martedì 22 ottobre 2019


AMERICAN PASTORAL 
(film)

Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 2016
Regia: Ewan McGregor
Lingua: Inglese

Genere:
Drammatico

Durata:
108 min
Rapporto: 2,35:1
Soggetto: dall'omonimo romanzo di Philip Roth
Sceneggiatura: John Romano
Produttore: Gary Lucchesi, Tom Rosenberg, Zane Weiner
Produttore esecutivo: Andre Lamal, Terry McKay
Casa di produzione: Lakeshore Entertainment, Lionsgate
Distribuzione in italiano: Eagle Pictures
Fotografia: Martin Ruhe
Montaggio: Melissa Kent
Musiche: Alexandre Desplat
Interpreti e personaggi 
    Ewan McGregor: Seymour Levov lo Svedese
    Jennifer Connelly: Dawn Dwyer Levov
    Dakota Fanning: Merry Levov
    Rupert Evans: Jerry Levov
    Peter Riegert: Lou Levov, il padre dello Svedese
    Valorie Curry: Rita Cohen
    David Strathairn: Nathan Zuckerman
    Uzo Aduba: Vicky
    Mark Hildreth: L'agente Dolan
    Molly Parker: Sheila Smith
    David Whalen: Bill Orcutt
    Corrie Danieley: Jessie Orcutt, la milf alcolizzata
    David Case: Russ Hamlin
    Max Ivcic: Il figlio di Hamlin
    Ocean "Nalu" James: Merry Levov a 8 anni
    Hannah Nordberg: Merry Levov a 12 anni
    Julia Silverman: Sylvia Levov
 
    Chuck Diamond: Il rabbino 

    Peter Gannon: L'ufficiale di polizia
    Leonard Anthony: La guardia nazionale
Doppiatori italiani 
    Francesco Bulckaen: Seymour Levov lo Svedese
    Giuppy Izzo: Dawn Dwyer Levov
    Rossa Caputo: Merry Levov
    Massimo De Ambrosis: Jerry Levov
    Carlo Valli: Lou Levov
    Benedetta Degli Innocenti: Rita Cohen
    Mario Cordova: Nathan Zuckerman
    Laura Romano: Vicky
    Gianfranco Miranda: agente Dolan
    Francesca Fiorentini: Sheila Smith 
Budget: 10 milioni di dollari USA
Box office: 1,7 milioni di dollari USA (fallimento completo)
Traduzioni del titolo: A quanto mi risulta, è stato sempre
    mantenuto il titolo originale.

Trama:
Siamo nel 1996, nel Liceo di Weequahic, nel quartiere ebraico di Newark, New Jersey. Si sta tenendo la quarantacinquesima riunione annuale della classe '51. In quest'occasione lo scrittore Nathan Zuckerman si aggira triste tra gente che non riesce nemmeno più a riconoscere. Si sta annoiando a morte, ma a un certo punto raggiunge un corridoio con i trofei di Seymour Levov lo Svedese, che all'epoca era un eroe sportivo. Ha così inizio un lungo flashback: vediamo il giovane Svedese alle prese con l'arcigno padre, Lou Levov, proprietario di un'importante fabbrica di guanti. Il motivo del contrasto è la reginetta di bellezza Dawn Dwyer, Miss New Jersey 1947, che lo Svedese vorrebbe sposare. L'autoritario genitore non vede di buon occhio l'unione per via della differenza di religione tra i fidanzati ed è scettico sul loro futuro insieme. Sottopone quindi la ragazza cattolica a un estenuante interrogatorio, mettendola in grande imbarazzo, ma alla fine è conquistato dalla sua onestà e dalla sua determinazione. A questo punto il patriarca ashkenazita non può lesinare la sua benedizione ai due giovani e le nozze hanno luogo. Tutto sembra andare a gonfie vele. Seymour e Dawn hanno una figlia, Meredith "Merry", e vanno ad abitare in una cittadina dal nome a dir poco bizzarro: Old Rimrock (to rim significa "praticare l'anilingus"). La coppia acquista in quella ridente località una bella fattoria antica, che dista soltanto 30 miglia dalla fabbrica di guanti di Newark. Le nebbie dei ricordi si diradano, quando Zuckerman incontra il suo vecchio amico Jerry Levov, fratello minore di Seymour. Subito i loro discorsi vanno allo Svedese, da poco scomparso (i funerali si sarebbero svolti l'indomani), per poi concentrarsi sui traumatici avvenimenti degli anni '60, epoca in cui lo scrittore si trovava all'estero. Mentre Jerry racconta, un nuovo flashback prende corpo. Merry cresce con un significativo problema di pronuncia: è balbuziente. Inciampa sulle sillabe. Dal momento che i suoi genitori irradiano bagliori di perfezione assoluta, tanto da sembrare nativi della Terra degli Dei, non sono in grado di gestire il cruccio di una figlia tanto scomoda e fastidiosa. Lo spigoloso nonno Lou dice che la nipotina tartaglia perché ha una mente che lavora troppo in fretta. Nel suo equilibrio, nella sua razionalità assoluta, lo Svedese non vorrebbe dare troppa importanza alla cosa, ma ben presto capisce che non basta non pensare a un problema perché scompaia da sé. Purtroppo tutto va sempre peggio. Il disturbo di Merry scava in profondità nella sua mente, come un piccolo baco della frutta che diventa smisurato come il Serpente di Miðgarðr, che i Vichinghi pensavano avvolgesse il mondo tra le sue spire. I Levov portano la figlia da una logopedista che cerca di scaricare su di lei la responsabilità, sostenendo una tesi stravagante: la balbuzie sarebbe una scelta volontaria della bambina per sfuggire alle difficoltà del mondo e per essere sempre al centro dell'attenzione. Nel sentire queste parole, il volto sempre disteso dello Svedese si contrae per pochi istanti in un rictus di rabbia. Quando Merry è una dodicenne, siamo nel 1963, le accade qualcosa di imprevisto e cruciale: assiste alla televisione all'immolazione del monaco buddhista vietnamita Thích Quảng Đức, che si dà fuoco per protesta. Quello che pochi sanno - che non viene spiegato dal film e neppure da Roth nel romanzo - è che la combustione del bonzo non è stata causata dalla politica aggressiva degli Stati Uniti, bensì dalla persecuzione dei buddhisti ad opera del presidente cattolico Ngô Đình Diệm. Fatto sta che Merry rimane sconvolta nel vedere le fiamme divorare quel sant'uomo del monaco. Questo innesca una reazione nella bambina, che intraprende il suo cammino di politicizzazione. Un cammino senza ritorno. Già nel 1967, mentre infuriano le proteste contro la guerra in Vietnam, lo Svedese assiste al crescere della rabbia e dell'odio nella sedicenne Merry. Cerca così di incanalare queste energie distruttive per impiegarle in qualcosa di costruttivo. Quello che l'uomo vuol far capire alla figlia è una cosa almeno in apparenza molto semplice: in una democrazia illuminata come quella della Terra dei Liberi ci si può opporre all'iniquità usando i mezzi dati dalla Costituzione. Nel corso di una discussione animata con la giovane ribelle, preso dall'esasperazione, pronuncia un invito che non sarebbe dovuto uscire dalla sua bocca: "Portiamo la guerra in casa". A insufflargli lo slogan insensato è un folletto maligno, una specie di coboldo. Al sorgere del sole, Russ Hamlin, proprietario dell'emporio del paese e gestore dell'ufficio postale, esce dalla porta dell'edificio come ogni mattina per alzare la bandiera americana sull'asta ed ecco che esplode una bomba. L'uomo muore all'istante. La guerra è stata portata a Old Rimrock! Merry, subito sospettata dall'FBI, fa perdere le sue tracce. Ovviamente i suoi genitori non possono nemmeno concepire l'idea che sia colpevole; in particolare la madre si ostina a sostenere che sia stata plagiata da qualche cattiva compagnia. Passa un po' di tempo e lo Svedese riceve l'inquietante visita di una ragazza nella fabbrica di guanti a Newark. La giovane, una brunetta tutta pepe, dice di chiamarsi Rita Cohen e di essere una stagista intenzionata ad apprendere i segreti della produzione guantaria. Si fa spiegare i fondamenti del mestiere, ma quando sta per accomiatarsi dice allo Svedese di essere stata mandata da Merry. Con l'esca di informazioni credibili sulla latitante, Rita attira l'uomo in una camera d'albergo dicendogli di portarle 10.000 dollari in contanti. Una volta che lui la raggiunge con i soldi in una valigetta, lei assume atteggiamenti provocanti, apre le gambe e lo incita a penetrarla, evocando fantasie di incesto che lo paralizzano e lo fanno fuggire in preda all'orrore. Tale è il suo sgomento da impedirgli persino di recuperare la cospicua somma di denaro, come forse avrebbe fatto una persona sensata. Impossessatasi del gruzzolo, la diabolica Cohen scompare nel nulla e non fa avere alcuna notizia. Passano gli anni. La salute mentale di Dawn mostra segni di grave deterioramento. Una notte entra nella fabbrica di Newark e viene sorpresa a ballare nuda con addosso soltanto i guanti e la sua corona da reginetta di bellezza. Il marito la fa ricoverare in un istituto psichiatrico, andandola a trovare tutti i giorni. Lei gli vomita addosso tutto il suo disprezzo, accusandolo di averle ucciso i sogni e di averla voluta sposare con la forza. Una volta dimessa, Dawn fa di tutto per cambiare la sua vita cancellanto ogni traccia del passato. Suo desiderio è rimuovere persino il ricordo dell'esistenza della figlia perduta. Si sottopone a un lifting in una clinica svizzera. Assume un architetto e artista, Bill Orcutt, perché progetti la sua nuova casa, dato che quella in cui ha vissuto gli anni d'oro del suo matrimonio ormai le sembra una prigione piena di muffa. Anche se cornuto, lo Svedese sopporta ogni stramberia della moglie con calma olimpica, finché una sera del 1970 accade qualcosa di imprevisto: in una strada di New York vede Rita Cohen e la affronta, costringendola a portarla al nascondiglio di Merry - che all'insaputa di tutti è sempre rimasta a Newark. Quando il padre finalmente incontra la figlia, si muta in sale come la moglie di Lot. La dinamitarda, che confessa di aver commesso quattro omicidi in alcuni attentati, ora espia i suoi crimini macerandosi nell'ascetismo estremo dell'austera religione Jaina. Da quando si è imposta tali spaventose condizioni di vita, la sua balbuzie è scomparsa come per miracolo. Dice al padre che non ha intenzione di tornare a casa e che se lui davvero la ama, deve lasciarla stare. A questo punto si vede una serie di fotogrammi dello Svedese in piedi tra le rovine, ogni volta più vecchio. Con questo espediente il regista ha pensato di rappresentare la successione degli anni che passano. L'ovvio epilogo è il funerale di Seymour Levov, presenziato da Nathan Zuckerman. Quando i partecipanti si allontanano, ecco una donna biondiccia di mezza età che si dirige con andatura fiera verso il feretro in attesa di essere inumato: è proprio Meredith "Merry", che per l'occasione ha dismesso il suo aspetto da eremita giainista e indossa un'elegante giacca di color carta da zucchero.

Recensione:
Non credo di essere impreciso affermando che Ewan McGregor ha diretto se stesso: è stato al contempo regista e protagonista, avendo interpretato il ruolo di Seymour Levov lo Svedese. Tutto sommato non è un brutto film, ma comunque non l'ho ritenuto un capolavoro. Avendo letto prima il romanzo di Philip Roth su cui si basa, non ho potuto fare a meno di effettuare qualche confronto e di giungere a conclusioni non troppo entusiasmanti. Forse è proprio per il fatto di aver presente la scrittura che non sono rimasto molto soddisfatto dalle immagini e dai dialoghi. A quanto ho appreso nel vasto Web, non sono stati in pochi a ritenere deludente questo adattamento cinematografico. L'unico giudizio pienamente positivo in cui mi sono imbattuto finora è da parte di un mio correligionario, il Fratello Pietro, che però ha ammesso di aver visto la pellicola senza aver letto il libro. Il punto è che McGregor ha costruito un castello a partire da pietre la cui natura gli era sconosciuta. Ha assemblato un gran numero di elementi la cui provenienza era per lui un grande mistero. Sorge quindi l'eterno problema del sincretismo. Componenti incompatibili vengono messe l'una a fianco dell'altra, e non c'è verso di capire come hanno fatto a finire proprio in quella collocazione. Proprio come nella religione degli Hare Krishna, che assembla elementi manichei anticosmici, di estrema ripugnanza verso il Cosmo, a elementi panteisti e cosmisti, di totale sottomissione alle leggi della Natura. L'architetto che esegue queste contaminazioni tra ontologie incompatibili non si rende conto di quanto aberrante sia l'ispirazione che lo muove. Non lo può capire. Non lo può intuire. Chi conosce i mattoni di provenienza dell'edificio ibrido è il solo a poterne chiarire l'essenza intrinsecamente aberrante. Non solo: egli è il solo a poterne denunciare lo sconcio. Se avrete la pazienza di leggere, cari lettori, avrete un'idea di quanto è successo.


 
Attori e ruoli 

A mio parere McGregor nel ruolo dello Svedese è un po' esangue, quasi incolore. Certo, il personaggio è per sua natura molto controllato, non perde mai le staffe, è quasi sempre impassibile di fronte alla realtà che lo circonda, ma quello che vediamo nel film è un po' eccessivo. Uno Svedese molle. Non dico che mi aspettassi un Dracula, certo, comunque mi ha quasi spiazzato la sua inerzia. L'ho trovato sottotono. A prima vista potrebbe sembrare che l'attore-regista non si sia impegnato abbastanza. Anche quando le esigenze del copione impongono una reazione forte, l'attore sembra un apatico che si sforza di recitare la parte di un uomo arrabbiato. Talmente asettico da sembrare una sfinge inquietante, l'atletico gigante rothiano ha un'espressione indecifrabile, come se indossasse una maschera di cera. Certo, il somatismo è perfetto, nordico e quasi identico a ciò che mi aspettavo di veder rappresentato; credo invece che la chioma avrebbe dovuto essere più chiara, biondiccia e non castana. Peter Riegert, l'attore che interpreta il vecchio Lou Levov, è una spanna al di sopra degli altri. Recita molto bene la parte del tiranno shylockiano. Indisponente, irritante, suscettibile, impiccione, sembra una somma delle peggiori pecche caratteriali, senza che nessuno possa porgli un freno. Non mi ha affatto convinto il grassoccio Rupert Evans nel ruolo di Jerry Levov: non ha fibra e trasuda mitezza bovina da ogni poro, mentre il personaggio plasmato da Roth è violento, collerico, scorbutico e ribelle oltre ogni misura. Quegli occhioni cerulei e sognanti non sono quelli di un campione di divorzi e di un attaccabrighe le cui parole sono sempre sopra le righe. Ci sarebbe voluto il cosiddetto "verme nell'occhio", quella guizzante peculiarità che rendeva spaventoso e insostenibile lo sguardo dei Vichinghi. Anche se non si fa menzione del precario stato di salute dello scrittore Nathan Zuckerman, credo che ben gli si adatti l'interpretazione malinconica di David Strathairn. Il sembiante dell'attore è itterico, nei suoi occhi non si trova nemmeno una pagliuzza di allegria, tutto in lui è silenziosa meditazione su un mondo che gli è estraneo. Quindi può soltanto essermi simpatico. Meredith "Merry" Levov è interpretata da ben tre attrici, a seconda dell'età. La bambina di 8 anni è Ocean "Nalu" James, la ragazzina di 12 anni è Hannah Nordberg, mentre l'adulta è Dakota Fanning. La scelta è stata azzeccata: allo spettatore non viene nemmeno l'idea di una discontinuità nel personaggio, come se il film registrasse vicende realmente avvenute. Trovo la balbuzie qualcosa di esasperante, mi trasmette una grande angoscia. Non posso farci niente, è più forte di me. Ricordo ancora S. detto "Balbinus", ai tempi dell'università: ogni volta che cercava di dire "può", evocava oceani fecali con mezz'ora di "pu-pù, pu-pù, pu-pù, pu-pù, pu-pù!" senza interruzioni - un'esperienza da incubo. A dire il vero non mi è mai capitato di udire un anglosassone tartagliare. Immagino che la natura della lingua inglese, i cui fonemi sono tanto labili, renda tale difetto di pronuncia un serio ostacolo alla comprensione delle frasi anche da parte di parlanti nativi. Jennifer Connelly nel ruolo di Mary Dawn Dwyer desta in me un grande senso di pena. Questo non perché sia inidonea a sostenere la parte o perché reciti male: a causare sofferenza morale sono piuttosto le umilianti prove che il personaggio è costretto a subire. La vediamo impegnata nell'ingenua difesa della sua fede cattolica di fronte all'inquisitorio Lou Levov. Quando si mette a parlare dell'eucarestia lo fa in un modo assurdo, descrivendola come quella cosa che fanno le persone quando si inginocchiano e mangiano Gesù, quasi fosse un atto fellatorio praticato a Dio. Poveretta, poi le capita di impazzire. La trovo una vittima che soffre ad ogni istante, come una locusta trafitta con un ago da un collezionista sadico. Quelle sopracciglia scure e pronunciate, quegli occhi insolitamente fissi e intensi, non fanno che accentuare la sensazione di disagio che si prova guardandola. Una menzione merita senz'altro Uzo Aduba, attrice statunitense nata da genitori nigeriani, che interpreta con grande forza d'animo il ruolo di Vicky, l'energica caporeparto della fabbrica di guanti, un'anima buona che durante i conflitti razziali è rimasta ferma e solida come una quercia al fianco dei Levov, senza lasciarsi plagiare dal delirio di massa. Valorie Curry è molto credibile nella parte della lasciva e subdola Rita Cohen, anche se a un caro prezzo: vedendola viene subito meno l'idea conturbante che la stagista possa essere la stessa Merry travestita, la cui balbuzie era davvero una simulazione diabolica inscenata per essere considerata il centro dell'universo. Vediamo poi un insignificante David Whalen nel ruolo del viscido Bill Orcutt. Non si riesce a caratterizzare in alcun modo la sua interpretazione, lo stesso personaggio appare come qualcosa di posticcio, di certo non ha nel film il ruolo che ha nel romanzo. Non ne viene indagata la psicologia, in pratica è poco più di una comparsa. 

Alcune considerazioni sul titolo

Faccio molta fatica a comprendere la strana scelta di non tradurre il titolo del film, che è rimasto immutato in tutte le lingue. Ovunque si ha soltanto American Pastoral, in inglese, dove invece il titolo dell'opera di Philip Roth è stato sempre tradotto, seppur in modo letterale. In qualche caso si notano traduzioni un po' meno pedisseque delle altre. Per fare un esempio, in tedesco abbiamo Amerikanisches Idyll, ossia "Idillio Americano". Non dobbiamo dimenticarci che la pastorale (da non confondersi col famoso pastorale del vescovo) è un componimento letterario, specialmente poetico, che descrive ed esalta una vita tranquilla e senza pensieri, in completa armonia con la Natura. Proprio quella illusione che la potenza del Destino si diverte a distruggere.


Problemi di adattamento

Stupisce la natura appiattita, bidimensionale del film. In fondo questo non è davvero un adattamento, è piuttosto una proiezione di una geometria solida su un piano, privata di ogni prospettiva, di ogni profondità. Come quando una sfera sospesa disegna un'ombra circolare sulla superficie di un tavolo. Si perdono informazioni. Solo per fare un esempio, l'intero passato dello Svedese viene ridotto a poche battute. Se già è angosciante il breve interrogatorio che Lou Levov impone alla sua futura nuora, sappiate che Roth ha descritto quell'orrendo episodio in un certo numero di pagine e con le parole del vecchio tutte in maiuscolo, come se urlasse nelle orecchie della povera ragazza, annichilendola. Il romanzo rothiano si divide in tre parti, tutte altrettanto importanti:

Paradiso ricordato
La Caduta
Paradiso perduto  


Il film dovrebbe ricalcare questo schema concettuale, ma non ci riesce. La trasposizione è abbastanza asimmetrica rispetto alla struttura tripartita del romanzo, oltre ad essere semplificativa. La prima parte, Paradiso ricordato, è ridotta all'osso, condensata come un omogeneizzato, tanto che sono stati omessi moltissimi particolari anche importanti: tutto si riduce in sostanza alla melanconica rievocazione iniziale di Zuckerman. La seconda parte, quella dedicata alla Caduta, fa presto la sua irruzione, confondendosi con la terza parte, Paradiso perduto. Forse il Paradiso ricordato finisce troppo presto, anche se capisco che lo spazio è poco e che far collassare un intero universo in un'ora e tre quarti di filmato è un'impresa a dir poco ardua. Siamo sicuri che alla fine lo spettatore capisca davvero che ad andare in scena è la Nemesi del Sogno Americano? Non lo darei per scontato. Così Roth descrive la deprimente parabola dei Levov nella Terra dei Coraggiosi: 

"Tre generazioni. Tutte avevano fatto dei passi avanti. Quella che aveva lavorato. Quella che aveva risparmiato. Quella che aveva sfondato. Tre generazioni innamorate dell'America. Tre generazioni che volevano integrarsi con la gente che vi avevano trovato. E ora, con la quarta, tutto era finito in niente. La completa vandalizzazione del loro mondo."

In fondo lo aveva detto anche Ugo Tognazzi in qualche suo film di cui non ricordo il titolo: "Padri padreterni, figli crocefissi." Sono parole sacrosante, che si sono impresse in me come un marchio di fuoco, anche se l'attore che le ha pronunciate non rappresenta per me un modello antropologico.

Una scheggia di antisemitismo

Il ripugnante antisemitismo di Roth, profondo e feroce odiatore della sua stessa gente, erutta in modo inatteso proprio all'inizio delle sequenze di American Pastoral. Quando Zuckerman ha di fronte a sé le foto e i trofei dello Svedese, nella squallida scuola di Weequahic, se ne esce con queste sorprendenti parole: "Dei pochi studenti ebrei di pelle chiara della nostra scuola pubblica prevalentemente ebraica, nessuno possedeva la maschera vichinga di questo eroe dagli occhi celesti." (il grassetto è mio). L'odio convulso e streicheriano contro gli Israeliti è parte integrante del tessuto stesso del romanzo del nocivo scrittore di Newark, che intende attuare una ribellione radicale contro i suoi genitori, colpevoli di averlo gettato nell'Inferno che è questo pianeta. Quello che Roth non ha mai perdonato ai suoi procreatori è di non averlo fatto cadere in un qualunque pozzo nero di cui il pianeta è tanto abbondante, ma in un ambiente particolarmente asfittico e distruttivo, quello di una soffocante famiglia ashkenazita tradizionalista che tortura senza sosta i figli con infiniti sensi di colpa e con mille altre piaghe innominabili dello spirito. Un microcosmo che non conosce grandi aperture, che tarpa le ali e ruba i sogni. La vendetta di Roth è ferale: è come se egli gassasse col Zyklon B chi l'ha messo al mondo e ne esultasse. Orbene, di tutta questa tragedia non si scorge alcuna traccia nella pellicola di McGregor. La menzione degli studenti ebrei di pelle chiara, rarissimi a detta dell'astioso ebreo antisemita Roth, nel film è del tutto gratuita, decontestualizzata, folle. Che diamine di senso può avere? Non c'è un contesto sensato. Chiunque potrebbe additare il regista e accusarlo di aver fatto proferire a un suo attore una colossale cazzata. Gli Ashkenaziti, che costituiscono la massima parte della popolazione ebraica americana, sono a tutti gli effetti indistinguibili dai caucasici non ebrei. Chi può far passare l'idea che sia tra loro la norma essere "abbronzati"? Ebrei dalla pelle scura? Certo, scura come la pelle di Paul Newman, scura come la pelle di Kirk Douglas! Mi sorprende che i dementi buonisti fanatici della politically correctness abbiano fatto passare tutto questo! 


La setta terroristica dei Weathermen

Roth ci narra che proprio lo Svedese, tre mesi dopo l'attentato all'emporio di Hamlin, saliva nella camera della figlia e strappava da una parete uno sconvolgente manifesto con questa scritta destabilizzante: "Noi siamo contro tutto ciò che di buono e di decente c'è nell'America dei padroni bianchi. Saccheggeremo, bruceremo e distruggeremo. Noi siamo l'avverarsi degli incubi di vostra madre." Parole tristemente attuali, note come "Il motto dei Weathermen". Simile veleno ancora arde ancora come una lettiera di tizzoni radioattivi. Nel film tutto ciò è minimizzato: è l'investigatore dell'FBI a dire allo Svedese di aver trovato il manifesto in questione, citandone le parole in modo sintetico quanto impreciso, senza attribuzione alcuna: "Siamo contro tutto ciò che di buono e di decente c'è in America. Saccheggeremo e bruceremo, etc., etc." Quando si fanno riassunti e rimaneggiamenti, capita che si omettano dettagli anche rilevanti e che ora della fine si arrivi a non dire più la stessa cosa che intendeva l'autore della fonte originale. Chissà poi come mai, non si riesce a trovare un singolo regista, un singolo sceneggiatore che mostri anche il minimo rispetto per l'opera da cui trae la stessa ragion d'essere del proprio lavoro. In tutti i casi si ha sempre qualche cambiamento immotivato, capriccioso, insulso, talvolta proprio in parti che si rivelano cruciali. Se leggendo un romanzo ti imbatti in qualcosa di importante, stai sicuro che non lo vedrai mai tradotto nella Settima Arte, oppure che lo vedrai alterato in modo profondo, travisato e distorto a tal punto da riuscire quasi irriconoscibile. In concreto, chi erano questi Weathermen? Erano la dimostrazione vivente di come il terrorismo e il politically correct non siano affatto cose incompatibili. Comunemente si ritiene che la setta nota come Weathermen Underground Organization (WUO) si sia estinta nel 1977, dopo nove anni di attività. Erano dinamitardi. Va detto che le uniche vittime fatte nel corso della loro attività furono tre membri della loro organizzazione saltati in aria per un errore. Altri morti, e tra questi un poliziotto di colore, sono ascrivibili a una rapina compiuta da ex Weathermen negli anni '80, quando la WUO si era già dissolta. Non hanno fatto vittime più che altro per incompetenza, visto che intenzioni distruttive c'erano eccome. Nel romanzo di Roth, i Weathermen sono descritti con queste parole: "tutti tra i venti e i trent'anni, ebrei, borghesi, educati all'università, violenti in nome della lotta contro la guerra, impegnati nella rivoluzione e decisi a rovesciare il governo degli Stati Uniti". Se queste cose le avesse scritte un goy, sarebbe successo il finimondo.


Un diverso modo di concepire lo sport

È difficile per un italiano capire cosa sia lo sport per la popolazione degli Stati Uniti d'America. Certo, da noi ci sono gli hooligans, abbondano i teppisti da stadio e i torbidi che scatenano. Il tifo è una piaga nazionale. Però in genere i tifosi non sono al contempo giocatori e sportivi attivi. Quello che caratterizza gli americani è invece lo spirito di corpo e di competizione che si forma nell'istituzione scolastica. Si direbbe che la scuola in quella nazione sia concepita per crescere soldati. Tutti, fin dalla più tenera età, lottano per conquistare trofei, per fare grande il nome della propria squadra. Un agonismo spinto all'estremo. Le ragazze sono il premio del guerriero. Non è nemmeno poi così importante che si conseguano risultati sufficienti nelle varie materie scolastiche: l'importante sembra essere soltanto l'impegno sportivo. Tempo fa mi capitò di leggere le sdegnate parole di un generale dell'Esercito, che inveiva contro chiunque lottasse per abolire l'educazione fisica e le competizioni nelle scuole statunitensi: definiva costoro come "disgustosi beatnik" e si augurava la loro eradicazione dalla società civile anche con mezzi violenti. Lo sport ha anche plasmato la natura dell'inglese d'America, creando tutto un vocabolario criptico fatto di nomi di giocatori, di squadre, di eventi ritenuti fondamentali. Il risultato è un labirinto di un'incredibile complessità, in cui un italiano non riesce assolutamente ad orientarsi - anche se traduttori e doppiatori non lo capiscono. Questa tendenza americana non è peraltro limitata soltanto allo sport, ad esempio coinvolge la politica e lo stesso cinema. Il nome di ogni personaggio, che sia un giocatore di baseball, un governatore o un attore, è visto come una parola del lessico di base, che non ha bisogno di glossa, che può essere usata come stenografia concettuale. Avremo modo di approfondire l'argomento in un'altra sede. 


Rimozione dell'incesto

Penso che sia inutile che ci giriamo intorno. Ewan McGregor non poteva dare un bacio in bocca a Hannah Nordberg senza beccarsi un'accusa di pedofilia, essendo lei una bambina di undici anni. Mostrare il bacio alla francese tra Seymour Levov e sua figlia Merry era ed è tuttora al di là di ogni possibilità di rappresentazione. Così nel film si vede lo Svedese rifiutare il bacio tabù, eliminando il problema alla radice. Però c'è un però, come diceva sempre un amico toscano. Se è proprio un contatto incestuoso a scatenare il Caos e ad innescare la trasformazione di una ragazzina in una terrorista, rimuovere tale episodio significa oscurare la narrazione stessa, renderla del tutto incomprensibile. A giungere in aiuto di McGregor è stato il monaco vietnamita combusto. Una torcia pirrica che ha permesso allo sceneggiatore e al regista di introdurre una diversa causa della metamorfosi di Merry, da bambina innocente a sanguinaria bombarola. Anche Roth menziona il bonzo avvolto dalle fiamme e l'effetto della terrificante visione sulla bambina, non attribuendo però all'accaduto la causa prima della sua futura rovina. Non sono sicuro che nel passaggio al film sia stata fatta una chiara riflessione su questo punto. Il percorso traumatizzante innescato dal rogo è più diretto e comprensibile allo spettatore rispetto a una lenta alterazione causata chissà come dal fugace contatto tra due lingue. Eliminando poi il sospetto che Rita Cohen possa essere Merry Levov sotto mentite spoglie, l'idea stessa dell'incesto non sussiste più. Sembra quasi un gioco di prestigio. Non si ravvisa più la benché minima traccia del pensiero che tra padre e figlia possa accadere un qualsiasi contatto carnale. Questo ingegnoso stratagemma cambia tuttavia la natura della storia, la fa diventare qualcosa di profondamente diverso.


Necessità di una colonna olfattiva

La Settima Arte ha in sé un grave limite: le è completamente estraneo un dato sensoriale importantissimo, quello olfattivo. Questo rende molto difficile far comprendere allo spettatore la sporcizia e la laidezza. Non ci sono trucchi cinematografici sufficienti a comunicare qualcosa di simile alle proprietà organolettiche degli escrementi umani, freschi o freddi. Non si può trasmettere il fetore dei piedi sporchi, il tanfo di beccume delle ascelle incolte, il puzzo acidissimo e insopportabile del vomito, le esalazioni dei bidoni pieni di umido che fermentano al sole. Se si vede un grosso membro virile stantuffare nel deretano di una fallofora, si fatica a credere che dal budello penetrato possano fuoriuscire gas mefitici, prodotti dalla putrefazione del contenuto intestinale. Se una fellatrice ha i denti marci e il suo alito è così schifoso da far quasi perdere l'erezione al suo partner, chi guarda il filmato dell'azione non lo potrà comprendere. Al massimo penserà che l'uomo non sia in gran forma. E se fosse la fellatrice a ritrovarsi in bocca un cazzo di formaggio? Non soltanto il porno, anche l'horror è pesantemente mutilato da questa carenza di input olfattivi. Molti si baloccano con i film sui vampiri e sugli zombie ma non hanno la benché minima idea dei lezzi esalati da un cadavere in stato avanzato di decomposizione! Con i miei occhi ho visto una celebre videoteca milanese specializzata in film horror, ove erano esposti giocattoli di gomma che imitavano teste mozzate di zombie, mani virescenti e simili. Mi sarebbe piaciuto sapere se la gente, giunta lì per una presentazione, avrebbe potuto reggere a lungo in un luogo dove vengono fatti a pezzi cadaveri autentici. Avrebbero sopportato la vista di una macelleria cannibalica? Avrebbero presenziato un'esumazione da una fossa comune? No di certo: ognuno di loro era soltanto un tediosissimo poser, null'altro che uno snob. Vorrei creare una colonna olfattiva per i film di George A. Romero sui morti viventi! Questa articolata premessa è a mio avviso della massima importanza. Torniamo quindi al film di cui ci stiamo occupando, American Pastoral. Certo, è vero, quando Seymour lo Svedese ritrova finalmente la figlia, capisce subito che le sue condizioni igieniche sono pessime. Non posso negarlo. Tuttavia chi guarda il film di McGregor avrà soltanto una frazione delle sensazioni che sorgono leggendo quanto Roth ha scritto sulla spaventosa macerazione in cui Merry si consumava dopo la conversione alla religione di Mahavira. Sempre attento agli aspetti più turpi della Creazione escogitata dal Dio degli Eserciti, lo scrittore di Newark ci ha descritto molto bene la ripugnanza provata dallo Svedese, giunta a tal punto da non riuscire a trattenere un getto di vomito. La materia rigettata, finita addosso a Merry, le rimaneva addosso e la inzuppava, non rimossa nemmeno in modo rudimentale. Una doccia romana! Quei succhi gastrici, misti a residui pastosi di cibo e di saliva, erano destinati a fermentare, aggiungendosi al fetore raccapricciante di un corpo già in sfacelo da vivo. Tutte queste sensazioni, il regista non ce le sa far provare. Guardando le sequenze, si vede che ha il volto coperto di croste e di macchie livide, ma si capisce che si tratta di un trucco. Al massimo si può pensare che Merry sia un po' rancida.

Il problema del finale

Si nota una discrepanza fortissima tra il finale del film di McGregor e quello del romanzo rothiano. La pellicola ci mostra Merry, ripulita e vestita in modo impeccabile, che compare al funerale del padre dirigendosi a passo sostenuto verso la bara per dare al defunto l'ultimo saluto. Mentre procede, incrocia prima Jerry Levov, i cui occhi inespressivi per un attimo si illuminano di stupore, poi Dawn, ormai invecchiata e piena di rughe. Così facendo, il regista tenta di ricomporre una frattura ontologica che per sua natura non è possibile superare. Sostengo senza timore di essere smentito che la natura delle due opere, quella cinematografica e quella scritta, è diversa in modo abissale: si tratta di due prodotti non assimilabili. Forse non dovremmo biasimare troppo il regista per questa scelta. Egli intendeva porre rimedio ad alcune sproporzioni evidenti del testo di Roth, in cui il narratore Nathan Zuckerman scompare troppo presto per non far più ritorno, lasciando il lettore nell'illusione di aver letto la vera biografia dello Svedese. In realtà del funerale dell'eroe-atleta nel libro se ne parla all'inizio ed è soltanto un evento riportato in modo vago. Lo stesso Zuckerman non ha potuto parteciparvi, visto che le esequie erano già avvenute quando ha saputo della morte di Seymour Levov dal fratello Jerry ("Il funerale è stato due giorni fa"). Roth ci fa anche sapere senza omissioni che Merry non ha partecipato al funerale del padre. Ci dice anche che se si fosse vista, Jerry l'avrebbe denunciata, dato che la odiava a morte. Subito dopo lo scrittore di Newark insinua il sospetto che forse Merry potesse essersi travestita per raggiungere i parenti dopo la sepoltura. Tutto questo non andava bene, ripugnava troppo al concetto di linearità narrativa, così McGregor ha preso di forza Zuckerman e lo ha messo a pensare tra sé e sé qualche triste considerazione su quanto si faccia male a giudicare le persone e su quanto si sia sbagliato egli stesso nel ritenere lo Svedese baciato dalla Fortuna. Mentre si avvicina l'epilogo, il rabbino pronuncia il Kaddish.

Curiosità

Sarà forse da imputarsi alla mia innata accidia, ma non ho trovato molto da scrivere a proposito della realizzazione di American Pastoral. Le riprese si sono svolte a Pittsburgh, in Pennsylvania. Il film è uscito negli Stati Uniti il 21 ottobre 2016 in distribuzione limitata, quindi in tutte le sale soltanto a partire dal 28 ottobre; cosa abbastanza singolare, in Italia è invece uscito il 20 ottobre dello stesso anno.

Altre recensioni e reazioni nel Web

Fermo restando che nessuno sembra capire la natura antisemita dell'opera di Philip Roth - così simile a una reazione autoimmune - si trova comunque qualche frammento interessante nel Web sul film di McGregor.


"La vita, però, è ben diversa dalle promesse inespresse dei nostri sogni adolescenziali, e la parabola dello Svedese, meravigliosa creatura dell’american dream destinata alla più comune e triste delle tragedie familiari, è li a testimoniarlo."

E ancora:

"American Pastoral deve affrontare da subito il pesante confronto con l’immane importanza del materiale originale per trovare una vita propria autonoma. Philip Roth non è l’autore più adattabile per il medium cinematografico e, infatti, la sceneggiatura di John Romano asciuga la vicenda dello Svedese e della sua famiglia a una lineare e piatta trama orizzontale, dove il dramma di Seymour è limitato alla perdita di sua figlia Merry, attratta dalle derive criminali dell’impegno politico clandestino."

Le conclusioni sono desolanti:

"Il problema è che, al di là dei paragoni con il romanzo, il film di McGregor paga questa mancanza di coraggio, trasformando American Pastoral in un piatto period drama, un affresco neanche emotivo dell’America della contestazione, della guerra del Vietnam e del Watergate."

Queste sono le parole di Stephen Holden, critico cinematografico del New York Times:

"Il film non è una profanazione, ma una grave riduzione di un complesso capolavoro letterario. Questa superficialità, basata su un libro che evoca un'immagine bruciante della disintegrazione del sogno americano negli anni Sessanta, soprattutto per quanto riguarda l'identità ebraica e l'aspirazione, ammonta a poco più di una doverosa lista di scene che non potevano non essere girate."

Di materiale simile ce n'è a bizzeffe. Abbastanza per soffocare nella retorica. Inutile lamentarsi che dalle opere di Roth i registi hanno tratto soltanto film mediocri e meritevoli di ludibrio. Non si riuscirà mai a fare un film decente da un romanzo di Roth, finché non si capirà che si ha a che fare con un autore antisemita!

domenica 20 ottobre 2019


PASTORALE AMERICANA
  (romanzo)

Titolo originale: American Pastoral
Autore: Philip Roth
1ª ed. originale: 1997
1ª ed. italiana: 1998
Tipologia narrativa: Romanzo
Genere: Biografico
Sottogenere: Condizioni sociali, conflitto generazionale,
     antisemitismo
Lingua originale: Inglese
Editore italiano: Einaudi
Codice EAN: 9788806218034
Pagine: 462 pp.
Formato: Brossura
Traduttore in italiano: Vincenzo Mantovani
Traduzioni del titolo:
    Francese: Pastorale Americaine
    Spagnolo: Pastoral Americana
    Tedesco: Amerikanisches Idyll
    Polacco: Amerykańska sielanka
    Ceco: Americká idyla
    Finlandese: Amerikkalainen pastoraali
    Ebraico (moderno): פסטורלה אמריקנית
    Persiano: نغمه آمریکایی


Riconoscimenti:  
Vincitore premio Pulitzer per la narrativa 1998
"Un libro che demolisce ogni stereotipo sulla grandezza dell’America e getta una luce sinistra sui suoi valori fondanti. La guerra, la famiglia, il fanatismo, la crisi, sono raccontati da Philip Roth con profondo acume. Un libro che è stato definito da tutti “Il grande romanzo americano”. E lo è."


Sinossi (da www.amazon.it): 
Seymour Levov è un ricco americano di successo: al liceo lo chiamano "lo Svedese". Ciò che pare attenderlo negli anni Cinquanta è una vita di successi professionali e gioie familiari. Finché le contraddizioni del conflitto in Vietnam non coinvolgono anche lui e l'adorata figlia Merry, decisa a portare la guerra in casa, letteralmente. Un libro sull'amore e sull'odio per l'America, sul desiderio di appartenere a un sogno di pace, prosperità e ordine, sul rifiuto dell'ipocrisia e della falsità celate in quello stesso sogno.

Risvolto:
Nathan Zuckerman, consueto alter ego letterario di Philip Roth, racconta questa volta
la storia di un suo compagno di scuola, Seymour Levov, come lui di origine ebraica, sebbene di pelle tanto chiara da essere soprannominato "lo Svedese". Negli anni Cinquanta, Seymour incarna l'ideale dell'americano perfetto: sportivo eccellente, ottimo imprenditore, rispettoso della legge e orgoglioso del suo paese, nonché marito di Miss New Jersey e padre felice di una bambina. Ma proprio la figlia Merry, una volta divenuta adolescente, vestirà i panni di una Storia che si vendica implacabilmente su chi non ne capisce il senso profondo e le trappole che esso appronta: nell'America dilaniata dalla guerra del Vietnam e dal conflitto razziale, Merry si incaricherà di mandare in pezzi con un gesto estremo il sogno di felicità, di ordine e di prosperità cui il padre aveva dedicato la vita. Pubblicato nel 1998, Pastorale americana è ormai considerato il capolavoro di Roth. Dramma con elegia, grottesco e commozione, satira e flusso di coscienza, vi si alternano e fondono in un registro originalissimo, capace di offrirci uno spietato ritratto della civiltà americana in un momento critico della sua storia, e insieme di farci riflettere e commuovere sulla condizione umana. La perdita del Paradiso che Seymour sconta in prima persona proietta la sua ombra lunga e minacciosa sul destino di ognuno; e la pietà che l'autore discretamente concede al suo personaggio può divenire in modo inquietante pietà per noi stessi, e per le nostre supreme inconsapevolezze.

Trama sintetica:
Old Rimrock, un luogo della desolazione rurale americana. Alla lettera il toponimo significa "Vecchia Roccia della Leccata di Culo". All'improvviso in quel borgo insignificante arriva la guerra. La giovane Meredith "Merry" Levov, ragazzina iraconda e fortemente politicizzata, rifiuta l'estrema razionalità e la pacatezza del padre Seymour. Rifiuta ogni tentativo di cambiare il mondo servendosi delle istituzioni democratiche. Nelle sue frequentazioni a New York è stata contagiata dal veleno, dal ribollire di quello stesso calderone purulento da cui sarebbe scarurito anche il politically correct con tutte le sue funeste conseguenze. Così la rivoluzionaria decide di attuare i suoi progetti omicidi proprio a Old Rimrock, facendo saltare per aria con una bomba l'emporio degli Hamlin, con annesso ufficio postale. Nell'esplosione il gestore rimane ucciso sul colpo. A causa dell'accaduto, Merry fa perdere ogni traccia di sé, si dà alla latitanza. Inutilmente i Federali cercano di snidarla. Soltanto dopo molti anni Seymour lo Svedese riesce a ritrovare la figlia ribelle, solo per scoprire che sopravvive in uno stato di estremo degrado, in mezzo all'immondizia. La sua esistenza è qualcosa che va oltre il limite estremo del concepibile da mente umana. Sguazza negli escrementi. Si copre il viso con un calzino sudicio, i suoi denti guasti esalano i miasmi di una fossa comune. Si è convertita alla religione giainista, dopo anni di vita da terrorista in cui ha provocato la morte di diverse vittime innocenti e ha subito un gran numero di stupri. Questa conversione ha annientato l'esistenza della giovane. Il padre si illude di poterla recuperare, ma ogni suo tentativo è destinato a non sortire alcun esito.      

Recensione:
Tutto ha inizio con alcune considerazioni di grande disonestà intellettuale, reperibili nelle prime pagine del romanzo. L'autore, Philip Roth, decantato ovunque come uno dei massimi ingegni letterari dell'Umanità, vorrebbe farci credere che la popolazione ashkenazita sarebbe costituita da gente dalla pelle scura come quella dei Mandingo. Newark come Kinshasa, come Gaborone. Egli vorrebbe farci credere che Seymour Levov lo Svedese, con la sua complessione nordica, i suoi occhi chiari e la sua chioma biondiccia, fosse una specie di mosca bianca. Sì, riesco quasi a leggere nella mente di Roth pensieri che sembrano partoriti dalla mente di Julius Streicher. Persino tra i ditteri più molesti, le mosche, a volte nasce un esemplare albino: ecco come in sostanza ci viene spiegata l'origine dello Svedese. E dove diamine sta scritto che gli Israeliti avrebbero la pelle scura? Pochi sembrano aver capito che lo scrittore di Newark, morto nel 2018, ha diffuso idee antisemite. Pur essendo ebreo. Perché tutto questo? Semplice. Roth era pieno di livore e di risentimento verso i propri genitori iperprotettivi, oppressivi, morbosi, giungendo così ad odiare a morte la sua stessa stirpe. Certo, Pastorale americana non raggiunge gli spaventosi eccessi del Lamento di Portnoy, i cui contenuti non sono da meno di quelli di Der Stürmer e dei Protocolli dei Savi di Sion. Il popolo dei lettori compulsivi e bulimici, futile e stupido quanto arrogante, non se ne rende conto. Non ho mai udito una sola voce di dissenso. Tutti si inchinano, leggono Lamento di Portnoy e Pastorale Americana con venerazione e dicono che questa roba farebbe bene al Popolo di Israele.

Un'ambigua premessa 

In realtà tutto cià che leggiamo della biografia di Seymour Levov lo Svedese è frutto dell'immaginazione dello scrittore Nathan Zuckerman. Questi si è servito dei suoi ricordi di scuola e di articoli di giornale per fabbricare l'ossatura della sua opera. Tutto il resto lo ha plasmato con la fantasia. Il lettore è quindi avvertito. È tutto fittizio. Quella che sta leggendo non è una vera biografia, bensì una pseudo-biografia che appartiene al vasto reame delle distorsioni percettive. Forse è proprio questa tecnica narrativa a destare il risentimento di Jerry Levov, lo scorbutico fratello minore dello Svedese, che leggendo gli scritti zuckermaniani non riesce a riconoscervi la vita reale e la personalità del proprio caro defunto. A un certo punto lo stesso Zuckerman, così abile nel destrutturare le fondamenta stesse della realtà, si dilegua in una nuvola quantistica di disinformazione. Quindi cosa resta al lettore quando ha raggiunto la conclusione di Pastorale americana? Non rimane nulla. Rimane soltanto il Nulla.

Integrazione etnocidaria

Sappiamo tutti che gli Stati Uniti hanno le loro fissazioni politiche e propagandistiche. Una di queste è il cosiddetto melting pot, alla lettera "crogiolo" o "calderone". La locuzione indica un modello di società in cui le diverse componenti etniche, culturali e religiose si amalgamano costituendo un'identità comune. Il punto è che questa identità comune si forma tramite l'annientamento delle singole identità di partenza. Un processo a cui possiamo dare soltanto un nome: etnocidio. In questo marasma, vige la legge del più adatto. Chi ha successo prospera e si espante, chi rimane indietro langue, finisce emarginato e muore di inedia. Ecco il tipico modello americano di integrazione: darwinismo sociale allo stato puro! Il nonno dello Svedese Levov arriva in America dall'Ucraina (il suo cognome è derivato dalla città di Leopoli, in russo L'vov e in ucraino L'viv). Non intende una sola parola di inglese, l'unica lingua che parla è lo yiddish. Consuma anni di dura esistenza a fare il raschiatore di pelli in una conceria. Suo figlio è già bilingue, si adatta alla perfezione alla nuova realtà e riesce ad avere successo - tanto che arriva a rilevare l'azienda in cui il padre aveva sofferto una dura condizione di schiavitù. Veniamo dunque allo Svedese Levov, questo gigante biondiccio venerato da tutti come l'incarnazione del Sogno Americano. Favorito dal Destino in ogni aspetto del suo essere: ha un fisico invidiabile, intelligenza e grande intraprendenza. Usando una parola macedonia, potremmo dire che egli è una specie di rinovallo, un animale che unisce la forza del rinoceronte alla velocità del cavallo. Riesce a conquistare una donna bellissima, una modella di origine irlandese che è stata Miss New Jersey e che per poco non ha vinto il titolo di Miss America. Mentre il padre è attaccatissimo alla tradizione ebraica ashkenazita, lo Svedese è perfettamente integrato nella società WASP (White Anglo-Saxon Protestant). Crede nei suoi valori borghesi, ne è impregnato fin nel midollo. Forse non parla nemmeno più correntemente lo yiddish, ne conosce soltanto qualche parola o qualche frase sentita in casa dai genitori. Non è in sostanza interessato alla religione, la parola kosher per lui non significa niente. In fondo all'americano medio per essere OK basta credere in un'Entità Superiore, astratta, impersonale, e chiamarla "Dio". Se anche questa Entità è God Zilla, va bene lo stesso. La moglie dello Svedese è di origine irlandese e non è nemmeno ebrea. Alla figlia Merry non viene data un'educazione religiosa (il suo periodo di fervore cattolico, trasmessole dalla nonna materna, durerà poco). Seymour si identifica con Giovannino Semedimela (Johnny Appleseed), credendosi l'incarnazione stessa della felicità. Eppure qualcosa nella sua vita perfetta va storto, in modo inatteso e imprevedibile, come se un fulmine a ciel sereno ne avesse incendiato le fondamenta. Da uno spermatozoo dell'uomo e da un ovulo della moglie ha origine un embrione, destinato a diventare un feto e a farsi strada nel canale procreativo fino a vedere la luce del Sole di Satana. Proprio questa bambina, con tutte le sue stranezze, con la sua balbuzie destabilizzante, con la sua ipersensibilità e la sua predisposizione per le idee più folli, rappresenta il grimaldello che permette alla tragedia di fare la sua irruzione nella vita dei Levov. Come la carie intacca lo smalto di un dente e raggiunge infine la polpa, così il seme piantato da un destino avverso penetra nell'edificio in apparenza splendido del Sogno Americano, lo corrompe, lo fa incancrenire e lo manda in rovina.

Numeri  

A volte, leggendo Roth, mi domando come mi troverei se dovessi essere un ashkenazita americano. Ebbene, scoprirei con sgomento che ogni uomo della comunità, più che dal nominativo, è caratterizzato da due secchi numeri che definiscono tutto il suo intrinseco valore. Il primo di questi numeri rappresenta il numero dei figli, il secondo rappresenta il numero dei nipoti. Se un uomo è un 3, 5, significa che ha avuto 3 figli e 5 nipoti. Per avere maggiori informazioni, vengono forniti altri numeri: quelli degli anni dei figli e dei nipoti. Così se un uomo è un 3 (anni: 35, 26, 20) e un 5 (anni: 12, 10, 8, 8, 6), significa che ha tre figli rispettivamente di trentacinque, ventisei e venti anni, più cinque nipoti rispettivamente di dodici, dieci, otto, otto e sei anni. Una bella cabala, certo. Che dovrei dunque dire? Che sono uno 0, 0. Zero figli e zero nipoti: nessuna discendenza. Una condizione che per il Popolo Eletto rappresenta la massima maledizione. Per loro io sono maledetto dal Creatore, perché non ho seminato e non ho avuto un raccolto. Mi detesterebbero, se sapessero della mia esistenza, perché sono in guerra contro quel Creatore che adorano. Vero è che anche il narratore, Nathan Zuckerman, dietro cui si cela lo stesso Philip Roth, afferma non aver avuto figli né nipoti. Dunque è uno 0, 0. Però lui ha una buona scusa: è stato debilitato da un'operazione di quintuplo bypass. Forse viene tollerato in virtù della sua irrilevanza, come se fosse soltanto un'ombra del passato. I pochi che si ricordano di lui lo perculano, etichettandolo come "segaiolo". E pensare che lo Svedese Levov che fa rima con Love per un pelo non è diventato egli stesso un insignificante 1, 0! Solo una figlia e per giunta bacata, una piccola assassina inadatta a dargli dei nipotini. Nessuno avrebbe mai chiamato "doddo" l'atletico gigante, se non fosse stato per il fallimento del suo matrimonio con la Miss America mancata. Come ha scoperto la moglie nell'atto di farsi penetrare da tergo, ecco che ha preso coraggio, ha divorziato ed è riuscito senza troppe difficoltà a trovare una nuova moglie, ashkenazita e più fertile, in grado di dargli una progenie numerosa e sana. 

Strategie evolutive

Bill Orcutt è senza dubbio uno dei personaggi più stravaganti del romanzo. Rappresenta la società WASP, pur essendone un esponente a dir poco atipico. Va per diporto al cimitero, come l'Amleto di Petrolini. Tuttavia non lo fa per qualche macabra disposizione o per una larvata forma di necrofilia, ma per poter vantare il suo albero genealogico, esibendo le tombe dei suoi avi al vicinato - giungendo al punto di organizzare allo scopo vere e proprie gite domenicali! Ogni scusa è buona pur di soddisfare il suo ego ipertrofico, torrenziale, ipereccitabile, sempre sul punto di esplodere inondando gli astanti con palate di sperma verbale.  Le sue velleità artistiche sono caratterizzate da un gigantismo che di certo non corrisponde al suo genio: il suo talento è quasi inesistente. Gesticola, veste in modo sgargiante e si ha l'impressione che sia una specie di pseudo-effeminato mimetico. Spacciandosi per un uomo poco virile e non interessato alle donne, riesce ad avvicinarle, a diventarne pian piano un confidente, lavorandole come la goccia che scava la roccia, quindi non fa troppa fatica a far loro abbassare le difese, approfittandone infine per penetrarle. Usando queste sofisticate macchinazioni, Bill Orcutt conquista la bellissima Mary Dawn Dwyer e la fa sua more ferarum, le depone il genetico nella matrice, proprio davanti agli occhi dello Svedese pietrificato, ormai ridotto a un semplice cornuto. Sono convinto che Piero Angela darebbe a tutto questo una spiegazione eminentemente evoluzionista, sentendosi felice per aver applicato una conveniente etichetta razionale a qualcosa di irrazionale.

Incesto

In quale preciso istante è andato in frantumi il mondo idilliaco dello Svedese? Lui stesso ne parla, attribuendo la catastrofe a una colpa iniziale, originatasi nello stesso istante in cui ha dato alla sua giovane figlia un bacio alla francese, ritraendosi subito inorridito per essersi macchiato del tabù dell'incesto. Proprio lui, che in buona sostanza è estraneo al concetto stesso di fede religioso, cade stritolato dall'immenso macigno della sua eredità biblica. Lei aveva undici anni, lui ne aveva trentasei. Lei era una bambina impubere: tecnicamente si può dire che quello sia stato un atto di pedofilia. "Baciami come b-b-baci la m-mm-mmamma". Quella richiesta di Merry era stato l'inizio di tutto? "Cosa non aveva funzionato in Merry? Cosa le aveva fatto, lo Svedese, di male? Il bacio? Quel bacio? Così abominevole? Come poteva un bacio fare di una persona un criminale? Le conseguenze del bacio? L'allontanamento? Era quello l'abominio?" E ancora: "Che la causa fosse quella? E se non ci fosse stata nessuna causa?" La stessa Merry ha fantasticato per anni su quel bacio. Lo si capisce quando lo Svedese incontra nella stanza di un hotel la ricattatrice Rita Cohen, una rivoluzionaria amica di Merry. Così accade qualcosa di incredibile: la Cohen apre le gambe e mostra con insistenza il cunnus all'uomo, masturbandosi, invitandolo ad assaggiare quel pertugio, a penetrarla. Si porta le dita alle labbra e le lecca con lascivia dopo averle immerse nelle proprie parti intime, e tartagliando gli dice che hanno lo stesso sapore di sua figlia. Roth fa una dettagliata descrizione di questo lubrico episodio, così efficace da convincermi che Rita Cohen fosse in realtà Merry Levov travestita con una parrucca nera e un trucco tanto sofisticato da poter ingannare persino suo padre! In effetti non è poi così improbabile che sia proprio così. Le due rivoluzionarie non compaiono mai insieme. Non c'è il minimo straccio di prova che si tratti di due persone diverse. Quando lo Svedese trova la figlia in una fogna da Inferno dantesco, le chiede informazioni su Rita Cohen, ma lei nega di sapere chi sia. Semplice: Rita Cohen e Merry Levov sono la stessa persona! La figlia sperava veramente di fornicare col suo stesso genitore, di consumare una copula incestuosa!

Il primo pompino  

Non poteva mancare in un'opera rothiana qualche pruriginoso dettaglio erotico, qualche passo pornografico. L'autore si diverte a spiare nella vita intima dei personaggi a cui ha dato vita. Gongola scrivendone, lo si percepisce in modo chiaro. Apprendiamo così che lo Svedese era un gran fottitore, dotato di una straordinaria resistenza, capace di copulare per ore per poi perdere il controllo rilasciando fiotti impetuosi di fluido genetico. Questa perdita di controllo, dovuta all'ineluttabilità della fisiologia, viene considerata quasi un'incoerenza, come se contraddicesse la pacatezza e la ragionevolezza estrema del personaggio, sempre padrone dei suoi sentimenti e dei suoi pensieri. Eppure a un certo punto prende coraggio e si mette a leccare la vulva della moglie, donandone l'orgasmo. Lei rimane sconvolta, non avrebbe mai immaginato che qualcosa di simile potesse esistere. In fondo quando era un'educanda in un collegio cattolico, le avevano fatto credere che anche gli uomini avessero tra le gambe la fessurina, così pensava che quella fosse una "parte vergognosa", che anche soltanto pensarci fosse peccato. Ancora in preda agli ultimi echi della delizia, chiede al marito se lo aveva mai fatto prima di allora a qualcun'altra. Lui le risponde di no, che non lo aveva mai fatto a nessuna. A questo punto le immerge la faccia tra le chiappe, leccandole con infinita avidità l'orifizio anale:

"Era solo sopraffatto dal desiderio di fare qualcosa di più, e così le sollevò le natiche con una mano e si portò il suo corpo alla bocca. Per affondarvi il viso e andare. Andare dove non era mai stato prima. Estaticamente complici, lui e Dawn."

Deliziata dalle leccate ricevute, lei a un certo punto decide di ricambiarlo praticandogli la fellatio:

"Non aveva motivo di credere che Dawn lo avrebbe mai fatto per lui, naturalmente, e poi, una domenica mattina, lei lo fece e basta. Non sapeva che cosa pensare. La sua piccola Dawn con la bocca piccola e bellissima intorno al suo cazzo. Lo Svedese era sbalordito. A dire la verità, lo erano tutt'e due. Perché era un tabù per entrambi. Da allora in poi andò avanti così per anni e anni. Non cessò mai."

Nessuna glielo aveva mai fatto. Nessuna glielo aveva mai preso in bocca. I successi sportivi, sociali e imprenditoriali dello Svedese contrastano in modo stridente con la sua quasi assoluta mancanza di esperienza sessuale. La prima volta che si è giaciuto con la moglie, è stata anche la prima volta che ha penetrato una bernarda. Al massimo aveva fatto qualcosa di molto soft, qualche bacio con la lingua e qualche masturbazione, con una prostituta e con una ex fidanzata davvero effimera, durante il servizio militare. Del resto, quella era l'America piena zeppa di divieti e di pruderie, sessualmente handicappata. Nel brano sopra riportato sul primo pompino di Seymour Levov si coglie comunque una piccola contraddizione, solo in apparenza insignificante. Quel "non cessò mai" non ha senso, dato che i rapporti della coppia si sono incrinati e ne è infine risultato il divorzio. Oggi queste idiosincrasie sarebbero qualcosa di inconcepibile. Posso dire di essere testimone di tempi in cui le cose in Italia non erano poi molto diverse da quanto estrapolabile dalla lettura di Roth. Poi è cambiato tutto, in modo vorticoso. In questo inizio del terzo millennio la bocca è ritenuta come il posto più facile e più naturale in cui prenderlo. In molti ambienti un pompino ha più o meno lo stesso valore di una stretta di mano. In genere una ragazza prima pratica la fellatio, giusto per far capire il proprio blando interesse verso un possibile partner, e solo in un secondo tempo passa ad accettare la penetrazione nella vagina. Ho fatto ancora in tempo a leggere un'intervista a un politico americano, in occasione dell'affair Lewinski, il famoso Sexgate. Era un repubblicano e affermava una cosa che i Millennials riterrebbero sconcertante: credeva che il coito orale fosse più intimo di quello vaginale. Anch'io ho sempre avuto quest'opinione potenzialmente dannosa, ma in fondo non faccio testo, essendo un outsider, un estraneo in questo secolo.

Gola profonda

Mentre erano seduti a tavola, lo Svedese e Mary Dawn, i genitori dello Svedese, gli Orcutt, gli Umanoff e i Salzman, ecco che la conversazione è caduta su Gola profonda, il famosissimo film con Linda Lovelace, diretto da Gerard Damiano (Deep Throat, 1972). Tutti i presenti lo avevano visto, tranne i genitori dello Svedese, bacchettoni oltre ogni umano dire, e gli Orcutt, probabilmente perché è loro mancata l'occasione. Ecco il problema al centro della discussione: come mai il successo della pellicola porno era stato decretato da un elettorato repubblicano che poi votava politici moralisti? A questo punto è intervenuto il vecchio Lou Levov, tuonando come Mosè alla discesa dal Sinai con le Tavole della Legge. Dopo aver definito Gola profonda una porcheria, ha chiesto ai commensali perché facessero entrare una simile porcheria nella loro vita. Illuminante la risposta di Bill Orcutt dalle vesti variopinte come quelle del Pifferaio di Hamelin: "Penetra, signor Levov, che lo vogliamo o no. Ciò che è fuori entra dentro. S'infiltra. Non è più come una volta là fuori, sa, nel caso lei non se ne fosse accorto." Il geronte, spiazzato, è partito in quarta con un lunghissimo discorso sulla corruzione e sulla questione razziale a Newark, una massa di pesanti invettive contro italiani, irlandesi e negri (sic), immerse in un impasto di considerazioni politiche di cui a nessuno fregava alcunché. Non c'è dubbio che la reginetta di bellezza fosse molto stizzita nel veder rappresentato in un film ciò che faceva al marito senza poter alludere all'argomento nemmeno nei suoi pensieri, perché era tabù come la carne di porco nell'Egitto dei Faraoni: un cibo che si poteva mangiare ma non nominare. 

Anelito di perfezione e balbuzie

Cosa possiamo dire del penoso modo di parlare che aveva Meredith "Merry" Levov? La balbuzie nasce senza dubbio da un problema genetico, ma questo in America non si poteva dirlo. Pur essendo il concetto di eugenetica molto radicato nella società americana, una strana ipocrisia tendeva ad associarlo al Nazismo. Così accadeva che l'intero corpo docente e diversi ordini professionali, come quello degli psicologi, rifiutassero a priori l'idea che potessero esistere disfunzioni legate in qualche modo all'ereditarietà. Credevano nel principio della "tabula rasa", per cui un bambino nascerebbe senza una struttura per diventare tutto ciò che vuole con la sola forza della volontà. "Un bambino può diventare tutto ciò che vuole", così dicevano. "Anche un Puffo!" Com'è facile capire, le cose nel mondo reale non sono così semplici. Per Merry l'incapacità di articolare correttamente le sillabe si è rivelata una disgrazia. In fondo i suoi genitori erano privi di macchia. Non avevano difetti di sorta. Tutto in loro era assolutamente perfetto. Non avevano malattie, non avevano mai un solo disturbo. Mai una volta che digerissero male, che avessero mal di denti. Non puzzavano: l'igiene accurata era sufficiente a rintuzzare ogni azione dei batteri cutanei e delle muffe, dello smegma e del sudore, con tutti i graveolenti liquami che ne derivano. Quando defecavano, deponevano stronzi sodi e ben formati, perfettamente oliati, che uscivano dall'ano senza lordarlo, cadevano nella latrina senza che ne sorgessero schizzi. Quando si pulivano il deretano con la carta igienica, a stento si notava anche soltanto una traccia di marrone. Tutto in Seymour Levov e in Mary Dawn Dwyer era perfezione estetica assoluta, sembravano essere giunti sulla Terra direttamente dall'Olimpo. Non trovate naturale che la povera Merry provasse un'angoscia infinita confrontandosi con un simile fardello di sublime infallibilità? Non trovate che potesse vivere come una tragedia il continuo confronto con gli Dei che l'avevano generata? Il tormento rodeva la piccola dall'interno, come un fiume carsico. Occasionalmente questa corrente di veleno interiore emergeva in modi inaspettati, forse stupidi, che avrebbero però dovuto essere visti come campanelli di allarme. Una volta Merry ha sorpreso lo Svedese mentre massaggiava i piedi nudi della moglie. Si è lasciata scappare un'esclamazione: "Che disgusto!" Come se quella manifestazione di feticismo dei piedi fosse una massa di sterco grasso che il Cielo aveva deciso di scaricarle addosso. Nella sua razionalità estrema e apollinea, ecco che il gigante biondiccio ha cercato di fare qualcosa per la tormentata figlia. L'ha mandata da una foniatra, una specie di psicologa buonista e politically correct, politicizzata, dell'estrema sinistra terzomondista umanitaria. Una decisione improvvida, come abbandonare un inerme agnellino in una foresta infestata da lupi rabbiosi. Così la foniatra ha rovinato completamente Merry. Con la scusa di curarla, l'ha sottoposta ad atrocità inaudite, come la compilazione quotidiana del Diario Tartaglione, inculcandole il virus esiziale del buonismo - cosa che provocherà la sua metamorfosi in un'efferata omicida. Affidarla a Sir Jimmy Savile sarebbe stato meno dannoso, non ci sono dubbi!

L'Inquisitore Ashkenazita  

Lou Levov è un mostro. Non vedo come altro si potrebbe definirlo. Un uomo talmente gretto e meschino che al confronto Shylock può essere considerato un esempio di apertura mentale, di pensiero liberale e di generosità. La sua responsabilità morale è peggiore di quella di Caino. Sua è la colpa ultima di tutto. Per lo Svedese sarebbe stato meglio avere per padre Mengele. Roth affligge in modo atroce il lettore, lo dilania, proprio come un bambino crudele che si diverte a straziare le lucertole bucandole con uno spillo. Ho resistito e ho letto l'orripilante interrogatorio a cui il malefico Lou Levov sottopone Mary Dawn Dwyer, all'epoca fidanzata con lo Svedese, nel tentativo di farla desistere dall'imbarcarsi in un matrimonio da lui ritenuto empio, sacrilego, contrario alle leggi divine. Leggere il Malleus Maleficarum è al confronto un'esperienza rilassante! Quando lo Svedese era stato nei Marines in un campo di addestramento in South Carolina, aveva già cercato di sposare una donna non ebrea. Suo padre aveva dato in escandescenza, lo aveva raggiunto e lo aveva costretto a rompere il fidanzamento! Chi mai al mondo potrebbe sopportare simili prove e restare sano di mente? Persino Giobbe si sarebbe trasformato in un serial killer!    

Un finale ambiguo 

Merry ritorna. Fa il suo ingresso nella villa dei Levov mentre si sta svolgendo un party. Irrompe tra i vivi come il vomito dell'Ade, come un cadavere putrefatto che emana un fetore ammorbante di escrementi, di materia rigettata e di formaggio rancido! Lì, in mezzo alle persone sconvolte, si presenta in tutto il suo abominio e accusa se stessa di svariati omicidi. Il vecchio Levov, incapace di reggere una simile atrocità, ha un infarto e spira così, tra gli spasmi del miocardio lacerato. Leggendo sembra quasi di sentire il proprio cuore sfaldarsi, venir meno, mentre i lezzi cadaverici avvolgono ogni cosa. Una morte senza senso, da imputare esclusivamente a Merry. L'autore, che è stato capace di trasmetterci sensazioni orribili quanto realistiche,  si è poi accorto di aver gettato troppo acido sul cadavere dei propri genitori, così ha fatto retromarcia. Ecco, lo Svedese accorre quando sente le urla del vecchio padre e si rende conto di aver galoppato troppo con la fantasia. Merry non c'è, la sua irruzione era immaginaria. Era stata la cougar alcolizzata, la signora Orcutt, ad assestare all'ashkenazita impiccione una forchettata in pieno volto. Una reazione più che giustificata: lui voleva convincerla ad astenersi dal whisky e a ingurgitare un bicchierone di latte, con paternalismo proibizionista. Quindi un incidente banale, mentre il ritorno della terrorista repellente era soltanto un sogno ad occhi aperti dello Svedese. Mi sono sentito quasi tradito. L'ho ritenuto uno stratagemma vile e banale, che ci ha privati di un capolavoro apocalittico, assoluto, vibrante!

Un epilogo-epitaffio

"Ma cos'ha la loro vita che non va? Cosa  diavolo c'è di meno riprovevole della vita dei Levov?" Con queste parole si chiude il romanzo. Cos'ha la loro vita che non va? Questa è una domanda retorica. Philip Roth sapeva benissimo dare la risposta. Sapeva benissimo cosa non va. In un contesto più adatto allo sterminio di massa, egli sarebbe stato un genocida del calibro di Hulagu Khan. Avrebbe annientato milioni di persone senza battere ciglio. Ne sarebbe stato capace, ne sono sicuro. Tutto questo lo avrebbe fatto per far purgare al mondo e al suo maligno Artefice il fatto di essere nato da un tirannello esecrabile e da una madre oppressiva, egoista, crudele, sommamente molesta. Gratta un genocida e troverai la famiglia! Basta immergersi in Pastorale americana e in Lamento di Portnoy per compiere un viaggio senza ritorno, penetrando nell'oscurità abissale del Mistero dell'Uomo di Braunau: per capire fino in fondo l'odio assoluto che lo animava è necessaria la lettura di Roth. Le opere di Roth sono infinitamente più pericolose del Mein Kampf! Sapete perché? Semplice. Il Mein Kampf non lo legge nessuno, è alquanto pesante, è legato a un modo di intendere la realtà che ormai non è più compreso da anima viva, contiene molte informazioni ormai indecifrabili senza opportune glosse. Chi diavolo sa più chi era Schlageter? E il Signor Severing? Forse qualche storico che si diverte a leggere le note a piè di pagina. Invece Roth funziona come un siero in grado di trasmettere l'antisemitismo, in modo diretto e violento. La sua lettura non dovrebbe essere consentita nelle scuole. Chi volesse far divampare ovunque i pogrom, non avrebbe altro da fare che favorire la diffusione dei romanzi di Roth.


Seymour "Swede" Masin 

Ebbene, un gigante biondiccio di nome Seymour e soprannominato "Svedese" è esistito davvero. Il cognome però era diverso: Masin, non Levov. Lo stesso Roth ha ammesso in modo esplicito di aver tratto ispirazione dallo Svedese Masin per plasmare il proprio personaggio. Seymour "Swede" Masin (1920 - 2005), figlio di immigrati ebrei russi, era un leggendario atleta del liceo e del college. Nel 2000 fu nominato tra i 50 migliori atleti liceali del New Jersey nell'intero XX secolo: un traguardo non da poco, per una cultura come quella americana, in cui le attività agonistiche rivestono un'importanza fondamentale. Fu anche un imprenditore di successo, proprio come il figlio di Lou Levov, solo che la sua attività era molto più benemerita e proficua. Infatti non vendeva inutili guanti, vendeva liquori: i più nobili anestetici, che permettono all'umanità di lenire il proprio male di esistere. Eppure oggi lo Svedese Masin potrebbe essere accusato di razzismo e persino di neonazismo soltanto per aver indossato una maglietta con la scritta PANZER! In realtà si tratta del nome di una delle scuole che ha frequentato, il Panzer College nella Contea di East Orange, ma andatelo a spiegare ai buonisti politically correct! C'è chi sostiene che Pastorale americana abbia contribuito ad attirare i riflettori su questo personaggio. Se fossi un suo parente, non so se ne sarei molto contento. Forse sarebbe meglio lasciar riposare i morti.  

venerdì 18 ottobre 2019


TUTTI I COLORI DEL BUIO 

Titolo originale: All the Colors of Darkness
Autore: Lloyd Biggle Jr.
Anno: 1963

Lingua originale: Inglese
Genere: Fantascienza
Editore: Arnoldo Mondadori Editore 
Edizioni italiane:
    Urania n. 335 (1964)
    Urania n. 686 (1975)
    Urania n. (1981)
Codice ASIN: B000ND3EU2
Codice ISBN: A000019927 
Pagine: 192 pp.
Formato: Paperback
Traduzione: Mario Galli


Sinossi (da Mondourania.com): 
I meandri dell'iperspazio, gli oscuri corridoi dimensionali, hanno ormai pochi segreti per il lettore di fantascienza. E l'autore di questo esemplare, cinematografico romanzo d'azione ne è ben consapevole: il viaggio istantaneo non pretende dunque di essere qui una mirabolante trovata, ma semplicemente il punto d'avvio d'un intreccio solido già di per se: fortunose vicende d'un gruppo di ricercatori, inspiegabili sparizioni di viaggiatori, sabotaggi, interventi di agenti privati e polizie di tutto il mondo. Ma quella che può sembrare soltanto una cronaca, per quanto movimentata, dello sfruttamento industriale dell'iperspazio, s'arricchisce al momento giusto di un elemento nuovo che scienziati, poliziotti e industriali non potevano prevedere. Dietro la facciata della quarta dimensione si nasconde...

Trama:
Siamo nel 1986, che all'epoca in cui il romanzo fu scritto sembrava lontanissimo nel futuro, credo a causa di una distorsione nella percezione del tempo caratteristica di molti fantascientisti. Un'azienda chiamata Universal Transmitting Company fa una sensazionale scoperta: un sistema che permette il teletrasporto istantaneo da un luogo a un altro. Basta che una persona si infili nella macchina trasmittente per essere scomposta e ricomposta nella macchina ricevente. Proprio quando l'azienda si prepara a rendere pubblica la sua invenzione e a rivoluzionare l'industria dei trasporti, ecco che avvengono alcuni misteriosi sabotaggi. Cosa particolarmente inquietante, si registrano casi di persone entrate nella macchina trasmittente e sparite nel nulla. Viene così assoldato un investigatore privato, Jan Darzek, affinché faccia chiarezza sui malfunzionamenti del teletrasporto prima che la cosa diventi di pubblico dominio e si risolva in una catastrofe. Jan fa le sue indagini e viene a scoprire qualcosa di sorprendente: le persone scomparse sono sempre le stesse, anche se la cosa non risulta subito ovvia dato che usano travestimenti vari per nascondere la loro identità. Quando il detective segue una di queste persone, decide contro ogni buon senno di infilarsi assieme a lei nel trasmettitore, scomparendo all'istante e venendosi a trovare sul lato nascosto della Luna, in una base gestita da un piccolo numero di alieni bizzarrissimi. Questi esseri hanno soltanto un fine: impedire al genere umano di continuare con i suoi pericolosi esperimenti di teletrasporto. Infatti la capacità di trasferire oggetti ed esseri viventi da un punto all'altro dello spazio è il primo passo verso i viaggi interestellari. Il punto è che la specie Homo sapiens è ritenuta troppo immatura e perversa per unirsi all'Ecumene Galattica, così deve restare confinata sul coprolito che è la Terra. Si tratta di una vera e propria quarantena. Come se agli estremi confini del Sistema Solare fosse stato collocato un cartello con scritto "NON ENTRARE". La decisione degli extraterrestri operanti sulla base lunare sembra senza appello, eppure dal loro dialogo con l'agente rapito scaturiranno frutti del tutto inattesi...  


Recensione: 
In sintesi è la storia di un uomo che passa molto tempo tra alieni di una specie con più di due sessi, e al ritorno a casa si accorge di non provare alcun desiderio per le donne. 

Ho messo le parole sopra riportate su Anobii, come microrecensione. Una navigatrice, certa Anna Reda - forse punta nel vivo - mi ha aggredito strillando:

"Ma doveee???!!! Hai letto un altro libro?" 

Ebbene no, il libro era proprio quello. Tutti i colori del buio, di Lloyd Biggle Jr. e basta. Lo devo ammettere, i miei ricordi sono un po' confusi, in fondo sono passati molti anni. Ero al liceo quando ho letto il romanzo di Lloyd Biggle Jr., eppure ogni tanto riemerge ancora qualche dettaglio fissatosi all'epoca nei banchi di memoria stagnante. Il detective Jan Darzek - ho recuperato il suo nome nel Web - si è trovato in mezzo a esseri di una stranezza incredibile, come se i loro corpi appartenessero a una geometria non euclidea, addirittura quadridimensinale. Le loro membra erano sottili, i loro volti lunghissimi e piatti, come se fossero scaturiti da un quadro di Picasso. A un certo punto, verso il finale, compariva una specie di predicozzo sulla molteplicità e sulla necessità della tolleranza. Ai tempi non sapevo nulla del pestilenziale buonismo politically correct, non avevo la benché minima idea di come questo tumore maligno avrebbe ridotto il nostro mondo. A distanza di molti anni ho dato un'occhiata al testo e vi ho trovato molte cose notevoli. Innanzitutto ho individuato le esatte parole pronunciate dall'alieno moralista Zachary all'investigatore rapito (il grassetto è mio):

- Pensateci! La vostra oscurità è tanto profonda, e siete ancora parecchie generazioni lontano persino dall’aver imparato a comportarvi tra voi. Sfruttate il debole. Sfidate il forte con le armi nucleari. Pervertite la giustizia, anche dove questa esiste. Il vostro onore è in vendita su ogni mercato. Perseguite quelli della stessa vostra razza per una semplice diversità di pelle… Una piccola diversità paragonata ai colori degli abitanti degli altri mondi. Vi dichiarate guerra per semplici contraddizioni di parole in quelle che voi chiamate religioni… piccole contraddizioni paragonate a quelle delle altre religioni della galassia. Non avete neppure regolato il comportamento tra i sessi, e siete fortunati, dato che ne avete solo due. Non possiamo, non dobbiamo permettere che il vostro popolo esca dal sistema solare. La galassia ha miriadi di mondi la cui potenza e tecnica vanno oltre la vostra comprensione. Voi siete aggressivi e in balia della vostra oscurità. Sareste in grado di procurare gravi danni agli altri, e questi risponderebbero distruggendovi. Ora, avete altre domande da fare?

Vedete che il riferimento alla pluralità dei sessi non era un parto della mia infetta fantasia?

Riporto questo interessante dialogo tra Jan Darzek e la provocante Jean, che lo concupisce senza successo:

- Dal momento che ti trovavi sulla Luna potevi svolgere qualche indagine e magari risolvere il mistero. Non hai visto niente di interessante?
- Sì. Ho incontrato gli abitanti della Luna.
- Che aspetto hanno? - domandò Jean.
- Enormi. Alti circa due metri e larghi quanto la porta di un fienile. Erano avvolti da bende, come se fossero mummie egiziane. I tratti di pelle che potevo vedere erano di un azzurro pallido. 
- Non c'è niente di strano in questo. Le notti lunari devono essere molto fredde.
- Le donne non lo erano. Erano calde, più calde delle terrestri. Avevano quattro dita, e i loro volti erano piatti, come se  fossero stati schiacciati da un compressore. Ma le trovavo belle. Non chiedetemi perché.
- Mio Dio! - esclamò Jean. - Ecco perché è ancora scapolo.

Già al primo incontro con un alieno di sesso femminile, Jan Darzek aveva avuto reazioni particolari, non certo di repulsione. Potremmo invece dire che gli si era rizzato l'uccello. Posso testimoniare questo senza timore di essere smentito, riportando questi passi: 

Era enorme, come Alice o Gwendolyn, ma sembrava infinitamente più vecchia. Il volto era coperto da una rete di rughe, il colore azzurro della pelle sembrava più pallido, e la membrana tra le dita aveva perso la trasparenza delicata per assumere un colore di decadenza. Mentre la stava fissando la donna sorrise.
— Non credo che possiate trovarci belli, signor Darzek…
— Vi trovo strani — rispose.
— Soltanto uno stupido potrebbe giudicare gli attributi estetici di qualcosa che rimane completamente al di fuori delle sue esperienze.
La donna lo fissò negli occhi senza rispondere. Come quelli di Alice erano luminosi.


Jan Darzek lancia infine un'accusa agli alieni: afferma che sono limitati nella loro percezione dell'oscurità, su cui fondano le proprie valutazioni. Li accusa di vedere le cose soltanto bianche o soltanto nere. Poi parte con un panegirico della specie umana, che annovera di tutto tra le sue fila, dai santi ai peccatori, dagli esseri morali a quelli amorali, dagli esseri sociali a quelli asociali, "con tutte le sfumature che possono esistere tra le due estremità".

Così lo ribadisco ad Anna Reda: non ho lavorato di fantasia e non mi sono inventato nulla. John Darzek ha sviluppato una nuova attitudine verso quelli che un tempo riteneva i propri simili, gli esseri umani. Ha imparato a detestarli come si può detestare uno strano insetto di un tipo mai visto prima, anche se senza reazioni di violenza e di odio inconsulto. Il detective non viene colpito dal rigurgito quando si ritrova sulla Terra, ma fa capire ai suoi interlocutori che qualcosa in lui è cambiato per sempre. Mi sembra chiaro cosa è successo: colei che mi ha aggredito ha letto Tutti i colori del buio in modo superficiale, saltando proprio i passi che ho riportato sopra. 

Altre recensioni e reazioni nel Web 

Sempre su Anobii, l'utente aal ha scritto: 

"Romanzo che dimostra tutti i suoi anni ma che resta comunque una lettura piacevole in virtù di una scrittura accattivante e di un buon ritmo. Peccato però che un'ottima idea, che sarà sfruttata in futuro da centinaia di romanzi e sceneggiature, sia stata contornata da un apparato poliziesco-spionistico che si dilunga un po' troppo. Bellissimo però il concetto di oscurità da cui il libro prende il nome. E alla fine è proprio ciò che rende questo romanzo "fantascienza", ovvero l'incontro con una avanzata civiltà aliena e la scoperta di una tecnologia che annulla lo spazio, a risultare poco approfondito. Peccati veniali su cui un appassionato è sempre in grado di sorvolare in cambio di un paio d'ore di innocente evasione."

Evidentemente l'utente in questione ha usato la modalità descritta in genere come "lettura rapida", che incontra tutto il mio scetticismo. Chi macina un libro in un paio d'ore non può essere un lettore attento: per necessità leggerà male, saltando interi brani, sorvolando su ogni minimo ostacolo o su ogni eruzione della noia. Come se si avesse il pepe al culo e si facesse a gara a chi arriva prima a dire di aver finito il libro di turno. Non credo che questo modo di procedere possa definirsi "lettura"

Possibile che nessuno si sia accorto degli straordinari aspetti antropologici e dell'innovatività estrema dell'opera di Biggle Jr.? Tutti sempre fissi col gingillo tecnologico senza badare agli esseri che lo hanno concepito? Possibile che frugando nel Web riesca ad imbattermi soltanto in banalità? Sono stanco di tutto. Quello che mi auguro sempre più spesso quando mi imbatto nei fantascientisti è che Cthulhu possa sorgere da R'lyeh e digerirli! Sono persino disposto a frugare nell'output del Grande Antico per cercare tracce dell'anima metabolizzata! 

Omonimie 

Il romanzo di Biggle Jr. non va confuso con l'omonima opera di Stephen Kuusisto, pubblicata da Mondadori nel 1998, "Autobiografia di un poeta colpito da quasi totale cecità, nonostante la quale tenta di vivere con pienezza la propria passione. Pur non potendo quasi leggere un verso, se non con immani sforzi." 

Tutti i colori del buio (All the Colors of the Dark) è poi un film giallo diretto da Sergio Martino nel 1972, con Edwige Fenech nel ruolo di una giovane donna traumatizzata e indotta a partecipare a rituali satanici. Ovviamente non c'entra nulla con le avventure di Jan Darzek sulla Luna!