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domenica 1 luglio 2018

L'INGLESE È E RESTA UNA LINGUA GERMANICA OCCIDENTALE

Kristin Bech (Università di Oslo) e George Walkden (Università di Manchester) sono gli autori del lavoro English is (still) a West Germanic language, ossia "L'inglese è (ancora) una lingua germanica occidentale". Si può leggerlo seguendo questo url:


Il contributo di Bech-Walkden nasce per confutare un'idea balzana e pseudoscientifica fatta passare per seria, ossia la discendenza dell'inglese dall'antico nordico. Riporto una sintetica cronistoria di quella che ha tutta l'aria di essere una burla, a tal punto contrasta con ogni principio elementare della logica.

Nel novembre dell'anno 2012 una singolare ipotesi è stata presentata al mondo da Jan Terje Faarlund nel corso di un'intervista per la rivista dell'Università di Oslo, Apollon: la lingua inglese dovrebbe essere classificata come lingua germanica nordica sulla base della sintassi, mentre l'inglese appartenente al germanico occidentale si sarebbe estinto nel corso del Medioevo. Seguendo queste folli proposizioni, l'inglese medio sarebbe de facto una forma moderna del norreno. Questa dichiarazione stravagante e demente ha avuto qualche eco nei media globali, tuttavia il dibattito si è presto spento, dal momento che non è stata seguita dalla pubblicazione di alcun materiale utile alla sua dimostrazione. Soltanto alla fine del 2014 è comparsa la monografia English: The Language of the Vikings, ossia "L'inglese: la lingua dei Vichinghi", edita dalla Università Palacký di Olomouc (Repubblica Ceca). Gli autori del lavoro sono Jan Terje Faarlund e Joseph Embley Emonds. Dato che nei paesi slavi è molto popolare ogni forma di pseudoscienza, la cosa non stupisce più di tanto.

Come Bech e Walkden fanno notare, non è la prima volta che l'inglese dopo il Medioevo viene considerato alla stregua di un cuculo nel nido. Nel 1977 Bailey e Maroldt dichiararono che l'inglese medio è un creolo formatosi dalla mescolanza tra antico inglese e francese normanno; nel 1982 Poussa ha pure sostenuto un'origine creola, ma coinvolgendo il norreno anziché il francese. Tuttavia a quanto pare il lavoro di Faarlund e di Emonds presenta una caratteristica mai vista prima, dal momento che postula la morte dell'antico inglese e una sostanziale discontinuità occorsa durante il Medioevo. In quest'ottica l'antico inglese avrebbe fatto la fine del gotico di Wulfila, mentre il medio inglese continuerebbe in linea diretta il norreno.

Gli autori della monografia del 2014 non hanno alcuna conoscenza di linguistica storica dell'inglese e più in generale della filologia germanica. Emonds è un esperto di sintassi teorica, mentre Faarlund è un esperto di sintassi specializzato nelle lingue della Scandinavia. Gran parte della loro opera è focalizzata sulle caratteristiche morfologiche e sintattiche dell'inglese medio, nel tentativo di dimostrare che queste sono meglio spiegate come eredità diretta della lingua scandinava parlata nel nord dell'Inghilterra e in Scozia. Quello che non accetto della posizione di Bech-Walkden è la supposta necessità di abbassarsi allo stesso piano dei chierici traditori e di usare i loro stessi mezzi per confutarne le tesi. Questo principio è enunciato nella seguente frase: "The proposal, like any other, should be evaluated on the basis of the evidence and argumentation provided" (pag.). Non sono assolutamente d'accordo con un simile approccio, perché le prove e le argomentazioni fornite da Faarlund-Emonds hanno meno valore di un mucchio di feci. Anzi, dirò che i due studiosi di sintassi, ben consapevoli della rigidità mentale del mondo accademico, hanno fabbricato artatamente il loro otre di veleni e di pus, al preciso scopo di far perdere tempo e risorse a chi cercasse di confutarli seguendoli sul loro terreno. Seguirò un filo conduttore ben diverso da quello di Bech-Walkden.

Influenza del norreno sull'inglese

L'importazione di parole norrene in inglese è stata significativa in epoca medievale. A partire dal IX secolo ci sono stati folti stanziamenti di coloni scandinavi nell'Inghilterra e in Scozia. A un certo punto una vasta area che andava dal Middlesex fin oltre a York ha ricevuto il nome di Danelaw, alla lettera "Legge dei Danesi" (norreno Danalǫg), poiché in essa la legge danese prevaleva su quella anglosassone. Gli elementi scandinavi, particolarmente forti nei territori settentrionali, hanno continuato ad influenzare le genti anglosassoni e la loro lingua per secoli. Così nel XIII secolo - l'èra vichinga era da tempo conclusa - l'influsso del norreno continuava e gli scandinavismi divenivano capillari. Alcuni di questi prestiti erano pertinenti al lessico di base, altri facevano parte del lessico culturale. Non pochi si sono conservati ancor oggi. Possiamo a buon diritto parlare integrazione anglo-norrena. Il processo non è stato così massiccio come l'integrazione anglo-romanza o come l'integrazine anglo-latina, ma ha fornito elementi di fondamentale importanza. Alcune parole si sono inserite nel lessico di base e ancor oggi ricorrono in moltissime frasi di uso quotidiano. Ecco un elenco di sostantivi e di aggettivi che l'inglese moderno ha ereditato dall'antico nordico:

anger "ira" < angr "afflizione"
awe "soggezione" < agi "terrore" 

awkward
"disagevole"(1) < ǫfugr "inverso,
     contrario"

big
"grande" < *byggr "grosso"(2)
black
"nero" < blakkr "nero, blu scuro"
cake "torta" < kaka "torta"
dirt "sozzura" < drit "sterco"
dregs "feccia" < dregg "sedimento"
egg "uovo"(3) < egg "uovo" 
fellow
"compagno" <
félagi
"compagno"
flat "piatto" (agg.) < flatr "piatto" (agg.)
gap "apertura; divario" < gap "abisso"
gift "dono" < gipt "dono"
guest "ospite" < gestr "ospite"
happy "felice" < hapinn "fortunato"
hawk "falco" < haukr "falco"
husband "marito" < húsbóndi "padrone di casa"
ill "malato" < illr "cattivo"
keel "chiglia" < kjǫlr "chiglia"
kid "capretto"(4) < kið "capretto"
knife "coltello" < knífr "coltello"
law "legge" < lǫg (pl. tantum)
leg "gamba" < leggr "gamba"
low "basso" < lágr "basso"
odd "bizzarro; dispari" < oddi "terzo numero"
rotten "marcio" < rotinn "putrefatto"
skill "abilità" < skil "discernimento"
skin "pelle" < skinn "pelle di animale"
skipper "vogatore" < skipari "marinaio"
skirt "gonna" < skyrta "gonna"
sky "cielo" < ský "nuvola"
tarn "lago" < tjǫrn "lago morenico"
thrall "schiavo" < þrǽll "schiavo"
ugly "brutto" < uggligr "spaventoso"
weak "debole" < veikr "malato"
window "finestra" < vindauga "finestra"
wing "ala" < vǽngr "ala d'uccello"
wrong "sbagliato" < rangr "ingiusto"(5)

(1) Il suffisso -ward è di origine anglosassone.
(2) In Norvegia si trova il termine dialettale bugge "grande uomo", "uomo grosso". Secondo alcuni l'aggettivo norreno non attestato deriverebbe dal verbo byggja, byggva "abitare" e avrebbe avuto il significato di "abitabile", donde "spazioso". La semantica sembra piuttosto macchinosa.
(3) Prima che la forma settentrionale, di origine norrena, si imponesse, a Londra e in tutto il Sud si usava ey "uovo", pl. eyren "uova". Il prestito può essere stato favorito dalla somiglianza fonetica della forma nativa con eye "occhio".
(4) Il significato di "bambino" è oggi diffusissimo. In molte varietà dell'inglese d'America, kid è arrivato a sostituire quasi del tutto child.
(5) La forma inglese deriva da una forma arcaica *vrangr. Il norreno a cui siamo abituati ha invece rangr. Quando la parola è entrata nel lessico inglese, il nesso /wr-/ non si era ancora semplificato.

Questo è un elenco di verbi:

to bask "crogiolarsi" < baðask "lavarsi, bagnarsi"
to busk
"prepararsi" < búask "prepararsi" 
to call
"chiamare" < kalla "chiamare"
to cast "gettare"(1) < kasta "gettare"
to clip "tagliare, recidere" < klippa "tagliare"
to crawl "strisciare" < krafla "gattonare"
to die "morire"(2) < deyja "morire"
to gape "spalancare la bocca" < gapa "spalancare la
      bocca"
to gasp "spalancare la bocca" < geispa "sbadigliare"
to get "ottenere"(3) < geta "ottenere"
to give "dare" < gefa "dare"
to glitter "brillare" < glitra "brillare"
to kindle "accendere" < kynda "infiammare"
to raise "sollevare, alzare" < reisa "sollevare,
      alzare"
to seem "sembrare" < sǿma "stimare, onorare"  
to skip "sorpassare" < skopa "fare una corsa"(4)
to stain "macchiare" < steina "dipingere"(5)
to take "prendere"(6) < taka "prendere"
to want "volere" < vanta "mancare"

(1) Il verbo nativo, to throw "gettare", è rimasto in uso a fianco della forma di origine norrena.
(2) Il verbo nativo ha assunto un significato più ristretto: to starve "morire di fame" (cfr. tedesco sterben "morire").
(3) Questo verbo ha avuto una fortuna immensa in inglese, formando una moltitudine di forme unite ad avverbi (phrasal verbs), come to get in "entrare, salire", to get into "entrare", to get out "uscire, scendere", to get up "salire; alzare; alzarsi", to get down "scendere; star giù", to get over "superare", to get off "scendere; lasciare" e via discorrendo. Le forme sono davvero tante, la semantica è spesso sfuggente e il loro giusto uso non è sempre facile.
(4) La semantica è perfetta, ma è difficile spiegare la vocale del verbo inglese, che nel XIV secolo significava "fare un piccolo salto".
(5) La forma norrena trae la sua origine dal fatto che i pigmenti erano ottenuti macinando pietre (steinn "pietra"). Il sostantivo inglese stain "macchia" è stato retroformato dal verbo to stain "macchiare". Un notevole caso di slittamento semantico. 
(6) Senza l'influsso del norreno, useremmo to nim, verbo che si trova in effetti in qualche dialetto, ma col significato di "rubare". Una fine ben ingloriosa per un verbo corradicale del tedesco nehmen "prendere".

Tale fu l'influenza norrena, che penetrarono in inglese persino elementi pronominali:

they "essi, esse" < þeir "essi"
them "loro" (acc./dat.) < þeim "loro" (dat.)
their "loro" (gen.) < þeirra "loro" (gen.)

Queste forme sostituirono quelle native, ossia hī, hīe "essi", him, heom "loro" (dat.), hira, heora "loro" (gen.), che si prestavano a grande confusione col singolare. Senza il norreno, oggi si userebbe *he al posto di they; *him al posto di them; *her al posto di their - e questo per entrambi i generi! Una situazione a dir poco scomoda, che spiega bene il successo delle forme importate dai Vichinghi.

I dialetti settentrionali e lo Scots 

Nello Yorkshire un tempo si parlava il dialetto che aveva la più alta percentuale di parole di origine norrena in tutta l'Inghilterra. John Geipel nel suo lavoro The Viking legacy: The scandinavian influence on the English and the Gaelic languages (1971) riporta un testo che include alcuni scandinavismi evidenziati in corsivo:

“pigs were grice, heifers quees, and bulocks stots, yellow was gool, soft was blowt, large was stor and steep was brandt; bairns would laik where nowadays children play and a man would risp if he had a lop on his rig where today he would scratch if he had a flea on his back” (p.77). 

C'è una gran massa di parole norrene in numerosi dialetti settentrionali e nello Scots, la lingua delle Lowlands scozzesi separatasi dall'inglese già in epoca medievale. Questo è un breve elenco di termini tipici: 

bigg "orzo" < bygg "orzo"
clegg "tafano" < kleggi "tafano" 
haver(s) "avena" < hafri "avena"
ing "prato" < eng "prato"
ket "carogna" < kjǫt "carne"
kirk "chiesa" < kirkja "chiesa"
mun "bocca" < munnr "bocca"
oast "formaggio" < ostr "formaggio"
oc "e" < ok "e"
scrat "folletto" < skratti "demone"
skellum "furfante" < skelmr "furfante; diavolo"
toom "vuoto" < tómr "vuoto; vano"
trigg "sicuro" < tryggr "sicuro, fedele" 

Si potrebbero fare moltissimi altri esempi. Per un approfondimento rimando a questo link: 


Confronto lessicale tra inglese e norreno 

Mi rendo conto che per gli specialisti in linguistica tipologica le mie parole sembreranno scandalose e blasfeme, eppure oso proferirle. La sintassi non conta nulla nel definire la natura di una lingua. Bisogna smetterla con stronzate del tipo "in questa lingua l'ordine delle parole è OV (oggetto-verbo), in quell'altra è VO (verbo-oggetto), quindi non sono imparentate" o "queste due lingue sono entrambe VO, quindi sono senz'altro imparentate". Simili macchinazioni dei linguisti tipologici sono soltanto ammassi di sterco fumante, come ho già avuto modo di affermare e di dimostrare.


Il lessico di base è ciò che decide la natura dell'inglese. La stessa morfologia è meno efficace, dato che si è molto semplificata durante il dominio dei Normanni - eppure anche le declinazioni residuali e le coniugazioni dell'inglese medio ci appaiono a colpo d'occhio come continuazioni dirette di quelle dell'inglese antico. Si capisce al di là di ogni dubbio che l'inglese appartiene alle lingue germaniche occidentali a dispetto di qualsiasi influenza e di qualsiasi massa di prestiti possa aver assimilato durante i secoli - e anche a dispetto di qualsiasi cambiamento nella sintassi. Questa non è una mia opinione che può essere accettata o respinta in un ambito di demenza berkeleyana generalizzata. Quanto affermo è un dato di fatto ed è possibile dimostrarlo. Conosciamo la fonetica dell'antico inglese e quella del norreno. Conosciamo i mutamenti fonetici occorsi nelle due lingue in questione a partire dalla fase del protogermanico. Possiamo seguire queste trasformazioni con una precisione che ha dell'incredibile. Possiamo distinguere a colpo d'occhio i prestiti dal norreno dalle voci ereditate. Non solo: produciamo un breve elenco di parole importanti, per mostrare come possiamo capire all'istante che le forme inglesi moderne sono la diretta continuazione di quelle anglosassoni e non di quelle norrene.

Inglese: ale "birra"
Antico inglese: ealu, ealo "birra"
Norreno: ǫl "birra" 

Inglese: bear "orso"
Antico inglese: bera "orso"
Norreno: bjǫrn "orso" 

Inglese: bishop "vescovo"
Antico inglese: bisċop "vescovo"
Norreno: biskup "vescovo" 

Inglese: church "chiesa"
Antico inglese: ċiriċe "chiesa"
Norreno: kirkja "chiesa"
Nei dialetti inglesi settentrionali si trova kirk "chiesa", evidente prestito.

Inglese: churl "contadino, zotico"
Antico inglese: ċeorl "uomo libero di bassa casta"
Norreno: karl "uomo, maschio"

Inglese: dwarf "nano"
Antico inglese: dweorh, dweorg "nano"
Norreno: dvergr "nano" 

Inglese: eye "occhio"
Antico inglese: ēaġe "occhio"
Norreno: auga "occhio" 

Inglese: fire "fuoco"
Antico inglese: fȳr "fuoco"
Norreno: funi "fuoco" (poet.)*
*La parola comunemente usata è eldr "fuoco".

Inglese: fish "pesce"
Antico inglese: fisċ "pesce"
Norreno: fiskr "pesce"
Nelle parole di origine norrena in inglese, il gruppo /sk/ si conserva. La consonante /ʃ/ è tipica delle parole di origine anglosassone. 

Inglese: five "cinque"
Antico inglese: fīf "cinque"
Norreno: fimm "cinque" 

Inglese: hand "mano"
Antico inglese: hand, hond "mano"
Norreno: hǫnd "mano"

Inglese: head "testa"
Antico inglese: hēafod "testa"
Norreno: hǫfuð "testa"
La forma norrena ha una vocale breve (< protogerm. *xaβuðan), mentre la forma anglosassone ha un dittongo (< protogerm. *xauβuðan).

Inglese: high "alto"
Antico inglese: hēah "alto"
Norreno: hár "alto" 

Inglese: I "io"
Antico inglese: "io"*
Norreno: ek "io"
*Se fosse sopravvissuta la forma più antica, oggi la parola per dire "io" suonerebbe esattamente come itch "scabbia". La forma attualmente in uso deriva da una variante settentrionale senza palatalizzazione, comunque dissimile dalla forma norrena.

Inglese: is "è"
Antico inglese: is "è" 
Norreno: er "è"*
*La forma arcaica è es

Inglese: mead "idromele"
Antico inglese: medu, meodu "idromele"
Norreno: mjǫðr "idromele" 

Inglese: mouth "bocca"
Antico inglese: mūþ "bocca"
Norreno: munnr "bocca"
Nei dialetti inglesi settentrionali si trova mun "bocca", evidente prestito.

Inglese: need "bisogno"
Antico inglese: nēad, nēod "necessità"*
Norreno: nauðr, nauð "tribolazione"
*Con bizzarre varianti (nīed, nēd, nīd, nȳd).

Inglese: oak "quercia"
Antico inglese: āc "quercia"
Norreno: eik "quercia"
Nei dialetti inglesi settentrionali si trova aik "quercia", evidente prestito.

Inglese: red "rosso"
Antico inglese: rēad, rēod "rosso"
Norreno: rauðr "rosso"

Inglese: seven "sette" 
Antico inglese: seofon "sette"
Norreno: sjau "sette" 

Inglese: shield "scudo"
Antico inglese: sċield, sċild "scudo"
Norreno: skjǫldr "scudo" 

Inglese: ship "nave"
Antico inglese: sċip "nave"
Norreno: skip "nave" 

Inglese: star "stella"
Antico inglese: steorra "stella"
Norreno: stjarna "stella"

Inglese: stone "pietra"
Antico inglese: stān "pietra"
Norreno: steinn "pietra"
Nei dialetti inglesi settentrionali si trova stain "pietra", evidente prestito. Nella lingua standard stain significa "macchia" (vedi sopra).

Inglese: tooth "dente"
Antico inglese: tōþ "dente"
Norreno: tǫnn "dente" 

Inglese: water "acqua"
Antico inglese: wæter "acqua"
Norreno: vatn "acqua" 

Inglese: yarn "filato"
Antico inglese: ġearn "filato"
Norreno: garn "filato"
Nei dialetti inglesi settentrianali si trova garn "filato", evidente prestito.

Inglese: year "anno"
Antico inglese: ġear "anno" 
Norreno: ár "anno" 

Inglese: yellow "giallo"
Antico inglese: ġeolo, ġeolu "giallo"
Norreno: gulr "giallo"
Nei dialetti inglesi settentrionali si trova gool "giallo", evidente prestito.

Inglese: yoke "giogo"
Antico inglese: ġeoc "giogo"
Norreno: ok "giogo"

Inglese: young "giovane"
Antico inglese: ġeong "giovane"
Norreno: ungr "giovane" 

Potremmo andare avanti a lungo, ma credo che quanto mostrato sia sufficiente.

lunedì 20 novembre 2017

ETIMOLOGIA DELLA FORMULA HOCUS-POCUS E DI HOAX 'IMBROGLIO'

La formuletta hocus-pocus, usata da illusionisti e giullari anglosassoni, in origine era una bestemmia. Accadde infatti che la formula di consacrazione eucaristica hoc est corpus meum "questo è il mio corpo" venne alterata dai guitti in hoc est porcus meum, frase agrammaticale il cui significato è tuttavia incontrovertibile: "questo è il mio porco". La trasformazione è avvenuta tramite una semplice metatesi. Quindi si è giunti al famoso hocus-pocus /'həʊkəs 'pəʊkəs/ (-oʊ-).

Come accennato, la frase blasfema e guittesca con metatesi non è corretta: se corpus è un neutro (gen. corporis) con il corretto pronome hoc dello stesso genere, è a tutti chiaro che porcus è un maschile (gen. porci), come da antichissima tradizione indoeuropea (< *pork'os). Quindi i pronomi hoc e meum non sono adatti: dovrebbe essere hic est porcus meus, ma a quel punto la parodia della messa cattolica sarebbe stata meno chiara - ed è un fatto che i guitti non si sono mai curati della grammatica latina!

Si noteranno gli slittamenti semantici subiti da hocus-pocus, ben presto usato per indicare gli stessi maghi da strapazzo e i giullari che usavano tale frase nei loro spettacoli. Al giorno d'oggi la locuzione si trova usata col significato di "sciocchezze inventate".

Questo è riportato nel dizionario etimologico Etymonline.com, evitando con grande cura di menzionare in modo esplicito la bestemmia d'origine:

hocus-pocus (interj.)

    magical formula used in conjuring, 1630s, earlier Hocas Pocas, common name of a magician or juggler (1620s); a sham-Latin invocation used by jugglers, perhaps based on a perversion of the sacramental blessing from the Mass, Hoc est corpus meum "This is my body." The first to make this speculation on its origin apparently was English prelate John Tillotson (1630-1694).

E ancora:

       I will speak of one man ... that went about in King James his time ... who called himself, the Kings Majesties most excellent Hocus Pocus, and so was called, because that at the playing of every Trick, he used to say, Hocus pocus, tontus tabantus, vade celeriter jubeo, a dark composure of words, to blinde the eyes of the beholders, to make his Trick pass the more currantly without discovery.
[Thomas Ady, "A Candle in the Dark," 1655]

Lo stesso dizionario accosta hocus-pocus a una formula di derivazione latina (hiccus doccius) e a un'altra la cui origine ultima è greca (holus-bolus < gr. holos "tutto" + lat. bolus "grossa pillola", dal gr. bôlos "massa di terra"):

Compare hiccus doccius or hiccus doctius, "formula used by jugglers in performing their feats" (1670s), also a common name for a juggler, which OED says is "conjectured to be a corruption of" Latin hicce es [sic] doctus "here is the learned man," "if not merely a nonsense formula simulating Latin." Also compare holus-bolus (adv.) "all at a gulp, all at once," which Century Dictionary calls "A varied redupl. of whole, in sham-Latin form." As a noun meaning "juggler's tricks," hocus-pocus is recorded from 1640s.

Le cose sono molto semplici: dallo stesso blasfemo hoc est porcus, attraverso hocus-pocus, derivò evidentemente la parola hoax "imbroglio", a dispetto della sua apparenza enigmatica e della sua ortografia esotica. Questo è riportato in Etymonline.com:

hoax

1796 (v.) "ridicule; deceive with a fabrication," 1808 (n.), probably an alteration of hocus "conjurer, juggler" (1630s), also "a cheat, impostor" (1680s); or else directly from hocus-pocus. Related: Hoaxed; hoaxing.

False etimologie

Come sempre accade, c'è chi si diletta ad inventare false etimologie, per ignoranza, per motivi ideologici o per il semplice gusto di aumentare la confusione. Così sono state fabbricate due ipotesi: la prima riconduce hocus-pocus alla figura di un fantomatico mago della tradizione nordica, Ochus Bochus, mentre la seconda cerca le origini della formula nella supposta locuzione gallese hovea pwca, glossata con "scherzo di folletto". Ochus Bochus non ha affatto l'aspetto di un nome norreno e non può essere molto antico: di certo non si deve farlo risalire all'antichità pagana. Alcuni riportano la variante Oker Boker, che sarebbe più congrua, ma nonostante ciò non si trovano informazioni utili. Secondo alcuni Bochus (Boker) sarebbe di un'alterazione del nome di Bacco, tramite passaggio da Bacchus a Bochus, da cui il nome del mago, con parziale reduplicazione del teonimo. Resta il fatto che è più facile che sia stato l'inglese hocus-pocus a dare origine a Ochus Bochus e simili. Se è ben attestato il gallese pwca "folletto", corradicale dell'inglese puck "spirito ingannatore" (dall'antico inglese puca, pucel "folletto"), va detto che *hovea "scherzo" è più che altro fanta-gallese: sembra un masso erratico piovuto dal Paese di Fantàsia. Non sono riuscito in alcun modo a tracciarlo e non pare compatibile con la fonotattica e con l'ortografia delle parole gallesi. Sapete che penso? Il termine doveva essere *howca, ma la -c- è stata letta -e- a causa di una lettura errata dal corsivo ed è stata inventata la forma *hovea, poi diffusa in tutto il Web tramite copia-incolla. Un refuso propagato. Per quanto riguarda questo *howca pwca, posto che davvero sia esistito, sarebbe un prestito da hocus-pocus e non la sua origine.

martedì 24 ottobre 2017


IL SETTIMO SIGILLO

Titolo originale: Det sjunde inseglet
Lingua originale: Svedese
Paese di produzione: Svezia
Anno: 1957
Durata: 96 min
Dati tecnici: B/N
Rapporto: 1,37 : 1
Genere: surreale, epico, drammatico
Regia: Ingmar Bergman
Soggetto: Ingmar Bergman (dal suo dramma Pittura
   su legno
)
Sceneggiatura: Ingmar Bergman
Produttore: Allan Ekelund
Casa di produzione: Svensk Filmindustri (SF)
Fotografia: Gunnar Fischer
Montaggio: Lennart Wallén
Musiche: Erik Nordgren
Scenografia: P.A. Lundgren
Costumi: Manne Lindholm
Trucco: Nils Nittel
Interpreti e personaggi   
    Max von Sydow: Antonius Block, il cavaliere
    Gunnar Björnstrand: Jöns, lo scudiero
    Bengt Ekerot: la Morte
    Nils Poppe: Jof
    Bibi Andersson: Mia
    Inga Gill: Lisa
    Maud Hansson: strega
    Inga Landgré: Karin Block
    Gunnel Lindblom: giovane che segue lo scudiero
    Bertil Anderberg: Raval
    Anders Ek: monaco
    Åke Fridell: Plog, il fabbro
    Gunnar Olsson: Albertus Pictor
    Erik Strandmark: Jonas Skat
Doppiatori italiani   
    Emilio Cigoli: Antonius Block, il cavaliere
    Pino Locchi: Jöns, lo scudiero
    Bruno Persa: la Morte
    Gianfranco Bellini: Jof
    Maria Pia Di Meo: Mia
    Vittoria Febbi: strega
    Lydia Simoneschi: Karin Block
    Renato Turi: Raval
    Ferruccio Amendola: il monaco
    Giorgio Capecchi: Plog, il fabbro
    Manlio Busoni: Jonas Skat
    Gualtiero De Angelis: predicatore
Titoli internazionali:  
  Germania: Das siebente Siegel
  Francia: Le septième sceau
  Regno Unito, USA, Australia: The Seventh Seal
  Danimarca: Det syvende segl
  Finlandia: Seitsemäs sinetti
  Grecia:
I evdomi sfragida
  Spagna, Messico: El séptimo sello
  Portogallo, Brasile: O Sétimo Selo 
  Polonia: Siódma pieczęć

Premi:    
   1) Festival di Cannes 1957: Premio Speciale della Giuria (ex aequo con I dannati di Varsavia di Andrzej Wajda)
    2) Seminci 1960: Lábaro de oro
    3) Nastro d'Argento 1961: regista del miglior film straniero
   4) Cinema Writers Circle Awards 1962 (Spagna): migliore film straniero
    5) Fotogramas de Plata 1962 (Spagna): migliore attore straniero (Max von Sydow)

Trama:

Danimarca, XIV secolo. Un'epoca calamitosa. La peste infuria, mietendo innumerevoli vite, tanto che le genti pensano che sia giunta la Fine dei Tempi. Alcuni si abbandonano ai bagordi, sperando di poter godere dei frutti della vita anche soltanto un gorno in più, mentre altri si uniscono ai Flagellanti e si sottopongono a pratiche di mortificazione cruenta nella speranza di ottenere la Salvezza. In questo desolante scenario, fa il suo ritorno dalla Terra Santa il cavaliere crociato Antonius Block, sempre accompagnato dal suo fedele scudiero Jöns. Subito si accorge di una figura che lo segue. Senza tanti preamboli, questo compagno di viaggio si presenta al Cavaliere: è la Morte, che è venuta a prenderlo. Antonius Block cerca di giocare d'astuzia per prendere tempo, così sfida la Morte a una partita a scacchi. La Morte acconsente. L'incontro di scacchi avviene in modo discontinuo, a più riprese, man mano che la narrazione si sviluppa. Nel corso del loro vagabondare per la Danimarca, in direzione di Elsinore (Helsingør), il Cavaliere e il suo fido scudiero si imbatteranno in numerosi personaggi stravaganti. Tra questi spiccano l'attore Jof e sua moglie Mia, che vivono nel loro carrozzone in condizioni di povertà estrema col loro figlioletto Mikael. Proprio questa fragile famigliola, che sembra estranea al mondo in rovina che la circonda, restituirà ad Antonius la speranza e forse anche un barlume di fede: egli intratterrà la Morte nella partita il tempo sufficiente per permettere ai saltimbanchi di allontanarsi e di sfuggire alla predazione. Quindi, raggiunto il suo castello avito, ritroverà la moglie e insieme ai suoi compagni si abbandonerà al destino incombente senza opporre resistenza.       

Recensione: 

Questo vibrante e immortale capolavoro apocalittico è la trasposizione in pellicola della pièce teatrale Trämålning, ossia Pittura su legno, dello stesso Bergman (1955). Il regista svedese ebbe l'ispirazone di trasformare in pellicola il dramma mentre ascoltava i Carmina Burana di Carl Orff. Il produttore, Allan Ekelund, sulle prime non volle saperne, forse perché pensava che il film sarebbe stato un clamoroso fiasco. Si mostrò più accomodante solo quando Sorrisi di una notte d'estate trionfò a Cannes. Pensate un po' che sarebbe successo se Ekelund avesse insistito con la sua ostilità al progetto e se Bergman non fosse riuscito a reperire le risorse necessarie: il genere umano avrebbe perso per sempre qualcosa di unico! 


Il Cavaliere rappresenta il tipico modello di uomo del Medioevo, scisso e conteso tra Bene e Male. Tuttavia in lui si è fatto strada qualcosa di completamente nuovo: il dubbio. Come un tarlo, questo dubbio esistenziale mina l'intero edificio cosmologico del personaggio, minacciando di provocarne il crollo. Egli ha visto tali e tanti orrori durante la crociata e l'imperversare della peste, da non avere più la granitica certezza dell'esistenza di Dio. Cerca in ogni modo di salvare la propria fede, perché se Dio non esistesse, tutto sarebbe un immenso vuoto senza senso alcuno. Tale è la sua disperazione che spera di ottenere lumi dalla Morte. Non riuscendo ad averne, si spinge anche più in là nella sua ricerca angosciosa. Quando una giovane strega sta per essere condotta al rogo dai soldati, il Cavaliere si avvicina con prudenza a lei e la interroga, chiedendole di poter parlare col Diavolo per chiedergli informazioni su Dio e sulla vita oltre la morte. Subito scoprirà che la donna è semplicemente folle e febbricitante, che nessuna delle parole da lei pronunciate ha alcun senso. Il Diavolo, che la strega afferma essere presente, rimane invisibile agli occhi del cavaliere. Il conflitto interiore di Antonius Block può essere visto come una metafora del XIV secolo, periodo cruciale in cui hanno cominciato a manifestarsi gravi inquietudini spirituali, la cui conseguenza è stata una prima crepa nell'edificio della Cristianità.    


Lo Scudiero, a differenza del Cavaliere, è sostanzialmente un uomo moderno e pragmatico. Nichilista, materialista e ateo, non crede alla Weltanschauung dell'uomo medievale. Tutto ciò che ha visto lo ha indurito. Del resto, tutte le argomentazioni sulla religione sullo Spirito non avevano su di lui alcuna presa già prima della partenza per la Terra Santa. Non gli difetta un certo acume, dato che riesce a smascherare gli inganni dei religiosi. Così ritrova il teologo Raval che ha indotto il Cavaliere ad arruolarsi e a partecipare alla crociata: lo riconosce e lo vede trasformato in un volgare ladro dedito allo sciacallaggio. Incontra un pittore e lo trova intento a dipingere una danza macabra, così si mette a discutere con lui, esprimendo i suoi dubbi su tale opera, colpevole a sua detta di spingere ancor più la gente disperata tra le braccia dei preti. L'artista, nichilista come il suo interlocutore, fa notare di rimando che quel dipinto rappresenta la realtà delle cose e che ognuno è libero di trarne le conclusioni che vuole. Sempre arguto, Jöns fa notare a una donzella che potrebbe violentarla ma che l'atto lo stancherebbe troppo. Nessuna Asia Argento-Giovanna d'Arco in vista in Danimarca, quindi la libertà di battuta è sacrosanta.


La Morte non fornisce alcuna informazione. È un immane buco nero concettuale, che tutto inghiotte senza restituire nulla. Se Stephen Hawking teorizza la possibilità di fuga di qualche radiazione e di informazione da un buco nero nato dal collasso di una stella, allora dobbiamo pensare che la Morte antropomorfa incontrata dal cavaliere sia ancora più nera di un buco nero. Pirandello sosteneva l'impossibilità di penetrare i misteri della nostra condizione a partire dalla nostra visuale: "Non possiamo comprendere la vita, se in qualche modo non ci spieghiamo la morte. Il criterio direttivo delle nostre azioni, il filo per uscir da questo labirinto, il lume insomma deve venirci di là, dalla morte." Eppure quando la Morte sentenzia e dialoga col Cavaliere, non le sfugge alcuna affermazione che possa fare chiarezza. "Forse è così, forse non esiste", afferma parlando di Dio, come se non potesse definire altrimenti il problema, lasciando l'interlocutore annichilito ma capace di proferire una grande verità: "Allora la vita non è che un vuoto senza fine. Nessuno può vivere sapendo che dovrà morire un giorno come cadendo nel nulla, senza speranza." E ancora in un altro luogo del film essa afferma di non sapere alcunché: "Non mi serve sapere." La cosa ha una sua logica. Infatti alla Morte non serve conoscere. Essa arriva per ghermire la sua preda, non per discutere.

 

Il Guitto ha un'indole sognante ed è spesso colto da visioni allucinatorie, che tuttavia gli consentono talvolta di vedere cose che agli altri sfuggono. La moglie Mia lo schernisce, perché sa che egli ha l'abitudine di mentire e di parlare in modo iperbolico. Resta il fatto che non tutte le visioni del bizzarro saltimbanco sono del tutto vane. Se non possiamo credere che la Vergine Maria si sia davvero mostrata a lui nell'atto di incedere col Bambinello zampettante, verso la fine delle sequenze qualcosa cambia. Soltanto Jof è in grado di vedere la Morte che gioca a scacchi col Cavaliere, mentre gli altri credono che l'uomo conduca una partita solitaria. Il guitto, che riesce a percepire la presenza di Thanatos con gli occhi di carne, alla fine ne scorge la triste figura salire su un colle con il Cavaliere, lo Scudiero e tutti gli altri in fila, che procedono in una danza macabra verso la soglia da cui non c'è ritorno, verso l'annientamento. 


La partita a scacchi tra il Cavaliere e la Morte è stata ispirata a Ingmar Bergman da un affresco di Albertus Pictor nella chiesa di Täby. Senza dubbio è in assoluto uno dei motivi più potenti di tutta la storia del cinema. Moltissimi hanno ben presente le figure del Cavaliere e della Morte seduti davanti alla scacchiera, anche se poi non tutti hanno visto il film. In altre parole, queste immagini sono state scorporate dal loro contesto per diventare organismi memetici indipendenti e capaci di agire. Antonius Block crede fermamente di poter resistere alla Morte, di essere in grado, tramite l'intelletto, di ingannarla. Man mano che la battaglia procede, egli finisce logorato e commette piccoli errori che si accumulano, portando alla perdita della regina. Quando il mantello urta i pezzi, la Morte li dispone a modo suo con l'inganno e l'esito è segnato. La critica cattolica è avvezza a vedere nella fatidica partita la vittoria della fede su Thanatos, ma anche se così fosse si tratterebbe di una vittoria di Pirro. Sarebbe utile sapere cosa ne pensava lo stesso Bergman, che non era credente. Interessante la disamina di un wikipediano: "Nella analisi del film si legge che il cavaliere possiede la fede che però è oscurata al dubbio... Cosa sbagliata a mio avviso. Il film tratta della morte-silenzio di Dio, tematica molto legata al materialismo. Di questo sentimento si fa foriero Block e si può facilmente intuire come sia materialista, ancora più di quanto lo sia il suo scudiero, dalla scena, ad esempio in qui (sic) egli si confessa alla morte, chiedendo il perche (sic) appunto della non visibilità di Dio, volendo vederlo, conoscerlo a tutti i costi, poichè lo reputa una sostanza fisica da poter ipoteticamente uccidere. Invece lo scudiero, a mio avviso, rappresenta il raziocino (sic) puro, non contaminato da sentimenti di alcun tipo, cosa che può essere facilmente confondibile con il materialismo più rozzo." 


Anacronismi veri e presunti  

Alcuni sostengono che il Pittore fosse in realtà proprio Albertus Pictor, ma questo è impossibile: l'artista nacque intorno al 1440 a Immenhausen in Assia (Germania) e morì intorno al 1507 in Svezia - a quanto pare le date precise non si conoscono - quindi la sua vicenda terrena si svolse un secolo dopo i fatti narrati nel film. Questo errore è probabilmente dovuto anche al fatto che molti credono che Il settimo sigillo sia ambientato in Svezia, paese in cui Albertus Pictor fu attivo, mentre in realtà si svolge in Danimarca. La rappresentazione della danza macabra è documentata a partire dal XV secolo, ma essendo stata ispirata dalla Peste Nera del 1348 è ben possibile che sia più antica e che i primi dipinti di questo genere siano andati perduti. Non sono quindi sicuro che il tema sia anacronistico. I Flagellanti sono documentati in Danimarca già nel 1339 e non costituiscono un elemento incongruo. Numerose voci si sono levate per definire anacronismo la condanna al rogo della strega, ma questo non è di certo vero. Anche se la persecuzione sistematica delle streghe inizia nel XV secolo, è molto probabile che se ne dessero casi anche nei secoli precedenti, soprattutto in occasione di sciagure collettive. Non va dimenticato che la condanna al rogo delle streghe era già presente in epoca pagana. Nel mito finisce arsa viva Angrboða, lasciando tra le ceneri ardenti il cuore ancora palpitante, poi ingurgitato da Loki. Gli autori antichi ci tramandano che era costume tra i Celti ricercare le donne autrici di malefici e bruciarle vive. Il vero anacronismo, che a quanto vedo sembra sia sfuggito ai critici, è proprio la crociata. In concreto, a quale delle crociate si fa riferimento? Il film deve svolgersi intorno al 1350, perché in quel periodo la peste fece la sua comparsa in Danimarca, giungendo nel giro di poco tempo fino alla terra dei Lapponi. Quindi non si può trattare nemmeno della decima crociata (1271-1272). All'epoca in cui la grande epidemia di peste si diffuse in Europa, gli stati crociati di Oltremare erano da tempo estinti: San Giovanni d'Acri cadde nel 1291. Forse si allude alla cosiddetta crociata alessandrina del 1365? Inutile nascondere che gli eventi non collimano.       

Il settimo sigillo e il paganesimo

Non si deve dimenticare che le vicende narrate dal film si svolgono soltanto pochi secoli dopo l'affermazione della religione cristiana in Scandinavia. Di certo l'antico paganesimo non era così distante come potrebbe sembrare ai moderni. Ne è la prova l'importanza estrema dei portenti, chiamati rund in norreno (da non confondersi con l'omonima parola delle moderne lingue scandinave, rund "rotondo"). Turbamenti dell'ordine naturale sono descritti con forti accenti precristiani: 

«A Farjestad tutti parlavano di sinistri presagi e di altre orribili cose. Due cavalli si erano mangiati l'un l'altro di notte, e nel cimitero si erano scoperte le tombe, e i resti di cadaveri si erano sparsi dappertutto. Ieri pomeriggio sono stati visti quattro soli nel cielo.»

Sarebbe un errore credere che questo materiale abbia sic et simpliciter radici bibliche: all'Apocalisse si sovrappongono reminiscenze più antiche, incorporate nel complesso edificio della fede popolare. Pochi sanno che notevoli resti del paganesimo sono riusciti a perdurare in quelle terre settentrionali persino oltre la Riforma.

Citazioni: 

«Quando l'Agnello aperse il settimo sigillo, nel cielo si fece un silenzio di circa mezz'ora, e vidi i sette angeli che stavano dinnanzi a Dio e furono loro date sette trombe.»
(Apocalisse 8,I)

«Questa è la mia mano, posso muoverla, e in essa pulsa il mio sangue. Il sole compie ancora il suo alto arco nel cielo. E io... io, Antonius Block, gioco a scacchi con la Morte.»
(Il Cavaliere)

«Voglio parlarti il più sinceramente possibile, ma il mio cuore è vuoto. Il vuoto è uno specchio che mi guarda. Vi vedo riflessa la mia immagine e provo disgusto e paura. Per la mia indifferenza verso il prossimo mi sono isolato dalla compagnia umana. Ora vivo in un mondo di fantasmi, rinchiuso nei miei sogni e nelle mie fantasie.»
(Il Cavaliere)

«Ma perché, perché non è possibile cogliere Dio coi propri sensi? Per quale ragione si nasconde tra mille e mille promesse, e preghiere sussurrate, e incomprensibili miracoli? Perché io dovrei avere fede nella fede degli altri? Che cosa sarà di coloro i quali non sono capaci né vogliono avere fede? Perché non posso uccidere Dio in me stesso? Perché continua a vivere in me sia pure in modo vergognoso e umiliante anche se io lo maledico e voglio strapparlo dal mio cuore? E perché nonostante tutto egli continua a essere uno struggente richiamo di cui non riesco a liberarmi?»
(Il Cavaliere)

«Per dieci anni siamo stati laggiù lasciando che le serpi ci mordessero, le mosche ci divorassero, le fiere ci dilaniassero, gli infedeli ci accoppassero, il vino ci avvelenasse, le donne ci infettassero, le piaghe ci dissanguassero e tutto perché? Hah... per la gloria del Signore...»
(Lo Scudiero)

«In queste tenebre dove tu affermi di essere, dove noi presumibilmente siamo... in queste tenebre non troverai nessuno che ascolti le tue grida o si commuova della tua sofferenza. Asciuga le tue lacrime e specchiati nella tua stessa indifferenza...»
(Lo Scudiero)

«Scimmie tanto simili all'uomo da essere stupide quanto lui.»
(Lo Scudiero)

«In alto siede l'Onnipotente così lontano che è sempre assente, mentre il Diavolo suo fratello lo trovi anche al cancello.»
(Lo Scudiero)

«Mia! Li vedo, Mia! Li vedo! Laggiù contro quelle nuvole scure. Sono tutti assieme. Il fabbro e Lisa, il cavaliere e Raval e Jöns e Skat. E la morte austera li invita a danzare. Vuole che si tengano per mano e che danzino in una lunga fila. In testa a tutti è la morte, con la falce e la clessidra. E Skat è l'ultimo e ha la lira sotto il braccio. Danzano solenni, allontanandosi lentamente nel chiarore dell'alba, verso un altro mondo ignoto, mentre la pioggia lava e quieta i loro volti e terge le loro guance dal sale delle lacrime.»
(Il Guitto)

Dialogo tra lo Scudiero e il Pittore:
- Che cosa dipingi?
- La danza della morte.
- E quella è la morte?
- Sì, che prima o dopo danza con tutti.
- Che argomento triste hai scelto...
- Voglio ricordare alla gente che tutti quanti dobbiamo morire.
- Non servirà a rallegrarla...
- E chi ha detto che ho intenzione di rallegrare la gente? Che guardino e piangano.
- Aaah, invece di guardare chiuderanno gli occhi...
- E io ti dico che li apriranno... Un teschio, spesso interessa molto di più di una donna nuda.
- Se li spaventi però...
- ...Li fai pensare
- E se pensano...
- ...Si spaventano ancora di più.

lunedì 6 marzo 2017


MONTENEGRO TANGO - PERLE E PORCI

AKA: Montenegro Tango - Le perle ai porci
Titolo originale: Montenegro or Pigs and Pearls
Titolo svedese: Montenegro eller Pärlor och Svin
Anno: 1981
Genere: Drammatico, grottesco, erotico  
Paese: Gran Bretagna, Svezia
Lingua: Inglese, Svedese, Romani balcanico
Sottotitoli: Svedese, Danese, Finlandese
Formato: Panoramico Colore
Durata: 103 min (secondo altri 93 min)
Regia: Dušan Makavejev
Produttore: Bo Jonsson
Produttori associati:
Christer Abrahamsen, Djordje
    Zecevic 
Produzione: AB Europa Film, Viking Film, Mart
    Egg Pictures
Sceneggiatura: Dusan Makavejev, Donald Arthur,
    Branko Vucicevic
Fotografia: Tomislav Pinter
Musiche: Kornell (Kornelije) Kovach
Distribuzione: Academy (Martino) - Domovideo
Progetto di produzione: Radu Boruzescu
Costumi: Inger Pehrsson
Trucco: 
   Kjell Gustavsson
   Sven Lndén
   Hilda Silvast
Gestione della produzione: Rune Hjelm
Assistente direttore: Bojana Marijan
Reparto artistico:
   Eric L. Johnson
   Jerry Pihlblad
Reparto sonoro:
   Ulf Darin,
   Sven Fahlén,
   Anders Ingermarsson,
   Lars Klettner,
   Jan-Erik Lundberg
Reparto fotocamera ed elettrico:
   Dan Myhrman,
   Tiuu Serenander
Costumi e guardaroba: 
  
Ingabritt Adrianson-Ejenstam
Gestore degli esterni:
  
Sven-Gösta Holst
Resto della squadra: Kerstin Eriksdotter, Susanne Falck,
   Anita Tesler

Interpreti e personaggi:   
   Lasse Aberg: L'ispettore delle dogane
   Susan Anspach: Marilyn Jordan
   Svetozar Cvetkovic: Montenegro
   Patricia Gélin: Tirke (ragazza rom)
   Nikola Janic: Mustapha
   Erland Josephson: Martin Jordan 
   Per Oscarsson: Dottor Aram Pazardjian
   Bora Todorovic: Alex Rossignol (capo rom)
   John Zacharias: Nonno Bill
   Lisbeth Zachrisson: Rita Rossignol (moglie del
       capo rom)
   Paul Smith: Il tassista
   Dragan Ilic: Assan 
   Marianne "Marianna" Jacobi: Cookie Jordan
   Marina Lindahl: Segretaria
   Milo Petrovic: Un rom bizzarro, cliente dello
       Zanzi Bar 
   John Parkinson: Pianista
   Jamie Marsh: Jimmy Jordan
   Kaarina Harvistola: La prima poliziotta
   Ewa Gisslen: La seconda poliziotta
   Bo Ivan Peterson: Se stesso
   Jan Nygre: Ufficiale di polizia

Titoli alternativi: 
  Belgio (fiammingo): Montenegro of Parels en zwijnen
  Finlandia: Montenegro eli helmhä ja herjoja
  Francia: Les fantasmes de Madame Jordan
 
Germaina Ovest: Die Ballade von Lucy Jordan
 
Grecia: Montenegro i gourounia kai margaritaria
  Perù: Montenegro: Cerdos y perlas
  Polonia: Czarnogóra, czyli perly i wieprze
  Portogallo: Montenegro ou Pérolas e Porcos
  Turchia: Karadag  



Trama:  

Marilyn è la bella moglie di Martin Jordan, un ricco uomo d'affari di Stoccolma. La donna, di origine americana, è inquieta e insoddisfatta. Le pesa in particolare l'assoluta inerzia sessuale del marito, che potrebbe essere definito "frigido". L'uomo pensa soltanto al lavoro e ad accumulare soldi: è completamente privo di reazioni erettili. Marilyn cerca invano di stuzzicarlo ghermendo una collana di perle con un piede nudo e mettendo in bella mostra le gambe perfette. Niente da fare, anche se gliela sbattesse in faccia non cambierebbe nulla. Constatato che sarebbe più facile produrre eccitazione in un robot, Marilyn comincia a dare segni di instabilità mentale. Divora tutte le cotolette alla viennese che aveva preparato per la famiglia, prendendole con le mani. Martin Jordan non si scompone per la cena saltata. Non avrebbe battuto ciglio neanche se si fosse trovato davanti un piatto di feci. La villa lussuosa in cui Marilyn abita col marito, con i due figli e con l'anziano suocero demente, le sembra ogni giorno di più una prigione. Per cercare di curare questo malessere della moglie, Martin non pensa nemmeno per un istante a provocarsi un'erezione, magari procurandosi un po' di materiale porno. Tutto si metterebbe a posto se la donna riuscisse ad avere un po' di sperma, ma lui non lo riesce a comprendere. Così le paga le visite da uno psichiatra di origine armena, il dottor Aram Pasardjian. La situazione precipita in occasione di un viaggio di Martin in Brasile. Un viaggio d'affari, è ovvio. Marilyn decide all'ultimo di partire col marito ma perde l'aereo a causa delle perquisizioni subite all'aeroporto, di una lungaggine e di una pedanteria esasperanti, in grado di trasformare Giobbe in Carl Panzram. Perde l'aereo e incontra una giovane zingara jugoslava di nome Tirke, che la presenta al suo capo, Alex Rossignol, il "rrom baró" della tribù. Alex porta la donna allo Zanzi Bar, un antro di turpitudini in cui i pagani si ritrovano per darsi alla crapula e all'orgia. Mentre Tirke si esibisce nuda in danze lubriche e gioca con un carro armato fallico radiocomandato, gli uomini della tribù esultano in preda all'eccitazione più belluina. Marilyn, ubriaca, si concede a Montenegro, un giovane rom che lavora allo zoo e che lei già conosceva di vista. Smaltita la sbornia, la donna ritorna nella villa-prigione, ma non si rassegna alla sua condizione squallida, così somministra alla sua famiglia il cianuro. Marito, figli e suocero cadono fulminati come la famiglia di Goebbels.

Recensione: 

Un film assurdo quanto divertente, che merita senz'altro di essere visto. A tratti è surreale: non vedo come altro definire una scena in cui un uomo resta vivo e vegeto con un coltello piantato nel cranio. Certo, si possono razionalizzare le sequenze di un sogno (o di un incubo), riducendole a categorie comprensibili al sentire comune. Resta però il fatto che la sostanza soggiacente alle vicende narrate ha qualcosa di compatto da cui irradia un'ontologia indecifrabile. Per questo ci colpisce: parla un linguaggio geroglifico che non può essere spiegato a parole. Il risultato è senza dubbio molto al di là delle intenzioni del regista serbo, tanto che sono indotto a crederlo un prodotto di forze ctonie cresciuto per autoaggregazione. Se si approfondisce il pensiero di Makavejev, si può constatare che consisteva in discorsi abbastanza banali sulla repressione sessuale: ogni sua proposizione era fondata sulla dicotomia insanabile tra popoli razionali asessuati e popoli istintivi, selvaggi, dionisiaci, pervasi da una sessualità panica. Non è da questi schemi che nasce un capolavoro.

Ricordi distorti

Il film andò in onda su Rai 3 quando ero ancora un liceale imberbe, un pivello che a malapena sapeva qualcosa della sessualità dalla fruizione di riviste pornografiche (sorvoliamo sul patetico corso di "educazione sessuale", che con grandissima pruderie tentava di ridurre gli esseri umani a celenterati). Così accadde che mentre i miei genitori erano impegnati in una discussione in cucina, cominciai a scanalare e vidi apparire sullo schermo un gigantesco cazzone di gomma. Presto risultò chiaro che il fallo era infisso su un carro armato radiocomandato, al posto del cannone. Si muoveva rapidamente e una ragazza nuda cercava di schivarlo, mentre i Rom si abbandonavano alla manustuprazione collettiva. Cambiai canale, arrossendo per la vergogna. Dopo qualche minuto girai di nuovo su Rai 3, ed ecco che un uomo stava montando la protagonista bionda, possedendola da tergo o, come dice il volgo, alla pecora. A scuola, il giorno dopo, potei constatare che anche alcuni compagni avevano visto parti del film in condizioni di clandestinità. Si parlò a lungo del "carro armato col cazzone". In realtà, quando rividi il film anni dopo, ormai saturo di tonnellate di materiale pornografico, potei constatare che il carro armato era piccolissimo, che l'itifallo plastico era un ben esiguo falletto e che i Rom non davano segni di masturbarsi. Giunsi alla conclusione che del film esistevano due versioni: una tagliata, edulcorata, e una più potente, piena zeppa di scene esplicite. In realtà era stata soltanto la mia immaginazione adolescenziale a ingigantire certe immagini erotiche, deformandole e rendendole ancor più grottesche.

Una ricerca a lungo infruttuosa 

Ricordo che con un amico scrissi addirittura una lettera a Rai 3 per ricevere informazioni sul film e per conoscerne almeno il titolo, che ignoravamo. Ci decidemmo a farlo dopo una serie di vane ricerche che nel corso degli anni ci avevano portato a noleggiare inutilmente alcuni film aventi come protagonisti i Rom, come ad esempio Gadjo dilo - lo straniero pazzo, nella speranza di ritrovare le sequenze assurde viste al liceo. La lettera inviata alla direzione di Rai 3 venne cestinata impietosamente, è ovvio, e non ebbe mai risposta alcuna. Solo quando avevamo ormai perso ogni speranza, mi emerse chissà come dalla memoria il nome "Montenegro", che collegai al film, così potemmo per insperata fortuna identificare con sicurezza e recuperare il film, che da allora è diventato un cult. 

I morti viventi

Nella lingua Romaní il morto vivente è chiamato muló (pl. mulé). È immaginato come un cadavere deambulante, a metà strada tra lo zombie e il vampiro. Attratto dalle feste, è avidissimo di vino e non perde occasione di nutrirsi anche di sangue. È possibile che l'avidità di vino derivi da una falsa etimologia: il vino in Romaní è chiamato mul (in alcuni dialetti mol). Così muló potrebbe essere stato interpretato come "avvinazzato". In realtà l'origine della parola è chiaramente la forma verbale muló "egli morì", dalla stessa radice di merel "egli muore", di chiara origine indoeuropea (la radice alla lunga è la stessa dell'italiano morire). Devo ammettere che le mie conoscenze di lingua Romaní non sono abbastanza buone per poter approfondire meglio la questione. Secondo le credenze di tali genti, per cacciare i morti viventi il sistema più efficace è l'aglio. Ecco perché alla festa allo Zanzi Bar pendono corone d'aglio dappertutto. 

Il nettare degli Dei

Il capo dei Rom, Alex Rossignol, invita Marilyn a partecipare a una bevuta collettiva. Lo slivovitz viene reso rosso col sangue di un agnello ucciso, e questa mistura viene definita dallo stesso Rossignol "il nettare degli Dei", con inatteso dottismo. Non mi aspetterei infatti di ritrovare una simile locuzione tra i Gitani, dato che persino tra le genti stanziali viene usata in modo scherzoso come reminiscenza scolastica. La donna bionda si unisce alle libagioni, tracannando il liquore misto a sangue - cosa che ai nostri giorni non potrebbe più essere mostrata in un film, a meno che non si voglia scatenare l'insurrezione dei fanatici animalisti e vegani. A questo punto gli uomini di Rossignol intonano una canto antico nella loro lingua, che è davvero suggestivo. Come l'americana chiede al capo tribù il significato delle parole in Romaní, quello le risponde sbrigativamente che il loro contenuto è sessuale e che gli uomini vorrebbero copulare con lei. Così a orecchio mi pare che si tratti di una bugia e che il significato dei canti sia del tutto dissimile: sarebbe interessante analizzare il testo, trascriverlo foneticamente e tradurlo per verificare la cosa.

Proibizionismo scandinavo 

Quando fui in Svezia e in Norvegia, era l'inizio degli anni '90, mi resi subito conto che non era affatto facile procurarsi dell'alcol decente. Si trovava soltanto una squallidissima birra mercantile, acquosa, che al massimo avrà avuto 3 gradi alcolici. Ricordo un orrido luogo chiamato Värnamo, che sorge vicino a un antico cimitero in cui al tempo degli antichi culti venivano sepolti gli aborti e i bambini deformi. Dopo il tramonto i giovani si radunavano e cercavano di intossicarsi ingollando galloni di quella birra quasi analcolica, finendo col vomitare. Ricordo ancora un pavimento tutto coperto di vomito: si camminava nel pastone. Forse qualcuno riusciva a procurarsi del liquore clandestino, ma non sono riuscito a vederne nemmeno una goccia. Un tale pensò di portarsi in camera una ragazza un po' alticcia, rischiando una doccia romana. Anche se pochi ne sono a conoscenza, a Stoccolma vige il proibizionismo, quasi come negli States ai tempi di Al Capone. I politicanti della triste nazione scandinava sono convinti che bere alcol sia un atto rivoluzionario e che appartenga al reame oscuro dell'eversione. Non potendo imporre un divieto assoluto, ricorrono ad ogni mezzo di dissuasione, come ad esempio una tassazione da capogiro e l'imposizione di un vero e proprio pizzo alle pochissime rivendite autorizzate. Queste premesse sono a mio avviso necessarie per comprendere il contesto di Montenegro Tango. In una scena si vede un rom che getta legna in una grande caldaia per alimentare un distillatore. La protagonista ne rimane turbata e fa notare che la produzione di alcolici è illegale. Lo zigano le risponde che lo Stato è cattivo perché non vuole dare alla gente ciò di cui ha bisogno. Folgorante come il responso di un monaco zen.

Reazioni nel Web 

Le recensioni che ho trovato nel corso delle mie navigazioni mi sembrano piuttosto banali. Tutta critica radical shit che in un film nota soltanto stronzate socio-culturali e si lascia sfuggire dettagli antropologici di estremo interesse. Mi limito a riportare due interventi, comparsi sul sito davinotti.com.

Cotola:
"La liberazione sessuale (con omicidio) come antidoto alla noia ed all'ipocrisia della vita borghese. Certo, non molto originale (visti i tempi in cui fu girato) ma il tema è caro al regista che non manca di condire il film con un umorismo al vetriolo e con almeno una trovata da antologia. Non tutto fila liscio, qua e là la noia non manca, ma alla fine il risultato non è malvagio. Il finale è un discreto sberleffo alla comune morale familista. Buona la confezione." 

Giacomovie: 
"Interessante produzione svedese i cui titoli di coda precisano che si tratta di un film basato su una storia vera, quella di una donna annoiata dal matrimonio che si concede un'avventura alla "Thelma senza Louise" per superare la noia di vivere. L'avvio è incerto ma poi matura con efficacia il contesto liberatorio della trama, con la presenza di elementi grotteschi, episodi passionali e qualche sorpresina nel finale."