo originale: Wo die grünen Ameisen träumen
Paese di produzione: Germania Ovest, Australia
Anno: 1984
Lingua: Inglese, Yolngu, Gunwinggu 
Durata: 100 min
Rapporto: 1,85 : 1
Girato in: 35 mm 
Proiettato in: 35 mm
Colore: Colore
Audio: Mono
Genere: Drammatico
Regia: Werner Herzog
Soggetto: Werner Herzog
Produttore: Werner Herzog, Lucki Skipetic 
Produttore esecutivo: Samantha Krishna Naidu, Willi Segler
Sceneggiatura: Bob Ellis, Werner Herzog
Fotografia: Jörg Schmidt-Reitwein
Montaggio: Beate Mainka-Jellinghaus
Musiche: Wandjuk Marika
Costumi: Frances D. Hogan
Interpreti e personaggi:
    Bruce Spence: Lance Hackett
    Wandjuk Marika: Miliritbi (il Capotribù)
    Roy Marika: Dayipu (il Custode dei Canti)
    Ray Barrett: Cole
    Norman Kaye: Baldwin Ferguson
    Ralph Cotterill: Fletcher
    Nick Lathouris: Arnold
    Basil Clarke: Giudice Blackburn
    Dhungala I. Makika: Malila "Il Muto"
    Tony Llewellyn-Jones: Fitzsimmons 
    Robert Brissenden: Professor Stanner 
    Bob Ellis: Gestore del supermercato
    Michael Edols: Giovane avvocato
    Paul Cox: Fotografo
    Colleen Clifford: Miss Strehlow
    Werner Herzog: Avvocato (non accreditato) 
    Christopher Cain: Assistente dell'avvocato (non
         accreditato)
    Paul Donazzan: Pilota della Royal Australian Air Force
    Michael Glynn: Pilota della Royal Australian Air Force
    Hugh Keays-Byrne: Minatore 
    Marraru Wurrungmurra: Daisy Barunga  
    Ricky: Aborigeno bizzarro
    Ronnie: Aborigeno bizzarro
    Andrew Mack: Ufficiale del protocollo
Doppiatori italiani:
    Oliviero Dinelli: Lance Hackett 
Traduzioni del titolo: 
    Inglese: Where the Green Ants Dream
    Francese: Le Pays où rêvent les fourmis vertes
    Spagnolo: Donde sueñan las verdes hormigas
    Portoghese:
Onde Sonham as Formigas Verdes
    Russo: Там, где мечтают зелёные муравьи
    Polacco: Tam, gdzie śnią zielone mrówki
    Norvegese: Hvor de grønne maurene drømmer
    Lituano: Ten, kur svajoja žaliosios skruzdėlės
    Finlandese: Missä vihreät muurahaiset uneksivat
    Ungherese: Ahol a zöld hangyák álmodnak
    Turco: Yeşil karıncaların düş gördüğü yer
    Giapponese: 緑のアリの夢見るところ (Midori no ari ga
         yumemiru tokoro)  

 
Trama:
Siamo in una remota regione dell'Australia. Un geologo, il segaligno Lance Hackett, è stato incaricato dalla compagnia mineraria Ayers di mappare il sottosuolo di un'area desertica ricoperta di termitai, allo scopo di verificare le possibilità di estrazione di composti dell'uranio. In tale desolazione vivono alcuni aborigeni che fanno di tutto per ostacolare il lavoro del tecnico. Affermano che quella è una terra sacra, chiamata "Il luogo dove sognano le formiche verdi". La tesi che sostengono è quantomai singolare: se le attività della compagnia dovessero disturbare il sonno delle formiche verdi, si innescherebbe un catastrofico processo di distruzione del mondo intero e del genere umano. Hackett cerca di giungere a un accomodamento con quella povera gente, offrendo varie soluzioni, come ad esempio una percentuale degli introiti in caso gli scavi dovessero rivelarsi produttivi. Il punto è che si tratta di soluzioni che per un aborigeno non hanno il benché minimo significato. Alla disperata ricerca di una scappatoia, l'avvocato della compagnia e lo smilzo geologo invitano due notabili, Miliritbi (il Capotribù) e Dayipu (il Custode dei Canti), conducendoli in visita alla grande metropoli di Sidney. Sperano di impressionarli, di stordirli con le luci della civiltà. Offrono loro un pranzo sontuoso in un ristorante greco, con tanto di libagioni di vino e di ouzo, quindi li portano a vedere un aeroporto. Subito gli aborigeni sono stupiti da un mezzo aereo militare, per via del sua vaga somiglianza con una formica verde. Così esprimono il loro desiderio di possedere quel mirabile velivolo. La compagnia pensa di dimostrare la propria buona volontà acquistando l'aereo e facendone dono alla tribù, dando per scontato che non saranno sollevate ulteriori obiezioni alle prospezioni minerarie. Il problema è che il senso della gratitudine tra quelle popolazioni sembra essere molto peculiare. In particolare l'interpretazione del concetto di scambio non è così ovvia e scontata. Il Capotribù e il Custode dei Canti hanno ringraziato il cuoco greco per il pranzo. Non hanno però ringraziato la compagnia mineraria, che ha pagato il conto. Così non sembrano comprendere l'idea che il dono dell'aereo servisse al preciso scopo di rimuovere gli ostacoli: credono che si sia trattato di un atto di generosità gratuita e disinteressata, perché del sacro non si può fare mercato. Infatti la loro opposizione alle manovre della compagnia resta invariata, con grande disappunto della dirigenza. La bega finisce in tribunale. Il giudice sembra ben disposto verso gli aborigeni. I maggiorenti della tribù rendono piuttosto difficile la comunicazione: il Custode dei Canti si rifiuta giustamente di parlare inglese, così il Capotribù funge da interprete. Un avvocato difende la loro causa. Le cose si complicano perché un uomo chiamato a testimoniare può comunicare soltanto nella propria lingua, che nessuno capisce, dato che egli è l'ultimo superstite del suo gruppo tribale. Nonostante l'avvio favorevole, gli eventi hanno presto un esito disastroso. La compagnia riesce a vincere la causa. Il Capotribù e il Custode dei Canti salgono sull'aereo loro donato, assieme a un meticcio alcolizzato che riesce a farlo decollare. La sagoma del velivolo si allontana e sparisce oltre l'orizzonte. I due notabili credono che il pilota li stia conducendo verso la Terra del Sogno. Le loro speranze finiscono presto: i resti del mezzo precipitato sono ritrovati il giorno dopo tra le rocce. Un segno portentoso ed orribile.  
 
Citazioni: 
 
"Voi bianchi siete perduti. Voi... voi non potete capire la Terra. Troppe domande stupide. La vostra presenza su questa Terra presto finirà. Voi non avete un senso. Non avete uno scopo, una direzione."
(Miliritbi, il Capotribù) 
 
"La questione è, Vostro Onore, che quest'uomo è il sacro custode di tutti i segreti della sua tribù, e la sua tribù è morta. È lui l'unico sopravvissuto alla sua gente, al suo clan. Lo definiscono "Muto" perché non c'è nessuno sulla Terra che possa parlare con lui."
(Lance Hackett)  

 
Recensione:  
Ho seguito con grande interesse ogni sequenza di questa bellissima pellicola, spesso impropriamente etichettata come "documentario". Siamo di fronte a una narrazione in cui la finzione e i fatti si mescolano di continuo: la trama si basa in parte su un caso realmente accaduto, denominato "Milirrpum contro Nabalco Pty Ltd" e risalente al 1971. È stato il primo contenzioso sul titolo nativo in Australia e il primo caso legale significativo per il riconoscimento dei diritti fondari aborigeni. Il suo oggetto era la Penisola di Gove, nel Territorio del Nord. L'importanza del processo permane, anche se il giudice Richard Blackburn ha dato ragione alla compagnia Nabalco, rigettando la dottrina del titolo aborigeno di proprietà sulla terra. Una grande innovazione introdotta da Herzog sta nell'aver voluto far interpretare il film proprio agli aborigeni coinvolti in tale disputa legale. In particolare Wandjuk Djuwakan Marika (1927 - 1987) era un attivista, pittore e compositore impegnato nella lotta per i diritti delle popolazioni aborigene alle loro terre ancestrali. Era un membro del clan Rirratjingu del popolo Yolngu, stanziato nella Terra di Arnhem (Territorio Settentrionale). Suo fratello era Roy Dadaynga Marika (circa 1925 - 1993), sue sorelle erano Banduk Marika (nata il 13 ott. 1954) e Raymattja Marika (circa 1959 - 2008). 
 

La Terra del Sogno 

Quando Homo sapiens giunse in Australia (all'epoca era una massa continentale che inglobava la Tasmania e la Nuova Guinea), non trovò altre popolazioni di ominidi. C'era invece un'incredibile ricchezza di animali, molti dei quali di proporzioni gigantesche. C'erano koala grandi come orsi, vombati grandi come ippopotami, carnivori marsupiali simili a leoni, canguri enormi e via discorrendo. Anche la vegetazione era ricchissima e c'era grande abbondanza di frutti. Poi qualcosa è cambiato. Mutamenti nel clima e caccia intensiva hanno provocato l'estinzione di questa stranissima megafauna. Un progressivo inaridimento della terra ha reso inospitali vastissime regioni. Le popolazioni aborigene non hanno mai dimenticato la vita che conducevano nei loro primi stanziamenti: conservano in qualche modo memoria di specie animali estinte da lunghissimo tempo. Quello è il Tempo del Sogno, quella è la Terra del Sogno. Herzog ci descrive bene la percezione a dir poco sfocata di Miliritbi e di Dayipu, convinti in modo incrollabile che oltre il "Luogo dove sognano le formiche verdi" si estenda tuttora la loro Terra del Sogno.  
 
Tecnologia malfunzionante
 
Tutto cominicia con un orologio donato al Custode dei Canti. All'improvviso ne parte un fischio fastidiosissimo e nessuno riesce a farlo smettere. Sembra che i manufatti tecnologici smettano di funzionare in modo corretto in presenza dei due notabili aborigeni. Sembra che ci sia uno spiritello nascosto nelle macchine, pronto ad interferire con il loro funzionamento e a metterle fuori uso, tanto che nessuno riesce a porvi rimedio. Quello che è successo all'orologio, succede poi a un ascensore, che si blocca senza che se ne possa scorgere una causa chiara. Un marchingegno simile a un parallelepipedo di metallo diventa così un geroglifico dell'incomunicabilità e della natura futile del progresso tecnologico. In fondo cos'altro può essere un ascensore, se non una gabbia in cui siamo murati vivi senza speranza di salvezza?   

Il luogo dove si progettano i figli 
 
Un tempo esisteva un albero, che era particolarmente sacro, essendo l'unico nella sterile vastità. Accadeva così che gli aborigeni si riunissero in quel luogo, sedendosi a terra e discutendo animatamente su come avrebbero dovuto essere i figli che intendevano concepire. Così facendo "progettavano i figli". Non pensavano che i bambini nascessero davvero dalle copule: erano convinti che prima di venire al mondo fossero in una specie di limbo, in una terra di nessuno fatta di indeterminazione, in cui i desideri e i pensieri dei loro padri potevano agire plasmando forma e carattere. Poi vennero i coloni ad abbattere quell'albero sacro, perché fosse costruito proprio lì un supermercato, un tempio in cui, parafrasando una canzone dei Malnatt, si sacrificava al dio Conquibus. Gli aborigeni però non hanno mai dimenticato dove si trovava l'albero. Hanno continuato a sedersi proprio in quel preciso punto - in cui ormai sorgevano gli scaffali con i detersivi - facendo quello che facevano i loro avi, pensando di plasmare i nascituri.
 
L'ultimo parlante della sua lingua  
 
La molteplicità linguistica dell'Australia aborigena è sorprendente. Si pensa che prima dell'arrivo dei coloni fossero parlate più di 250 lingue, oggi ridotte a circa 100. La maggior parte delle lingue superstiti è in serio pericolo: soltanto 13 sono parlate in modo vitale da tutte le coorti di età e trasmesse alle nuove generazioni. La lingua Guugu Yimithirr, un tempo diffusissima, versa oggi in stato di grave decadenza e conta circa 800 parlanti, quasi tutti nonni. Herzog ci mostra lo stadio terminale di questo processo di decadenza di una lingua nativa, quello in cui resta un unico parlante, senza alcun interlocutore possibile. Malila, soprannominato "Il Muto", è in realtà perfettamente in grado di parlare. Egli è il Custode dei Canti del suo popolo scomparso. Come si è detto, il problema è che nessuno capisce la sua lingua, perché sull'intero pianeta egli è l'ultimo uomo a cui è stata trasmessa. Non è una situazione così paradossale come parrebbe a prima vista. Si sono dati casi simili in Australia. Lingue che erano date per estinte da molto tempo sono state ritrovate grazie alla scoperta inaspettata di un parlante isolato. Stupisce lo scarso interesse che questi rinvenimenti destano nell'opinione pubblica, completamente abbrutita. Forse non tutto è perduto. La lingua Kaurna della regione di Adelaide, il cui ultimo parlante è morto nel 1931, è stata almeno in parte recuperata grazie ai documenti lasciati da due missionari tedeschi, Christian Teichelmann e Clamor Wilhelm Schürmann. Un brillante scienziato israeliano residente in Australia, Ghil'ad Zuckermann, è impegnato nel tentativo di far rivivere lingue che si sono spente.
 

Una politica deleteria 
 
L'Australia ha una storia coloniale atroce, in cui i bambini venivano spesso strappati alle famiglie aborigene, con l'intento di farli crescere "civilizzati", ignari della loro eredità. Questa politica aberrante traeva la sua origine nel darwinismo e nella retorica massonica del progresso. Sì, proprio le "magnifiche sorti e progressive", nel cui nome sono state commesse iniquità spaventose. La distruzione delle lingue native era un pilastro di questa visione del mondo. Un politico malfattore, Anthony Forster, nel 1843 dichiarò esplicitamente che gli Aborigeni sarebbero stati civilizzati prima se la loro lingua si fosse estinta. 

Incongruenze bizzarre: linguistica 

La lingua Yolngu è di ceppo Pama-Nyungan, come la maggior parte delle lingue native australiane. Tuttavia è assai peculiare. Le tribù che la parlano, nei suoi vari dialetti, vivono nella Terra di Arnhem, nel nord del continente, in un'area che dà sul mare. Costituiscono una sorta di enclave, essendo circondate da tribù che parlano lingue non Pama-Nyungan. Appena più a sud riprende la distribuzione delle lingue Pama-Nyungan, che si estendono in lungo e in largo per tutto il continente, fino alla Grande Baia e al Mare di Tasman. Una situazione davvero complicata. Herzog ha preso le genti Yolngu dalla Terra di Arnhem e le ha trapiantate nel Deserto Centrale, proprio nell'arido cuore del continente, in un'area scarsamente popolata dove si trovano soltanto lingue Pama-Nyungan da molti secoli.   

Incongruenze bizzarre: entomologia 

A un certo punto compare una specie di scienziato pazzo dai capelli quasi canuti, forse un albino o un leucistico, che nelle intenzioni del regista doveva richiamare Klaus Kinski. Sono sicuro che il fiero attore di Danzica avrebbe reagito con furia alla proposta di una simile parte così poco rilevante. All'epoca in cui fu girato questo film, il regista non aveva ancora rotto con lui, ma il disastro sarebbe avvenuto pochi anni dopo. Ecco il surreale dialogo tra il frenetico uomo di Scienza e il magro geologo: 
 
Scienziato: "Perché sono qui? Ecco, glielo dico subito. Non c'è nessun altro posto in Australia dove  il campo magnetico sia distorto in modo così abnorme."
Geologo: "Lei l'ha misurato?"
Scienziato: "Sì, naturalmente. E siccome la formica verde è l'unica creatura sulla Terra che ha un organo sensitivo in linea con i campi magnetici, come se fosse una bussola vivente, io la faccio impazzire creando campi magnetici addizionali. Ecco, le nostre piccole amiche sono capaci di trasformare l'intero paesaggio. In meno di un giorno riescono ad innalzare termitai alti sei piedi, duri come roccia. 
Si allineano sempre nella direzione nord sud, a scavare immensi sistemi di tunnel sottoterra. Si nutrono di legno. Masticano di tutto, e possono masticare anche un sotffitto rinforzato di metallo per arrivare al legno. Le nostre formiche verdi non sono dotate di un apparato digerente molto sviluppato, così vivono in simbiosi con dei batteri unicellulari che stanno nel loro intestino. Biologicamente parlando la formica verde non appartiene assolutamente alla famiglia delle formiche. Le somiglia soltanto. Sono una specie di tèrmiti e sono imparentate con la famiglia degli scorpioni. Mi sono spiegato?" 
Geologo: "Sì. In quanto agli aborigeni?" 
Scienziato: "Sì, sì, sì, gli Abos, quelli neri. Devono aver notato che le nostre amiche sono come banderuole prima della tempesta. Come fossero un esercito si allineano verso nord e poi si fermano in mezzo al loro sentiero, il che vuol dire come si dice, che sognano, sognano il Tempo dei Sogni, delle origini del mondo." 
Geologo: "Bene, ma quello che volevo sapere..."
Scienziato: "Ah sì, le formiche sono senza sesso."
Geologo (perplesso): "Senza sesso?" 
Scienziato (in evidente stato allucinatorio): "Spero che capisca quello che dico. Una sola volta l'anno gli spuntano le ali e volano verso est, sui monti, in giganteschi sciami. Solo due di questo gruppo si differenziano sessualmente e si accoppiano. La femmina... la femmina diventa regina e il maschio principe consorte. Mi sta seguendo? La femmina depone 40.000 uova al giorno, molto più di quanto pesi. Resta immobile al centro della struttura. Diventa 100 volte più grossa della sua misura di partenza, quasi due pollici. Il maschio... il maschio resta piccolo e feconda le uova. anche lui trova riugio sotto la regina, e si spaventa facilmente. Quando la regina - lei mi segue vero? - quando la regina diventa sterile, l'intera colonia comincia a morire. Arrivano i guerrieri... A nugoli gli insetti leccano la regina fino a consumarla, e allora una nuova generazione si prepara a volare sulle montagne!" 

Herzog non è uno scienziato. Senza dubbio è un grande poeta, e per questo dobbiamo ammirarlo. Certo che nel dialogo sono contenute inconsistenze sesquipedali. Batteri unicellulari? Come se esistessero anche di pluricellulari! Le termiti imparentate con gli scorpioni? Oltretutto, nel contenitore di vetro mostrato dallo scienziato, vediamo normalissime formiche, non termiti. 

I numeri nel Paleolitico  

Questo dice il giovane avvocato della tribù durante il processo: 

"Lasciatemi tornare al concetto di numero secondo gli Aborigeni. La loro nozione di quantità è totalmente diversa dalla nostra. Non è regolata da una numerazione astratta, perciò in molti dialetti tribali ci sono numerazioni da uno a tre. Tutto quello che viene dopo è definito "molti". Ad ogni modo, se un mandriano nero ha una mandria di 600 mucche, rinchiuse nel suo recinto, gli basta uno sguardo per accorgersi che ne mancano due. Esistono ancora queste capacità. Se, per esempio, una madre con sei figli sta caricando i bagagli su un treno, in una stazione affollata, e uno dei figli corre a bere, quella madre saprà con un solo sguardo, senza contare, che ne manca uno." 

La verità è che simili sistemi numerali rudimentali sono ancora abbastanza comuni nel mondo. Questo non avviene perché i popoli incapaci di contare oltre il tre siano "primitivi" o "scarsamente evoluti" - come piace pensare ai materialisti seguaci del darwinismo. Presso tali popoli non esistono sistemi numerali complessi perché non sono utili nel contesto, non servono a nulla.

I meticci politicizzati 

Pieni di rabbia e di livore, i meticci che protestano in aula non conoscono una sola parola di una lingua aborigena, a parte quelle entrate nel lessico comune anglosassone (es. boomerang, cangaroo, etc.). Magari credono anche alla stoltissima leggenda sull'etimologia di cangaroo, pensando che significhi "non ti capisco" e che il significato corrente si debba a un equivoco del Capitano Cook. Il loro sentire è abissalmente distante da quello del Capotribù e del Custode dei Canti. Tra loro non esiste comunicazione possibile. I due notabili aborigeni sentono e pensano come uomini del Paleolitico, incontaminati superstiti di un'epoca remota, mentre i meticci sentono e pensano come le Pantere Nere americane, come la Sinistra radicale dell'Università di Berkeley: in loro tutto è ideologia, tutto è politica, tutto è follia. Perché dico che la loro è follia? Semplice: perché vogliono riscrivere la Storia e l'Universo servendosi del linguaggio ideologico e politico. La realtà dei fatti per loro è irrilevante, contano soltanto le loro storture postmoderne. Dove la realtà cozza con l'ideologia e con la politica, attuano la sua rimozione. Non hanno nulla in comune con gli Aborigeni che hanno conservato la propria lingua. Sono i Figli dell'Oblio. Perché non si impegnano nell'apprendimento della lingua dei loro avi?   

Le Età della Specie Umana 

1) L'Età dell'Autismo. Nel Paleolitico gli umani erano sprofondati nell'autismo. Non connettevano l'atto sessuale al concepimento. Vivevano nel Tempo del Sogno
2) L'Età della Schizofrenia. Nel Neolitico è cominciato qualcosa di nuovo: lo sviluppo delle società agricole ha portato al prevalere della schizofrenia. La schizofrenia è stata l'innesco che ha causato la diffusione delle religioni organizzate e di altre forme di pensiero articolato (filosofia, Scienza, etc.). Questa tendenza si è imposta e generalizzata nel corso dei successivi millenni, accentuandosi sempre più. 
3) L'Età della Demenza. Esaurito il genio della specie Homo sapiens, l'imporsi dell'Era Informatica ha portato a una nuova deriva. Il pensiero umano si è disarticolato, è andato in pappina, si è gradualmente dissolto. Soltanto le sue forme esteriori si sono conservate, senza però alcuna sostanza soggiacente. Così ha avuto origine una nuova funesta Età: quella della Demenza, ossia del Postmodernismo. 
 
Si comprende all'istante che la popolazione aborigena australiana non soggetta all'acculturazione, tagliata fuori dal resto del mondo per lunghissimo tempo, permane nel Paleolitico, nell'Età dell'Autismo. La sua stessa esistenza è una testimonianza preziosissima che ci permette di gettare luce sul nostro passato più lontano. L'autismo funzionale è una caratteristica che ha permesso la sopravvivenza di quelle genti nei millenni. La profezia di Miliritbi è veritiera e di grandissima attualità: la demenza postmoderna porterà presto miliardi di persone al disastro.     

Curiosità 

Si dice che l'intero impianto mitologico fondato sulle formiche verdi e sui loro poteri sia stato inventato da Herzog. Secondo lo stesso regista non sarebbe esistito nulla di simile nel complesso mondo dei racconti dei nativi. In realtà l'attore Wandjuk Marika ha sostenuto che un mito fondante basato sui sogni delle formiche esisteva davvero in un clan della zona di Oenpelli. 
 
Si basa su un fatto realmente accaduto l'incidente assai buffo in cui un manufatto segreto viene mostrato al giudice durante il processo, come prova dei diritti della tribù sulla terra minacciata dalla compagnia mineraria. 
 
I nomi di due personaggi, Baldwin Ferguson e Miss Strehlow, forniscono collegamenti con antropologi noti per il loro lavoro sugli Aborigeni. Baldwin Spencer (1860-1929) era un antropologo britannico-australiano che fece studi pionieristici nel campo. Theodor George Henry Strehlow (1908-1978) è stato notato per i suoi studi sul popolo Arunta (Arende) dell'Australia centrale. 

Herzog dedicò questo film alla madre, che morì proprio nel periodo in cui erano in corso le riprese.

venerdì 18 maggio 2018

LE ORIGINI DEL BUNGA BUNGA!


Tutti su questo pianeta conoscono la locuzione bunga bunga, con le sole eccezioni degli antropofagi dell'isola di Sentinel e forse di qualche tribù incontattata dell'Amazzonia. Forse. Infatti è possibile che anche tra le più isolate genti della foresta peruviana e brasiliana sia giunta qualche notizia sui festini orgiastici della villa di Hardcore, che tanto scalpore hanno suscitato tra le genti all'epoca del Governo Berlusconi IV. Una grande pubblicità per questo paese, non c'è che dire. Ricordo ancora il sorprendente caso di un connazionale che andò in Botswana, un paese remoto e ancora pagano dell'Africa: appena fece sapere la sua provenienza con un legnoso "Hello, I am from Italy", si sentì salutare così: "ITALIANO BUNGA BUNGA!". Persino in Afghanistan, i Talebani sapevano tutto e ne ridevano. Il colmo si ebbe quando in Argentina fu aperto un bordello intitolato Palacio Berlusconi, il cui proprietario intendeva replicare proprio il famoso rito, il bunga bunga! Quattro sillabe soltanto, che mimano il rumore prodotto dallo stantuffare di un fallo turgido nell'intestino retto, sono bastate a sconvolgere il mondo - anche se a quanto pare si trattava più che altro di lingue che scavavano a fondo negli orifizi femminili. 


Primi tentativi di spiegazione

Sorge a questo punto una domanda. Quali sono le origini del bunga bunga? A quanto è possibile ricostruiere dalla testimonianza dei mass media, la grottesca locuzione cominciò a diffondersi nel 2010. Era a quei tempi opinione comune che Berlusconi avesse appreso il costume del bunga bunga da Muammar Gheddafi, che avrebbe chiamato in quel modo una sessione orgiastica fondata sul sesso anale con prostitute (il condizionale è d'obbligo). L'immaginario italiano trovò naturale far entrare il bunga bunga nel proprio vocabolario, dato che il suono africanoide evocava qualcosa di esotico, sfrenato e primitivo. Oggi queste vocalizzazioni sarebbero definite "razziste", ma soltanto pochi anni fa non ci badava nessuno. Quando venni a conoscenza di questa attribuzione a Gheddafi di una simile onomatopea, rimasi subito molto perplesso e dichiarai il mio scetticismo. Non può avere nulla di arabo, compresi all'istante. Già, perché non è una pretesa così assurda: dal momento che Gheddafi si esprimeva in arabo libico, ci saremmo aspettati un vocabolo tratto da tale lingua, magari adattato in modo grossolano all'italica fonotassi. Non ci pensai troppo a lungo, avendo ben altri problemi - tra l'altro Berlusconi profondeva un impegno indefesso nella causa della censura e dell'annientamento dei blog.


La beffa della Dreadnought

Indagando negli antri del Web, sono riuscito a risalire a una notizia davvero singolare. Nel 1910, esattamente un secolo prima dell'emergere del bunga bunga berlusconiano, un gruppo di rampolli della buona società inglese organizzò una tremenda bravata goliardica. L'ideatore della burla fu il poeta irlandese Horace de Vere Cole, conosciuto per il suo carattere burlone, non dissimile da quello del Marchese del Grillo. Accadde così che lui e cinque suoi amici si travestirono annerendosi il volto, mettendosi barbe posticce, indossando lunghi abiti bianchi e coprendosi il capo con voluminosi turbanti. L'identità di questi buontemponi non è un mistero. Ecco i nominativi: Virginia Stephen, che in seguito sarebbe diventata famosa come Virginia Woolf; suo fratello Adrian Stephen; lo scrittore e  militare Anthony Buxton; l'avvocato dell'Alta Corte Cecil Guy Ridley e il pittore Duncan Grant. Cole intendeva spacciarsi per l'Imperatore dell'Abissinia e presentare gli altri come suoi dignitari, allo scopo di visitare la corazzata britannica Dreadnought (ossia "Intrepida", da to dread "temere" e nought "niente"). Così fu fatto e tutto andò alla perfezione. L'Imperatore fittizio d'Abissinia e i principi fasulli ispezionarono la nave da guerra mostrando grande interesse. Ogni volta che veniva loro mostrata qualche meraviglia della tecnologia dell'epoca, esprimevano un'immensa ammirazione esclamando: "BUNGA BUNGA!". Questi aristocratici rentiers, che non lavoravano o lo facevano per hobby, simulavano conversazioni abissine alterando versi dell'Eneide, appresi nel corso dei loro studi nelle più esclusive università. Virginia Stephen, che in seguito avrebbe incantato le lesbiche di mezzo mondo, si presentò addirittura come Principe Mendex, parola chiaramente derivata dal latino mendax "bugiardo, menzognero". Sembra evidente che l'educazione dei militari britannici non includesse grandi nozioni di lingue classiche, visto che all'Impero servivano soldati con le palle di granito fumante e non filologi classici. Così il comandante della nave, Sir William May, non ebbe la possibilità di accorgersi che lo stavano tirando per il culo. Tutto si concluse per il meglio, nonostante piccoli incidenti (uno scroscio di pioggia minacciò di sciogliere il trucco degli impostori). Invitati a pranzare a bordo della Dreadnought, i finti abissini rifiutarono con una scusa speciosa: non era loro possibile accettare l'invito per via delle complesse norme alimentari a cui erano soggetti i membri della casa imperiale. La beffa non rimase senza conseguenze: lo stesso Cole fece in modo che divenisse di pubblico dominio. In breve, su tutti i principali quotidiani comparve una foto del gruppo assieme al resoconto dell'impresa. La Royal Navy, coperta di ridicolo e oggetto di satira, chiese subito l'arresto dei burloni. Dato l'immenso potere massonico delle università, il gruppo non conobbe il processo e la prigionia. La punzione fu soltanto simbolica. Ai soli uomini fu assestata una bastonata rituale sulle natiche, che aveva più che altro l'effetto di sottoporre i colpevoli a un'umiliazione. Alla pena scampò Virginia Stephen, il cui delicato deretano fu ritenuto degno di rimanere inviolato. Cinque anni dopo, nel 1915, quando la Dreadnought affondò un sommergibile tedesco, un telegramma di congratulazioni riportava soltanto due parole: "BUNGA BUNGA!". Anche il CICAP ha sentito la necessità di occuparsi dell'argomento, per quanto non veda in esso neppure una traccia di paranormale. 



La questione della pronuncia

Sul Western Daily Mercury comparve a caratteri cubitali il titolo "Bunga Bungle!", ossia "il pasticcio del bunga (bunga)", che giocava sull'assonanza. Questo pone un problema. Dal momento che la pronuncia di bungle è /ˈbʌŋɡl/, sorge il dubbio che bunga bunga potesse suonare /ˈbʌŋɡǝ ˈbʌŋɡǝ/ anziché /ˈbʊŋɡǝ ˈbʊŋɡǝ/, come sarebbe invece naturale. Questo anche perché la colorita espressione si è diffusa soprattutto a mezzo stampa, potendo dar quindi origine a pronunce ortografiche. Gli anglofoni posseggono un sistema molto ingegnoso quanto molesto per scrivere correttamente le parole e i nomi propri che sentono pronunciare: ne domandano lo spelling, ossia la ripetizione rituale e salmodiante dei nomi delle lettere dell'alfabeto che compongono la forma scritta. Così il Signor Beauchamp, il cui cognome suona /'bi:tʃǝm/, intonerà una cantilena irritante scandendo con cura maniacale: "bee, ee, a, u, cee, haitch, a, em, pee". Peccato che non sia mai stato elaborato il procedimento inverso, in grado di permettere di ricostruire la corretta pronuncia dalla forma scritta di una parola senza poterla ascoltare direttamente. Senza un simile espediente, un lettore si troverà incapace di articolare correttamente un nome sconosciuto e inventerà pronunce ortografiche. Aleister Crowley inventò un rimedio rudimentale, ma non riuscì a renderlo generale. Aveva composto alcuni versi inequivocabili per spiegare il giusto suono del suo cognome: The name is Crowley, it rhymes with holy. It isn't Crowley that rhymes with fouly. Con Noam Chomsky la cosa non ha funzionato: il cognome è pronunciato dai più con il suono iniziale di cheese, mentre la pronuncia corretta inizia con il suono aspirato di loch. La controversia sulla pronuncia anglofona di bunga bunga è presto risolta facendo un giro in Youtube: è sicuramente /ˈbʌŋɡǝ ˈbʌŋɡǝ/. Avrei dovuto arrivarci subito, data l'assonanza con bum "chiappe" e bumhole "buco del culo", a loro volta di origine onomatopeica. 



Ulteriori evoluzioni 

In seguito alla beffa della Dreadought, la locuzione bunga bunga finì pian piano con l'acquisire un nuovo significato. A un certo punto cominciò a circolare una storiella con tre esploratori come protagonisti. La riporto in estrema sintesi. Questi esploratori si addentrano in una terra impervia e selvaggia dell'Africa profonda, finendo catturati dai nativi. Il capo del villaggio impone ai prigionieri di scegliere due alternative: o la morte o il bunga bunga. Il primo a cui viene chiesto di scegliere opta per il bunga bunga. Viene sodomizzato brutalmente da tutta la tribù e poi bruciato vivo. Il secondo progioniero, temendo che il capo del villaggio abbia capito male la risposta, sceglie anche lui il bunga bunga. Fa la stessa misera fine dell'altro. Il terzo, visti gli orrori a cui i suo compagni sono stati sottoposti, chiede la morte. Il capo allora gli dice: "Hai chiesto la morte e l'avrai, ma prima divertiamoci con un po' di bunga bunga!". La scelta non era un aut aut, ma un et et. La barzelletta giunse in Italia, a quanto pare negli anni '80. Oltre a bunga bunga, si produce la variante bumba bumba. Alcuni pensano erroneamente che la forma bumba bumba sia quella originale, perché l'avrebbe usata Paolo Rossi nel 2001. A quanto pare costoro ignorano gli antefatti, così la loro tesi è da rifiutarsi. Quello che è certo è che Silvio Berlusconi ha riciclato proprio questo materiale, rilanciando la barzelletta. Secondo alcuni lo avrebbe fatto nell'aprile del 2009, un anno prima della diffusione pandemica di questo splendido ritrovato dell'ingegno umano. Associato allo scandalo Ruby e a voci insistenti su festini degni di Jabba the Hutt, il bunga bunga divenne la cifra di un'epoca.



Sabina Began e una falsa etimogia

I media si sono lasciati incantare da una fola meritevole di scherno. Sabina "Ape Regina" Began, nata Sabina Beganović, attrice tedesca di stirpe bosniaca, affermò in un'occasione che il termine bunga bunga sarebbe stato in realtà un suo soprannome. Sabina "Bunga Bunga" Began. Stando alle sue parole, che risalgono al 2011, la rudimentale onomatopea africanoide sarebbe derivata proprio dalla distorsione del suo cognome abbreviato. Un mai attestato Began Began, ripetuto in modo confuso, avrebbe portato proprio al famigerato bunga bunga. Si tratta chiaramente di un depistaggio. Tra l'altro, le affermazioni della Began non rendono in alcun modo conto dei fatti della corazzata Dreadnought e delle attestazioni inequivocabili della barzelletta dei tre esploratori ben prima del 2010. 



Falsi amici

Nel 1852 l'editore scozzese James Hogg aveva citato in una sua opera un toponimo australiano Bunga Bunga, senza peraltro riportare a questo proposito alcunché di eclatante. A parer mio non è stato questo il punto di partenza del bunga bunga di cui stiamo trattando, la cui origine onomatopeica e i cui connotati sessuali sono fuori discussione. La mentalità che ha portato alla beffa della Dreadnought era impregnata di darwinismo e di positivismo: intendeva ridicolizzare i suoni prodotti dalle genti africane, tutte confuse in un gran calderone, attribuendo loro caratteristiche "scimmiesche". A muovere Horace de Vere Cole, la futura Virginia Woolf e gli altri non fu certo un nome di luogo trovato in uno scritto di Hogg. Resta però una domanda. Qual è l'origine del Bunga Bunga australiano? In malese e in molte lingue indonesiane correlate, bunga significa "fiore". Il plurale è bunga-bunga "fiori", ottenuto regolarmente per reduplicazione. Nel XVIII secolo giunsero in Australia genti dall'Indonesia, prima del capitano James Cook. Questi navigatori ebbero contatti con gli aborigeni - in particolare con gli Yolngu - dando loro in prestito alcuni vocaboli. Un affascinante argomento che purtroppo non può essere sviluppato qui, ma prometto che sarà trattato in un'altra occasione.

martedì 15 maggio 2018

ETIMOLOGIA DI BOOMERANG

La parola boomerang proviene in ultima analisi dalla lingua Dharruk (Dharug). Secondo altri la lingua d'origine sarebbe invece il Dharawal (Tharawal, Turuwal, etc.), che è comunque imparentato col Dharruk e ritenuto un suo sottogruppo. Il termine Dharruk è buumarang, mentre in Dharawal troviamo diverse varianti, come wumarang, bumarang e bumarit, che indicano il boomerang usato in combattimento. Per designare un simile strumento usato per la caccia, si usano altre parole, come warrangan e kurra-bodu

Sussiste qualche dubbio sulle modalità di penetrazione del termine in inglese. Il dizionario Etymonline, che a quanto pare considera estinto il Dharruk, riporta che la prima attestazione della forma boomerang risale al 1827. Viene quindi citata un'altra variante, wo-mur-rang, nel 1798. Mentre Etymonline considera l'informazione abbastanza dubbia, in Wikipedia si riesce a risalire al glossatore, David Collins, e alla sua opera, An Account of the English Colony in New South Wales - Appendix XII (Language). Questo wo-mur-rang di Collins è proprio il Dharawal wumarang, fatto e finito. La forma Dharawal bumarit è riportata in un manoscritto anomino del 1970 con l'ortografia Boo-mer-rit e tradotta con "the Scimiter". Nel 1822 è attestato bou-mar-rang con l'esplicita attribuzione ai Dharawal stanziati nell'area di Port Jackson. Gli Eora, che parlavano una dialetto del Dharug, usavano woomera.    

Come si può vedere dall'opera di Dixon e Blake (Handbook of Australian Languages), nelle lingue Margany e Gunya del Queensland il termine per indicare il boomerang è waŋal. Notiamo però che il giavellotto è chiamato wamada, wamadu o biwiny in Margany e wamaṛa in Gunya. Evidentemente la parola imparentata con boomerang è proprio qualla che indica il giavellotto: si capisce subito che wamaṛa / wamada e boomerang sono derivati dalla stessa protoforma. Non è tuttavia facile capire gli slittamenti semantici che hanno portato alla situazione descritta. Il Margany biwiny deve essere derivato da una radice diversa. Un bastone da getto più piccolo, diverso dal boomerang, è chiamato muru in entrambe le lingue in questione, che sono di ceppo Pama-Nyungan.

Wikipedia riporta un'interessante mappa di diffusione dell'uso del boomerang, opera di SuperJew e basata sui dati di Martyman da Canberra, che linko in questa sede con l'apposito codice (è coperta da Copyleft):  

Australia Boomerang Distribution

Le aree in marrone scuro erano abitate da tribù che ignoravano l'uso del boomerang ("Boomerangs not made"). Le aree in giallo erano abitate da tribù che conoscevano soltanto l'uso del boomerang non ritornante ("Only Non-returning Boomerangs made"). Le aree in marrone chiaro erano abitate da tribù che conoscevano l'uso di entrambi i tipi di boomerang, quelli ritornanti e quelli non ritornanti ("Returning & Non-returning Boomerangs made"). 

Possiamo fare alcune riflessioni a partire dalla situazione storica mostrata dalla mappa. Il boomerang era sconosciuto praticamente nell'intera area in cui sono documentate o tuttora parlate lingue non appartenenti alla famiglia Pama-Nyungan. Per rendersene conto, basta osservare una mappa di distribuzione delle lingue australiane. Riporto da Wikipedia la mappa prodotta da Kwamikagami, che ne detiene i diritti di Copyright ma ne concede gentilmente l'uso: 


Le aree color zabaione sono le sedi di tribù di lingua Pama-Nyungan. Le aree di colori diversi (arancione, grigio e verde pistacchio), nel Nord del continente, sono le sedi di tribù di lingua non Pama-Nyungan. 

L'area corrispondente al Queensland è di lingua Pama-Nyungan ma senza uso del boomerang. Posso immaginare che in origine in quella zona fossero parlate lingue non Pama-Nyungan, poi assorbite dai nuovi arrivati, lasciando eventualmente elementi di sostrato. Sarebbe interessante compiere investigazioni. Anche nel Sud del continente c'è un'area in cui il boomerang non era prodotto. Senza dubbio in passato la situazione linguistica era molto più complessa.

A questo punto salta fuori un grave problema. L'archeologia ci dice che il boomerang è antichissimo e che esistono sue raffigurazioni rupestri risalenti ai primi tempi del popolamento dell'Australia, 50.000 anni fa. La linguistica ci porterebbe a credere a un'invenzione molto più recente, corrispondente al diffondersi delle lingue di tipo Pama-Nyungan (resta aperta la questione se si tratti di una famiglia linguistica valida o di una Sprachbund). Come mettere d'accordo queste evidenze discordanti? La realtà deve essere ben più complessa di quanto immaginiamo. Venirne a capo richiederà molto studio. 

I Tasmaniani, il cui livello tecnologico era talmente basso che ignoravano persino sistemi per accendere il fuoco, ignoravano l'uso del boomerang. Non è però chiaro se sia sempre stato così. Jared Diamond ha scritto delle genti di tale isola, dicendo che vi importarono una tecnologia comune alle genti dell'Australia, per poi perderla. Secondo lo studioso, ritrovamenti archeologici dimostrerebbero che in epoche remote era conosciuto in Tasmania l'ago d'osso, di cui non fu trovata traccia alcuna nell'epoca storica. Per spiegare questi singolari fatti, Diamond ipotizzava che nell'isola visse uno sciamano fanatico, una sorta di ayatollah preistorico, che aveva colpito con l'interdetto diversi ritrovati tecnologici che si sono conservati in Australia. Forse un tempo il boomerang era noto ai Tasmaniani, che ne hanno poi abbandonato l'uso? Forse gli aborigeni australiani di lingua non Pama-Nyungan hanno in gran parte subìto un'involuzione tecnologica di questo tipo? Sarebbe bello poter iniziare un serio dibattito.

ETIMOLOGIA DI VOMBATO

La parola vombato, giunta in italiano dall'inglese wombat, deriva dalla lingua Dharruk, la stessa che ha dato anche i nomi del dingo e del koala. La forma d'origine del nome del goffo marsupiale è wambad, con le varianti wambaj e wambag. La trascrizione di queste forme nell'ortografia inglese ha dato anche womback e wombar, come testimoniato dal database Etymonline. A quanto pare è documentata anche una forma womat, con semplificazione del gruppo consonantico -mb-. Queste oscillazioni si spiegano con ogni probabilità ammettendo che la consonante finale avesse un suono che non veniva interpretato correttamente dagli ascoltatori anglofoni, oppure che una protoforma complessa abbia dato origine a esiti diversi. 

Dai documenti rimasti ai nostri giorni, sembra che la parola sia entrata in inglese nel tardo XVIII secolo con la grafia whom-batt, e che la sua introduzione sia opera di un ex galeotto che viveva con gli aborigeni sulle montagne ad ovest di Sidney. Nel 1798, il whom-batt fu descritto al governatore dello stanziamento di Cove, nei pressi di Sidney, come un grosso animale tra l'orso e il tasso ("a large animal between a bear and a badger").

Nella lingua Wiradjuri, parlata nella regione centrale del Nuovo Galles del Sud, la parola per indicare il vombato è wambad, in pratica la stessa usata in Dharruk. Riuscire a ricostruire una lista di nomi del marsupiale in questione in altre lingue non sembra facile: anche siti che hanno permesso di mettere insieme non pochi nomi del dingo, si dimostrano avari in modo sorprendente. La causa sarà da ricercarsi nell'areale del vombato, che non è poi così esteso: se un popolo vive in un'area in cui non ci sono questi animali, non avrà un nome nativo per indicarli.


A questo punto riporto un caso curioso, che ben si spiega guardando gli areali riportati nel sito. Nella lingua Yukulta (Ganggalida), un tempo parlata nel Queensland, il nome del vombato era wampita. Secondo Dixon e Blake (Handbook of Australian Languages), wampita è un prestito dall'inglese wombat. La cosa può sembrare controintuitiva, ma se nel territorio degli Yukulta non c'erano vombati, la spiegazione è immediata.

Nelle lingue dei Tasmaniani, che erano molto dissimili dalle lingue australiane, il vombato era chiamato raoomta, rowoomata, rowitta, drogermutter (l'ultima forma è glossata "badger", ossia "tasso"). L'attribuzione concreta di queste parole ai vari gruppi che vivevano nell'isola si presenta difficile. Tuttavia trovo innegabile che le parole riportate derivino tutte da un'unica protoforma, forse qualcosa che suonava *dragwomatta. La consonante -r finale di una sillaba chiusa è meramente grafica: ad esempio si ha Parlevar per Palawa, nome che si davano questi aborigeni. Non essendo un esperto nella materia, la ricostruzione potrebbe anche esserre fallace. Non so se la cosa sia legittima, ma noto che se potessimo segmentare questa protoforma e considerarla un antico composto, otterremmo *drag-womatta, con il secondo membro -womatta che ricorda in modo sorprendente le forme attestate in Australia. Se questa mia ipotesi potesse essere confermata da qualche specialista, avrei trovato un'isoglossa tra le lingue della Tasmania e dell'Australia Orientale. Il risultato sarebbe di per sé notevole, anche se credo che nessuno ci farà caso, essendo questo portale condannato alla maledizione dell'invisibilità.

Abbiamo ancora un po' di spazio per una curiosità scatologica. I vombati depongono feci cubiche. Molti nel Web si chiedono perché: una domanda tipica è "why do wombats do cube shaped poo?". La risposta a un simile interrogativo non è poi così difficile. I vombati non hanno un ano quadrato. Hanno semplicemente un intestino molto lungo e processi digestivi molto laboriosi, che portano alla produzione di masse compatte di feci con scarso contenuto di acqua. Questi escrementi secchi e densissimi sono plasmati da creste contenute nel colon. L'intestino retto è per sua natura corto e non è quindi in grado di conferire ai blocchi escrementizi la tipica forma cilindrica tipica dei prodotti degli umani e di molti altri animali.

sabato 12 maggio 2018

ETIMOLOGIA DI KOALA

Il nome del koala (pronuncia /kəʊˈɑːlə/, /ˈkwɑːlə/) proviene dal Dharruk (Dharug) gula, con la variante gulawany. Date le difficoltà nel vocalismo, si è tentati di ipotizzare che il vocabolo a noi tutti ben noto si sia in realtà originato in una lingua diversa, anche se evidentemente imparentata con il Dharruk, o da un particolare dialetto di quest'ultimo. Infatti una vocale /u/ non avrebbe potuto evolgersi fino a dare /wa:/ nell'inglese dei coloni. Esiste l'idea che koala possa essere nato da gula tramite un errore di trascrizione di un copista e che poi ne sia derivata una pronuncia ortografica: il dittongo grafico oa sarebbe servito a trascrivere il suono di parole inglesi come toad, load, goal e via discorrendo, finendo quindi equivocato. Se devo essere franco, trovo questa ipotesi piuttosto improbabile, data anche la prevalenza dell'analfabetismo tra il volgo che concretamente usava vocaboli di questo genere. Come ha potuto il dittongo grafico oa finire pronunciato /wa:/ a dispetto del fatto che in un'infinità di parole inglesi suona //, /əʊ/? Resta il fatto che in altre varianti grafiche riscontrate, come colah, colo e kaola, il suono è di certo //, con ogni probabilità un tentativo di rendere /o:/. Forme come coolah, kula e kulla trascrivono invece pronunce con /u:/ o con /ʊ/. Come risolvere la questione? Eureka! Basta partire dalla forma gulawany, dove la -y finale trascrive una semivocale che si appoggia alla nasale /n/. Ecco svelato l'arcano. Da gulawany si è avuta una forma metatetica *guwalany, donde *guwala, *kuwala!  

La stessa forma gula del Dharruk si trova anche nella lingua Ngunnawal, tipica della regione di Canberra. Troviamo poi svariate trascrizioni di forme molto simili e di certo collegate, come cullawine (Nuovo Galles del Sud, Blue Mountains) e koolewong (Nuovo Galles del Sud, regione costiera centrale). Denominazioni più distanti si trovano in altre lingue. Alcune, come karbor (Regione di Murray, forse da *kwal-bor), gooda (forse da un precedente *gula) e kooraban (forse da *gulawan), potrebbero appartenere alla famiglia del Dharruk gula, mentre altre sono senza dubbio formate a partire da radici diverse. Così abbiamo una varietà di forme attestate:

bangaroo 
gumbawur
narnagoon
pucawan
burrunda

barrandang

boorabee 
tugaree

toongool

yarri
 

Vediamo all'istante che alcune sono tra loro imparentate: si può ricostruire un'origine comune per coppie come bangaroo - gumbawur e come burrunda - barrandang. Nella regione di Brisbane, nel Queensland, troviamo altre denominazioni altrettanto stravaganti:

dumbirrbi (lingue Yugara e Turubul)
marrambi (lingua Yugarabul)
borobi (lingua Yugambeh)    

Veniamo ora a un diffuso mito, anche se non certo dannoso come quello di kangaroo tradotto con "non ti capisco". Secondo moltissime persone, il termine koala significherebbe "senz'acqua" o "che non beve". In inglese le glosse più comuni sono "no water" e "no drink", ma non ne mancano di più bizzarre, come "thirst" e "water deficiency". Questa interpretazione non si fonda su evidenze scientifiche di sorta: si tratta di un'ingegnosa falsa etimologia formatasi dalle abitudini potorie del simpatico marsupiale, che ricava la maggior parte dell'acqua che gli serve masticando senza sosta enormi quantitativi di foglie di eucalipto. In realtà è stato constatato che se si dà all'animale dell'acqua in un trogolo, questo la trangugia senz'altro. L'etimologia più plausibile è dalla radice gali-, galu-, gala-, gula- "arrampicarsi", che ricorre nelle lingue della regione di Sidney. Una documentazione molto interessante è riportata in un post del blog Sidney Aboriginal Language Insights, ospitato da Blogspot e ormai morente: 

venerdì 11 maggio 2018

ETIMOLOGIA DI CANGURO

La parola canguro, inglese kangaroo, deriva dalla lingua Guugu Yimithirr: gangurru significa "canguro grigio". La pronuncia trascritta in caratteri IPA è /ɡaŋʊrʊ/. Questo nome fu registrato come kanguru il 12 luglio 1770 nel diario di Sir Joseph Banks, nel luogo ora chiamato Cooktown, sulle rive del fiume Endvour, dove il vascello Endevour stette spiaggiato per quasi sette mesi sotto il comando del luogotenente James Cook, per le necessarie riparazioni dei danni subiti sul Great Barrier Reef. Cook descrisse per la prima volta i canguri nel suo diario il 4 agosto. Il Guugu Yimithirr era proprio la lingua delle genti di quella regione.

Esiste un ridicolo mito, molto diffuso e nocivo, che riconduce l'origine del nome kangaroo all'adattamento di una grossolana quanto telegrafica frase aborigena il cui significato sarebbe "non ti capisco". Ricordo fin troppo bene la lettura di un deleterio brano sull'antologia nel primo anno dell'orrida scuola media, in cui si descriveva Cook nell'atto di domandare a un aborigeno il nome degli strani marsupiali saltellanti, ricevendone in risposta "can gu ru", ossia "non ti capisco". Questa vulgata era data per assodata ed era considerata indiscutibile, anche perché confermava i pregiudizi sulle lingue "primitive", le cui parole dovevano essere monosillabi dominati dalla vocale U, creduta un suono "scimmiesco". La religione cattolica, all'epoca ancora vitale, non ostacolava affatto questa visione darwinista tendente all'infraspeciazione. Nel testo scolastico di cui sopra, evidentemente apocrifo, si diceva che Cook avrebbe in seguito scoperto, con grande contrarietà, che i nativi chiamavano i canguri in modo diverso. Ormai era tardi: la parola riportata dall'ufficiale britannico si era già sparsa a macchia d'olio e non era possibile estirparla. Si era così creato un meme, destinato a diffondersi su tutto il pianeta. Questo dannosissimo pacchetto memetico fu confutato solo nel 1972 dal linguista John B. Haviland nel corso delle sue ricerche sulla lingua Guugu Yimithirr. Ovviamente ai lavori di Haviland è stata data ben poca diffusione tra il popolino. Un demente fa presto a creare una falsa etimologia, ma non sono sufficienti diecimila dotti per bloccarne il propagarsi.  

La forma canguro, comune all'italiano e allo spagnolo, presenta una vocale /u/ tonica nella seconda sillaba, che a prima vista non si spiega bene a partire dall'odierna forma inglese kangaroo /kaŋ.ɡəˈɹuː/ (USA /ˌkæŋ.ɡəˈɹu/), che ha l'accento sull'ultima sillaba e una vocale indistinta nella seconda. Tuttavia, basta notare che la parola inglese aveva un tempo la variante kangooroo, in grado di spiegare il vocalismo del nostro canguro. Anche il francese kangourou proviene da kangooroo. Come si può vedere, la variante kangooroo è più vicina dell'odierno kangaroo all'originale Guugu Yimithirr e mi auspicherei il suo ripristino.

Dal momento che esistono in Australia una sessantina di specie diverse di canguri, lascio immaginare l'incredibile numero di vocaboli usati per designare questi animali nelle varie lingue aborigene. Solo per fare un esempio, riporto queste denominazioni del marsupiale nella lingua Alyawarr, che peraltro sono riportate nel database del sito ausil.org.au come se fossero semplici sinonimi: 

aharlparingk
aherr
aherr akwerrk
ahern-areny
aherr ltya
antartwey
arranty
artar
athakwer
ltyayerr
terarl
terreterr
tyantwerr

Trovo verosimile che i vocaboli per indicare i canguri non provengano dai flussi demici dall'Asia che 3.500-4.000 anni fa portarono in Australia il dingo, l'antenato delle lingue Pama-Nyungan e la famiglia estesa. Sempre tenendo conto delle creazioni lessicali arbitrarie in ambito religioso, molti di questi nomi saranno stati presi dalle lingue più antiche come elementi di sostrato, essendo relativi a qualcosa di molto importante nel mondo concettuale dei primi popolatori del continente, il cui stanziamento risale forse a 50.000 anni fa.

giovedì 10 maggio 2018

ETIMOLOGIA DI DINGO

La parola dingo proviene dalla lingua Dharruk (Dharuk, Dharug), propria degli aborigeni dell'area di Sidney, in cui din-gu indica l'animale addomesticato. Nella stessa lingua la femmina del canide fulvo è chiamata tin-gu, mentre l'animale selvatico è chiamato warrigal.

In Australia sono documentate centinaia di lingue aborigene, che usano nomi molto diversi per indicare l'animale. In centinaia di siti Web sono riportate diverse denominazioni senza ulteriori considerazioni. In genere la procedura usata è quella del copia-incolla acritico da fonti precedenti. Ne forniamo un elenco: 

joogoong
mirigung
noggum
boolomo 
papa-inura 
wantibirri 
maliki
kal
dwer-da
kurpany

Se ne trovano anche alcuni altri, soltanto in un numero minore di siti o documenti: 

repeti
palangamwari
kua
aringka 

Alcune denominazioni sono semplici varianti di quelle viste sopra, o in ogni caso forme con esse chiaramente imparentate:

keli (vedi kal)
durda
(vedi dwer-da)
boololomo (vedi boolomo)
warang (vedi warrigal)

Questo è un tipico esempio di documento, i cui autori riportano 17 nomi del dingo, cavandosela con la citazione sintetica del lavoro di un antropologo (Corbett, 2004): 


Il guaio, ben dannoso, è che in nessuna pagina ritornata da Google è spiegato da che lingua proviene ciascuna di queste parole! Un vero flagello del Web: la trasmigrazione di pacchetti di informazione da un sito a un altro senza nessuna critica e senza nessun approfondimento. Né va meglio coi libri cartacei. Il vocabolario Zingarelli riporta la seguente nota etimologica: "dal n. australiano dell'animale (jūnghō, jūgūng, ...)". Si capisce al volo che le forme citate sono trascrizioni fonetiche di joogoong, ma sull'esatta attribuzione regna il silenzio. Si deve trattare di una lingua imparentata con il Dharruk, ma ben distinta, diciamo un po' come il tedesco è distinto dal francese. Lo stesso segmento dello Zingarelli è stato tradotto e riportato dall'Enciclopedia Croata online (http://www.enciklopedija.hr/). A causa della superficialità degli etimologi, pochi nomi australiani del dingo per possono essere identificati. La ricerca si è presentata molto più difficile di quanto apparisse a prima vista. Evidentemente le lingue aborigene australiane non sono ritenute molto interessanti dalla massima parte degli studiosi dagli stessi internauti. 

Per trovare qualche informazione in più, occorre fare ricerche estenutanti. Data la natura erratica del Web, si raccolgono informazioni minime sparse in antri reconditi. Il difficile è integrare questi dati sparsi e trarne qualche conclusione utile.

Sono riuscito a identificare aringka, dato che ho trovato la forma arengke, assai simile e attribuita alla lingua degli Arrernte (Aranda, di ceppo Pama-Nyungan). 

A volte ci si imbatte in notizie davvero curiose. In Mbabaram, il termine dog indica il dingo semidomestico ed è stata usato anche per indicare il cane introdotto dai coloni: uno slittamento semantico di questo genere è comune. La parola non ha nulla a che vedere con l'inglese dog, si tratta di una semplice omofonia. Anche se numerosi internauti incompetenti reputano la parola un prestito coloniale, mi pare chiarissimo che lo Mbabaram dog deriva dalla stessa protoforma comune da cui si è avuto il Dharruk din-gu, che si potrebbe ricostruire come *ndiŋgwuŋg. Da questa protoforma derivano anche noggum e joogoong.

Si può andare avanti a lungo. Le genti di Yarralin, nel Territorio del Nord, chiamano i dingo semidomestici walaku, mentre quelli selvatici sono detti ngurakin. Quest'ultima denominazione ricorre, con alcune varianti minime, in numerose altre lingue: potrebbe essere un antico prestito che si è sparso per motivi culturali.

Nella lingua Yanyuwa (Ngarna) il dingo è chiamato wardali, ma in occasioni cerimoniali riceve il nome yarrarriwira. Il termine rituale evidenzia l'importanza delle invenzioni lessicali in contesti religiosi.

Nella mia ricerca, mi sono imbattuto in un sito australiano che mi ha permesso di ottenere una grande mole di informazioni. Questo è il suo url:


Diamo un elenco di forme estratte dal database per ciascuna delle lingue trattate (con "dingo" si intende l'animale selvatico, con "cane" quello semidomestico, oltre al cane europeo):

Alyawarr
dingo: arengk artnwer
cane: anetyerlp-ayerr, arengk, arengk akwerrk, arengk apmer-areny, arengk artnwer, iltyepenh

Bilinarra
dingo: ngurragin
cane: guru, wangani, warlagu

Burarra
dingo: -muworduk, an-mugarla, an-gugurkuja, an-muworduk, an-mugat
cane: gulukula, wartunga

Djinang
dingo: murnibi
cane: guyiligirningi

Golpa
dingo: -
cane: watu

Gurindji
dingo: marrany, ngurrakin, punpulu
cane: kunyarru, kuru, punpulu, wangani, warlaku

Iwaidja
dingo: nurrkakany
cane: naki 

Maung
dingo: jalaj
cane: luluj

Tiwi
dingo: tayama, tayamini (pl. tayampi)
cane: kitarringani (pl. kitarringawi), wankini (pl. wankuwi), arripwatini, pulangumwani (pl. pulangumwawi), pamilampunyini (pl. pamilampunyuwi)

Walmajarri
dingo: marrany
cane: kunyarr

Warlpiri
dingo: kuna-palya, waltaki, warnapari, wingki-warnu (wirnki-warnu)
cane: jarntu, kuna-palya, liyi, maliki, punpulu, wirnki-warnu, wujuju, wungu-warnu

Wik Mungkan
dingo: ngekanam, ku'ngekanam, thoonth-ngekanam 
cane: iwal, ku', thoonth

Altre voci identificate tramite ricerche nel Web, ad esempio tramite l'opera di  Dixon e Blake, Handbook of Australian Languages.


Yugambeh (lingua Pama-Nyungan parlata nel Queensland)
dingo: urugin
cane: noggum

Jaran (lingua parlata dai Potaruwutji)
dingo: kal
cane: -

Nyawaygi
dingo: gawayal
cane: ŋarbu, gawayal

Uradhi
dingo: akwanumu, arkaymu
cane: utaγa

Yukulta
dingo: tyiriya
cane: ŋawuwa

Djapu (Yolngu)
dingo: wärraŋ
cane: wiŋgan

Dharawal, Tharawal, etc. (evidentemente imparentata col
     Dharruk) 
dingo: warigal, warrigal
dingo, cane: mirigung, mirigang, mirrigang, mirragang, merri, miriga, mirreega 

Gundunggura
dingo: miri, mirigan, mirreegang

Gummbaynggir
dingo: marlamgarlu

Wagiman
dingo: ngarrwan, ngarrulan
cane: lamarra

Anangu 
dingo: kurpany, papa inura
cane: papa
Nota: sembra che kurpany fosse il nome di una bestia diabolica di forma canina, non tanto del dingo. 

Si vede che non poche denominazioni sono state finalmente identificate. Altre purtroppo mancano ancora all'appello, ci vorrebbe un po' di tempo per avere un quadro completo. Dall'analisi di questa gran mole di dati scaturisce una seria critica alla ricostruzione di una lingua proto-Pama-Nyungan o addirittura proto-australiana. Non esiste una protoforma comune per indicare un animale non autoctono, introdotto dal sud est asiatico. Si sa per certo che l'Australia non era così isolata come sembrava, e che ci sono stati apporti genetici di popolazioni venute dall'India circa 3.500-4.000 anni fa. Secondo la vulgata corrente, questa migrazione è collegata alla diffusione delle lingue Pama-Nyungan, oltre che all'affermarsi dell'istituzione della famiglia allargata, che ha sostituito la più antica endogamia. In ogni caso è evidente che sono stati questi movimenti demici a importare il dingo nel continente. La parziale domesticazione di questo canide - che non è mai giunta alla selezione di razze - avrebbe dovuto causare l'introduzione di una protoforma comune, rappresentando una straordinaria innovazione culturale. Invece nulla: ovunque regna un incredibile marasma. La spiegazione più semplice è connessa al prevalere di fattori religiosi e tabuistici, oltre che a imponenti fenomeni di prestito intertribale. Non mi convince l'ipotesi dell'attribuzione al nuovo animale di nomi di animali selvatici già noti (e ben poco somiglianti). Del resto, è chiaro che il dingo è stato introdotto come animale semidomestico fin dal principio e che si è in parte inselvatichito in seguito. Altrimenti, se fosse stato solo selvatico, non sarebbe stato portato con sé dai nuovi venuti!