L'ENIGMATICA SESSUALITÀ
DI PHILIP K. DICK
DI PHILIP K. DICK
Ogni grande ingegno di questo mondo ha i suoi lati oscuri, i suoi segreti inconfessabili, che in ogni caso nulla tolgono al valore delle sue opere. In questi tempi di molestiadi imperversa il movimento MeToo, con torme di Erinni furiose che urlano, sbraitano e accusano ogni uomo sulla Terra di spaventose nefandezze. Per questo motivo ho molto riflettuto prima di pubblicare queste mie note su Philip K. Dick e sul suo modo di vedere la sessualità: il mio timore era che il materiale raccolto potesse nuocere alla reputazione del grande scrittore californiano (d'adozione, in realtà nacque a Chicago), attirandogli contro le ire delle femministe. Infine mi sono convinto della necessità di vincere ogni remora, e questo per merito dei carissimi amici Pietro, Sergio, Samuele e Daniele, che ringrazio per il loro prezioso sostegno. Ho messo ordine in ciò che avevo scritto e lo ho integrato con nuove osservazioni.
Philip K. Dick era tutto fuorché liberale in materia di sessualità. Per lui la sessualità era pura penetrazione: disprezzava profondamente ogni preliminare e in particolare odiava la fellatio, che riteneva una cosa abominevole. Associava inoltre l'atto sessuale alla procreazione con il massimo coinvolgimento emotivo, arrivando al punto di essere un fiero antiabortista. Al giorno d'oggi le sue posizioni sarebbero viste come arretrate persino dalla media dei membri del Ku Klux Klan. Dei membri superstiti, occorre precisare, visto che la setta non gode di buona salute, con buona pace dei buonisti isterici che vedono un incappucciato sotto ogni sasso e che scambiano un cerino acceso per una croce in fiamme. Come non mi stanco mai di ripetere, bisogna resistere sempre alla tentazione di dare giudizi al di fuori del contesto, altrimenti si rischiano grotteschi anacronismi. Gli Stati Uniti in cui Dick crebbe e si formò non furono certo un ambiente favorevole all'esaltazione edonistica della sessualità e del suo libero esercizio al di fuori del matrimonio.
Facciamo una panoramica, enucleando e discutendo brevemente le attestazioni più scabrose trovate nelle opere dickiane, quelle che più hanno colpito la mia immaginazione.
Un cadavere nell'armadio?
Nel romanzo mainstream Voci dalla strada (Voices from the Street), scritto nel 1952 circa e pubblicato soltanto nel 2007, si descrive in modo molto crudo uno stupro. Il protagonista è Stuart Hadley, soprannominato "Mezza Sega", un giovane uomo biondiccio e segaligno (mi si perdoni il gioco di parole) che fa il commesso in un negozio. Questi viene stuzzicato da Marsha Frazier, una donna fulva col doppio dei suoi anni, ma ancora dotata di libidine e di potere seduttivo - in un'epoca in cui una quarantenne era ritenuta vecchia e vicina alla pace dei sensi. Lui è sposato, ma si lascia incantare dalle moine della maliarda. I due noleggiano un cottage per trascorrervi la notte. Solo che al momento della resa dei conti, lei si nega: è soltanto un'allumeuse, non una vera fornicatrice. Ormai il giovane è arrapato come un mandrillo, così le punta il glande sulla vulva e senza tante cerimonie le caccia dentro l'asta turgida, non badando al fatto che lei non vuole saperne. La immobilizza e sfoga la propria libidine dentro di lei, riempiendola di sperma. Non contento, ripete l'operazione una seconda volta, tal quale, per niente intenerito dal trauma inflitto alla donna. La casetta è isolata, nessuno può sentire la donna urlare. Dopo gli atti violenti, lei si calma, lui lascia la casa al mattino e nessuno viene a sapere nulla. Sorge in me un dubbio atroce. Questa descrizione potrebbe benissimo essere autobiografica. La lettura mi ha lasciato con l'amaro in bocca: da allora nulla ha potuto togliermi il sospetto che si tratti di uno scheletro nell'armadio di Philip K. Dick. Anche se non è facile a questo punto identificare la donna e accertare se l'episodio narrato sia reale o se sia mera finzione, sono convinto che la mia ipotesi potrebbe non essere poi così peregrina. Per quanto la cosa possa apparire scabrosa, esiste la concreta possibilità che Dick, veemente penetratore, abbia fatto così il suo ingresso nel giardino della sessualità, "un mondo pieno di magia e di misteri". (cit.).
Riporto qui l'estratto dal romanzo giovanile dickiano:
Hadley la ignorò, si sfilò la cravatta, poi la camicia. Le appoggiò sul bracciolo della poltrona e si mise a sedere per slacciarsi le scarpe. Accanto al letto Marsha si fece passare lentamente la maglietta sopra la testa. Se ne liberò dimenandosi e la gettò sulla cassettiera, poi cominciò a slacciarsi la gonna. Un pezzo dopo l'altro, i due si tolsero tutti i vestiti. Nessuno disse nulla, nessuno guardò l'altro; quando Hadley ebbe finito di spogliarsi vide Marsha in piedi accanto al letto, nuda e con un'aria patetica: il suo corpo magro era una pallida macchia bianca nella penombra della stanza.
«Posso... fumare una sigaretta prima?» chiese lei.
«No.» Hadley la prese e la tirò verso il letto; lei incespicò e venne giù, cercando qualcosa a cui aggrapparsi.
«Andiamo, non perdiamo tempo.»
Marsha scostò le coperte con il corpo e scivolò verso il lato più lontano, quello addossato al muro; lui la seguì e per un attimo la squadrò con aria impassibile. Sotto
quell'esame freddo la donna si ritrasse impaurita, con le gambe ben strette, le spalle incurvate, le braccia rigidamente conserte. Alla fine, visto che Hadley non diceva
niente, non riuscì a trattenersi. «Stuart, per l'amor del cielo, piantala, ti prego. Per favore, lasciami in pace!»
Metodicamente, lui si abbassò e cominciò ad accarezzarla. Sotto la sua mano la carne di Marsha fremette e si increspò; sul ventre e sui fianchi si formò la pelle d'oca. Lei emise un piccolo gemito e si allontanò, schiacciandosi contro la parete, finché Hadley non la prese e non la riportò a sé con decisione.
«È troppo tardi per tirarsi indietro» disse. «Hai fatto il letto tu; adesso vedi di sdraiarti.»
Lei emise un grido stridulo quando Hadley le allargò le gambe e la penetrò; le sue unghie si appoggiarono tremanti sulla schiena di lui e vi affondarono. Con una spinta brutale del ginocchio Hadley le sollevò la schiena, la costrinse a piegare il corpo e inarcare le cosce, comprimendole le natiche fino a farla ansimare di terrore. Proprio sotto di lui, con la faccia deformata e stravolta, gli occhi chiusi, le labbra contratte fino a mostrare il bianco delle gengive, Marsha rantolava e boccheggiava, voltando la testa di qua e di là; il sudore le scorreva lungo il collo in grosse gocce gelate. Hadley drizzò il petto quanto più possibile: fissandola impassibile da quell'altezza cominciò a mettere in atto con puntualità gli intricati spasimi muscolari del sesso, con intensità crescente, fino a quando le dita che gli artigliavano la schiena lo costrinsero a ritrarsi da lei.
Si mise a fumare e attese, guardandola. Marsha respirava pesantemente, con gli occhi sempre chiusi e le lenzuola tirate su. Spossata, spaventata, si girò di fianco e si portò le ginocchia allo stomaco assumendo una strana, impressionante posizione fetale che gli diede da pensare mentre attendeva. Dopo un po' accese una seconda sigaretta e gliela porse. Lei la prese con le dita intorpidite e riuscì a mettersela fra le labbra. Quindi si tirò su un poco, debole e svuotata, fissandolo in silenzio e sollevando pateticamente il lenzuolo a coprire i seni piccoli e appuntiti.
Senza capire lo vide spegnere la sigaretta, prendere la sua e spegnere anche quella. Solo quando la sospinse di nuovo giù e le tolse di dosso il lenzuolo Marsha capì che stava ricominciando. Lottò con tutta la forza che aveva, lo colpì al petto, gli graffiò la faccia, lo morse, urlò e imprecò e gemette, nel tentativo vano di allontanarlo da sé. Senza emozione, con la mente distaccata e remota, Hadley le allargò le gambe e per la seconda volta fece entrare il suo ego smisurato in quel corpo che protestava disperatamente. Nella sua cavità palpitante riversò tutto l'odio, l'infelicità, il risentimento che alloggiavano dentro di lui come una pozza di acqua stagnante.
«Posso... fumare una sigaretta prima?» chiese lei.
«No.» Hadley la prese e la tirò verso il letto; lei incespicò e venne giù, cercando qualcosa a cui aggrapparsi.
«Andiamo, non perdiamo tempo.»
Marsha scostò le coperte con il corpo e scivolò verso il lato più lontano, quello addossato al muro; lui la seguì e per un attimo la squadrò con aria impassibile. Sotto
quell'esame freddo la donna si ritrasse impaurita, con le gambe ben strette, le spalle incurvate, le braccia rigidamente conserte. Alla fine, visto che Hadley non diceva
niente, non riuscì a trattenersi. «Stuart, per l'amor del cielo, piantala, ti prego. Per favore, lasciami in pace!»
Metodicamente, lui si abbassò e cominciò ad accarezzarla. Sotto la sua mano la carne di Marsha fremette e si increspò; sul ventre e sui fianchi si formò la pelle d'oca. Lei emise un piccolo gemito e si allontanò, schiacciandosi contro la parete, finché Hadley non la prese e non la riportò a sé con decisione.
«È troppo tardi per tirarsi indietro» disse. «Hai fatto il letto tu; adesso vedi di sdraiarti.»
Lei emise un grido stridulo quando Hadley le allargò le gambe e la penetrò; le sue unghie si appoggiarono tremanti sulla schiena di lui e vi affondarono. Con una spinta brutale del ginocchio Hadley le sollevò la schiena, la costrinse a piegare il corpo e inarcare le cosce, comprimendole le natiche fino a farla ansimare di terrore. Proprio sotto di lui, con la faccia deformata e stravolta, gli occhi chiusi, le labbra contratte fino a mostrare il bianco delle gengive, Marsha rantolava e boccheggiava, voltando la testa di qua e di là; il sudore le scorreva lungo il collo in grosse gocce gelate. Hadley drizzò il petto quanto più possibile: fissandola impassibile da quell'altezza cominciò a mettere in atto con puntualità gli intricati spasimi muscolari del sesso, con intensità crescente, fino a quando le dita che gli artigliavano la schiena lo costrinsero a ritrarsi da lei.
Si mise a fumare e attese, guardandola. Marsha respirava pesantemente, con gli occhi sempre chiusi e le lenzuola tirate su. Spossata, spaventata, si girò di fianco e si portò le ginocchia allo stomaco assumendo una strana, impressionante posizione fetale che gli diede da pensare mentre attendeva. Dopo un po' accese una seconda sigaretta e gliela porse. Lei la prese con le dita intorpidite e riuscì a mettersela fra le labbra. Quindi si tirò su un poco, debole e svuotata, fissandolo in silenzio e sollevando pateticamente il lenzuolo a coprire i seni piccoli e appuntiti.
Senza capire lo vide spegnere la sigaretta, prendere la sua e spegnere anche quella. Solo quando la sospinse di nuovo giù e le tolse di dosso il lenzuolo Marsha capì che stava ricominciando. Lottò con tutta la forza che aveva, lo colpì al petto, gli graffiò la faccia, lo morse, urlò e imprecò e gemette, nel tentativo vano di allontanarlo da sé. Senza emozione, con la mente distaccata e remota, Hadley le allargò le gambe e per la seconda volta fece entrare il suo ego smisurato in quel corpo che protestava disperatamente. Nella sua cavità palpitante riversò tutto l'odio, l'infelicità, il risentimento che alloggiavano dentro di lui come una pozza di acqua stagnante.
I dettagli bizzarri sono numerosi. Marsha Frazier aveva idee precorritrici della New Age e mostrava dichiarate simpatie neonaziste - cosa che non le impediva di gustare il gigantesco fallo del profeta mandingo Beckheim (è chiamato "the huge Negro"). Per quanto la cosa possa sembrare scabrosa, Dick frequentò anche neonazisti e nazisti veri e propri: non dimentichiamo che l'epoca in analisi distava nel tempo pochi anni soltanto dalla caduta del Reich Millenario. La sua biografia include un fatto ben strano, che molti considereranno indigesto. Egli aveva un amico che non si limitava a professarsi nazionalsocialista: lo era. Era tedesco e aveva fatto parte della NSDAP. Una sera fu portato con sé da Dick per una serata a casa di un ebreo. Quando venne a conoscenza del cognome dell'ospite, ebbe paura e scappò via a gambe levate. La cosa lasciò lo scrittore basito. Queste sono le sue parole, riportate nel saggio Il nazismo e The Man in the High Castle (1964):
"A un mio amico nazista, che vive negli Stati Uniti da quando è finita la guerra, mentre stavano entrando in casa di una persona, dissi: "Sai, questo mio amico si chiama Bob Goldstein". È sbiancato in volto (e se n'è andato): aveva letteralmente paura di mettere piede in quell'appartamento e, per giunta, provava un'orribile repulsione fisica. Perché? Chiedetelo a Hannah Arendt, che io considero la "massima critica moderna della Germania", anche lei ebrea. Ho la sensazione che neppure lei lo sappia, pur essendo cresciuta tra loro."
Forse la Arendt non avrebbe saputo trovare una risposta all'interrogativo dickiano, ma io so per certo spiegare come stanno le cose. In realtà è tutto perfettamente chiaro a chi abbia qualche nozione della mentalità hitleriana: per un autentico nazionalsocialista gli Israeliti sono "Ein Volk von Dämonen", ossia "un popolo di demoni". Persino gli Einsatzgruppen, che li massacrarono a decine e decine di migliaia, li consideravano "pericolosi": ritenevano che fossero patogeni esiziali da neutralizzare con ogni mezzo. Stanti gli antefatti esposti, ci sono sufficienti motivi per pensare che il passato di Dick fosse alquanto torbido. Poi, anni dopo, in seguito a un uso smodato di anfetamine e di allucinogeni, si rivoltò contro i suoi vecchi amici. Quando nel 1971 il suo archivio fu distrutto da ignoti, reagì attribuendo lo scempio a un gran numero di gruppi settari, e tra questi i neonazisti. All'improvviso etichettò un amico dalle idee destrorse come infiltrato e "pericoloso parassita". Le responsabilità non sono mai state chiarite, ma in realtà fu proprio l'estroso autore a distruggere di suo pugno l'archivio per sviare da qualche punto dolente. Lascia perplessi anche la patetica sceneggiata del suo sostegno a Martin Luther King come Presidente degli States. Intanto la domanda rimbomba nel mio cranio, cupa: "E se Marsha fosse ispirata a una donna in carne ed ossa?" Una donna reale, di idee antisemite, che con le sue riflessioni avrebbe ispirato a Dick l'idea portante del famoso romanzo ucronico La svastica sul sole (The Man in the High Castle). Ma anche una donna fragile, il cui destino non è certo stato roseo.
Un oscuro scrutare
Dal celebre romanzo fantascientifico Un oscuro scrutare (A Scanner Darkly), pubblicato nel 1977, emerge con la massima nitidezza l'idea che l'autore aveva della fellatio. Ho subito notato il dettaglio scabroso in un dialogo allucinato tra due personaggi, Charles Frack e Barris, che sparlano del loro amico Bob Arctor e commentano le abitudini voluttuarie di una ragazza da lui concupita, Donna. A un certo punto il perfido Barris fa un gesto per mimare l'ingestione di pasticche di ecstasy, che la decerebrata ingurgita a quattro palmenti fino a friggersi le sinapsi. Charles Freck capisce tutt'altro. Crede che l'amico voglia affermare che la ragazza vada in giro a succhiare falli e a ingoiare avidamente lo sperma che le è stato scaricato in bocca. Così sbotta, indignato, chiedendosi che razza di sesso sia mai quello. Quando capisce che la ragazza i pompini non li fa a nessuno e che è semplicemente una tossica terminale e una spacciatrice, subito si rasserena. Ecco la conversazione:
"Oh, la ragazza di Bob."
"Già, la sua ganza" disse Charles Freck, annuendo.
"La sua ganza no. Non le è mai finito fra le cosce. Ci tenta però."
"È una di cui ci si può fidare?"
"In che senso? A cosce aperte o..." Barris fece un gesto: portò la mano alla bocca e prese a deglutire.
"Ma che tipo di sesso è questo?" Poi comprese, illuminandosi. "Oh, certo. Nel secondo."
"Abbastanza affidabile. Un po' sventata, a volte. Com'è lecito attendersi da una pollastrella, specialmente dalle more. Ha il cervello fra le cosce, come molte di loro. Probabilmente lì tiene anche il nascondiglio per la roba." Ridacchiò. "Il nascondiglio per tutta la roba da spacciare."
Charles Freck si sporse verso di lui. "Quindi Arctor non se l'è mai fatta, Donna? Parla di lei come se glielo avesse già..."
Barris rispose: "Così è fatto Bob Arctor. Parla di molte cose come se le avesse già fatte. Ma non è così, per niente."
"Be', com'è che non se l'è mai trombata? Non gli si rizza?"
Barris rifletté con aria esperta, continuando a giocherellare col suo pasticcio; l'aveva ormai ridotto in piccoli pezzi. "Donna ha qualche problema. Probabilmente si fa con roba pesante. La sua avversione per il contatto fisico in generale... Quelli strafatti perdono interesse per il sesso, per il fatto che i loro organi si dilatano per vasocostrizione. E Donna, l'ho potuto osservare, mostra un'incapacità eccessiva a reagire agli stimoli sessuali, a un livello assolutamente innaturale. Non solo nei confronti di Arctor ma anche..." Fece una pausa stizzita. "Degli altri maschi in generale."
"Merda, vuoi semplicemente dire che non vuole aprirle."
"Le aprirebbe," disse Barris "se fosse maneggiata nel modo giusto. Per esempio..." Levò lo sguardo al cielo con fare misterioso. "Io posso mostrarti come metterla a gambe all'aria per novantotto centesimi"
"Io non voglio metterla a gambe all'aria. Da lei voglio soltanto comprare."
"Già, la sua ganza" disse Charles Freck, annuendo.
"La sua ganza no. Non le è mai finito fra le cosce. Ci tenta però."
"È una di cui ci si può fidare?"
"In che senso? A cosce aperte o..." Barris fece un gesto: portò la mano alla bocca e prese a deglutire.
"Ma che tipo di sesso è questo?" Poi comprese, illuminandosi. "Oh, certo. Nel secondo."
"Abbastanza affidabile. Un po' sventata, a volte. Com'è lecito attendersi da una pollastrella, specialmente dalle more. Ha il cervello fra le cosce, come molte di loro. Probabilmente lì tiene anche il nascondiglio per la roba." Ridacchiò. "Il nascondiglio per tutta la roba da spacciare."
Charles Freck si sporse verso di lui. "Quindi Arctor non se l'è mai fatta, Donna? Parla di lei come se glielo avesse già..."
Barris rispose: "Così è fatto Bob Arctor. Parla di molte cose come se le avesse già fatte. Ma non è così, per niente."
"Be', com'è che non se l'è mai trombata? Non gli si rizza?"
Barris rifletté con aria esperta, continuando a giocherellare col suo pasticcio; l'aveva ormai ridotto in piccoli pezzi. "Donna ha qualche problema. Probabilmente si fa con roba pesante. La sua avversione per il contatto fisico in generale... Quelli strafatti perdono interesse per il sesso, per il fatto che i loro organi si dilatano per vasocostrizione. E Donna, l'ho potuto osservare, mostra un'incapacità eccessiva a reagire agli stimoli sessuali, a un livello assolutamente innaturale. Non solo nei confronti di Arctor ma anche..." Fece una pausa stizzita. "Degli altri maschi in generale."
"Merda, vuoi semplicemente dire che non vuole aprirle."
"Le aprirebbe," disse Barris "se fosse maneggiata nel modo giusto. Per esempio..." Levò lo sguardo al cielo con fare misterioso. "Io posso mostrarti come metterla a gambe all'aria per novantotto centesimi"
"Io non voglio metterla a gambe all'aria. Da lei voglio soltanto comprare."
A Dick il sesso orale faceva schifo, soprattutto se praticato dalla donna all'uomo. Lo riteneva un'aberrazione contro natura, un'invenzione diabolica alla cui diffusione sempre più capillare assisteva sgomento, un contatto ripugnante che avrebbe volentieri estirpato ricorrendo a misure draconiane. Interpretava la natura di quell'atto in modo non dissimile da Daniel Balint, l'ebreo nazista del film The Believer (Henry Bean, 2001): il pompino è uno strumento con cui la donna manipola l'uomo e ne annienta la volontà, spingendolo a fare tutto ciò che lei vuole e facendolo poi sentire in colpa, atteggiandosi a "vittima di un porco". Per il nostro californiano preferito, l'atto sessuale doveva essere la pura e semplice affermazione del maschio sulla femmina, uno strumento di dominio in cui era la volontà della donna a dover essere annullata. Il dialogo tra Charles Freck e Barris lo dimostra in modo lampante. Per consumare l'atto con una ragazza desiderata, secondo Dick era sufficiente che il cazzo si rizzasse. All'erezione conseguiva la penetrazione, come al giorno segue la notte. C'è un piccolo particolare: perché tutto ciò si compia, basta la fisiologia, visto che l'opinione della ragazza concupita è irrilevante. Che lei ci stia o meno, se il maschio è infoiato, per l'esuberante scrittore ha il diritto di consumare l'atto. Se la consumazione non avviene, è perché la donna serra le gambe in modo talmente stretto che l'uomo non riesce ad aprirle, o perché i suoi genitali, congestionati dalla droga, oppongono all'asta turgida una formidabile resistenza. Sono convinto che la massima parte dei lettori e delle lettrici riterrebbe tutto questo vomitevole. Ci rendiamo conto che per molto meno al giorno d'oggi si è accusati di "femminicidio"?
Un racconto antiabortista
Non piacerebbe affatto agli umanitari e ai liberali il racconto fantascientifico Le pre-persone (The Pre-persons), pubblicato per la prima volta nell'ottobre del 1974 sulla rivista Fantasy and Science Fiction. A dire il vero non piace nemmeno a me, che non sono né umanitario né liberale, essendo un notorio estimatore di Ezzelino III da Romano, di Hulagu Khan e dei Tokugawa. Lo scritto dickiano in questione è fondato su un surreale ma efficace presupposto. In una futuribile società statunitense in declino, per un cavillo legale i bambini possono essere messi a morte anche dopo la nascita, anche quando ormai camminano e parlano, e l'atto viene assimilato a un semplice aborto. Infatti la legge stabilisce che l'anima entri nel corpo quando un bambino ha la facoltà di eseguire semplici operazioni algebriche, quindi all'età di dodici anni circa - questa è la linea di demarcazione che separa un umano da un non umano. Prima di allora, può essere soppresso e la sua uccisione non è tecnicamente considerata omicidio. Il metodo di esecuzione è a dir poco raccapricciante: viene infilato un tubicino metallico nei polmoni della vittima e tramite una pompa pneumatica viene aspirata tutta l'aria, fino ad indurre il soffocamento tra atroci convulsioni. Ogni bambino deve essere provvisto di un "documento di desiderabilità": non appena diventa indesiderabile viene chiamato l'apposito camion degli aborti, che si occupa dell'eliminaizone dei bambini scomodi e dello smaltimento dei loro corpi. L'ipocrisia burocratica impone di sostituire in questo contesto il verbo "uccidere" con "mettere a dormire". Non per niente, Philip Dick è molto amato dai movimenti cosiddetti "Pro Life". Lo stomachevole racconto è stato preso come un vessillo dagli embriolatri anche in Italia. Abilissimi nel presentarsi come vittime, questi farisei ingannatori descrivono la Chiesa Romana come un esercito di "difensori della vita" che mette i bastoni tra le ruote al potere, alle istituzioni che vogliono eliminare esseri umani indifesi come gli embrioni. Sfugge a questi malfattori un fatto molto semplice. La Chiesa Romana, pur essendo teologicamente morta e lontana dal sentire delle masse, fa parte del potere ed è un'istituzione a tutti gli effetti. I suoi ministri non sono e non potranno mai essere annoverati tra gli oppressi - non in Occidente. Essi vogliono che siano prodotte sempre nuove vite per poterle abusare a loro piacimento: non provengono da Cristo, ma dal paese di Sodoma e Gomorra! Detto questo, Dick non era affatto cattolico. In America i "Pro Life" non sono affatto necessariamente cattolici: i lettori italiani si dimenticano che esistono numerosissime Chiese protestanti ben più attive e motivate di quella di Roma. Cosa ha spinto lo scrittore a sostenere con tanto radicalismo posizioni "Pro Life"? Elementare: la sua rivendicazione del diritto del maschio a penetrare la femmina indipendentemente dall'assenso di lei, di iniettarle lo sperma nel ventre e di far sì che tale iniezione desse origine a una nuova esistenza destinata ad essere stritolata dal mondo. Probabilmente il suo sentire era più affine a quello di uno xenomorfo che a quello di un cattolico, proprio perché aveva le sue salde radici nel genoma e nei suoi sommovimenti. C'è poi un dettaglio che gli italici "difensori della vita" non considerano: la tirannia che emerge dalla narrazione è matriarcale. Il racconto è anche e soprattutto un atto di guerra nei confronti del movimento femminista, colpevole di reificare il maschio, ossia di ridurlo a una cosa, a un oggetto puramente materiale e manipolabile, ora della fine a una nullità insignificante su cui infierire. Donne snaturate, che mettono a nudo il cervello dei loro schiavi per spegnere sigarette nella materia grigia o per bucarla con i tacchi a stiletto!
Un grave problema col mestruo
Nel romanzo mainstream Confessioni di un artista di merda (Confessions of a Crap Artist), scritto nel 1959 e pubblicato solo nel 1976, è descritto un episodio bizzarro quanto notevole. Il protagonista è Jack Isidore, in sostanza uno sballato con l'ossessione dell'ufologia. Suo cognato Charley Hume viene costretto dalla moglie ad andare in farmacia e a comprarle gli assorbenti intimi. L'incarico è vissuto dall'uomo come qualcosa di sommamente degradante. Così quando rincasa viene colto da un raptus e massacra di botte la moglie. A causa del parossismo di furia, Charley ha un infarto e viene ricoverato in ospedale. Alla fine la sua dignità è talmente compromessa dall'atteggiamento della moglie, che non gli resta altra alternativa che il suicidio. La sua autolisi mentale è stata scatenata dal contatto con una scatola di assorbenti, dall'umiliazione di chiedere al farmacista quel genere di prodotto, apparendo così ai suoi occhi come svirilizzato. Nell'Africa subsahariana sono diffuse idee molto simili, così un uomo non può neppure avvicinarsi a una toilette femminile: se questo tabù viene violato, ne consegue l'impotenza! Ecco la scena, di una brutalità inaudita:
"Guarda che cosa ti ho portato," le disse, tirando fuori il vassoio di ostriche affumicate.
Fay disse "Oh…" E prese il vassoio, accettandolo in modo da dimostrargli che capiva che lui lo aveva fatto per uno scopo molto serio, per il desiderio di esprimerle i propri sentimenti. Sapeva accettare i regali come nessun altro. Sapeva comprendere che cosa provava lui, o le bambine o i vicini di casa o chiunque altro. Non diceva mai più del necessario, non esagerava mai con le manifestazioni di entusiasmo, e sapeva sempre mettere in rilievo gli aspetti significativi del dono, far capire perché fosse importante per lei. Lo guardò, e la sua bocca si atteggiò ad un fugace sorriso simile ad una smorfia… poi piegò la testa da un lato e continuò a fissarlo.
"E questi," aggiunse lui, tirando fuori i Tampax.
"Grazie," disse lei, prendendo il pacco. In quel mentre lui si ritrasse e, sentendosi emettere un rantolo, la colpì in pieno petto. Fay barcollò all'indietro, allontanandosi da lui, e lasciando cadere il vassoio di ostriche affumicate; allora le corse appresso - lei stava scivolando lungo il fianco del tavolo e mentre cercava di aggrapparsi a qualcosa per non cadere fece cadere a terra la lampada - e la colpì di nuovo, e stavolta le fece volare via gli occhiali dal viso. Lei si crollò di schianto, tirandosi addosso tutto quello che c'era sopra il tavolo.
Fay disse "Oh…" E prese il vassoio, accettandolo in modo da dimostrargli che capiva che lui lo aveva fatto per uno scopo molto serio, per il desiderio di esprimerle i propri sentimenti. Sapeva accettare i regali come nessun altro. Sapeva comprendere che cosa provava lui, o le bambine o i vicini di casa o chiunque altro. Non diceva mai più del necessario, non esagerava mai con le manifestazioni di entusiasmo, e sapeva sempre mettere in rilievo gli aspetti significativi del dono, far capire perché fosse importante per lei. Lo guardò, e la sua bocca si atteggiò ad un fugace sorriso simile ad una smorfia… poi piegò la testa da un lato e continuò a fissarlo.
"E questi," aggiunse lui, tirando fuori i Tampax.
"Grazie," disse lei, prendendo il pacco. In quel mentre lui si ritrasse e, sentendosi emettere un rantolo, la colpì in pieno petto. Fay barcollò all'indietro, allontanandosi da lui, e lasciando cadere il vassoio di ostriche affumicate; allora le corse appresso - lei stava scivolando lungo il fianco del tavolo e mentre cercava di aggrapparsi a qualcosa per non cadere fece cadere a terra la lampada - e la colpì di nuovo, e stavolta le fece volare via gli occhiali dal viso. Lei si crollò di schianto, tirandosi addosso tutto quello che c'era sopra il tavolo.
La seconda moglie di Philip K. Dick, Anne, aveva la consuetudine di mandarlo in farmacia a comprare gli assorbenti intimi. Lui riteneva questo compito umiliante e incompatibile con il proprio orgoglio di maschio. Così, dopo aver sopportato la cosa per un po' di volte, una sera è tornato a casa e ha cominciato a picchiare selvaggiamente la moglie, assestandole pugni nel ventre, al petto e in faccia, rischiando di procurarle seri danni. Questo episodio è menzionato nella biografia dickiana Divine invasioni: La vita di Philip K. Dick (Divine Invasions. A Life of Philip K. Dick), di Lawrence Sutin, che è stato anche biografo del Perdurabo:
"Nel capitolo 3, Charley aggredisce Fay, perché lei lo ha umiliato, mandandolo a comprare - e chiedendoglielo in pubblico - dei Tampax all'emporio del posto. Nella vita "reale" Phil andava a comprare i Tampax per Anne senza fare alcun commento. Quando lesse il romanzo, Anne domandò a Phil perché non le avesse detto che gli dava fastidio andarli a comprare. Negli anni Settanta, Phil avrebbe poi parlato ai suoi amici del giorno in cui saltà addosso ad Anne e la picchiò, dopo averle dovuto comprare i Tampax. Nel 1963, quattro anni dopo che era stato scritto Artista di merda, si verificarono sporadici atti di violenza fisica sia da parte di Phil che di Anne. Artista di merda annunciava già che ci sarebbero stati. Precognizione: sempre negli anni Settante, Phil sostenne di averne avuta, in alcuni dei suoi romanzi. Ascoltiamo Nat: Mi chiedo se prima o poi le metterò le mani addosso, si disse. In vita sua non aveva mai picchiato una donna eppure già sentiva che Fay era il tipo di donna che portava un uomo a picchiarla. Certamente lei non se ne rendeva conto, non aveva nessuna convenienza a farlo... "
Ma quale precognizione? A mio avviso egli era un marito manesco che nel corso degli anni ha assestato alle sue consorti innumerevoli raffiche di sganassoni. Picchiare una donna fuori dal matrimonio è peccato, avrà pensato di certo, ma nel matrimonio cambia tutto. La moglie Anne, santa donna, lo difese per parargli il culo e impedire che questi fatti scabrosi compromettessero in modo irreparabile la sua reputazione.
Dialoghi con un sockpuppet
Nel romanzo mainstream In questo piccolo mondo (Puttering About in a Small Land), scritto intorno al 1957 e pubblicato postumo nel 1985, sono contenute alcune conversazioni sconcertanti. Sembra che l'autore lotti contro se stesso, dando origine a stringhe verbali convulse, ben oltre i confini della schizofrenia. Riporto qualche brano in questa sede:
Olsen domandò con la sua voce aspra, "Da quant'è che non si fa una scopata?"
"Dipende da che cosa intendi."
"Sa benissimo cosa intendo." Olsen infilò il pollice nella birra poi lo estrasse per esaminarlo. "Non sto certo parlando del salotto buono."
"Due anni" disse Roger. Nel 1950, l'ultimo dell'anno, ero andato a letto con una ragazza incontrata durante una traballante festa etilica. Virginia se ne era andata presto, offesa per qualcosa, e l'aveva lasciato solo.
"Forse è questo che non va."
"Al diavolo."
Olsen scrollò le spalle. "È così per un sacco di gente. Senza, stanno male. Quello che passa la casa non conta."
"Non sono d'accordo. Bisognerebbe starsene a casa propria, e basta."
Il sorriso rotto ricomparve. "Dice così perché non sa dove trovare qualcuna su cui mettere le mani?"
"No" negò con forza. "Perché ne sono convinto."
"Non è stato felice di quel che ha avuto due anni fa?"
"Avrei preferito non averlo." disse lui. Dopo si era pentito e non aveva più neanche tentato di ripetere l'esperienza. "Che senso ha sposarsi? E tua moglie? Approveresti se anche lei si desse da fare?"
"È diverso"
"Certo. Due pesi, due misure."
"Perché no? Per un uomo è naturale correre la cavallina. Ed è altrettanto naturale per una donna non farlo. Se mia moglie mi tradisse, l'ammazzerei. Lei lo sa."
"E tu la tradisci?"
"Ogni volta che posso. Ogni volta."
"Dipende da che cosa intendi."
"Sa benissimo cosa intendo." Olsen infilò il pollice nella birra poi lo estrasse per esaminarlo. "Non sto certo parlando del salotto buono."
"Due anni" disse Roger. Nel 1950, l'ultimo dell'anno, ero andato a letto con una ragazza incontrata durante una traballante festa etilica. Virginia se ne era andata presto, offesa per qualcosa, e l'aveva lasciato solo.
"Forse è questo che non va."
"Al diavolo."
Olsen scrollò le spalle. "È così per un sacco di gente. Senza, stanno male. Quello che passa la casa non conta."
"Non sono d'accordo. Bisognerebbe starsene a casa propria, e basta."
Il sorriso rotto ricomparve. "Dice così perché non sa dove trovare qualcuna su cui mettere le mani?"
"No" negò con forza. "Perché ne sono convinto."
"Non è stato felice di quel che ha avuto due anni fa?"
"Avrei preferito non averlo." disse lui. Dopo si era pentito e non aveva più neanche tentato di ripetere l'esperienza. "Che senso ha sposarsi? E tua moglie? Approveresti se anche lei si desse da fare?"
"È diverso"
"Certo. Due pesi, due misure."
"Perché no? Per un uomo è naturale correre la cavallina. Ed è altrettanto naturale per una donna non farlo. Se mia moglie mi tradisse, l'ammazzerei. Lei lo sa."
"E tu la tradisci?"
"Ogni volta che posso. Ogni volta."
In sintesi, la donna era ritenuta da Dick un essere inferiore e privo di qualsiasi autosufficienza incapace di esistere senza la protezione del marito, suo padrone assoluto. Si noterà che le sue idee in materia non sembrano poi così diverse da quelle professate dai Wahabiti e dai miliziani dello Stato Islamico.
"Le donne non ricavano niente dal sesso. Per lo più lo odiano. Si sottomettono per compiacere noi uomini."
"Che cazzate. Alle donne piace quanto a noi."
"Solo a quelle da poco" ritorse violentemente Olsen. "Senta cosa le dico: una vera signora da amare, di cui essere fieri al punto di volerla sposare, non si divertirebbe e non dovrebbe permetterti di toccarla. Mi trovi una donna che venga a letto con lei e io le mostrerò che è una puttana."
"Anche dopo il matrimonio?" Olsen si torturò una vescica sul pollice. "Lì è diverso. Bisogna fare i figli. Ma il sesso fuori dal matrimonio è peccato. Noi non siamo stati creati per avere rapporti matrimoniali che non servano per far nascere i bambini."
"Mi pareva avessi detto che non perdi occasione." Olsen lo guardò in cagnesco.
"Non sono affari suoi."
"Che cazzate. Alle donne piace quanto a noi."
"Solo a quelle da poco" ritorse violentemente Olsen. "Senta cosa le dico: una vera signora da amare, di cui essere fieri al punto di volerla sposare, non si divertirebbe e non dovrebbe permetterti di toccarla. Mi trovi una donna che venga a letto con lei e io le mostrerò che è una puttana."
"Anche dopo il matrimonio?" Olsen si torturò una vescica sul pollice. "Lì è diverso. Bisogna fare i figli. Ma il sesso fuori dal matrimonio è peccato. Noi non siamo stati creati per avere rapporti matrimoniali che non servano per far nascere i bambini."
"Mi pareva avessi detto che non perdi occasione." Olsen lo guardò in cagnesco.
"Non sono affari suoi."
La conversazione oscilla tra due posizioni contrapposte e inconciliabili. Quella dell'uomo liberale moderno, per cui "non c'è niente di degradante nel sesso", è enunciata soltanto per dare maggior risalto a quella radicale, che da una parte idealizza la donna e dall'altra la annienta. Così l'autore ci fa sapere quello che fa il sesso alle donne: "Le deruba della verginità. Il bene più prezioso che possiedono." Abbiamo un paradossale miscuglio in cui una misoginia febbrile e violenta quanto l'antisemitismo di Streicher si unisce a una sorta di senso cavalleresco. Sono opinioni che aprono squarci sull'universo interiore dickiano, ma che ai nostri giorni sarebbero considerate pertinenti alla psicopatologia. "Lei farebbe una cosa del genere a una donna che ama? Scommetto che ammazzerebbe chiunque stuprasse la donna che ama; lo castrerebbe. Penso che se davvero ami una donna, devi proteggerla.", afferma Olsen con autentico zelo puritano. Lo stesso identico Olsen che poi non esita a reclamare il diritto di fare ad altre ciò che non vorrebbe facessero a sua moglie! La sostanza è questa: impedire che la donna amata conosca un altro uomo, arrivando a ucciderla assieme all'amante in caso di trasgressione, secondo il più genuino diritto degli antichi Germani, ma al contempo avere rapporti anche violenti con donne altrui ogni volta che è possibile farlo. Certo, c'era un bel calderone di sofferenza e di rabbia nel cranio dell'uomo che fu invaso dalla Luce Rosa di Valis! Concludo qui il mio trattatello, invitando alla riflessione chi ha avuto la pazienza di leggere fino alla fine.
Nessun commento:
Posta un commento