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giovedì 30 aprile 2020


L'ESERCITO DELLE 12 SCIMMIE 
 
Titolo originale: 12 Monkeys
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Lingua: Inglese
Anno: 1995
Durata: 129 min
Rapporto: 1,85 : 1
Genere: Thriller, fantascienza
Sottogenere: Distopia, mondo postapocalittico, viaggi nel
    tempo
Regia: Terry Gilliam
Soggetto: Chris Marker (cortometraggio)
Sceneggiatura: David Webb Peoples, Janet Peoples
Produttore: Charles Roven, Lloyd Phillips
Produttore esecutivo: Robert Kosberg, Gary Levinsohn
Casa di produzione: Universal Pictures
Fotografia: Roger Pratt
Montaggio: Mick Audsley
Effetti speciali: Vincent Montefusco
Musiche: Paul Buckmaster
Scenografia: Jeffrey Beecroft, William Ladd Skinner
Interpreti e personaggi:
    Bruce Willis: James Cole
    Joseph Melito: James Cole da piccolo
    Madeleine Stowe: Kathryn Railly
    Brad Pitt: Jeffrey Goines
    Frank Gorshin: Dottor Fletcher
    Christopher Plummer: Dottor Leland Goines
    Joey Perillo: Detective Franki
    Christopher Meloni: Tenente Jim Halperin
    LisaGay Hamilton: Teddy
    Vernon Campbell: Tiny
    David Morse: Dottor Peters
    Jon Seda: José
    Bob Adrian: Geologo
    Simon Jones: Zoologo
    Bill Raymond: Microbiologo
    Carol Florence: Astroficiso Jones
    Thomas Roy: Predicatore di strada
Doppiatori italiani:
    Luca Biagini: James Cole
    Laura Boccanera: Kathryn Railly
    Pino Insegno: Jeffrey Goines
    Nando Gazzolo: Dottor Leland Goines
    Mauro Gravina: Tenente Jim Halperin
    Roberto Pedicini: Dottor Peters
Traduzioni del titolo:
    Spagnolo: Doce Monos
    Francese: L'Armée des douze singes
    Polacco: 12 małp
Colonna sonora:
    Tema principale:
        Suite Punta del Este, di Astor Piazzolla
    Testi e musiche di Paul Buckmaster:
       1. "Introduccion", da Suite Punta Del Este (12 Monkeys)
       2. Coles' Frist Dream / Volunteer Duty / Topside
       3. Silent Night
       4. Spider Research / "Introduccion" (We Did It ) / The
           Proposition
       5. Time Confusion / To The Mental Ward / Planet Ogo
       6. Wrong Number / Cole's Second Dream / Dormitory
          Spider / "Introduccion" (Twin Moons Tango)
       7. Vivisection (Charles Olins)
       8. Sleepwalk (B.J. Cole)
       9. "Introduccion" (Escape To Nowhere) / Scanner Room /
           Capture And Sedation
       10. Cole's Third Dream
       11. Interrogation / Time Capsule / Cole Kidnaps Railly
       12. Blueberry Hill (Fats Domino)
       13. What A Wonderful World (Louis Armstrong)
       14. Coles' Fourth Dream
       15. Comanche (Link Wray e The Wraymen)
       16. Earth Died Screaming (Tom Waits)
       17. "Introduccion" (Quest For 12 Monkeys)
       18. Fateful Bullet / A Boot From The Trunk / Cole's Longing
       19. Photo Search / Mission Brief
       20. Back In '96
       21. Fugitives / Fateful Love / Home Dentistry
       22. "Introduccion" (12 Monkeys Theme Reprise) / Giraffes
           & Flamingos
       23. This Is My Dream / Cole's Call / Louis & Jose
       24. Peters Does His Worst
       25. Dreamers Awake

 
 
Trama:
Anno del Signore 2035. James Cole è un prigioniero che consuma una vita grama nella cella di un carcere ctonio, proprio sotto le rovine di Filadelfia. I pochi sopravvissuti della specie umana sono costretti a vivere nel sottosuolo da quando un virus letale ha provocato miliardi di morti, nel lontano 1996. La superficie è ancora contaminata e inabitabile. Cole è mentalmente instabile e ossessionato da un sogno in cui viene ucciso a colpi di pistola in un aeroporto, ma le autorità scientifiche non possono permettersi il lusso di guardare troppo per il sottile, così lo selezionano per una missione oltremodo pericolosa, facendolo addestrare per un viaggio nel tempo. Il suo compito è tornare nel 1996 e cercare con ogni mezzo di scoprire la vera origine della pandemia e il modo in cui il virus si è sviluppato, fornendo così gli scienziati la possibilità di trovare una cura. L'unica informazione che le autorità possiedono è che forse il virus è stato rilasciato nell'ambiente da un gruppo di ecoterroristi conosciuto come "L'esercito delle 12 scimmie". Qualcosa va storto e Cole si ritrova nell'anno sbagliato, il 1990, a Baltimora. Finisce rinchiuso in un manicomio, sulla base della diagnosi fatta dalla dottoressa Kathryn Railly. In questo girone infernale fa la conoscenza di Jeffrey Goines, un giovane biondiccio farneticante, la cui mente offuscata è un calderone ribollente di complottismo, animalismo, ambientalismo apocalittico e anticorporativismo. Cole cerca di spiegare alla commissione medica che il contagio del virus letale è già in corso, ma non viene ascoltato. Sedato e rinchiuso in una cella, scompare inspiegabilmente: è stato richiamato alla base, nel 2035. Qui subisce un interrogatorio. Le autorità scientifiche gli fanno ascoltare una registrazione in cui una voce distorta sostiene un collegamento tra il virus e l'Esercito delle 12 scimmie. Gli vengono anche mostrate diverse foto di persone ritenute coinvolte, e tra queste c'è anche quella del pazzoide Goines. Così a Cole viene offerta una seconda possibilità. Rispedito indietro nel tempo, arriva per errore nel 1917, in un fangoso campo di battaglia nella Grande Guerra, dove viene accidentalmente ferito a una gamba da una pallottola. Raggiunto da un secondo crononauta, viene trasportato di colpo nel 1996. La dottoressa Railly sta tenendo una conferenza in cui presenta il suo libro sul complesso di Cassandra, illustrando strani casi di uomini che in epoche passate hanno profetizzato l'annientamento dell'umanità in una pestilenza, prevista proprio nel 1996. Al termine della singolare lettura, la scienziata viene avvicinata da un giovane uomo dai capelli rossi come il fuoco, raccolti in un codino. Questi è il dottor Peters, che fa alla donna strani discorsi sulla condizione terminale della specie umana. Quando la dottoressa Railly esce dalla sala delle conferenze, trova ad attenderla una sua vecchia conoscenza, James Cole, che la rapisce. La costringe a guidare fino a Filadelfia. A un certo punto i due apprendono che Jeffrey Goines è il fondatore dell'Esercito delle 12 scimmie. Lo raggiungono nella villa di suo padre, il dottor Lenand Goines, che è un famoso virologo. Quando affrontano lo psicopatico, questi non soltanto nega ogni coinvolgimento con l'organizzazione ecoterrorista, ma accusa Cole di aver partorito l'idea di spazzare via l'umanità con un virus, nel 1990, al manicomio di Baltimora. Si scatena un putiferio. Quando Cole sta per essere catturato dalla polizia, sparisce e ritorna nel 2035. Ritornato indietro nel 1996, raggiunge la dottoressa Railly, che nel frattempo ha trovato le prove decisive del suo viaggio crononautico nel 1917, scoprendo che era stato proprio lui a preconizzare il morbo. I due così partono per la Florida, proprio alla vigilia dello scoppio della pestilenza. Lungo il tragitto scoprono di essersi sbagliati su Goines Junior: l'Esercito delle 12 scimmie risulta un insieme di coglioni il cui solo scopo era liberare gli animali da uno zoo, dopo aver rinchiuso in gabbia il padre del fondatore. La situazione precipita. Raggiunto l'aeroporto di Filadelfia, per puro la dottoressa Railly scopre che il vero responsabile della pandemia è il dottor Peters: il biologo fulvo è l'assistente del dottor Leland Goines, a cui ha sottratto il patogeno - e ora sta partendo per un viaggio in giro per il mondo, con l'intento di propalare la pestilenza. Nel vano tentativo di fermare Peters, Cole finisce ucciso dalla polizia, a colpi d'arma da fuoco. L'attenzione della dottoressa Railly è attratta dallo sguardo di un bambino e comprende l'atroce verità: quello è il piccolo James che assiste alla sua stessa morte.   
 

Recensione:
Questo film di Terry Gilliam è liberamente ispirato al cortometraggio La Jetée del francese Chris Marker (1962). Se molti sono i punti in comune tra le due opere, è altrettanto vero che ci sono numerose differenze non di poco conto, che spero di riuscire ad analizzare in modo esauriente. Innanzitutto la trama di 12 Monkeys è molto complessa, non ha nulla a che fare con l'estrema linearità con cui si svolge l'azione ne La Jetée. Questo si deve anche al fatto che il budget in dotazione a Gilliam era ben diverso dai pochissimi e spesso rudimentali mezzi su cui poteva contare Marker. Eppure, a quanto pare, Gilliam non aveva nemmeno visto La Jetée quando girò 12 Monkeys. Per quanto possa sembrare strano pensare che un regista possa ispirarsi a qualcosa di cui non ha mai preso visione, questa informazione è contenuta nel grande database IMDb, che considero una fonte molto affidabile. La natura della catastrofe è molto diversa nelle due opere: La Jetée ci mostra l'Apocalisse Nucleare e il mondo postatomico, mentre 12 Monkeys ci mostra l'Apocalisse Virale e il mondo postpandemico. Il rimedio all'Apocalisse Nucleare è una fonte di approvigionamento energetico e di cibo, in grado di permettere la ricostruzione. Cosa che in effetti avviene. Il rimedio all'Apocalisse Virale può essere di due tipi:
1) Impedire tramite il viaggio nel passato che si diffonda il virus;
2) Riportare dal passato informazioni sul virus che permettano di trovare una cura e di rendere di nuovo abitabile la superficie del pianeta.
Nessuno di queste due possibili soluzioni va in porto. Non solo non viene impedita la morte di miliardi di persone, ma non viene nemmeno scoperto il modo di garantire l'abitabilità del pianeta. Il fallimento è assicurato, nulla può permettere la fuga da un destino di morte eterna e di degradazione ontologica.
 
 
Ontologia temporale 
 
Come nel cortometraggio di Chris Marker, La Jetée, siamo di fronte a un angosciante loop, un circuito temporale chiuso da cui non c'è possibilità di fuga. Va però notato quanto segue: La Jetée ci mostra un crononauta che torna indietro nel tempo nei giorni precedenti la Terza Guerra Mondiale, ma non la scatena, perché essa era già inevitabile, data l'estrema bellicosità della Germania. Gli eventi erano già in atto. Invece in 12 Monkeys i viaggi crononautici costituiscono proprio l'innesco diretto della catastrofica pandemia. Un primo viaggio nel passato fa sì che un uomo approdasse in un villaggio vicino a Stonehenge nel 1396 e che si mettesse a profetizzare una pestilenza che avrebbe spazzato via l'umanità dopo 600 anni. Il suo inglese suonava come una lingua sconosciuta alla gente dell'epoca, ma qualcosa è stato compreso e un cronista ha riportato il portentoso accaduto in una sua opera - che giungerà dopo secoli a conoscenza della dottoressa Railly, studiosa del complesso di Cassandra. Altri due viaggi sono stati disastrosi: ben due crononauti, tra cui il protagonista, sono finiti nel bel mezzo della Grande Guerra, in una trincea fangosa delle Fiandre. Parlando inglese, proprio James Cole ha profetizzato la pestilenza del 1996, e anche questo episodio incongruo verrà riportato in un documento raccolto dalla dottoressa Railly. Ebbene, senza questi eventi, la dottoressa non avrebbe mai pubblicato un libro sulle profezie. Non avrebbe quindi destato il morboso interesse del fulvo dottor Peters. È stato soltanto per via delle profezie sul 1996 come anno della pestilenza, che il biologo in questione si è detto: "Che bello, ho proprio a disposizione in laboratorio il virus in grado di raddrizzare tutti i torti una volta per tutte! Perché non usarlo adesso?" Mai potrebbe essere più appropriata la locuzione "profezia che sia autoavvera".  

Le 12 scimmie e Philip K. Dick 
 
Tra le fonti di ispirazione di 12 Monkeys è spesso citato un racconto di Philip K. Dick, pubblicato per la prima volta nel 1952: Il teschio (The Skull). Ne riporto la trama sintetica. Il protagonista è Conger, un detenuto a cui viene offerta la libertà in caso accetti di tornare indietro nel tempo, nel 1960, per uccidere un uomo. Gli viene dato un teschio per identificare la vittima designata, un predicatore fanatico che ha dato vita a una nuova religione, cambiando in modo radicale il mondo nei secoli successivi. Eliminando il predicatore, i mandanti di Conger intendono cancellare la sua religione, sommamente afflittiva. Il problema è che Congera un certo punto si rende conto che il teschio è il suo. Capisce di essere proprio lui la causa di ciò che è stato mandato a estirpare. Possiamo aggiungere a The Skull un altro racconto dickiano di argomento simile: Il fattore letale (Meddler), pubblicato per la prima volta nel 1954. Un crononauta viene mandato nel futuro e trova la Terra completamente spopolata. Homo sapiens è una specie estinta. Il viaggiatore si imbatte quindi in una pericolosa varietà di farfalle, che identifica come la causa della catastrofe. Quando torna al proprio luogo d'origine, un bozzolo di una farfalla assassina resta attaccato allo scafo della crononave. Qual è l'origine di queste farfalle? 

Le 12 scimmie e Anne Lear 

Nel racconto L'avventura del viaggiatore globale (The Adventure of the Global Traveller), di Anne Lear (1978),  si narra che il professor Moriarty, sopravvissuto alla lotta con Sherlock Holmes alle cascate di Reichenbach, avrebbe costruito una macchina del tempo, schiantandosi nell'Inghilterra dell'epoca di Shakespeare e perdendo ogni possibilità di ritorno. Finito su un palco mentre si recitava il Macbeth, avrebbe improvvisato la parte del terzo sicario. In origine i sicari erano soltanto due. Shakespeare, rimasto colpito dall'interpretazione dell'intruso, avrebbe deciso di includerla nel Macbeth, dando così origine al personaggio del terzo sicario. Tuttavia Moriarty ha improvvisato recitando quei versi perché li aveva appresi a memoria quando era a scuola. La domanda che affligge il matematico criminale è destabilizzante. Quei versi chi li ha scritti? Non c'è una vera risposta. Quei versi sono acausali: è come se provenissero da un altro universo. Proprio come la guerra biologica condotta dal dottor Peters contro l'intero genere umano.  

Tecnologia crononautica 

Il viaggio nel tempo può avvenire soltanto a partire dal 2035 al passato, con ritorno annesso al punto di origine. Non è invece possibile viaggiare nel futuro a partire dal 2035. Il viaggio avviene tramite una macchina che proietta il crononauta nell'anno di destinazione e che poi lo riporta all'origine, senza servirsi di veicolo fisico. Non c'è una crononave paragonabile a quella concepita da H.G. Wells. Quando il crononauta arriva a destinazione, è in completa balia degli elementi. Senza l'aiuto di un tecnico della sua epoca di partenza, sarebbe condannato a rimanere dove si trova, non potrebbe fare ritorno. Tutto ciò è molto diverso dall'idea portante del cortometraggio di Marker, in cui si ha un viaggio chimico, senza bisogno di alcun macchiario. Una sostanza chimica, iniettata negli occhi del crononauta, provoca la sua caduta in un sonno profondo e la sua proiezione nell'epoca desiderata, tramite formazione di un vero e proprio Doppelgänger che diventa fisico. Il tipo più elementare di viaggio nel tempo, possibile soltanto verso il passato (con ritorno) è quello descritto da Jack Finney nel suo romanzo Indietro nel tempo (Time and Again, 1970): il crononauta è proiettato nel passato senza veicolo né mezzi chimici, soltanto servendosi della potenza della suggestione ipnotica. Possiamo chiederci, di fronte all'elaborata tecnologia crononautica di 12 Monkeys, come possa una civiltà così avanzata da permettere viaggi nel tempo essere messa in difficoltà da un semplice virus. 
 

Una realtà carceraria e manicomiale
 
Il crononauta de La Jetée fugge da un terribile presente di rovine e riesce a raggiungere un passato che gli dona un po' di serenità - per quanto effimera. Tra un viaggio e l'altro trova persino l'amore di una donna. Certo, alla fine rimane ucciso (e intrappolato nel loop), ma intanto ha potuto godere un po' di speranza. Un esile raggio di sole illumina le tenebre che lo opprimono. Invece James Cole sperimenta soltanto l'incubo lungo tutto il suo tragitto terreno. La sua intera esistenza è frenetica e afflittiva, ricca di ogni genere di dolori: non conosce nemmeno un momento di tregua. Ha il corpo coperto di ferite, come il profeta Mercer di dickiana memoria, è un uomo che assume su di sé il peso di tutto il Male dell'Universo. Passa da un manicomio all'altro. Coloro che lo hanno mandato nell'inferno di una sudicia cella, si accorgono di lui soltanto per teletrasportarlo nel suo luogo di origine, che è a sua volta l'inferno di una sudicia cella. Lo sventurato Cole non riesce nemmeno ad avere un contatto fisico con la dottoressa Railly, di cui si è innamorato. Egli è un uomo che non ha mai fatto l'amore. Non ha mai stretto una donna tra le sue braccia, non le ha mai fatto dono del proprio sperma. Non sa nemmeno che il dottor Peters è il vendicatore ultimo di tale ingiustizia. 
 
 
Il percorso del Virus Apocalittico  
 
Il biologo fulvo ha intrapreso, facendolo passare per una vacanza, un lungo e tortuoso viaggio aereo con diversi scali. Le località da lui raggiunte, partendo da Filadelfia, sono state le seguenti: San Francisco, New Orleans, Rio de Janeiro, Roma, Kinshasa, Karachi, Bangkok e Pechino. Un'arzilla cougar ride cordialmente, divertita al pensiero che il simpatico uomo dai capelli rossi voglia spassarsela e scaricare il proprio materiale genetico in ogni angiporto del globo. Lui abbozza un risolino, con complicità. In realtà sta pensando a tutt'altro. Direi che si sente la mancanza di un simile personaggio risolutore, che è un vero e proprio Messaggero dell'Apocalisse. Cos'altro potremmo aggiungere? Le idee e la volontà non mancano, ma non sono sufficienti a porre fine a questo mondo così deprimente. Non sussiste al momento alcun mezzo per cauterizzare una volta per tutte la mostruosa anomalia cosmica chiamata "vita". Solo nella Science Fiction certe cose diventano reali, e anche lì si nota qualche riluttanza a portarle alle estreme conseguenze!

Curiosità 

Durante la presentazione del suo libro, la dottoressa Railly proferisce uno sproposito sesquipedale. Questo sono le sue parole: "Ovviamente queste immagini da Giorno del Giudizio sono decisamente più suggestive della realtà che accompagna un'epidemia virale, sia che si tratti di peste bubbonica o di AIDS". Il punto è che la peste bubbonica è una malattia causata da un batterio, la Yersinia pestis, e non da un virus. 

Il ragno mangiato da James Cole è un ragno delle banane, detto anche Golden Globe Weaver (nome scientifico: Nephila clavipes). Il problema è che questa specie vive nelle regioni del Sud degli Stati Uniti, soprattutto in Florida. Non alligna in città settentrionali dal clima temperato, come ad esempio Boston. 
 
All'inizio del film, il protagonista raccoglie un grosso scarafaggio che zampetta sulla neve. Oltre al fatto che gli scarafaggi non sono attivi in inverno, quell'esemplare appartiene a una specie tipica del Madagascar (nome scientifico: Gromphadorhina portentosa), che non si trova in America. Trovo che la consulenza di un entomologo sarebbe utile ai registi, in modo tale da evitare smarronate. 
 
Il film che James Cole e la dottoressa Railly guardano al cinema è Vertigo (La donna che visse due volte, 1958), di Alfred Hitchcock, a cui ha fatto riferimento anche Chris Marker nel suo cortometraggio La Jetée, fonte di ispirazione per l'opera di Gilliam. Sullo schermo passa proprio la scena inquietante in cui Kim Novak mostra il punto della sua nascita sulla sezione di una sequoia. Ciò non ha il minimo senso nella trama, è come un geroglifico erratico, un riferimento onirico a un universo più grande. 
 
Sembra che Terry Gilliam faticasse non poco a convincere Brad Pitt a impersonare il ruolo dello psicopatico pieno di tic. In particolare non riusciva a farlo parlare in modo discontinuo e frenetico. Ha persino tentato di fargli seguire un apposito corso di dizione, invano. Così un giorno gli ha nascosto le sigarette, ottenendo all'istante il risultato voluto: Brad Pitt si è messo a coportarsi come un folle genuino! 
 


Opere derivate 
 
A partire dal film di Gilliam è stata realizzata una serie televisiva intitolata 12 Monkeys, andata in onda a partire dal 2015 e durata fino al 2018. Gli ideatori sono Terry Matalas e Trevis Fickett. Riporto i principali personaggi e i rispettivi interpreti.
James Cole, interpretato da Aaron Stanford, doppiato da Emiliano Coltorti.
Dott.sa Cassandra "Cassie" Railly
, interpretata da Amanda Schull, doppiata da Federica De Bortoli.
José Ramse, interpretato da Kirk Acevedo.
Aaron Marker, interpretato da Noah Bean, doppiato da Francesco Venditti (è il fidanzato della dottoressa Railly e assistente di un senatore, il suo nome è un chiaro omaggio a Chris Marker).
Jennifer Goines, interpretata da Emily Hampshire, doppiata da Myriam Catania.
Katarina Jones, interpretata da Barbara Sukowa, doppiata da Rossella Izzo (è l'inventrice della macchina del tempo).
Theodore Deacon, interpretato da Todd Stashwick (è il capo di uno spietato gruppo di sopravvissuti chiamato The West VII).  
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Sul Davinotti ho trovato alcuni interventi. Nulla di particolarmente denso, s'intende, ma sempre meglio di un pugno in un occhio.

Galbo ha scritto:

"Film complesso e affascinante diretto da un regista che congerma la sua natura di geniale visionario affrontando il genere fantascientifico in modo assolutamente personale e lontano da ogni ovvietà stilistica. Colpiscono le immagini di un'umanità cupa e desolata, il fascino delle quali consente di superare una sceneggiatura un pò ostica. Ottima la prova degli attori, con Bruce Willis ad una delle prove migliori della carriera."

Ultimo ha scritto:

"Un film di fantascienza riuscito, con una trama piuttosto complicata e difficile da capire alla prima visione, ma comunque ben girato e ben interpretato. Bruce Willis è l'assoluto protagonista, a cui fa da contraltare uno scatenato (e schizzato!) Brad Pitt. I salti temporali possono far perdere il filo allo spettatore, ma se lo guardate con attenzione ne rimarrete soddisfatti. Un po' lenta la parte inziale, buona la seconda, con un finale degno. Niente male."

Barone75 ha scritto:

"Non lo so. Ho visto il film almeno tre volte ma ogni volta rimango dubbioso sopratutto per la sua farraginosità e complessità. Tutto mi sembra poco credibile e pretenzioso e quasi ai limiti del paranoico. Trovo più azzeccata l'interpretazione di Brad Pitt rispetto al duro di "Die Hard" che mi appare eccessivamente monotona. Terry Gilliam, nonostante sia ritenuto uno dei registi più bravi ed eclettici, non riesce a convincermi ed eccede anche in questo caso in esercizi visionari."  

domenica 26 aprile 2020

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI NERD 'SECCHIONE'

La parola nerd "secchione" ha avuto origine nell'inglese americano e si è poi diffusa anche in italiano. La pronuncia originale è /nə:rd/, ma in italiano è stata naturalmente adattata in [nɛrd]. Qualcuno riterrà grossolana la mia traduzione, affermando che il nerd è molto più di un secchione. Si può dire che sia un individuo iper-intellettuale, ossessivo, introverso e privo di capacità sociali, che eccelle in attività tecniche considerate astruse e difficilissime dalla gente comune, spesso connesse con l'informatica o con la fisica e detestate perché considerate "roba da sfigati". Una specie di iper-secchione e di iper-sfigato, tanto più goffo quanto più è intelligente. Altra caratteristica del nerd è la sua incapacità di avere contatti sessuali, in un contesto in cui la condicio sine qua non per esercitare una qualsiasi attività sessuale è la futilità assoluta. L'immaginario collettivo attribuisce al nerd una serie di caratteristiche fisiche non attraenti: fisionomia grottesca, forte miopia che costringe a indossare occhiali molto spessi; acne, corporatura gracile ai confini del rachitismo, dentoni sporgenti, chiome incolte e via discorrendo. 
 
Qual è l'origine del termine in questione? Ebbene, è oscura. Come spesso accade con le voci di natura gergale nate nella Terra dei Liberi, ci si muove in uno scenario fangoso e indistinto che costituisce l'incubo di ogni etimologo del Vecchio Continente. Ci troviamo quindi a passare in rassegna ipotesi già fatte da altri e tutte di una fragilità logica molto spinta. 
 
Si deve allo scrittore, poeta e disegnatore Theodore Seuss "Ted" Geisel (1904 - 1991) la prima attestazione stampata della parola nerd, che compare nella sua opera per bambini If I Ran the Zoo, un testo in tetrametri anapestici con illustrazioni grottesche, pubblicato nel 1950. I versi, che ben rappresentano la tradizione anglosassone del Nonsense, sono i seguenti:   
 
"And then, just to show them, I'll sail to Ka-troo
And bring back an It-kutch, a Preep and a Proo,
A Nerkle, a Nerd, and a Seersucker, too!"
  

Essendo tra le altre cose un etimologo, sono subito partito in quarta non appena ho letto il testo: Nerkle mi è parso un derivato di Nerd, come se fosse derivato da un precedente *Nerdcle tramite un suffisso diminutivo -cle (come in article, corpuscle, cubicle, particle), quasi presupponendo un latino goliardico e maccheronico *Nerdculus.  
Il Seersucker è alla lettera colui (o colei) che pratica la fellatio a un veggente (seer), stando alla traduzione letterale. Non mi è sembrato possibile. Ho notato che in inglese esiste la parola seersucker, che invece indica un tipo di cotone, solitamente a righe, e deriva dal persiano shir "latte" e shakar "zucchero". Ogni connessione col verbo to suck "succhiare" è stata quindi ritenuta da me ingannevole. 
 

Non appena ho trovato le illustrazioni eseguite dallo stesso autore per i suoi testi, ecco che sono iniziate le sorprese.
1) Il Nerkle non ha nulla a che fare col Nerd: è una specie di bradipo allampanato, dotato di un esile collo di giraffa e di una lunghissima proboscide.
2) Il Nerd invece è un macaco con gli occhi strabuzzati dalle orbite, lo sguardo fisso e strabico, il capo ornato da vistosi ciuffi di capelli bianchi e di barba dello stesso colore. Non esiste modo di capire cos'è un Nerkle sapendo soltanto cos'è un Nerd
3) Vediamo anche che il Seersucker è proprio un effeminato succhiatore di uccelli e non ha nulla a che fare col tessuto a strisce che porta lo stesso nome: l'illustrazione lo mostra come un grosso scimmione giallastro, quasi glabro, dallo sguardo sognante e intento a masticare alcuni fiori. Senza dubbio Geisel voleva chiamare la sua creatura Cocksucker, ma non ha potuto farlo per ragioni di decenza. La figura è la caricatura di un corpulento omosessuale passivo, su questo non ci sono dubbi.
N.B.
Con grande costernazione ho appreso che di recente If I Ran the Zoo è stato accusato di diffondere "stereotipi razzisti" e di "incitare all'odio": i fanatici del buonismo politically correct hanno accusato il suo autore di essere un "suprematista bianco" e addirittura un affiliato del Ku Klux Klan. Adesso ci sono campagne per fare pile dei suoi libri e darli alle fiamme in nome dell'inclusivismo
 

Non c'è alcuna menzione nel testo dell'ineffabile Dr. Seuss alla reale semantica di Nerd e non è immediato riuscire a capire cosa gli passasse per la testa quando si è messo a scrivere. Fatto sta che già nel 1951, un anno dopo la pubblicazione di If I Ran the Zoo, su un quotidiano si trova attestata la parola nerd col significato di "persona non interessante" (drip) o "persona convenzionale, antiquata" (square). Si può pensare che un compagno di scuola dello scrittore facesse di cognome proprio Nerd e che fosse un albino rachitico con gli occhi arrossati strabuzzati dalle orbite. Forse era un pignolo, secchione e antipaticissimo? Forse, più che essere vittima di scherzi, questo Nerd era anche molesto? Si potrebbe credere che abbia fatto un torto a Ted Geisel e che questi si sia vendicato trasformandolo in un personaggio del suo libro? Oppure Geisel era il bullo che aveva preso di mira questo Nerd? Si noterà che il Nerd raffigurato nel libro è truce, minaccioso. Non ha l'aria di essere una vittima. 
 
Nel corso delle mie ricerche ho scoperto che il cognome Nerd esiste davvero, anche se è molto raro. È di origine ashkenazita. Ho trovato in un sito di genealogia una donna il cui cognome è Nerd (nata Abramowitz), e indovinate un po': la sua foto mostra che ha una fisionomia nerdesca al massimo grado, con tanto di occhiali spessi come fondi di bottiglia! Sono convinto che l'origine ultima della parola nerd sia proprio il cognome Nerd. Ora bisognerà capirne l'origine. Non è difficile. Viene dall'ebraico נֵרְדְ nēred "nardo". Sono pronto a sostenere a spada tratta questa etimologia. Sono più incline a credere che Geisel non amasse i suoi compagni di scuola e che per questo li abbia dipinti come strani animali. Com'ebbe a dire Philip K. Dick, se si colpisce uno scrittore bisogna essere sicuri di ucciderlo, perché altrimenti si rialzerà e si vendicherà, mettendosi a scrivere! A scrivere... e a disegnare, aggiungo.
 
Negli anni '60 cominciò a comparire la variante ortografica nurd. Philip K. Dick si attribuì la sua creazione nel 1973, anche se questa rivendicazione non ha reali basi. La prima attestazione di nurd compare in una pubblicazione universitaria del  Rensselaer Polytechnic Institute (New York). Proprio in tale università è tramandata oralmente una strana tradizione etimologica che attribuisce alla parola nurd un'origine non onomastica. Secondo questa narrazione, nurd, scritto un tempo anche gnurd o addirittura knurd, altro non sarebbe che drunk "ubriaco" scritto al contrario e pronunciato di conseguenza. La spiegazione data dagli universitari sarebbe questa: i secchioni, passando il loro tempo sui libri ed essendo malvisti, non frequentavano le feste a base di alcol tenute dagli studenti "fighi" (cool). Quindi erano sobri o astemi, il contrario degli ubriachi, anche perché nessuno avrebbe servito loro da bere. Così la parola drunk sarebbe stato invertita in knurd e usata per indicarli. Si noterà che esiste una tradizione anglosassone del Backslang. Si tratta di un gergo fondato sull'inversione grafica delle parole, con alcune modifiche per renderle pronunciabili. L'epicentro del Backslang è Londra, ma potrebbe essere usato anche in altri paesi anglosassoni. Ci sono però alcuni problemi: 
1) Il Backslang non inverte mai il significato delle parole. Così doog significa "buono" (< good) e non "cattivo"; dab, deb significa cattivo (< bad) e non "buono". Dog significa "Dio" (< God) e non "Diavolo", etc.
2) Il Backslang sillaba i gruppi consonantici ardui per renderli pronunciabili. Così bemal, beemal significa "agnello" (< lamb); kanurd significa "ubriaco" (< drunk): non si produce mai knurd "sobrio, astemio".
Naturalmente è possibile che al Rensselaer Polytechnic Institute fosse in uso un Backslang diverso da quello londinese. Si tratterebbe dunque di un gergo che invertiva le parole foneticamente e spesso anche nel significato. Il problema è che non mi risulta documentato. L'idea stessa dei Nerd astemi ha tutta l'aria di fondarsi su una storiella creata a bella posta per spiegare una parola difficile. In ogni caso, il termine nurd è attestato anche nel Massachusetts Institute of Technology nel 1971.     

Altre ipotesi sono ancor più surreali. Secondo una di queste, nerd sarebbe derivato da una nasalizzazione espressiva di turd "stronzo, grosso escremento". Gli etimologi americani prediligono invece l'alterazione di nut "pazzo" (alla lettera "noce", ossia "testicolo, coglione"), nutcase "persona eccentrica; pazzo" ("caso o condizione di pazzia", cfr. mental case alla lettera "caso mentale"), che sarebbe stato trasformato in nert per rimuovere la volgarità; la glossa corrente è "individuo stupido o pazzo" (stupid or crazy person). A quanto pare si registrano occorrenze di nert con questi significati già negli anni '40. Se questo fosse confermato, la teoria di una derivazione dal cognome Nerd potrebbe andare in crisi? Non necessariamente. Secondo me potrebbe anche darsi che l'origine di queste attestazioni precoci fosse proprio Ted Geisel, che avrebbe diffuso la parola ben prima della pubblicazione del suo libro illustrato per bambini. Un'altra ipotesi, un po' audace, è che nert e nerd non abbiano davvero la stessa origine, essendoci stata una sovrapposizione solo in un secondo tempo. Faccio notare che non si riesce a trovare la documentazione necessaria a risolvere una volta per tutte il problema. 
 
Un interessante derivato di nerd è l'aggettivo nerdy "da nerd; da sfigato" (detto di persona, di aspetto, di comportamento, etc.). Google permette di trovare un gran numero di siti con immagini e filmati delle nerdy girls, ragazze occhialute che fellano, copulano e si esibiscono con lo sperma in bocca.
 
La quadrilogia dei Nerds  
 
Attualmente la parola nerd non è più per necessità un insulto: sono sorti movimenti che ne hanno fatto un termine di orgoglio. Com'è stato possibile? Interamente grazie alla Settima Arte. Nello specifico, il merito va a quattro film che costituiscono una sorta di quadrilogia: 
 
1) La rivincita dei Nerds (Revenge of the Nerds), di Jeff Kanew (1984)
2) La rivincita dei Nerds II (Revenge of the Nerds II - Nerds in Paradise), di Joe Roth, 1987 
3) La rivincita dei Nerds III (Revenge of the Nerds III: The Next Generation), di Roland Mesa, 1992
4) La rivincita dei Nerds IV (Revenge of the Nerds IV: Nerds in Love), di Steve Zacharias, 1994  
 
Questa è una sintesi dei contenuti: I Nerd, bullizzati e perseguitati dagli energumeni sportivi dell'associazione universitaria Alpha Beta, per difendersi dalle angherie formano l'associazione Lambda-Lambda-Lambda (Tri-Lambda); servendosi del proprio grande intelletto riescono a vendicarsi dei loro aguzzini e ad annichilirli, passando da uno strabiliante successo all'altro. 
Il primo di questi film ebbe una certa popolarità in Italia e ricordo che veniva spesso passato in televisione. Senza dubbio ha introdotto nel Bel Paese la parola nerd.

lunedì 12 agosto 2019

BOGOMIL, L'AMICO DI DIO

Il nome Bogomil significa 'Amico di Dio' ed è la traduzione slava del greco Philos Theou. Si noti come la locuzione Philos Theou sia completamente diversa dal nome Theophilos, che significa invece 'Amato da Dio': nel secondo caso l'uomo che porta il nome è oggetto dell'Amore Divino. 

Cosma, il prete bulgaro che durante il regno dello Zar Pietro (927-969) scrisse un trattato contro i Dualisti di Bulgaria, faceva discendere il Movimento Bogomilo da un prete di nome Bogomil, il cui nome egli traduce erroneamente con Theophilos. Egli scrisse infatti empiamente che i Bogomili trassero il loro nome "da un prete chiamato Bogomil, ma in verità indegno della misericordia di Dio"

Come fa notare il Duvernoy, la radice mil- ha il significato di 'grazia' e 'misericordia' se unita al prefisso po-, tanto che Kyrie eleison è tradotto in slavone con Gospodi pomiloui. Tuttavia se usata senza il prefisso, tale radice ha significato di 'amore' e 'benevolenza'. L'espressione Philos Theou, corrispondente a Bogomil, compare nella Lettera di Giacomo, che rimanda a Isaia 41,8 nel parlare di Abramo (Giac 22,24). Eusebio di Cesarea la usa nel rivolgersi ai fedeli nell'atto di inaugurare la basilica di Tiro, verso il 315: Philoi Theou kai hiereis, ossia 'Amici di Dio e sacerdoti'.  

Anche in Origene se ne trovano interessanti menzioni. Questo dettaglio rimanda quindi al Cristianesimo più antico e non alle tradizioni sviluppatesi in epoca posteriore. Il titolo di Philos Theou è usato da Origene per indicare i Cercatori di Verità che riescono ad avere accesso a insegnamenti escatologici che non possono essere conosciute dai comuni fedeli, in quanto "Solo Dio le conosce e coloro che sono suoi amici grazie a Cristo e allo Spirito Santo". Questi dettagli possono ben rendere conto dell'origine del Catarismo dalla Linea degli Apostoli. 

Più che un nome dato a un bambino all'atto del battesimo di Giovanni, Bogomil sembra dunque essere un titolo religioso acquisito in età adulta. Se questo fosse provato, ignoreremmo il nome con cui il Pop Bogomil era noto prima di dedicarsi alla diffusione dell'Insegnamento. Il nome Amico di Dio era infatti attributo di ogni Buon Cristiano. 

In Occidente la locuzione Amici di Dio fu usata dai Catari. A Maurens-Scopont nell'Alta Garonna, nel 1225 una donna incontrò alcuni Buoni Uomini che non conosceva, e chiese loro chi fossero, e le fu risposto che essi erano Amici di Dio. Un'altra documentazione si ha nel Manoscritto di Tolosa, contenuto nel Registro d'Inquisizione del 1245-1253, in cui un imputato è accusato di aver creduto "che gli eretici fossero dei buoni uomini ed avessero una giusta credenza e fossero veritieri e amici di Dio". Questa formula notarile non faceva che registrare il linguaggio stesso dei Buoni Uomini, come confermato da altre testimonianze. 

Nel 1273 un Buon Uomo a Tolosa usò le seguenti parole nella sua opera missionaria: "Gli Amici di Dio, che la Chiesa Romana perseguita, si sobbarcano a grandi fatiche, fanno grandi penitenze e conducono una vita di austerità" (Ms. Doat, t. XXXV, f. 46v.). A Montaillou, all'inizio del XIV secolo, i Buoni Uomini erano definiti "Santi, Probi Viri, Amici di Dio, Signori". Alcuni anni dopo l'esecuzione di Guilhem Belibasta, l'ultimo Buon Uomo noto in Linguadoca, una donna fu bruciata sul rogo per aver detto che Peire Autier era un vero Amico di Dio. 

Con buona pace di coloro che negano la connessione tra Catarismo Occitano e Bogomilismo, fino alla fine visse nel Sabarthès un epiteto che è l'esatta traduzione di Bogomil. Questo perché il Catarismo non è una Chiesa Nazionale originatasi nella regione pirenaica, come tuttora qualcuno si ostina a credere, ma in buona sostanza Bogomilismo d'Occidente. 

La locuzione Amici di Dio non deve comunque trarre in inganno e ingenerare confusioni, in quanto fu in seguito usata in ambiti che non hanno alcuna connessione con il significato che aveva assunto in contesto dualista. Si chiamarono Amici di Dio persino le comunità religiose che in Svizzera e in Germania nel XIV seguirono gli insegnamenti mistici dei Domenicani tedeschi come Meister Eckhart. Persino Josemaría Escrivá De Balaguer, fondatore dell'Opus Dei, scrisse un'opera intitolata Amici di Dio.

Lo scrittore di fantascienza Philip K. Dick nel suo romanzo Valis ha descritto una comunità i cui membri si definiscono Amici di Dio. Questi non hanno nulla a che vedere con i Buoni Uomini, trattandosi di deliranti tossicomani californiani convinti di essere in realtà ciclopi alieni sotto mentite spoglie umane. 

sabato 4 maggio 2019


EUTAMNESIA 

Anno: 2000
Lingua: Italiano
Regia: Patrick Rizzi
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Distopia
Durata: 1,13 h
Soggetto: Patrick Rizzi
Sceneggiatura: Patrick Rizzi, Federico Salvi
Produttore: Patrick Rizzi
Produttore associato: Federico Salvi
Musiche: Patrick Rizzi
Fotografia: Patrick Rizzi
Segretaria edizione: Ilaria Tarello

Interpreti e personaggi: 
   Emanuele De Matteis: Ziggy
   Federico Salvi: Victor
   Antonio Matarazzo: Antonio
   Paola Mura: Pearl
   Simone Lavino Zona: Dietmar 


Sinossi (Patrick Rizzi, dal suo canale Youtube):

  Il film Eutamnesìa è concepito e realizzato tra il 1998 e 1999, nel mentre negli USA venivano realizzati CONTEMPORANEAMENTE "The Truman Show",  "Matrix" e "Dark City".
  Nel 2000 Eutamnesìa ha una piccola distribuzione in VHS in italia, grazie alla casa di produzione indipendente, all'epoca ancora esistente, chiamata "il Grido".
  Nel 2009, Duncan Jones, figlio di David Bowie, è regista per il film "Moon" su un' idea-creativa di base estremamente simile ad Eutamnesìa.
  Oltre all'idea di base, molti dettagli di sceneggiatura ben specifici e scelte di narrazione, sembrano ammiccare al film Eutamnesìa.
  Certo alcune varianti di Escamotage Narrativi lo rendono diverso, non identico nell'interezza, ad esempio: la trama, c'è poi una condensazione dei personaggi, poi scenografìe-ambientazioni e naturalmente scelte registiche-stilistiche.
  Premettendo in ultimo che Eutamnesìa è realizzato all'epoca con una scarsità di mezzi, produzione, competenze, risorse e persone... tale da renderlo molto "naif" nella sua dialettica e visione, l'ideatore e regista Patrick Rizzi vi augura comunque Buona Visione.



Trama:
Un pianeta senza nome. Irrimediabilmente deserto. Victor è il suo guardiano, incaricato dalla Compagnia di sorvegliare il decadente stabilimento minerario, abbandonato da molto tempo, ormai ridotto a una solitaria emorroide collocata proprio nel buco del culo dell'Universo. Un'illusione invereconda pervade il mite giovane: egli crede con tutto il suo cuore e con infinita ingenuità che il suo desolante incarico stia volgendo al termine. Non sa, il meschino, che i dirigenti inamovibili e parassitari della Compagnia hanno in serbo ben altro per lui. Lo sciagurato protagonista non si libererà mai dalla sua situazione afflittiva, come se gravasse su di lui tutta la rigidità della riforma pensionistica Monti-Fornero, mille volte più annichilente del macigno di Sisifo. Le sue giornate alienanti trascorrono tra gli edifici spettrali in una tremenda monotonia da cui non esiste via di fuga. I pochi diversivi sono soltanto fastidi paragonabili alla puntura di una zecca sul glande. Ad esempio l'occasionale visita di arroganti turisti russi col fegato cirrotizzato da ettolitri di vodka ingollata come se fosse acqua, oppure la comparsa improvvisa di un tecnico rintronato che si fa anni luce su un instabile trabiccolo soltanto per raggiungere un interruttore e premerlo ritualmente. Altro visitatore, raro ma ancor più molesto, è il fottuto manager della Compagnia che giunge sul pianeta deserto al solo scopo di sottoporre il povero Victor a estenuanti test attitudinali. Nuvole di fumo nel buio, appunti senza senso digitati sulla tastiera di un portatile, sguardo fisso sulla vittima, interminabili vaniloqui, ogni istante che provoca più sfinimento di un'intera giornata passata sotto il sole a zappare la terra. A questo punto cominciano a manifestarsi nel solitario custode sintomi di un grave malessere, che presto degenerano: si tratta dell'attivazione di uno spietato meccanismo di autolisi! Ecco come mai i ricordi di quest'uomo erano tanto sfocati e approssimativi. Tutto procede verso l'annichilente rivelazione finale. Ogni cosa è illusione. Victor non è altro che un clone e il pianeta desolato è il prodotto di un programma, non esiste nella realtà.  

Recensione: 
A me il film di Rizzi è piaciuto (a differenza di quello di Duncan Jones). Spezzo volentieri una lancia in suo favore. Potrebbe essere un film connettivista! Peccato che all'epoca in cui fu girato non esistesse nemmeno un vago sentore dell'esistenza stessa del Connettivismo. Questo è puro crepitio di Nullasenziente. Duro Abisso Nerosiderale, compatto come materia collassata di una stella a neutroni, un faro cosmico che irradia un rantolo di agonia ontologica destinato a riverberare oltre la Morte Termodinamica dell'Universo! Quando sarà realizzata la Profezia di Lovecraft e la Morte stessa sarà estinta, il rantolo del Superstite continuerà ad echeggiare tra le strutture atomiche della materia in sfacelo - i protoni e i neutroni che si sfaldano, mentre la stessa Freccia del Tempo si estingue.

Alcune note etimologiche 

Eutamnesia è una parola macedonia che deriva dalla fusione di Eutanasia e di Amnesia. Com'è ovvio, l'accento è sul suffisso come nelle parole di partenza: Eutamnesìa. L'operazione di ibridizzazione è come un filtraggio quantistico che fa perdere ogni traccia dell'etimologia delle parole d'origine, che è eminentemente ellenica. Le radici da cui derivano i vocaboli confusi si disperdono nel rumore di fondo dell'Oblio. Non amo le parole macedonia quando sono formate dalle logiche del mondo, ma questa stravagante creazione la perdono volentieri perché trasuda da tutti i pori la Morte dell'Essere!  

Altre recensioni e reazioni nel Web:

Riporto il link a un articolo di Silvio Sosio (aka S*) apparso su Fantascienza.com il 21 gennaio 2013 e intitolato Il caso Moon-Eutamnesia: quante somiglianze sospette.


Nell'articolo in questione si menziona la principale differenza tra Moon di Duncan Jones e il film di Rizzi: il rapporto tra il clone protagonista e le sue copie. Tuttavia si ammette che anche le somiglianze tra le due opere sono notevoli. Un'interessante osservazione di Sosio riguarda le abissali differenze tra i mezzi a disposizione del regista di Urbino (sommamente artigianali) e quelli del figlio di David Bowie, pur essendo il suo budget in ogni caso abbastanza striminzito.   

A quattro anni di distanza, il 23 gennaio 2017, The Gaunt ha ripreso punto per punto i concetti espressi da Sosio. Questo è il suo intervento, comprarso su Filmscoop.it

Eutamnesia deve essere prso (sic) per quello che é: un prodotto puramente amatoriale con una buona idea di base. Utilizzando le location di un complesso industriale abbandonato, visivamente alienante, si percepisce in maniera tangibile lo stato di abbandono e prostrazione del suo protagonista, custode di un nulla e di conseguenza condannato al nulla, visto e considerato che la memoria stessa è limitata solamente al vissuto di questo suo lavoro. I mezzi a disposizione tuttavia sono poverissimi e limiti piuttosto evidenti. Questo lavoro è tornato in auge, qualche anno fa per delle forti somiglianze al Moon di Duncan Jones. Somiglianze che oggettivamente ci sono, ma parlare di plagio personalmente lo ritengo un azzardo. 

Lo stesso regista di Eutamnesia ha illustrato in un video le prove della natura derivata del film del figlio di David Bowie, che ho riportato punto per punto nella recensione di Moon. Invito tutti a visionare il video, che reputo interessantissimo. 


Il teatrino del Disinformatico 

Un'altra cosa interessante è menzionata da Sosio e mi ha permesso di intravedere un mondo di livore la cui esistenza ignoravo. Si tratta del riferimento alla trattazione del caso Moon-Eutamnesia apparsa sul sito Il Disinformatico, rea di "tagliar corto senza un'accurata analisi facendosi beffe del regista italiano". In estrema sintesi, le cose sono andate così: Paolo Attivissimo alla testa dei suoi bellicosi Mirmidoni si è scagliato contro Rizzi e la sua opera, facendone strame. Non vorrei essere ritenuto un provocatore, ma mi è parso di assistere a un accanimento comprensibile soltanto se provocato da febbri politiche. Cose simili le ho viste fin troppo spesso nel Web. Il bello è che non sembra proprio che la pellicola sia stata vista da nessuno dei commentatori. Come? Avete massacrato un artista senza nemmeno aver visionato la sua opera? Tutto ciò è grottesco oltre ogni umano dire! Mi piacerebbe proprio che di questa faccenda si occupasse Crozza. Sia anatema su di voi!

La Fantascienza come religione:
è più indigesta di un chilo di sgombri!

Levo la mia mano vindice a fustigare il fanatismo di certi fantascientisti, che reputo ben peggiori degli Evangelici e dei Mormoni al colmo del loro furore mistico. Una cosa schifosa su tutte: il principio di autorità. Sei lo sperma del Duca Bianco? Bene, allora vali, tutto ciò che dici e che fai ha un senso e deve essere esaltato. Non puoi vantare alcun pedigree nobiliare? Allora sei ignobile, nel senso dell'aggettivo latino ignobilis, il cui significato originario è "privo di notoriertà". Se è così, significa che conti meno degli escrementi di un Dalit addetto allo spurgo dei pozzi neri a Calcutta! Ora, se mi è concesso, a tutto questo io mi ribello!  

Ancora sul test di Voight-Kampff 

Si è tanto insistito sulla pretesa somiglianza tra i test attitudinali a cui il manager della Compagnia sottopone Victor e il famigerato test di Voight-Kampff di dickiana memoria, il cui fine è quello di distinguere i replicanti dagli umani. Sorvoliamo sul fatto che per distinguere un replicante da un umano basterebbe una goccia di saliva. Sorvoliamo anche sull'offuscamento in cui si trovava Ridley Scott, che non lo ha compreso. Lo stesso Rizzi afferma, pressato dalle critiche dei Mirmidoni del Disinformatico, che il suo è un doveroso omaggio a Dick. Sono tuttavia convinto che le somiglianze siano soltanto marginali. Diversa è in ogni caso l'ontologia: Ziggy non deve affatto stabilire se Victor è un replicante, anche perché è perfettamente al corrente della sua vera natura di clone. Secondo me il regista avrebbe fatto meglio a evitare di giustificare le sue scelte. Non bisogna mai nutrire i troll e i cyberbulli, per nessun motivo. 

Un mondo simulato

Sicuramente possiamo includere Eutamnesia nel glorioso novero dei film ispirati dall'Olomanismo o Solipsismo radicale, opere che è nostra missione recensire una ad una. Ecco un punto in cui questo film si distacca in modo nettissimo da Moon: introduce il concetto di Realtà Simulata. Quelli del Disinformatico giudicano "hybris" l'accostamento dell'opera di Rizzi a Matrix, solo per fare un esempio. In altre parole, considerano tutto ciò "arroganza". Non si rendono conto del fatto che il loro atteggiamento dimostra il concetto di "dissonanza cognitiva"?  

Una domanda, a distanza di anni...

Forse il mio interrogativo sarà banale. Eppure rimane. Una cosa, molto semplice, che continuo a chiedermi senza sosta. Se è vero che plagio non ci fu, com'è che Duncan Jones non ha mai risposto alle domande di Rizzi? Com'è che non si è mai fatto vivo? Sdegno nobiliare? Certo, sono solo ipotesi. Sarebbe interessante saperne di più dai diretti interessati. 

mercoledì 14 novembre 2018


IL GIORNO DEL GIUDIZIO

Autore: Lloyd Biggle Jr.
Anno: 1953
Titolo originale: Judgement Day
Lingua: Inglese
Tipologia narrativa: Racconto  
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Fantascienza apocalittica
Edizione it.: 1984
Editore (it.): Arnoldo Mondadori Editore
Edizione italiana (antologia):
    Catastrofi!, Oscar 1767
Traduttore: Giuseppe Lippi
Dettagli dell'antologia:
    Titolo originale:
 Catastrophes!
    Curatore: Isaac Asimov
    Sezione: Distruzione del sole
Catalogo Vegetti: 


Trama:

Lem Dyer è capace di trasformare in realtà le sue visioni. Ognuna di queste immagini mentali è un possibile futuro, che una volta che l'uomo compie la sua scelta, questa si realizza immancabilmente. Nemmeno lui sa perché, ma è così, questo gli ha insegnato la sua esperienza. Accade però un giorno che viene condannato a morte perché accusato di un atroce delitto che non ha commesso. La folla lo vuole linciare. Mentre Lem si trova sul patibolo, pronto per l'impiccagione, cerca disperatamente qualcosa che lo salvi. Le alternative passate in rassegna non lo convincono. Alla fine però vede il sole esplodere. Ecco la sua scelta!

Recensione:

La breve e secca narrazione di Lloyd Biggle Jr. (1923-2002) si fonda sulla teoria tensionale del tempo con futuro ramificato. Come nel racconto Next (The Golden Man) di Philip K. Dick, del 1954, il protagonista non ha soltanto la facoltà di vedere diversi futuri possibili, ma anche quella di decidere quale si realizzerà. Se il mutante descritto da Dick sceglieva tra varie alternative che non dipendevano dalla sua volontà - in pratica scrutava le possibilità in anticipo - alla fine del racconto si ha quasi l'impressone che l'uomo descritto da Lloyd Biggle Jr. abbia il potere di fabbricarsi dal nulla le visioni e di inverarle con la sua sola forza di volontà. Questo pone gravi interrogativi ontologici. Il sole infatti, stando alle leggi della fisica, non può esplodere senza una causa, così, all'improvviso. Un'esplosione deve originarsi nel nucleo e quindi propagarsi verso la superficie, cosa che non può essere istantanea: date le dimensioni dell'astro, ci vorrebbe del tempo. Quindi l'onda catastrofica dell'esplosione dovrebbe raggiungere la Terra, posta a 149.597.870,7 chilometri dal sole, una distanza che la luce impiega 8,31 minuti a percorrere. Visto che l'esplosione non può viaggiare a velocità superluminali, ne consegue che nel momento in cui Lem Dyer vede il sole esplodere e riversare la distruzione sulla Terra, le cause dell'esplosione devono già essere reali da almeno 8,31 minuti. Quindi, stando così le cose, se davvero il sole esplode e incenerisce ogni cosa sul pianeta... sarebbe esploso comunque, in qualsiasi circostanza, indipendentemente dall'immagine mentale dell'uomo e dalla sua scelta. E se Lem avesse scelto di morire e di non innescare la catastrofe? Cosa sarebbe successo? Come sarebbe stata definita la catena di causazione? Comprendete il paradosso?

Questo è un sito che può aiutare a capire meglio il problema: 


Ecco come viene descritta l'immagine mentale di Lem, che disegna la visione definitiva:

"Il sole estivo, alto e brillante a mezzogiorno, che all'improvviso esplodeva come impazzito, squarciava i cieli, inceneriva la campagna e i vermi umani in un'unica vampa abbacinante, e faceva evaporare i fumi, fondeva il cemento, mandava in ebollizione la polvere sotto i piedi..."

L'annuncio dell'Araldo di Distruzione è sublime, semplicemente sublime! Ben deprimente è invece la descrizione del villaggio in cui Lem Dyer conduce la sua infelice esistenza, un paesino americano dominato dal Ku Klux Klan, in cui il reverendo della Chiesa Metodista è al contempo un Gran Dragone degli Incappucciati - e Gran Maestro della locale loggia massonica, ça va sans dire. Anche se queste connessioni non vengono menzionate esplicitamente, le si può comunque inferire da numerosi indizi. La tipica ottusità statunitense, l'ignoranza essenziale che esala dal suolo, fa sì che un uomo non sposato, che non ha mai avuto la ragazza, che ha fama di essere un po' tocco, sia automaticamente accusato di essere un assassino e un pedofilo, nel momento stesso in cui recupera il corpo estinto di una bambina dalle acque del fiume. L'onda solare, annichilitrice di vermi umani, è in realtà la personificazione di Nemesi, incaricata di rimuovere l'Iniquità! 

Biblioteca Galattica

Questa è la pagina della Biblioteca Galattica dedicata al racconto, con annessa valutazione:

domenica 28 ottobre 2018


L'ENIGMATICA SESSUALITÀ
DI PHILIP K. DICK

Ogni grande ingegno di questo mondo ha i suoi lati oscuri, i suoi segreti inconfessabili, che in ogni caso nulla tolgono al valore delle sue opere. In questi tempi di molestiadi imperversa il movimento MeToo, con torme di Erinni furiose che urlano, sbraitano e accusano ogni uomo sulla Terra di spaventose nefandezze. Per questo motivo ho molto riflettuto prima di pubblicare queste mie note su Philip K. Dick e sul suo modo di vedere la sessualità: il mio timore era che il materiale raccolto potesse nuocere alla reputazione del grande scrittore californiano (d'adozione, in realtà nacque a Chicago), attirandogli contro le ire delle femministe. Infine mi sono convinto della necessità di vincere ogni remora, e questo per merito dei carissimi amici Pietro, Sergio, Samuele e Daniele, che ringrazio per il loro prezioso sostegno. Ho messo ordine in ciò che avevo scritto e lo ho integrato con nuove osservazioni. 

Philip K. Dick era tutto fuorché liberale in materia di sessualità. Per lui la sessualità era pura penetrazione: disprezzava profondamente ogni preliminare e in particolare odiava la fellatio, che riteneva una cosa abominevole. Associava inoltre l'atto sessuale alla procreazione con il massimo coinvolgimento emotivo, arrivando al punto di essere un fiero antiabortista. Al giorno d'oggi le sue posizioni sarebbero viste come arretrate persino dalla media dei membri del Ku Klux Klan. Dei membri superstiti, occorre precisare, visto che la setta non gode di buona salute, con buona pace dei buonisti isterici che vedono un incappucciato sotto ogni sasso e che scambiano un cerino acceso per una croce in fiamme. Come non mi stanco mai di ripetere, bisogna resistere sempre alla tentazione di dare giudizi al di fuori del contesto, altrimenti si rischiano grotteschi anacronismi. Gli Stati Uniti in cui Dick crebbe e si formò non furono certo un ambiente favorevole all'esaltazione edonistica della sessualità e del suo libero esercizio al di fuori del matrimonio. 

Facciamo una panoramica, enucleando e discutendo brevemente le attestazioni più scabrose trovate nelle opere dickiane, quelle che più hanno colpito la mia immaginazione.

Un cadavere nell'armadio?  

Nel romanzo mainstream Voci dalla strada (Voices from the Street), scritto nel 1952 circa e pubblicato soltanto nel 2007, si descrive in modo molto crudo uno stupro. Il protagonista è Stuart Hadley, soprannominato "Mezza Sega", un giovane uomo biondiccio e segaligno (mi si perdoni il gioco di parole) che fa il commesso in un negozio. Questi viene stuzzicato da Marsha Frazier, una donna fulva col doppio dei suoi anni, ma ancora dotata di libidine e di potere seduttivo - in un'epoca in cui una quarantenne era ritenuta vecchia e vicina alla pace dei sensi. Lui è sposato, ma si lascia incantare dalle moine della maliarda. I due noleggiano un cottage per trascorrervi la notte. Solo che al momento della resa dei conti, lei si nega: è soltanto un'allumeuse, non una vera fornicatrice. Ormai il giovane è arrapato come un mandrillo, così le punta il glande sulla vulva e senza tante cerimonie le caccia dentro l'asta turgida, non badando al fatto che lei non vuole saperne. La immobilizza e sfoga la propria libidine dentro di lei, riempiendola di sperma. Non contento, ripete l'operazione una seconda volta, tal quale, per niente intenerito dal trauma inflitto alla donna. La casetta è isolata, nessuno può sentire la donna urlare. Dopo gli atti violenti, lei si calma, lui lascia la casa al mattino e nessuno viene a sapere nulla. Sorge in me un dubbio atroce. Questa descrizione potrebbe benissimo essere autobiografica. La lettura mi ha lasciato con l'amaro in bocca: da allora nulla ha potuto togliermi il sospetto che si tratti di uno scheletro nell'armadio di Philip K. Dick. Anche se non è facile a questo punto identificare la donna e accertare se l'episodio narrato sia reale o se sia mera finzione, sono convinto che la mia ipotesi potrebbe non essere poi così peregrina. Per quanto la cosa possa apparire scabrosa, esiste la concreta possibilità che Dick, veemente  penetratore, abbia fatto così il suo ingresso nel giardino della sessualità, "un mondo pieno di magia e di misteri". (cit.).

Riporto qui l'estratto dal romanzo giovanile dickiano: 

Hadley la ignorò, si sfilò la cravatta, poi la camicia. Le appoggiò sul bracciolo della poltrona e si mise a sedere per slacciarsi le scarpe. Accanto al letto Marsha si fece passare lentamente la maglietta sopra la testa. Se ne liberò dimenandosi e la gettò sulla cassettiera, poi cominciò a slacciarsi la gonna. Un pezzo dopo l'altro, i due si tolsero tutti i vestiti. Nessuno disse nulla, nessuno guardò l'altro; quando Hadley ebbe finito di spogliarsi vide Marsha in piedi accanto al letto, nuda e con un'aria patetica: il suo corpo magro era una pallida macchia bianca nella penombra della stanza.
«Posso... fumare una sigaretta prima?» chiese lei.
«No.» Hadley la prese e la tirò verso il letto; lei incespicò e venne giù, cercando qualcosa a cui aggrapparsi.
«Andiamo, non perdiamo tempo.»
Marsha scostò le coperte con il corpo e scivolò verso il lato più lontano, quello addossato al muro; lui la seguì e per un attimo la squadrò con aria impassibile. Sotto
quell'esame freddo la donna si ritrasse impaurita, con le gambe ben strette, le spalle incurvate, le braccia rigidamente conserte. Alla fine, visto che Hadley non diceva
niente, non riuscì a trattenersi. «Stuart, per l'amor del cielo, piantala, ti prego. Per favore, lasciami in pace!»
Metodicamente, lui si abbassò e cominciò ad accarezzarla. Sotto la sua mano la carne di Marsha fremette e si increspò; sul ventre e sui fianchi si formò la pelle d'oca. Lei emise un piccolo gemito e si allontanò, schiacciandosi contro la parete, finché Hadley non la prese e non la riportò a sé con decisione.
«È troppo tardi per tirarsi indietro» disse. «Hai fatto il letto tu; adesso vedi di sdraiarti.»
Lei emise un grido stridulo quando Hadley le allargò le gambe e la penetrò; le sue unghie si appoggiarono tremanti sulla schiena di lui e vi affondarono. Con una spinta brutale del ginocchio Hadley le sollevò la schiena, la costrinse a piegare il corpo e inarcare le cosce, comprimendole le natiche fino a farla ansimare di terrore. Proprio sotto di lui, con la faccia deformata e stravolta, gli occhi chiusi, le labbra contratte fino a mostrare il bianco delle gengive, Marsha rantolava e boccheggiava, voltando la testa di qua e di là; il sudore le scorreva lungo il collo in grosse gocce gelate. Hadley drizzò il petto quanto più possibile: fissandola impassibile da quell'altezza cominciò a mettere in atto con puntualità gli intricati spasimi muscolari del sesso, con intensità crescente, fino a quando le dita che gli artigliavano la schiena lo costrinsero a ritrarsi da lei.
Si mise a fumare e attese, guardandola. Marsha respirava pesantemente, con gli occhi sempre chiusi e le lenzuola tirate su. Spossata, spaventata, si girò di fianco e si portò le ginocchia allo stomaco assumendo una strana, impressionante posizione fetale che gli diede da pensare mentre attendeva. Dopo un po' accese una seconda sigaretta e gliela porse. Lei la prese con le dita intorpidite e riuscì a mettersela fra le labbra. Quindi si tirò su un poco, debole e svuotata, fissandolo in silenzio e sollevando pateticamente il lenzuolo a coprire i seni piccoli e appuntiti.
Senza capire lo vide spegnere la sigaretta, prendere la sua e spegnere anche quella. Solo quando la sospinse di nuovo giù e le tolse di dosso il lenzuolo Marsha capì che stava ricominciando. Lottò con tutta la forza che aveva, lo colpì al petto, gli graffiò la faccia, lo morse, urlò e imprecò e gemette, nel tentativo vano di allontanarlo da sé. Senza emozione, con la mente distaccata e remota, Hadley le allargò le gambe e per la seconda volta fece entrare il suo ego smisurato in quel corpo che protestava disperatamente. Nella sua cavità palpitante riversò tutto l'odio, l'infelicità, il risentimento che alloggiavano dentro di lui come una pozza di acqua stagnante.

I dettagli bizzarri sono numerosi. Marsha Frazier aveva idee precorritrici della New Age e mostrava dichiarate simpatie neonaziste - cosa che non le impediva di gustare il gigantesco fallo del profeta mandingo Beckheim (è chiamato "the huge Negro"). Per quanto la cosa possa sembrare scabrosa, Dick frequentò anche neonazisti e nazisti veri e propri: non dimentichiamo che l'epoca in analisi distava nel tempo pochi anni soltanto dalla caduta del Reich Millenario. La sua biografia include un fatto ben strano, che molti considereranno indigesto. Egli aveva un amico che non si limitava a professarsi nazionalsocialista: lo era. Era tedesco e aveva fatto parte della NSDAP. Una sera fu portato con sé da Dick per una serata a casa di un ebreo. Quando venne a conoscenza del cognome dell'ospite, ebbe paura e scappò via a gambe levate. La cosa lasciò lo scrittore basito. Queste sono le sue parole, riportate nel saggio Il nazismo e The Man in the High Castle (1964)

"A un mio amico nazista, che vive negli Stati Uniti da quando è finita la guerra, mentre stavano entrando in casa di una persona, dissi: "Sai, questo mio amico si chiama Bob Goldstein". È sbiancato in volto (e se n'è andato): aveva letteralmente paura di mettere piede in quell'appartamento e, per giunta, provava un'orribile repulsione fisica. Perché? Chiedetelo a Hannah Arendt, che io considero la "massima critica moderna della Germania", anche lei ebrea. Ho la sensazione che neppure lei lo sappia, pur essendo cresciuta tra loro."

Forse la Arendt non avrebbe saputo trovare una risposta all'interrogativo dickiano, ma io so per certo spiegare come stanno le cose. In realtà è tutto perfettamente chiaro a chi abbia qualche nozione della mentalità hitleriana: per un autentico nazionalsocialista gli Israeliti sono "Ein Volk von Dämonen", ossia "un popolo di demoni". Persino gli Einsatzgruppen, che li massacrarono a decine e decine di migliaia, li consideravano "pericolosi": ritenevano che fossero patogeni esiziali da neutralizzare con ogni mezzo. Stanti gli antefatti esposti, ci sono sufficienti motivi per pensare che il passato di Dick fosse alquanto torbido. Poi, anni dopo, in seguito a un uso smodato di anfetamine e di allucinogeni, si rivoltò contro i suoi vecchi amici. Quando nel 1971 il suo archivio fu distrutto da ignoti, reagì attribuendo lo scempio a un gran numero di gruppi settari, e tra questi i neonazisti. All'improvviso etichettò un amico dalle idee destrorse come infiltrato e "pericoloso parassita". Le responsabilità non sono mai state chiarite, ma in realtà fu proprio l'estroso autore a distruggere di suo pugno l'archivio per sviare da qualche punto dolente. Lascia perplessi anche la patetica sceneggiata del suo sostegno a Martin Luther King come Presidente degli States. Intanto la domanda rimbomba nel mio cranio, cupa: "E se Marsha fosse ispirata a una donna in carne ed ossa?" Una donna reale, di idee antisemite, che con le sue riflessioni avrebbe ispirato a Dick l'idea portante del famoso romanzo ucronico La svastica sul sole (The Man in the High Castle). Ma anche una donna fragile, il cui destino non è certo stato roseo.

Un oscuro scrutare

Dal celebre romanzo fantascientifico Un oscuro scrutare (A Scanner Darkly), pubblicato nel 1977, emerge con la massima nitidezza l'idea che l'autore aveva della fellatio. Ho subito notato il dettaglio scabroso in un dialogo allucinato tra due personaggi, Charles Frack e Barris, che sparlano del loro amico Bob Arctor e commentano le abitudini voluttuarie di una ragazza da lui concupita, Donna. A un certo punto il perfido Barris fa un gesto per mimare l'ingestione di pasticche di ecstasy, che la decerebrata ingurgita a quattro palmenti fino a friggersi le sinapsi. Charles Freck capisce tutt'altro. Crede che l'amico voglia affermare che la ragazza vada in giro a succhiare falli e a ingoiare avidamente lo sperma che le è stato scaricato in bocca. Così sbotta, indignato, chiedendosi che razza di sesso sia mai quello. Quando capisce che la ragazza i pompini non li fa a nessuno e che è semplicemente una tossica terminale e una spacciatrice, subito si rasserena. Ecco la conversazione:

"Oh, la ragazza di Bob."
"Già, la sua ganza" disse Charles Freck, annuendo.
"La sua ganza no. Non le è mai finito fra le cosce. Ci tenta però."
"È una di cui ci si può fidare?"
"In che senso? A cosce aperte o..." Barris fece un gesto: portò la mano alla bocca e prese a deglutire.
"Ma che tipo di sesso è questo?" Poi comprese, illuminandosi. "Oh, certo. Nel secondo."
"Abbastanza affidabile. Un po' sventata, a volte. Com'è lecito attendersi da una pollastrella, specialmente dalle more. Ha il cervello fra le cosce, come molte di loro. Probabilmente lì tiene anche il nascondiglio per la roba." Ridacchiò. "Il nascondiglio per tutta la roba da spacciare."
Charles Freck si sporse verso di lui. "Quindi Arctor non se l'è mai fatta, Donna? Parla di lei come se glielo avesse già..."
Barris rispose: "Così è fatto Bob Arctor. Parla di molte cose come se le avesse già fatte. Ma non è così, per niente."
"Be', com'è che non se l'è mai trombata? Non gli si rizza?"
Barris rifletté con aria esperta, continuando a giocherellare col suo pasticcio; l'aveva ormai ridotto in piccoli pezzi. "Donna ha qualche problema. Probabilmente si fa con roba pesante. La sua avversione per il contatto fisico in generale... Quelli strafatti perdono interesse per il sesso, per il fatto che i loro organi si dilatano per vasocostrizione. E Donna, l'ho potuto osservare, mostra un'incapacità eccessiva a reagire agli stimoli sessuali, a un livello assolutamente innaturale. Non solo nei confronti di Arctor ma anche..." Fece una pausa stizzita. "Degli altri maschi in generale."
"Merda, vuoi semplicemente dire che non vuole aprirle."
"Le aprirebbe," disse Barris "se fosse maneggiata nel modo giusto. Per esempio..." Levò lo sguardo al cielo con fare misterioso. "Io posso mostrarti come metterla a gambe all'aria per novantotto centesimi"
"Io non voglio metterla a gambe all'aria. Da lei voglio soltanto comprare."
  

A Dick il sesso orale faceva schifo, soprattutto se praticato dalla donna all'uomo. Lo riteneva un'aberrazione contro natura, un'invenzione diabolica alla cui diffusione sempre più capillare assisteva sgomento, un contatto ripugnante che avrebbe volentieri estirpato ricorrendo a misure draconiane. Interpretava la natura di quell'atto in modo non dissimile da Daniel Balint, l'ebreo nazista del film The Believer (Henry Bean, 2001): il pompino è uno strumento con cui la donna manipola l'uomo e ne annienta la volontà, spingendolo a fare tutto ciò che lei vuole e facendolo poi sentire in colpa, atteggiandosi a "vittima di un porco". Per il nostro californiano preferito, l'atto sessuale doveva essere la pura e semplice affermazione del maschio sulla femmina, uno strumento di dominio in cui era la volontà della donna a dover essere annullata. Il dialogo tra Charles Freck e Barris lo dimostra in modo lampante. Per consumare l'atto con una ragazza desiderata, secondo Dick era sufficiente che il cazzo si rizzasse. All'erezione conseguiva la penetrazione, come al giorno segue la notte. C'è un piccolo particolare: perché tutto ciò si compia, basta la fisiologia, visto che l'opinione della ragazza concupita è irrilevante. Che lei ci stia o meno, se il maschio è infoiato, per l'esuberante scrittore ha il diritto di consumare l'atto. Se la consumazione non avviene, è perché la donna serra le gambe in modo talmente stretto che l'uomo non riesce ad aprirle, o perché i suoi genitali, congestionati dalla droga, oppongono all'asta turgida una formidabile resistenza. Sono convinto che la massima parte dei lettori e delle lettrici riterrebbe tutto questo vomitevole. Ci rendiamo conto che per molto meno al giorno d'oggi si è accusati di "femminicidio"?

Un racconto antiabortista

Non piacerebbe affatto agli umanitari e ai liberali il racconto fantascientifico Le pre-persone (The Pre-persons), pubblicato per la prima volta nell'ottobre del 1974 sulla rivista Fantasy and Science Fiction. A dire il vero non piace nemmeno a me, che non sono né umanitario né liberale, essendo un notorio estimatore di Ezzelino III da Romano, di Hulagu Khan e dei Tokugawa. Lo scritto dickiano in questione è fondato su un surreale ma efficace presupposto. In una futuribile società statunitense in declino, per un cavillo legale i bambini possono essere messi a morte anche dopo la nascita, anche quando ormai camminano e parlano, e l'atto viene assimilato a un semplice aborto. Infatti la legge stabilisce che l'anima entri nel corpo quando un bambino ha la facoltà di eseguire semplici operazioni algebriche, quindi all'età di dodici anni circa - questa è la linea di demarcazione che separa un umano da un non umano. Prima di allora, può essere soppresso e la sua uccisione non è tecnicamente considerata omicidio. Il metodo di esecuzione è a dir poco raccapricciante: viene infilato un tubicino metallico nei polmoni della vittima e tramite una pompa pneumatica viene aspirata tutta l'aria, fino ad indurre il soffocamento tra atroci convulsioni. Ogni bambino deve essere provvisto di un "documento di desiderabilità": non appena diventa indesiderabile viene chiamato l'apposito camion degli aborti, che si occupa dell'eliminaizone dei bambini scomodi e dello smaltimento dei loro corpi. L'ipocrisia burocratica impone di sostituire in questo contesto il verbo "uccidere" con "mettere a dormire". Non per niente, Philip Dick è molto amato dai movimenti cosiddetti "Pro Life". Lo stomachevole racconto è stato preso come un vessillo dagli embriolatri anche in Italia. Abilissimi nel presentarsi come vittime, questi farisei ingannatori descrivono la Chiesa Romana come un esercito di "difensori della vita" che mette i bastoni tra le ruote al potere, alle istituzioni che vogliono eliminare esseri umani indifesi come gli embrioni. Sfugge a questi malfattori un fatto molto semplice. La Chiesa Romana, pur essendo teologicamente morta e lontana dal sentire delle masse, fa parte del potere ed è un'istituzione a tutti gli effetti. I suoi ministri non sono e non potranno mai essere annoverati tra gli oppressi - non in Occidente. Essi vogliono che siano prodotte sempre nuove vite per poterle abusare a loro piacimento: non provengono da Cristo, ma dal paese di Sodoma e Gomorra! Detto questo, Dick non era affatto cattolico. In America i "Pro Life" non sono affatto necessariamente cattolici: i lettori italiani si dimenticano che esistono numerosissime Chiese protestanti ben più attive e motivate di quella di Roma. Cosa ha spinto lo scrittore a sostenere con tanto radicalismo posizioni "Pro Life"? Elementare: la sua rivendicazione del diritto del maschio a penetrare la femmina indipendentemente dall'assenso di lei, di iniettarle lo sperma nel ventre e di far sì che tale iniezione desse origine a una nuova esistenza destinata ad essere stritolata dal mondo. Probabilmente il suo sentire era più affine a quello di uno xenomorfo che a quello di un cattolico, proprio perché aveva le sue salde radici nel genoma e nei suoi sommovimenti. C'è poi un dettaglio che gli italici "difensori della vita" non considerano: la tirannia che emerge dalla narrazione è matriarcale. Il racconto è anche e soprattutto un atto di guerra nei confronti del movimento femminista, colpevole di reificare il maschio, ossia di ridurlo a una cosa, a un oggetto puramente materiale e manipolabile, ora della fine a una nullità insignificante su cui infierire. Donne snaturate, che mettono a nudo il cervello dei loro schiavi per spegnere sigarette nella materia grigia o per bucarla con i tacchi a stiletto!  

Un grave problema col mestruo 

Nel romanzo mainstream Confessioni di un artista di merda (Confessions of a Crap Artist), scritto nel 1959 e pubblicato solo nel 1976, è descritto un episodio bizzarro quanto notevole. Il protagonista è Jack Isidore, in sostanza uno sballato con l'ossessione dell'ufologia. Suo cognato Charley Hume viene costretto dalla moglie ad andare in farmacia e a comprarle gli assorbenti intimi. L'incarico è vissuto dall'uomo come qualcosa di sommamente degradante. Così quando rincasa viene colto da un raptus e massacra di botte la moglie. A causa del parossismo di furia, Charley ha un infarto e viene ricoverato in ospedale. Alla fine la sua dignità è talmente compromessa dall'atteggiamento della moglie, che non gli resta altra alternativa che il suicidio. La sua autolisi mentale è stata scatenata dal contatto con una scatola di assorbenti, dall'umiliazione di chiedere al farmacista quel genere di prodotto, apparendo così ai suoi occhi come svirilizzato. Nell'Africa subsahariana sono diffuse idee molto simili, così un uomo non può neppure avvicinarsi a una toilette femminile: se questo tabù viene violato, ne consegue l'impotenza! Ecco la scena, di una brutalità inaudita:

"Guarda che cosa ti ho portato," le disse, tirando fuori il vassoio di ostriche affumicate.
Fay disse "Oh…" E prese il vassoio, accettandolo in modo da dimostrargli che capiva che lui lo aveva fatto per uno scopo molto serio, per il desiderio di esprimerle i propri sentimenti. Sapeva accettare i regali come nessun altro. Sapeva comprendere che cosa provava lui, o le bambine o i vicini di casa o chiunque altro. Non diceva mai più del necessario, non esagerava mai con le manifestazioni di entusiasmo, e sapeva sempre mettere in rilievo gli aspetti significativi del dono, far capire perché fosse importante per lei. Lo guardò, e la sua bocca si atteggiò ad un fugace sorriso simile ad una smorfia… poi piegò la testa da un lato e continuò a fissarlo.
"E questi," aggiunse lui, tirando fuori i Tampax.
"Grazie," disse lei, prendendo il pacco. In quel mentre lui si ritrasse e, sentendosi emettere un rantolo, la colpì in pieno petto. Fay barcollò all'indietro, allontanandosi da lui, e lasciando cadere il vassoio di ostriche affumicate; allora le corse appresso - lei stava scivolando lungo il fianco del tavolo e mentre cercava di aggrapparsi a qualcosa per non cadere fece cadere a terra la lampada - e la colpì di nuovo, e stavolta le fece volare via gli occhiali dal viso. Lei si crollò di schianto, tirandosi addosso tutto quello che c'era sopra il tavolo. 

La seconda moglie di Philip K. Dick, Anne, aveva la consuetudine di mandarlo in farmacia a comprare gli assorbenti intimi. Lui riteneva questo compito umiliante e incompatibile con il proprio orgoglio di maschio. Così, dopo aver sopportato la cosa per un po' di volte, una sera è tornato a casa e ha cominciato a picchiare selvaggiamente la moglie, assestandole pugni nel ventre, al petto e in faccia, rischiando di procurarle seri danni. Questo episodio è menzionato nella biografia dickiana Divine invasioni: La vita di Philip K. Dick (Divine Invasions. A Life of Philip K. Dick), di Lawrence Sutin, che è stato anche biografo del Perdurabo: 

"Nel capitolo 3, Charley aggredisce Fay, perché lei lo ha umiliato, mandandolo a comprare - e chiedendoglielo in pubblico - dei Tampax all'emporio del posto. Nella vita "reale" Phil andava a comprare i Tampax per Anne senza fare alcun commento. Quando lesse il romanzo, Anne domandò a Phil perché non le avesse detto che gli dava fastidio andarli a comprare. Negli anni Settanta, Phil avrebbe poi parlato ai suoi amici del giorno in cui saltà addosso ad Anne e la picchiò, dopo averle dovuto comprare i Tampax. Nel 1963, quattro anni dopo che era stato scritto Artista di merda, si verificarono sporadici atti di violenza fisica sia da parte di Phil che di Anne. Artista di merda annunciava già che ci sarebbero stati. Precognizione: sempre negli anni Settante, Phil sostenne di averne avuta, in alcuni dei suoi romanzi. Ascoltiamo Nat: Mi chiedo se prima o poi le metterò le mani addosso, si disse. In vita sua non aveva mai picchiato una donna eppure già sentiva che Fay era il tipo di donna che portava un uomo a picchiarla. Certamente lei non se ne rendeva conto, non aveva nessuna convenienza a farlo... "

Ma quale precognizione? A mio avviso egli era un marito manesco che nel corso degli anni ha assestato alle sue consorti innumerevoli raffiche di sganassoni. Picchiare una donna fuori dal matrimonio è peccato, avrà pensato di certo, ma nel matrimonio cambia tutto. La moglie Anne, santa donna, lo difese per parargli il culo e impedire che questi fatti scabrosi compromettessero in modo irreparabile la sua reputazione. 

Dialoghi con un sockpuppet

Nel romanzo mainstream In questo piccolo mondo (Puttering About in a Small Land), scritto intorno al 1957 e pubblicato postumo nel 1985, sono contenute alcune conversazioni sconcertanti. Sembra che l'autore lotti contro se stesso, dando origine a stringhe verbali convulse, ben oltre i confini della schizofrenia. Riporto qualche brano in questa sede: 

Olsen domandò con la sua voce aspra, "Da quant'è che non si fa una scopata?"
"Dipende da che cosa intendi."
"Sa benissimo cosa intendo." Olsen infilò il pollice nella birra poi lo estrasse per esaminarlo. "Non sto certo parlando del salotto buono."
"Due anni" disse Roger. Nel 1950, l'ultimo dell'anno, ero andato a letto con una ragazza incontrata durante una traballante festa etilica. Virginia se ne era andata presto, offesa per qualcosa, e l'aveva lasciato solo.
"Forse è questo che non va."
"Al diavolo."
Olsen scrollò le spalle. "È così per un sacco di gente. Senza, stanno male. Quello che passa la casa non conta."
"Non sono d'accordo. Bisognerebbe starsene a casa propria, e basta."
Il sorriso rotto ricomparve. "Dice così perché non sa dove trovare qualcuna su cui mettere le mani?"
"No" negò con forza. "Perché ne sono convinto."
"Non è stato felice di quel che ha avuto due anni fa?"
"Avrei preferito non averlo." disse lui. Dopo si era pentito e non aveva più neanche tentato di ripetere l'esperienza. "Che senso ha sposarsi? E tua moglie? Approveresti se anche lei si desse da fare?"
"È diverso"
"Certo. Due pesi, due misure."
"Perché no? Per un uomo è naturale correre la cavallina. Ed è altrettanto naturale per una donna non farlo. Se mia moglie mi tradisse, l'ammazzerei. Lei lo sa." 
"E tu la tradisci?"
"Ogni volta che posso. Ogni volta."
 

In sintesi, la donna era ritenuta da Dick un essere inferiore e privo di qualsiasi autosufficienza incapace di esistere senza la protezione del marito, suo padrone assoluto. Si noterà che le sue idee in materia non sembrano poi così diverse da quelle professate dai Wahabiti e dai miliziani dello Stato Islamico.

"Le donne non ricavano niente dal sesso. Per lo più lo odiano. Si sottomettono per compiacere noi uomini."
"Che cazzate. Alle donne piace quanto a noi."
"Solo a quelle da poco" ritorse violentemente Olsen. "Senta cosa le dico: una vera signora da amare, di cui essere fieri al punto di volerla sposare, non si divertirebbe e non dovrebbe permetterti di toccarla. Mi trovi una donna che venga a letto con lei e io le mostrerò che è una puttana."
"Anche dopo il matrimonio?" Olsen si torturò una vescica sul pollice. "Lì è diverso. Bisogna fare i figli. Ma il sesso fuori dal matrimonio è peccato. Noi non siamo
stati creati per avere rapporti matrimoniali che non servano per far nascere i bambini."
"Mi pareva avessi detto che non perdi occasione." Olsen lo guardò in cagnesco.

"Non sono affari suoi."

La conversazione oscilla tra due posizioni contrapposte e inconciliabili. Quella dell'uomo liberale moderno, per cui "non c'è niente di degradante nel sesso", è enunciata soltanto per dare maggior risalto a quella radicale, che da una parte idealizza la donna e dall'altra la annienta. Così l'autore ci fa sapere quello che fa il sesso alle donne: "Le deruba della verginità. Il bene più prezioso che possiedono." Abbiamo un paradossale miscuglio in cui una misoginia febbrile e violenta quanto l'antisemitismo di Streicher si unisce a una sorta di senso cavalleresco. Sono opinioni che aprono squarci sull'universo interiore dickiano, ma che ai nostri giorni sarebbero considerate pertinenti alla psicopatologia. "Lei farebbe una cosa del genere a una donna che ama? Scommetto che ammazzerebbe chiunque stuprasse la donna che ama; lo castrerebbe. Penso che se davvero ami una donna, devi proteggerla.", afferma Olsen con autentico zelo puritano. Lo stesso identico Olsen che poi non esita a reclamare il diritto di fare ad altre ciò che non vorrebbe facessero a sua moglie! La sostanza è questa: impedire che la donna amata conosca un altro uomo, arrivando a ucciderla assieme all'amante in caso di trasgressione, secondo il più genuino diritto degli antichi Germani, ma al contempo avere rapporti anche violenti con donne altrui ogni volta che è possibile farlo. Certo, c'era un bel calderone di sofferenza e di rabbia nel cranio dell'uomo che fu invaso dalla Luce Rosa di Valis! Concludo qui il mio trattatello, invitando alla riflessione chi ha avuto la pazienza di leggere fino alla fine.