sabato 8 agosto 2015

LA LINGUA ETEOCRETESE E IL CASO DELLE MOSCHE CHE DIVENTANO TOPI

Errare humanum est. Chi non ha mai sentito almeno una volta nella sua vita questo proverbio latino? Nessuno al mondo può dirsi ad esso estraneo. Esiste anche un altro proverbio, questa volta italiano e non meno vero. Non sbaglia mai chi non fa una mazza. Peccato che le genti, a cui pure questi detti sono familiari, non ne tengano conto e non perdano occasione di scagliarsi contro chiunque faccia un minimo errore, arrivando persino a usare refusi per vanificare l'opera altrui. 

Dico queste cose perché ho trovato un grave errore nell'opera del validissimo prof. Giulio Facchetti, studioso per cui nutro la massima ammirazione, cui si devono studi approfonditi ed eccellenti sulla lingua etrusca. Non si pensi che quanto mi accingo ad esporre sia inteso come una critica distruttiva: segnalo ciò che ho scoperto a beneficio della Scienza, perché le nostre conoscenze della lingua dei Rasna possano progredire.

Così scrive Facchetti in Qualche osservazione sulla Lingua Minoica (2001, pag. 10):  

"Anche la glossa esichiana cret. θάπτα = 'topi' troverebbe riscontro nella radice etrusca θap- 'consumare' (perciò min. thapt- sarebbe 'roditore' o simili). Corrispondenze lessicali di questo genere, se esatte, sono certamente importanti, anche se non possono provare molto circa l'eventuale affinità linguistica etrusco-minoica". 

E ancora, in Appunti di morfologia etrusca. Con un'appendice sulla questione delle affinità genetiche dell'etrusco (2002, pagg. 123-124):

"Sul piano meramente lessicale altri punti di contatto tra materiale minoico ed etrusco, la cui semantica è circoscritta o circoscrivibile (in quanto analizzabile combinatoriamente nei rispettivi corpora o ricavabile da glosse), sono i seguenti:

minoico

etrusco

ku-ro 'totale'

χurv(ar) 'completo'

mari- 'maiale'

mar- vittima sacrificale

(in TC 7 e 10)

marti- (prob.
'vergine')

Mariš genietto infante
= ma-te)

thapt- / latt-
'topo, roditore'

θap- 'consumare'
(-aθ/t nomi d'agente)

Ariēda 'Ariadne'

Ariaθa 'Ariadne'


Per tutti i particolari rimando al mio intervento su «Kadmos»."

Concordo con i raffronti relativi a "totale", "maiale" e "Aradne", mentre ho qualche dubbio su "vergine" paragonato al nome etrusco di Marte. Tuttavia sappiamo per certo che nella lingua eteocretese θάπτα (variante λάττα) non significava affatto "topi". Guardiamo con attenzione la parola greca con cui Esichio traduce il termine. Così è riportato nel testo: θάπτα. μυῖα (Cret.); λάττα. μυῖα (Polyrrhen.). 

Facchetti traduce μυῖα con "topi", ma questo è un marchiano errore. Infatti in lingua greca μυῖα significa "mosca". La parola per "topo" è invece μῦς, che è di genere femminile, e al plurale fa μύες (< *mu:ses). Corrisponde alla perfezione al latino mus /mu:s/, pl. mures /'mu:re:s/, con -r- derivante da regolare rotacismo di un'originale consonante sibilante -s- divenuta sonora. Anche nelle lingue germaniche vige questo vocabolo: tedesco Maus, pl. Mäuse, inglese mouse, pl. mice, norreno mús, pl. mýss. L'origine della radice *mu:s- è eminentemente indoeuropea.

Così bisogna correggere senza indugio gli scritti di Facchetti: θάπτα "mosca". Non è quindi lecito associare questo vocabolo cretese alla radice etrusca θap- "consumare". Un verbo formato dalla base θap- ricorre in una formula di maledizione su lamina di piombo (Po. 4.4) e ha un senso chiaramente infausto: la locuzione θapicun θapintas (ripetuta con la variante θapintais) è stata tradotta da come "consumo avendo(li) consumati". Altro famoso vocabolo etrusco da Facchetti associato alla radice verbale θap- "consumare" è θapna, θafna, che è stato tradotto tra le altre cose come "bicchiere". Facchetti pensa che il significato centrale di questa parola sia "consumazione". Questo senso di "consumare" sarebbe per lo studioso il motivo per cui il vocabolo in un'occasione è scritto su un candelabro, dove si consumavano le candele.

Le cose possono non essere così semplici. Una volta respinta la falsa traduzione della glossa cretese di Esichio, l'edificio vacilla e necessita di essere ridiscusso. Sulla derivazione del vocabolo per dire "topo" da "consumare" ho avuto fin dall'inizio qualche dubbio. La lingua etrusca non è un argot, anche se possono essere presenti definizioni tabù.

A parer mio occorre separare le tre radici.

1) L'idea da me proposta è che θafna, θapna significhi semplicemente "oggetto tombale", che la parentela sia col greco τάφος "tomba, sepoltura" (cfr. θάπτω "io seppellisco"). Il significato più antico dovrebbe essere quello di "cavità", che riemergerebbe anche nel còrso tafone "buco" (elemento di sostrato preromano).
Alla radice *dhembh-, *dhṃbh- "tomba" ricostruita dagli indoeuropeisti (es. Pokorny), l'etrusco risponderà così con la radice θaf- (θap- è forma secondaria), documentata a quanto ne so soltanto in questa formazione col suffisso -na, che mi appare del tutto analoga a hupni-na "oggetto tombale", formato da hupni "loculo". Non è chiaro quale sia stato il percorso di questa radice.    

2) Il verbo θap- è stato tradotto con "consumare" non per un volo pindarico, ma per associazione a due parole latine: daps "banchetto sacro" (gen. dapis) e damnum "danno" (< *dapnom). La radice, che sembra indoeuropea come "pizza" e "stiletto" sembrano parole inglesi, è presente anche tra i Germani: norreno tafn "sacrificio"
Alla radice *dap- ricostruita dagli indoeuropeisti, l'etrusco risponderà così con la radice θap-, o meglio θapi-(n)-. Non ho certezze sull'origine ultima di questa radice, anche se è possibile che fosse tipica delle lingue tirreniche e sia passata poi ad alcune lingue indoeuropee.  

3) Quale sarà dunque la parentela dell'eteocretese θάπτα "mosca"? Semplice: latino tabanus, italiano tafano, di origine etrusca. Possiamo quindi dedurre etrusco *taφa "mosca", la cui radice si trova in taφu, taφane "tafano", entrambi attestati come gentilizi, cfr. latino Tappo e Tabanius.
L'eteocretese ci mostra una forma con consonanti diverse rispetto all'etrusco. Siamo forse di fronte a una rotazione consonantica nell'ambito delle lingue tirreniche? Sono indotto a pensare di sì, dal momento che altri esempi tratti dal sostrato pre-greco ne sono la testimonianza (es. greco θεάομαι "io osservo" rispetto a etrusco teu-, tev- "osservare; mostrare",
tva "egli mostra").

Significativi elementi per comprendere l'etrusco e la sua origine sono spesso da rintracciarsi in quella parte di vocabolario latino e greco che non ha origine indoeuropea, e che in non pochi casi è tuttora vivente nelle lingue romanze. Avendo a che fare con strati di lessico molto antichi, tracciare correttamente i percorsi compiuti dalle radici può essere davvero arduo. 

Tornando alle mosche diventate topi, sono convinto che il Facchetti abbia compiuto questo errore in buona fede: mi rifiuto di credere che egli non avrebbe saputo trovare uno svarione che ho trovato a colpo d'occhio io, che pure non sono un grecista di professione. Credo che con ogni probabilità lo studioso abbia lavorato su una traduzione errata già in partenza, trovando l'erroneo θάπτα "topi" su qualche libro e non avendo controllato il testo originale.

Quello che mi fa specie è che nessuno, dico nessuno, nell'intero mondo accademico si sia accorto di questa errata traduzione, che a rigor di logica avrebbe dovuto saltare agli occhi anche di un professore del liceo classico. Nessuno a quanto pare ha segnalato la cosa. Cosa bisogna dedurne? Viene il legittimo sospetto che in Italia la lingua greca sia un libro chiuso, come già lo era per i nipoti di Simmaco.

Colgo l'occasione per salutare il prof. Facchetti, che non ho ancora avuto il piacere di conoscere, e per invitarlo a intervenire sulla questione.

ALCUNE NOTE SULLA LINGUA NEOEBRAICA

Sempre in agguato è l'illusione della perfetta aderenza tra una lingua ricostruita e il modello a cui si ispira. Talvolta questa ingenuità porta ad esiti di un grottesco molto spinto. Un esempio valga per tutti: quello della lingua ufficiale dello Stato di Israele, comunemente chiamata lingua ebraica, ma che più correttamente dovrebbe essere nota come conlang neoebraica. Si tratta infatti di un prodotto artificiale, che si discosta in misura anche notevole dalla lingua delle Scritture. Tempo fa mi capitò di leggere su un quotidiano alcune considerazioni dello scrittore Amos Oz, il quale sosteneva che grazie alla lingua ebraica ricostruita, un israeliano di questi tempi sarebbe in grado di intendere il Re David e i Profeti. In un successivo articolo, forse resosi conto dell'assurdo, lo scrittore correggeva il tiro affermando che non valesse l'inverso, ossia che il Re David e il Profeti non capirebbero molto dei discorsi di un ebreo del giorno d'oggi, a causa dei molti nuovi vocaboli presi a prestito da varie fonti. Sono riuscito a trovare il secondo articolo, ma purtroppo non il primo. Si tratta dell'intervista di Biancamaria Bruno, disponibile in rete a questo indirizzo:


La lingua ebraica ufficiale di Israele non è l'ebraico del Re David, né a maggior ragione quello di Abramo - e tra i due vi erano differenze di pronuncia e di lessico notevoli, essendo intervenuta la rotazione vocalica cananea. 

Ebbene, il Re David non avrebbe capito le parole di Amos Oz, e gli articoli dello scrittore, pur formulati in ebraico, non gli sarebbero parsi diversi da un insieme di formule magiche dei Moabiti o degli Ammoniti. Forse avrebbe pensato che lo scrittore israeliano parlasse fenicio, data la sua difettosa pronuncia di diverse consonanti. Amoz Oz sarebbe riuscito a capire meglio il Re David, in virtù dei suoi studi, ma la pronuncia del sovrano gli sarebbe parsa ostica, innaturale e tesa. Siccome poi le Scritture non attestano l'intero vocabolario della lingua parlata ai tempi in cui i testi biblici furono messi per iscritto, non è improbabile che molti lemmi usati dal Re David non sarebbero conosciuti ai moderni.

Non sono molto fiducioso sulle dichiarazioni di Amos Oz nemmeno sul fatto che un bambino di Israele sia in grado di capire bene le Scritture senza studi specifici. L'ebraico biblico mostra una notevole complessità grammaticale, tipica delle lingue semitiche, che non è stata ripresa per questioni pratiche nell'attuale lingua di Israele. Ad esempio esistono i suffissi possessivi, che si aggiungono ai nomi secondo quella che i grammatici rabbinici chiamano declinazione. Ne fornisco alcuni esempi significativi, tanto per far capire il concetto, usando la traslitterazione per comodità:

sūs = cavallo
sūsī = mio cavallo
sūsekhā = tuo cavallo (m.)
sūsēkh = tuo cavallo (f.)
sūsō = suo cavallo (di lui)
sūsāh = suo cavallo (di lei)
sūsḗnū = nostro cavallo
sūsekhem = vostro cavallo (m.)
sūsekhen = vostro cavallo (f.)
sūsām = loro cavallo (m.)
sūsān = loro cavallo (f.)

sūsīm = cavalli
sūsái = miei cavalli
sūsékhā = tuoi cavalli (m.)
sūsaikh = tuoi cavalli (f.)
sūsāw = suoi cavalli (di lui)
sūséhā = suoi cavalli (di lei)
sūsḗnū = nostri cavalli
sūsēkhem = vostri cavalli (m.)
sūsēkhen = vostri cavalli (f.)
sūsēhem = loro cavalli (m.)
sūsēhen = loro cavalli (f.)

Nella lingua moderna, queste forme sono state sostituite da perifrasi, utilizzandosi la base shel:

sūs shellī = mio cavallo, etc. 
sūs shelkhā = tuo cavallo (m.)
sūs shellēkh = tuo cavallo (f.)
sūs shellō = suo cavallo (di lui)
sūs shellāh
= suo cavallo (di lei)
etc.

Forme simili di suffissi pronominali si aggiungevano poi ai verbi, già di per sé coniugati, dando origine a forme davvero molto complesse.

qeṭaltīkhā = io ti ho ucciso
qeṭaltīkh = io ti ho uccisa
qeṭaltīhū, qeṭaltīw = io lo ho ucciso
qeṭaltīhā = io l'ho uccisa
qeṭaltīkhem = io vi ho uccisi
qeṭaltīkhen = io vi ho uccise
qeṭaltīm = io li ho uccisi
qeṭaltīn = io le ho uccise
qeṭaltánī = tu (m.) mi hai ucciso
qeṭaltāhū, qeṭaltō = tu (m.) lo hai ucciso
qeṭaltāh = tu (m.) la hai uccisa
qeṭaltānū = tu (m.) ci hai ucciso
qeṭaltām = tu (m.) li hai uccisi
qeṭaltān = tu (m.) le hai uccise
 
qeṭaltīnī = tu (f.) mi hai ucciso
qeṭaltīhū = tu (f.) lo hai ucciso
qeṭaltīhā = tu (f.) la hai uccisa
qeṭaltīnū = tu (f.) ci hai ucciso
qeṭaltīm = tu (f.) li hai uccisi
qeṭaltīn = tu (f.) le hai uccise
qeṭālánī = egli mi ha ucciso
qeṭolkhā = egli ti ha ucciso
qeṭālēkh = egli ti ha uccisa
qeṭālāhū, qeṭālō = egli lo ha ucciso
qeṭālāh = egli la ha uccisa

qeṭālānū = egli ci ha uccisi
qeṭalkhem = egli vi ha uccisi
qeṭalkhen = egli vi ha uccise
qeṭālām = egli li ha uccisi
qeṭālān = egli le ha uccise
qeṭāláthnī = essa mi ha ucciso
qeṭālathkhā = essa ti ha ucciso
qeṭālāthekh = essa ti ha ucciso
qeṭālath'hū, qeṭālatō = essa lo ha ucciso
qeṭālathāh = essa l'ha uccisa
qeṭāláthnū = essa ci ha uccisi
qeṭālathkhem = essa vi ha uccisi
qeṭālathkhen = essa vi ha uccise
qeṭālathām = essa li ha uccisi
qeṭālathān = essa le ha uccise
qeṭalnūkhā = noi ti abbiamo ucciso
qeṭalnūkh = noi ti abbiamo uccisa
qeṭalnūkhem = noi vi abbiamo uccisi
qeṭalnūkhen = noi vi abbiamo uccise
qeṭalnūm = noi li abbiamo uccisi
qeṭalnūn = noi le abbiamo uccise
qeṭaltūnī = voi (m., f.) mi avete ucciso
qeṭaltūhū = voi (m., f.) lo avete uccisi
qeṭaltūhā = voi (m., f.) l'avete uccisa
qeṭaltūnū = voi (m., f.) ci avete uccisi
qeṭaltūm= voi (m.,f.) li avete uccisi
qeṭaltūn = voi (m.,f.) le avete uccise
qeṭālūnī = essi/esse mi hanno ucciso
qeṭālūkhā = essi/esse ti hanno ucciso
qeṭālūkh = essi/esse ti hanno uccisa
qeṭālūhū = essi/esse lo hanno ucciso
qeṭālūhā = essi/esse l'hanno uccisa
qeṭālūnū = essi/esse ci hanno uccisi
qeṭālūkhem = essi/esse vi hanno uccisi
qeṭālūkhen = essi/esse vi hanno uccise
qeṭālūm = essi/esse li hanno uccisi
qeṭālūn = essi/esse le hanno uccise

Pur con tutto il rispetto per lo studioso Amos Oz, non si vede come sia possibile che un alunno non opportunamente istruito possa per scienza infusa comprendere le forme sintetiche che si trovano nei testi originali, quando già un bambino italiano fatica non poco a comprendere le forme verbali usate da Dante.

venerdì 7 agosto 2015

UN TERMINE GALLICO NEL QUADRATO MAGICO DEL SATOR

Famosissimo è il quadrato magico del Sator, su cui sono stati scritti fiumi di inchiostro:

S A T O R
A R E P O
T E N E T
O P E R A
R O T A S

Appare chiaro a tutti che non si tratta di un testo latino semplice e lineare. Sono in ogni caso convinto che si possano puntualizzare alcune cose importanti a riguardo. 

Questa è la traduzione che propongo:

Il seminatore con l'aratro tiene in azione le ruote 

Termini problematici:   

1) AREPO. Il latino volgare *arepus, dat./abl. arepo, è una parola celtica che significa "aratro (su ruote)". Non fa specie che non compaia nei vocabolari: è un termine che si è diffuso in alcune varietà della lingua parlata a partire dalla Gallia Transalpina. L'accento è sulla prima sillaba. La formula del quadrato è tradotta in un testo biblico greco dei XIV secolo con ὁ σπείρων ἄροτρον ϰρατεί ἔργα τρόχους "il seminatore tiene l'aratro, le opere, le ruote" (cod. Par. gr. 2511 f. 60v). Anche se il traduttore non doveva conoscere bene la grammatica del latino, si nota che ἄροτρον corrisponde AREPO, anche se all'accusativo. Dalla stessa base di AREPO è formato il gallico arepennis, che indica una misura agraria corrispondente al semiiugerum. Di genere maschile, questa vocabolo è sopravvissuto nel latino popolare delle Gallie, dando infine il francese arpent.

2) OPERA. Il termine opera è qui l'ablativo di un vocabolo femminile. Il latino ha opus, gen. operis, di genere neutro, il cui plurale è opera. Come in molti altri casi, nella lingua popolare il neutro plurale è diventato un femminile singolare: di qui la parola opera, gen. operae, da cui il termine tuttora in uso in italiano. Lo stesso è accaduto con fortia, letteralmente "le cose forti", un neutro plurale che è diventato in italiano il femminile singolare forza. Nel quadrato magico non è possibile interpretare questo OPERA come accusativo plurale neutro, dato che dovrebbe essere l'oggetto del verbo TENET e l'uso dell'accusativo plurale femminile ROTAS non avrebbe alcun senso - a meno di non immaginare una congiunzione sottointesa, quasi TENET OPERA (ET) ROTAS, soluzione che non mi piace per nulla. Questo non è il latino dei metallari.

3) ROTAS. Per evitare il cumulo di accusativi, c'è chi ha interpretato questa parola come una forma volgare di rotans, considerando il participio riferito a SATOR. Tuttavia la proposta non regge per motivi semantici: bisogna ammettere che un "seminatore rotante" visto come simbolo della Sorte è qualcosa di una fragilità logica molto spinta.   

A stento le molte assurdità della pseudoscienza occultista fiorite sul testo del quadrato del Sator meritano qualche menzione. La vecchia scappatoia di chi vede in AREPO un nome proprio di persona non è ancora niente in confronto alle stravaganze che si possono reperire nel Web. C'è chi segmenta le parole facendo di ogni lettera un'abbreviazione, trasformando SATOR in una sigla. Cito poi l'interpretazione mirabolante di AREPO come AREOPAGO (ebbene sì, mi è toccato imbattermi anche in questa inconsistenza). A Rino Cammilleri sembra ripugnare sopra ogni cosa il fatto che possano essere esistite parole galliche in latino - per lui la Verità è italiana, non francese :) - dimenticando l'esistenza di vocaboli come carrus, carpentum, benna, petorritum, alauda, betulla, gaesum, cervisia, bracae, etc. 

Spiegazione: Un tempo si credeva che il quadrato magico in questione fosse stato inventato nel Medioevo per ragioni apotropaiche, ma poi si sono scoperte sue raffigurazioni più antiche, risalenti all'epoca dell'Impero Romano. In particolare ne sono stati trovati diversi esemplari a Pompei, al punto che è stato ribattezzato latercolo pompeiano

Il quadrato è una croce cristiana criptica, usata già durante le persecuzioni come segno di riconoscimento. Se si evidenzia la parola TENET nel mezzo della struttura, salta all'occhio una croce palindromica: 

S A T O R
A R E P O
T E N E T
O P E R A
R O T A S

Anagrammando la frase, Felix Grosser ha ottenuto la seguente croce:


Chiaramente la sequenza A O sta per Alpha Omega. Le possibilità che tutto ciò sia frutto del caso è talmente bassa da poter essere scartata. La spiegazione del quadrato come crittografia cristiana ha incontrato molte resistenze per svariati motivi. Innanzitutto per la data precoce dei reperti pompeiani, che sono per necessità anteriori al 79 d.C., data dell'eruzione. È possibile che in epoca tanto antica esistesse a Pompei una comunità cristiana tanto folta e vitale? È possibile che avesse già sviluppato un simbolismo così elaborato, e per giunta utilizzando la lingua latina anziché il greco? Sembrando queste cose piuttosto improbabili, qualche studioso ha preferito cercare un'origine mitraica o ebraica, usando argomenti che non convincono. Sostengo senza indugio l'interpretazione cristiana. Dal momento che questi reperti presuppongono la presenza di una comunità cristiana molto numerosa a Pompei, bisogna partire da tale dato di fatto e approfondire gli studi, piuttosto che cercare interpretazioni implausibili negando una realtà così evidente.    

Riporto un interessante articolo dell'Università di Manitoba, che purtroppo contiene qualche refuso nella traduzione greca del quadrato:

lunedì 3 agosto 2015

UN ENIGMATICO SOSTRATO TOPONOMASTICO IN ISLANDA

I toponimi dell'Islanda sono in massima parte di origine norrena. Siccome la lingua degli isolani è cambiata soprattutto nella pronuncia, ma ha mantenuto integra la struttura delle sue parole, questi toponimi sono tuttora comprensibili. Si tratta di nomi di luogo trasparenti. Alcuni esempi:

Flatey "isola piatta"
  norreno flatr "piatto", ey "isola"
Gullfoss "cascata d'oro"
  norreno gull "oro", fors, foss "cascata"
Ísafjörður "fiordo dei ghiacci"
  norreno íss "ghiaccio", fjǫrðr "fiordo"
Reykjavík "baia dei fumi"
  norreno reykr "fumo", vík "baia"
Varmá "fiume caldo"
  norreno varmr "caldo", 
ǫ́, á "fiume"
Vatnajökull "ghiacciaio delle acque (o dei laghi)"
  norreno vatn "acqua", j
ǫkull "ghiacciaio"

Al loro arrivo agli inizi del IX secolo, i coloni norvegesi trovarono alcuni monaci irlandesi che vivevano come anacoreti nella desolazione. Subito questi asceti lasciarono l'isola per non essere costretti a convivere con i pagani, o furono costretti a farlo (i cristiani non erano trattati molto bene in tale contesto). Questo seppur esiguo popolamento anteriore alla colonizzazzione dell'Islanda ha dato qualche traccia nella toponomastica. Si tratta di qualche toponimo formato a partire dal vocabolo papi "monaco", pl. papar "monaci", la cui radice il norreno sembra aver preso dall'antico irlandese (popa, pobba "padre"). Alcuni esempi:

Papafjörður "Fiordo dei Monaci"
  norreno papar "monaci", fj
ǫrðr "fiordo"
Papey "Isola dei Monaci"
  norreno papar "monaci", ey "isola"
Papýli
"Fattoria dei Monaci"
  norreno papar "monaci", býli "fattoria"

Nel Libro degli Stanziamenti (Landnámabók), che documenta la colonizzazione dell'Islanda, si racconta che i Papar vivevano nel luogo poi detto Kirkjubær á Síðu prima dell'arrivo dei norvegesi, e che per questo motivo nessun pagano poteva stabilirsi in quella terra. Si racconta anche un singolare aneddoto. Il capo norvegese Ketill, detto lo Stolto, prese possesso del paese di Síða. Vi poté vivere e fondare una fattoria, perché era cristiano. Quando morì, un uomo di nome Hildir Eysteinsson volle stabilirsi a Kirkjubær á Síðu, ma prima di poterlo fare morì all'improvviso, e si pensò che fosse perché era pagano. A dispetto di una tale ricchezza di documentazione, non sono state trovate prove archeologiche degli stanziamenti di questi monaci, come ad esempio croci o campane. La cosa non deve stupire: i coloni pagani devono aver distrutto le croci e rifuso le campane per recuperare il metallo.

Esistono tuttavia alcuni toponimi islandesi che resistono ad ogni tentativo di plausibile interpretazione.

Bóla (fattoria sullo Skagarfjörður)
Esja (una montagna sul Kjalarnes)
Ferstikla (fattoria presso lo Hvalfjörður)
Hekla (un noto stratovulcano)
Kjós (zona che dà nome alla Kjósarsýsla)
Tintron (un cratere vulcanico nel Lyngdalsheiði)
Vigur (isola nell'Ísafjarðardjúp)
Ölfus (zona nella Árnessýsla, attraversata dal fiume
    Hvíta-Ölfusá)

Per una minima parte di questi nomi alcuni studiosi insistono a proporre un'etimologia norrena, a dispetto delle molte difficoltà. Per esempio, Bóla viene ricondotto al vocabolo ból "giaciglio; abitazione, fattoria", anche se l'uscita (femminile col tema in -n-, gen. Bólu) non sembra avere alcun senso. Esiste un vocabolo bóla "umbone dello scudo; pustola", che è un etimo ancor più improbabile per il toponimo. Kjós viene ricondotto al verbo kjósa "scegliere" e interpretato come "Terra Scelta", anche se i derivati nominali di tale verbo sono r "scelta, decisione" e kostr "scelta", e non risulta che la formazione abbia paralleli. Esiste in norreno una parola hekla "mantello con cappuccio" (gotico hakuls "mantello"), ma tale semantica non si applica verosimilmente a uno stratovulcano. In altri casi, si può solo brancolare nel buio. Né può l'antico irlandese fornire lumi per capire l'origine di questo enigmatico materiale toponomastico: i tentativi fatti per fornire un'etimologia celtica a questi nomi di luogo si sono dimostrati fallimentari. 

Come spiegare tutto questo?
Se si esclude la possibilità di spiegare i toponimi con il norreno, rimangono due soluzioni.

1) I toponimi sono dovuti a un popolo antichissimo che abitava l'Islanda prima dell'arrivo dei coloni norvegesi, che conviveva con i Papar e che è stato assorbito dalle nuove ondate migratorie.
2) I toponimi sono stati portati da norvegesi che provenivano da aree in cui era ancora parlata o almeno conosciuta una lingua diversa dal norreno, la cui origine possiamo tracciare nella popolazione pre-germanica. 

Obiezione alla soluzione 1): Non risulta alcuna descrizione di un simile popolo. I libri che documentano gli stanziamenti norvegesi concordano tutti nel descrivere cerimonie con cui i coloni prendevano  possesso di vaste estensioni di terre disabitate, utilizzando specifici riti. Persino alcuni coloni che erano di fede cristiana per far valere la loro dichiarazione di proprietà sono stati spesso costretti a ricorrere a riti pagani. Non si fa la benché minima menzione dell'interazione con un popolo aborigeno - mentre ad esempio ci sono descrizioni dell'incontro con gli Skrælingar in Vinland.

A parer mio la soluzione 2) è quella giusta.

Sono convinto che si tratti della lingua degli Adogit, popolazione antichissima stanziata nel paese di Halagoland e menzionata da Iordanes nella sua opera Getica:

"Quanto alla Scanzia, soggetto del nostro discorso, essa è abitata da un gran numero di stirpi diverse, sebbene tolomeo non ne ricordi che sette, e non vi alligna nessun tipo di ape, data la rigidità del clima. Nella sua parte settentrionale è popolata dagli Adogit di cui si dice che, d'estate, godano il sole ininterrottamente per quaranta giorni e per quaranta notti; per uno stesso periodo, d'inverno, non vedrebbero la chiara luce: in un'alternanza di tristezza e di gioia allora godono d'un privilegio e soffrono d'una privazione ignoti ad altri popoli. E perché tutto questo? Perché nei giorni più lunghi vedono il sole riportarsi ad oriente lungo l'estremità dell'asse terrestre, mentre per loro non è visibile in quelli più brevi, quando segue il periplo meridionale. Così lo stesso sole che per noi sorge in basso, a questi sembra invece che giri lungo il circuito della terra."

Vari sono i motivi che mi fanno pensare alla sopravvivenza tarda di un idioma diverso dal norreno nel paese di Halogaland. Innanzitutto il termine Adogit non è germanico e non ha alcuna etimologia nota, e non è separabile dal toponimo Hálogaland, la cui base Háloga- è pure fortemente problematica. Si possono notare ben tre fenomeni indicatori di un termine di sostrato preindoeuropeo:

1) Alternanza tra forma iniziante in vocale e forma iniziante con l'aspirazione;
2) Alternanza tra un'occlusiva dentale -d- e una liquida -l-;
3) Presenza nella forma non assimilata di un plurale non indoeuropeo uscente in -it.

Consideriamo poi il nome usato in norreno per indicare un abitante di Halogaland: háleygr, pl. Háleygir. Si noterò la presenza di un dittongo -ey- che alterna con -o- di Hálogaland (e di Adogit). È chiaro che queste variazioni, che non hanno giustificazione alcuna in norreno, si spiegano al di fuori di tale lingua.

A questo punto le possibilità sono due: 

1) Si tratta di una lingua finnica parlata dai Saami, più conosciuti come Lapponi
2) Si tratta della lingua sconosciuta che i Saami parlavano prima di adottare una lingua finnica.

Nella lingua dei Saami sono presenti alcune parole che non hanno alcuna corrispondenza in altre lingue di ceppo uralico, che fanno pensare a un sostrato remotissimo e che potrebbero ben essere residui della lingua degli Adogit. Questo spiegherebbe la presenza dei misteriosi toponimi islandesi. Naturalmente è necessaria un'approfondita analisi sui toponimi della Norvegia per acquisire maggiori informazioni e tentare di capire qualcosa di più su questa ingarbugliata situazione. 

lunedì 27 luglio 2015


LA TRENTUNESIMA ORA 

Sceneggiatura:
    Sandro Battisti
    Francesco Cortonesi
    Giovanni De Matteo
Basata su un soggetto di:    
    Sandro Battisti
    Giovanni De Matteo
    Marco Milani
Regia:
    Marco Cerilli
Interpreti:     
     Francesco Trani
     Giulia Tramentozzi
     Sandro Battisti
Durata: circa 30 min
Colore: colore 

Sinossi (da Hyperhouse):

Un matematico è prossimo alla morte, un cancro lo sta divorando così come un gusto per lo studio dei numeri primi sta divorando la sua creatività: egli è convinto che dietro ogni numero primo si celi un messaggio, un criptico esistere delle dottrine occulte che hanno attraversato le ere degli uomini. Feynman, il matematico, ha una storia con Ilaria, che è anche l’infermiera che segue i suoi frequenti soggiorni in ospedale; lei non sembra interessarsi ai numeri primi e non riesce a capire perché lui si ostini a rincorrere quelle bizzarre teorie, perdendoci il sonno e quel residuo di salute che gli è rimasta. Feynman è tormentato e fa fatica a discernere la realtà dai suoi pensieri, vede cose strane accadergli intorno che s’intrecciano, apparentemente, con i suoi deliri; tutto l’universo sembra parlargli e lui è ora certo di aver trovato la soluzione ai suoi supplizi cerebrali. Ma Feynman è davvero al sicuro quando ritiene la sua scoperta attinente soltanto al mondo sottile delle dottrine occulte e non, invece, passibile di applicazioni pratiche?

Recensioni:

Il primo cortometraggio connettivista (o mediometraggio, la definizione esatta appare un po' problematica). Un esperimento iniziato nel gennaio 2006, che ho seguito fin dall'inizio sul blog che descriveva ogni fase del suo sviluppo. I risultati si sono rivelati eccellenti, di estremo interesse. Segnalo la magistrale interpretazione di Sandro Battisti nel ruolo di Nephilim, l'agente alieno. Così scrivevo nel resoconto della Prima NextCon, svoltasi a Vimercate il 3 marzo 2007, sul blog splinderiano Supernova Express, purtroppo scomparso:

"Ho rivisto con estremo piacere La trentunesima ora, e mi sono immerso in complessi turbini di purissimi memi matematici. Intuizioni sui numeri primi mi hanno sfiorato come tentacoli, sfuggendomi sempre. Per un attimo mi è quasi parso di poter cogliere il segreto di Feynman, ma la musica delle quasar ancora una volta si è dissolta in me. Più consono alla mia natura, il personaggio di Nephilim rappresenta un'epifania dell'insondabile sempre viva in me."

Il blog di Paolo Marzola, oggi estinto, conteneva una notevole recensione del mediometraggio connettivista, ma purtroppo soltanto un breve frammento si è potuto salvare: il link al portale è attualmente soltanto una pagina piena zeppa di geroglifici informatici, e in tutto il Web non si trova null'altro. Riporto così quanto sono riuscito a recuperare dal mio vecchio blog Esilio a Mordor:

"La trentunesima ora è film di contenuti, poetico senza dubbio, con una storia che potrebbe vagamente ricordare Pi greco il teorema del delirio ma che in realtà cela al suo interno come scatole cinesi svariati argomenti, diciamo che può essere, come molte opere concettuali, analizzato e percepito secondo vari livelli di interpretazione. Personalmente, dopo averlo visto paio di volte per meglio coglierne tutti i riferimenti, sono riuscito ad apprezzare il lato indubbiamente nostalgico e onirico che circonda questa opera prima, l’andamento a spirale della storia che confonde finzione e realtà. I temi che la permeano sono importanti: il mistero della morte prima di tutto che si presenta in forma di visioni e allucinazioni da parte del protagonista, l’amore, il mistero dell’infinito, il dolore che ognuno di noi cela nei momenti di difficoltà o di malattia, per fluisce in un finale estremamente poetico e rivelatore."

Riporto anche la recensione trovata sul blog Neurone Proteso di Masque, a quanto pare ormai spento (l'ultimo post è del 2013):

"Il corto, mi ha ricordato un po’ PI di Darren Aronofsky (ma l’associazione, era abbastanza scontata, avendo entrambi dei matematici ossessionati e malati come protagonisti ;-) ).
Belle le inquadrature, ed anche i colori mi sono piaciuti molto, specie il contrasto fra i colori accesi delle scene nell’ostello ed il buio delle inquadrature esterne. Non so se l’effetto grana nelle inquadrature notturne fosse voluto, ad ogni modo, ci stava bene. :-)
È un film che, mentre lo guardi, al pari di PI, riesce a trasmetterti la paranoia e l’ossessione del protagonista. Capiterà di accorgersi di fare particolare attenzione ai numeri degli autobus che si vedono ed, in generale, a qualsiasi numero che appare sullo schermo. Verrà spontaneo cercare di trovare dei pattern nella grana delle inquadrature notturne. Gli eventi non seguono una cronologia lineare, quindi, è necessaria una seconda visione per cogliere certi particolari. Questo anche perché i dialoghi o, più comunemente, le didascalie (essendo un film quasi muto), sono molto ermetici. La trama sembra quasi funzionale all’atmosfera ed allo scopo dichiarato di coinvolgere lo spettatore nelle paranoie del protagonista."

Altre informazioni e link: 

Un tempo era possibile visualizzare il filmato in streaming, ed esiste tuttora una pagina di Fantascienza.com che ne reca testimonianza. Ho potuto constatare che tutte le pagine che lo permettevano sono sclerotizzate. In Youtube è presente il trailer: 



Per maggiori informazioni, per la storia del corto e per i dettagli sulla lavorazione si rimanda all'attuale blog di Sandro "Zoon" Battisti:


La sceneggiatura completa è consultabile seguendo questo link: 


Esiste tuttora una pagina con le informazioni necessarie per ordinare il cortometraggio. Non so se siano ancora valide, in ogni caso fornisco il link:   

venerdì 24 luglio 2015


MOEBIUS

Titolo originale: Moebius
Lingua originale: Spagnolo
Paese di produzione: Argentina
Anno: 1996
Durata: 88 min
Colore: colore
Audio: sonoro
Genere: Fantascienza, Thriller
Regia: Gustavo Mosquera
Sceneggiatura:
   Gustavo Mosquera,
   Pedro Cristiani,
   Gabriel Lifschitz,
   Arturo Oñatavia,
   Natalia Urruty,
   María Ángeles Mira
Soggetto: Armin Joseph Deutsch
Fotografia: Abel Peñalba
Montaggio:
   Alejandro Brodersohn,
   Pablo Georgelli
Musiche: Mariano Nuñez West
Scenografia: María Ángeles Mira
Interpreti e personaggi:
   Guillermo Angelelli: Daniel Pratt
   Roberto Carnaghi: Marcos Biasi
   Annabella Levy: Abril
   Jorge Petraglia: Mistein
   Miguel Ángel Paludi: Aguirre
   Fernando Llosa: Nazar
   Daniel Di Biase: Kenn
   Jean Pierre Reguerraz: Deckes
   Martín Adjemián: Canotti
   Felipe Méndez: Capo dei trasbordi
   Martín Pavlovsky: Conducente 101
   Fernando Cia: Figas
   Osvaldo Santoro: Vega
   Horacio Roca: Edmundo
   Nora Zinsly: Professoressa
   Sammy Lerner: Vecchietto dell'Archivio
   Rodolfo Franghi: Mussio
   Ricardo Merkin: Maloni
   Samuel Lankes: Guardia finale
   Aldo Niebur: Suonatore di bandoneon
   Alejandro Viola: Assistente di Biasi
   Javier García: Aiutante di Vega
   Jorge Noya: Chofer Unimog
   Luis Sturla: Impiegato Stazione Parque
   John Bolster: Ascensorista
   Jorge Vilela: Aiutante di Maloni
   Néstor Somma: Impiegato Stazione Bolivar
   Paolo Tamarasco: Alunno Città Universitaria
   Sergio Ríos: Passeggero Stazione Dock Sud
   Gabriel Maldonado: Passeggero Staz. Dock Sud

   Diego Ullua: Passeggero Stazione Dock Sud
   Ignacio Spiaggiari: Passeggero Stazione Dock Sud
   Julio López: Passeggero Stazione Dock Sud
   Fabi
an Kogan: Operaio Garage
   Héctor Fern
ández: Operaio Garage
   Gustavo Machado: Operaio Garage
   Alejandro Yasinski: Yuppie, passeggero dell'86
   Mabel Necol: Maestra, passeggero dell'86
   Adri
án Méndez: Ragazzino, passeggero dell'86
   Rodrigo Fern
ández: Marinaio, passeggero dell'86
   Viviana Necol: Ballerina, passeggero dell'86
   Alfredo Andino: Lettore, passeggero dell'86
   Cynthia Att: Donna incinta, passeggero dell'86
   Fernando Necol: Passeggero dell'86
   Silvia Italiano: Passeggero dell'86 
   Maria Teresa Abad: Impiegata, passeggero dell'86
   Paula del Real: Passeggero dell'86
   Edy Lerner: Passeggero dell'86
   Yamila Kar: Punk, passeggero dell'86
   Moisés Galacovsky: Passeggero dell'86
   Mirta Landini: Passeggero dell'86
   Pablo Messiez: Suicida   
   Natalia Nava: Segretaria
   Fabi
án Bril: Assassino
   Déborah Vidret: Prostituta
   Juan Carrasco: Yuppie col cellulare
   Paulina Montenegro: Scolara
   Manuel Kaselman: Cieco
   Claudio Pardini: Provinciale
   Sebastián Goñi: Ubriacone
   Guillermo El
ías: Operaio Autostrada
   Hector Bordoni: Operaio Autostrada
   Juan Jose Gatt: Operaio Autostrada
   Jose Luis Gratti: Operaio Autostrada
   Raul Colombo: Operaio Autostrada
   Cesar Carlino: Operaio Autostrada
   Claudia Brun: Impiegata Città Universitaria
   Pablo Farina: Voce nelle gallerie (voce)
   Karina Necol: Voce nelle piattaforme (voce)
Società di produzione: Universidad del Cine
Distribuzione: Fama Films
Budget:
250.000 $  
Premi:
   Festival de Cine de La Habana 1996
   Festival de Cine de Bangkok 1998
   Festival de Cine de Puerto Rico 1997
   Festival de Cine Latinoamericano de Huelva 1996
   Festival de Cine Hispano de Miami de 1997
   Viennale 1997

TRAMA:

Ambientato nella labirintica rete metropolitana di Buenos Aires, dove il convoglio UM-86 sparisce misteriosamente nel nulla, portando con sé una trentina di passeggeri. Siccome una simile dematerializzazione appare impossibile alle autorità, ecco che hanno inizio le ricerche per trovarne la vera causa. Daniel Pratt, un giovane topologo (ossia un matematico delle superfici) conduce le indagini partendo dai progetti dell'ultimo ampliamento della rete. Scopre così che il progettista era un suo professore dell'Università, Hugo Mistein, che cerca invano di contattare. Soltanto il fortuito aiuto di una ragazzina permette a Pratt di trovare i primi indizi proprio nella casa deserta del professore, dove saltano fuori una vecchia mappa e alcuni fogli di dati tecnici. La mappa della rete metropolitana si rivela intricatissima e più estesa del previsto, al punto che lo studioso giunge a formulare un'ipotesi surreale per spiegare la sparizione del treno: sarebbe stata proprio la complessità tipologica della rete a generare una discontinuità nella struttura stessa dello spaziotempo, in forma di nastro di Moebius. Il treno sarebbe quindi rimasto intrappolato in un'altra dimensione. Ovviamente le autorità non credono a questa teoria e la coprono di ridicolo, rimuovendo Pratt dal suo posto di investigatore. Guardando un otto volante nel Parque de la Ciudad, il topologo ha un'intuizione e decide di ritornare nel sottosuolo, sicuro che il convoglio scomparso riapparirà presto. Comincia così il suo vagabondaggio attraverso tunnel spettrali e passaggi usati per la manutenzione, quando a un certo punto un treno per poco non lo investe. Scampato all'incidente, prosegue per l'area di manutenzione fino ad arrivare in una stazione chiamata Borges, dove arriva proprio il tremo fantasma UM-86. Stupefatto, Pratt sale sul treno e vi trova i passeggeri in uno stato di trance catatonico, privi di reazioni e con gli occhi fissi nel vuoto. Quando raggiunge la cabina di guida, il matematico delle superfici scopre che al suo interno c'è il professor Mistein. I due si inoltrano in inquietanti discussioni filosofiche, che confermano la validità della teoria del nastro di Moebius. Il giorno seguente, il direttore della Metropolitana di Buenos Aires è convocato nella stazione: il convoglio scomparso è stato ritrovato, completamente vuoto. Nessuna traccia dei passeggeri, a parte il taccuino di Pratt in cui è descritta in dettaglio la sua teoria. Il direttore non fa in tempo a capacitarsi dell'accaduto, quando riceve una chiamata che gli comunica la scomparsa di un altro treno. 

RECENSIONE:

Visto nel 2011 al Cineforum Fantafilm, Moebius mi ha lasciato un profondo senso di inquietudine e di claustrofobia instillata a livello subliminale. La sua visione ha le caratteristiche di una vera e propria discesa agli Inferi, rende l'idea di come furono i viaggi nell'Oltretomba compiuti da Ulisse e da Zamolxis. Il film argentino è stato tratto dal racconto Una metropolitana chiamata Moebius (A Subway Named Möbius), di Armin Joseph Deutsch (1950) - che tuttavia è ambientato a Boston. Scegliendo di ambientare il film a Buenos Aires, Mosquera è stato mosso da un preciso intento politico, che apporta una trasformazione sostanziale alla storia. La sparizione del convoglio nella rete metropolitana della capitale sudamericana rappresenta l'orrido destino dei desaparecidos durante la dittatura. Migliaia di persone di cui non si sono più trovate le tracce: svanite nel nulla. Torturati in modi particolarmente aberranti, alcuni furono soffocati nello sterco, ad altri furono folgorati i genitali e gli orifizi con picanas elettriche. Perché nessuno ritrovasse i corpi, molti prigionieri venivano gettati in stato di stordimento nelle acque del Rio de la Plata o nell'Oceano, dove gli squali ingurgitavano i resti. Erano i famosi vuelos de la muerte. Quando queste cose avvenivano, nel mondo esterno nessuno ne aveva la benché minima idea. Il matematico Daniel Pratt, il cui nome è un chiaro riferimento a Hugo Pratt, è un personaggio atipico, che ricorda più l'investigatore di un noir che il protagonista di un film di fantascienza. Le sue indagini lo portano a un punto di non ritorno in una stazione non a caso intitolata a Jorge Luis Borges. Il fato a cui va incontro è terribile, come quello di Orfeo: una volta che si compie la Catabasi, si appartiene per sempre all'Ade.

Riporto i link a due file pdf di grande interesse su questo capolavoro: 
 
 
CURIOSITÀ:
 
I nomi delle stazioni della metropolitana sono stati cambiati in modo suggestivo. Questa tabella fornisce la corrispondenza tra le stazioni fantomatiche e quelle in cui sono state effettuate le riprese:

Nome nel film                   Location reale
Borges                              Catedral
Ciudad Universitaria        Independencia
Dock Sud                         San José vieja
Parque 1                           Independencia
Parque 2                           San José vieja
Parque 3                           San José
Sur                                   Avenida La Plata
 
INCIPIT:

"La metropolitana è senza dubbio un simbolo dei nostri tempi. Un labirinto dove in silenzio incrociamo i nostri simili senza sapere chi sono e dove vanno. Centinaia di banchine su cui approfittiamo per fare un bilancio, rivedere una situazione e cercare di raggiungere, più che un treno, un cambiamento di vita. È uno strano gioco, ci caliamo in tunnel interminabili, senza renderci conto che ad ogni cambio di treno stiamo cambiando definitivamente il nostro destino." 
 
CITAZIONI: 
 
Dialogo fra Daniel Pratt e il suo professore nella metropolitana che è entrata nel loop:

Dott. Mistein: "Le è costato raggiungermi, vero?"
Pratt: "Dottor Mistein!"
Dott. Mistein: "Calma, lo so! So che ha tante domande da pormi."
Pratt: "Viaggiamo a una velocità impossibile!"
Dott. Mistein: "Un semplice semplice scambio di binari. Il treno incrocia un nodo dopo una curva. La combinazione giusta al momento giusto per applicare le proprietà del nastro di Moebius."
Pratt: "Ha inventato una macchina perfetta..."
Dott. Mistein: "Non bestemmi, figliolo! L'uomo ha inventato un'infinità di macchine, ma dimentica che egli stesso è una macchina molto più complicata di tutte quelle che ha inventato.
Pratt: "Ora non ci saranno limiti..."
Dott. Mistein: "Non ci sono mai stati. L'uomo non conosce i suoi limiti, né le sue possibilità. Non sa nemmeno fino a che punto non si conosce... Ma certo! Siamo talmente occupati a cercare valori esteriori, che non ci rendiamo conto di ciò che realmente ha valore."
Pratt: "Ma questo è importante! Basterebbe dirlo perché tutto cambi!"
Dott. Mistein: "Però lei lo ha detto! Lo ha spiegato perfettamente! Oggi sono passato per la stazione Parque e ho potuto osservarla attentamente mentre era lì che tentava di spiegare la teoria di Moebius. Forse qualcuno le ha creduto!" 
Pratt: "No. Però a le crederebbero."
Dott. Mistein: "No. Io avrei usato le sue stesse parole. Avrei detto le stesse cose. Il fatto è che viviamo in un mondo dove nessuno più ascolta, mio caro Pratt."
Pratt: "Cosa pensa di fare?"
Dott. Mistein: "Niente."
Pratt: "Come niente?"
Dott. Mistein: "Non si preoccupi Pratt. Arriverà il momento."
Pratt: "E loro non capiscono cosa sta succedendo?"
Dott. Mistein: "Loro... non potranno mai svegliarsi prima di essersi resi conto che si sono addormentati..."  
Dott. Mistein: "Di cosa ha paura, Pratt?"
Pratt: "Le vertigini"
Dott. Mistein: "È normale. Nessuno può trovarsi di fronte all'infinito senza provare le vertigini. Nessuno può sperimentarlo senza sentirsi profondamente disorientato."
Dott. Mistein: "Se noi ci stiamo muovendo alla velocità del pensiero... Come si può essere affascinati da questa vita, privata di attrattive, di ingenuità e di spontaneità? Come non preferire di restare qui nell'oscurità, se là fuori un mare di sordità ci sta trascinando ad essere irrimediabilmente disgraziati?"
Pratt: "Tutto questo non deve andare perduto!"
Dott. Mistein: "Né gli uomini né il tempo spariscono senza lasciare traccia. Restano impressi nelle nostre anime." 

sabato 18 luglio 2015


BUBBA HO-TEP - IL RE È QUI

Titolo originale:  Bubba Ho-tep
Paese di produzione:  Stati Uniti
Anno:  2002
Durata:  92 min
Colore:  colore
Audio:  sonoro
Genere:  orrore, commedia
Regia:  Don Coscarelli
Soggetto:  Joe R. Lansdale (racconto)
Sceneggiatura:  Don Coscarelli
Produttore:  Dac Coscarelli, Don Coscarelli
Produttore esecutivo:  Dac Coscarelli
Casa di produzione:  MGM
Distribuzione (Italia):  Dall'Angelo Pictures
Fotografia:  Adam Janeiro
Montaggio:  Scott J. Gill, Donald Milne
Effetti speciali:
   Robert Kurtzman (make-up),
   David Hartman (effetti visivi)
Musiche:  Brian Tyler
Scenografia: Daniel Vecchione
Costumi:  Shelley Kay
Trucco:  Melanie A. Kay
Interpreti e personaggi:
   Bruce Campbell: Elvis Presley / Sebastian Haff
   Ossie Davis: John "Jack" Fitzgerald Kennedy
   Ella Joyce: l'infermiera masturbatrice
   Bob Ivy: Bubba Ho-Tep
   Heidi Marnhout: Callie, figlia di Bull
Doppiatori italiani:
   Sergio Di Stefano: Elvis Presley / Sebastian Haff
   Germano Longo: John "Jack" Fitzgerald Kennedy
   Alessandra Korompay: l'infermiera masturbatrice
Premi:
   Bram Stoker Awards
   Fant-Asia Film Festival
   U.S. Comedy Arts Festival

TRAMA E RECENSIONE:

Un vero e proprio capolavoro, visto nel 2010 al Cineforum Fantafilm del carissimo amico Andrea Jarok.

Elvis Presley non è morto: si trova in un gerontocomio in Texas, dove nessuno conosce la sua vera identità. Tutti credono che si chiami Sebastian Haff e che sia solo un finto Elvis. I retroscena sono questi: Sebastian Haff ed Elvis Presley si sono scambiati le vite con un patto, che avrebbero potuto rescindere in qualsiasi momento. Tuttavia non appena stipulato questo patto, Sebastian Haff è morto all'improvviso, dando origine alla notizia della morte di Elvis, che quindi è stato creduto un impersonatore. Il patto scritto è andato distrutto in un incendio. Elvis, stanco e malato, costretto su una carrozzina, trascorre le sue giornate nell'ospizio assieme a Jack, un afroamericano che si crede JFK scampato all'attentato e trasformato in un uomo di colore. Un'infermiera masturbatrice si prende cura dei genitali del Re in incognito: con la scusa di pulire la corona del glande dallo smegma, sfrega e accarezza il fallo fino a provocare l'erezione e a far tracimare lo sperma, che raccoglie in un fazzolettino. Ovviamente le sequenze del film mostrano solo il volto estasiato di Elvis-Sebastian, ma quanto accade è di un'evidenza sconcertante. All'improvviso qualcosa in questa vita monotona cambia: tutto ha inizio con un'invasione di ripugnanti scarabei stercorari. Quindi diversi anziani ospiti della struttura muoiono in circostanze misteriose. Sui muri delle latrine compaiono geroglifici egizi, che una volta tradotti si rivelano oscenità. In particolare una frase dice "CLEOPATRA FA LA PORCA". Da una serie di ricerce, Elvis e il suo amico nero vengono a scoprire che l'artefice di tutto questo è una mummia rediviva, Bubba Ho-tep, che trasportata in un museo americano si è risvegliata in seguito a un incidente stradale, vagando alla ricerca di anime da divorare. Traendo uno scarso nutrimento dalle anime deperite di poveri anziani, per continuare la sua terrificante condizione di pseudo-vita, il mostro è costretto ad uccidere in continuazione. La tensione cresce. A un certo punto, il Re in sedia a rotelle si accorge che l'infermiera masturbatrice lo vuole privare della volontà e farlo desistere dalla lotta, così quando lei gli si avvicina una volta di più per manipolarlo e fargli uscire lo sperma, lui con fermezza la respinge. Tutto procede verso l'epilogo. Segue un combattimento spettacolare quanto grottesco, con Elvis che riesce ad aver ragione di Bubba Ho-tep urlandogli: "SUCCHIA L'UCCELLO DI ANUBI!" 

Ricordo ancora alcune osservazioni di Andrea Jarok sul film, che è stato realizzato con una spesa di un milione di dollari e che non ha potuto usufruire di nessuna musica di Elvis Presley perché il pagamento dei diritti di autore sarebbe stato incompatibile con il magro budget. Ancor più interessante è stata la discussione sull'origine del nome Bubba Ho-tep: Andrea ci ha parlato del suffisso -hotep che ricorre nel nome di molti Faraoni e che è stato usato anche da Lovecraft per dare origine al nome Nyarlathotep. In realtà non si tratta di un vero e proprio suffisso, ma di una forma verbale ḥtp(.w) il cui significato è "egli è soddisfatto", "egli è in pace", che i Greci hanno adattato alla fonetica della loro lingua trascrivendola come -ophis: il gruppo consonantico -tp- dell'egiziano antico è stato reso con -ph- /ph/, e un'uscita sigmatica -is è stata aggiunta. 

Certo, stando ad alcuni buontemponi, gli argomenti da me trattati avrebbero il potere di far inflaccidire l'uccello persino a Rocco, ma una cosa è sicura: non hanno alcun effetto sull'uccello di Anubi, che è sempre e comunque durissimo - e auguro a tutti i miei detrattori di attaccarsi presto a tale turgida asta. 😀