domenica 10 dicembre 2017

NOTE SUL LAVORO DI PELCZAR

Michael Pelczar (National University of Singapore) è l'autore dell'articolo Presentism, Eternalism, and phenomenal change, ossia "Presentismo, eternismo e cambiamento fenomenico", composto nel 2008 e pubblicato nel 2010 dopo un lungo iter. Il lavoro in questione può essere liberamente consultato e scaricato seguendo questo link al sito dell'autore: 


In modo oscurissimo, Pelczar pronuncia oracoli in un linguaggio più denso della materia che compone le stelle a neutroni: "Di norma, quando ci accorgiamo che sta avvenendo un cambiamento, la nostra esperienza cosciente ha una corrispondente qualità di cambiamento fenomenico. Qui si argomenta che la propria esperienza può avere questa qualità a o durante un tempo in cui non c'è cambiamento in cui le proprietà fenomeniche si possono rappresentare come istanza. Questo mina un numero di argomenti altrimenti cogenti contro le principali teorie metafisiche del cambiamento, ma richiede anche queste teorie per costruire il cambiamento come una qualità secondaria, simile al colore."

Lo studioso si occupa del problema della durata degli eventi nell'ambito dell'esperienza del cambiamento. Mi preme far notare che il problema potrebbe essere fittizio, proprio come la classica questione di lana caprina. La natura continua dell'esperienza degli esseri senzienti può essere dovuta non tanto alla reale estensione temporale degli eventi, ma ai tempi di reazione degli organi di senso, per loro natura lenti e fallaci. Non si deve dimenticare che un film è composto da un certo numero di fotogrammi e che pure è in grado di simulare la realtà che sperimentiamo, soltanto perché gli stessi fotogrammi sono messi in moto a una velocità tale da farci perdere la possibilità di distinguerli. Se i nostri sensi sono ingannati da un rudimentale manufatto umano come una pellicola in movimento, a maggior ragione non è necessario postulare un'estensione del presente oltre i confini dell'istante, definito come entità singolare e indivisibile. 

Questa è la summa argomentativa dell'autore, da lui utilizzata per sostenere posizioni eterniste: 

B1 Il presentismo implica che ogni esperienza è un'esperienza "presentacea" (mi si perdoni l'orrido aggettivo), dato che le sole esperienze esistenti, secondo i presentisti, sono quelle che esistono nel tempo presente.
B2 Tuttavia, un'esperienza come quella del cambiamento comprende essenzialmente multiple sotto-esperienze, che esistono tutte allo stesso modo, nonostante esistano in tempi differenti (e non, quindi, nello stesso tempo presente).
B3
Quindi il presentismo implica, erroneamente, che non ci sono esperienze come quelle del cambiamento.

Nella sostanza, sono argomentazioni estremamente primitive, proprio come il famoso paradosso di Zenone, tuttora usato dai settari wahabiti dell'Arabia Saudita per dimostrare che la Terra è piatta. Negare la natura oggettiva del flusso temporale serve a poco: può essere soggettiva la sensazione del tempo che scorre, ma il passaggio da un istante all'altro è reale. Cosa poi ci sia dietro a tutto questo, credo che la sua comprensione esuli dalle capacità dell'intelletto umano.

Risale al 2016 la bozza di un altro articolo di Pelczar sulla metafisica del tempo e dello spazio: What is Time? ossia "Cos'è il tempo?", consultabile e scaricabile al seguente link: 


L'autore giustamente critica l'eliminativismo che prevale nel mondo accademico, ossia la posizione di coloro che semplicemente rimuovono il tempo e la coscienza, giudicando inesistenti tali fenomeni. Fatto questo, egli cerca di dimostrare la possibilità di un'analisi del concetto di tempo, riducendo i fatti fisici a fatti relativi all'esperienza cosciente. Resta il fatto che non riesce a spiegare davvero cosa sia l'esperienza cosciente: l'unico risultato è addentrarsi nelle sabbie mobili di un iperformalismo ai confini con la paranoia, affondando in modo inesorabile. In buona sostanza, non si arriva da nessuna parte.

NOTE SUL LAVORO DI ROMERO-PÉREZ

Gustavo E. Romero (Universidad Naccional de La Plata, Buenos Aires) e Daniela Pérez (Instituto Argentino de Radioastronomía, Buenos Aires) sono gli autori del lavoro Presentism meets black holes, ossia "Il presentismo incontra i buchi neri", pubblicato nel 2014. Può essere consultato e scaricato liberamente a questo indirizzo url:  


Un articolo denso di matematica superiore, che intende calare il lettore addirittura all'interno di un buco nero, oltre l'orizzonte degli eventi, oltre quello che può essere soltanto l'annientamento di ogni struttura concepibile da mente umana. Le equazioni e i ragionamenti sono molto interessanti, ma le perplessità restano. Il punto è che nei buchi neri - e anche solo in loro prossimità - la fisica a cui siamo abituati cessa di valere. Quindi disquisire sui buchi neri nel tentativo di acclarare la natura ontologica del tempo può non essere una cosa molto furba.

Lo stratagemma è sempre quello prediletto dai B-eternisti: affermare che la simultaneità di due eventi A e B in un sistema di riferimento xyzt implica l'eternismo soltanto perché gli stessi eventi A e B non sono simultanei se visti da un altro osservatore che ha un sistema di riferimento diverso, x'y'z't'. Il problema è che Romero costruisce il primo sistema di riferimento xyzt in condizioni tanto estreme da non essere esperibili, mentre il secondo sistema di riferimento x'y'z't' è situato lontano dalla singolarità spaziotemporale, in condizioni a noi familiari. Queste macchinazioni non possono dirci nulla di quantificabile sull'ipotetico osservatore immerso nel buco nero, sottoposto a spaventose distorsioni dello spaziotempo: non sappiamo come potrebbe essere definito - ammesso e non concesso che la sua definizione sia possibile - e soprattutto ignoriamo come si potrebbe vedere la realtà esterna da tale prospettiva.

Si può soltanto affermare come sacrosanto quello che già vale nello spaziotempo di Minkowski. Al di fuori del cono di luce di un evento, non si può dire assolutamente alcunché di sensato: è una zona d'ombra fatta di fantasmi e di Nulla. Non è lecito trarre conoscenza dagli spettri che vi regnano e che non possono comunicare in alcun modo con l'ente a cui il cono di luce appartiene, istante per istante. Come Romero fa notare, man mano che ci si avvicina a un buco nero, il proprio cono di luce si appiattisce sempre più, tanto che una volta giunti all'orizzonte degli eventi si avrà un cono di luce che coincide con un piano in cui passato, presente e futuro collassano. Se ci si viene a trovare in una situazione simile, non si potrà dedurre da essa alcunché di utile a definire lo statuto ontologico del tempo passato e del tempo futuro di osservatori il cui cono di luce non è appiattito. 

Pur ammirandone il rigore di quest'opera, non trovo alcun modo di risolvere quello che considero un problema definitorio.

Lo stesso Romero nel 2014 ha pubblicato un altro articolo a qualche mese di distanza da quello sopra trattato: si tratta di Philosophical Issues of Black Holes, ossia "Problemi filosofici dei buchi neri", consultabile al seguente url: 


La trattazione matematica è molto approfondita. No, per capirci qualcosa non bastano le famose "insalate di matematica" mangiate da Goldrake: occorrono anni di paziente studio. I problemi filosofici affrontati sono notevoli. Si parla del determinismo, degli orizzonti di Cauchy e del secondo principio della termodinamica. Si ammette che il mondo non è un oggetto matematico, che soltanto alcune nostre descrizioni del mondo sono matematiche. Si ammette che se le equazioni che rappresentano le leggi della fisica ammettono certe soluzioni, queste non hanno per necessità esistenza fisica. Quindi si giunge a trattare il problema del presentismo e dell'eternismo. Romero ribadisce la propria posizione: egli reputa l'esistenza stessa di buchi neri nel nostro universo come incompatibile col presentismo. Questa è la summa argomentativa romeriana: 

Argomento A1:
P1: Ci sono buchi neri nel nostro universo.
P2: I buchi neri sono descritti correttamente dalla relatività generale.
P3: I buchi neri hanno superfici nulle chiuse (orizzonti).
Quindi ci sono superfici nulle chiuse nell'universo. 

Argomento A2:
P4: Tutti gli eventi su una superficie nulla chiusa sono simultanei con ogni evento sulla stessa superficie.
P4i: Tutti gli eventi su una superficie nulla chiusa sono simultanei con la nascita del buco nero.
P5: Alcuni eventi lontani sono simultanei con la nascita del buco nero, ma non con altri eventi correlati al buco nero.
Quindi ci sono eventi che sono simultanei in un sistema di riferimento e non in un altro.

L'indebita conclusione è la seguente: "La simultaneità dipende dal sistema di riferimento. Siccome ciò che esiste non può dipendere dal sistema di riferimento che usiamo per descriverlo, concludiamo che ci sono eventi non simultanei. Quindi il presentismo è falso." 

Il punto è che il tempo nel buco nero non ha relazone con il tempo definito nel normale spaziotempo di Minkowski e ogni correlazione tra l'orizzonte degli eventi e ciò che si trova al suo esterno è da rigettarsi.

NOTE SUL LAVORO DI NÉMETI

Istvan Németi (Hungarian Academy of Sciences, Budapest) è l'autore, assieme a Hajnal Andréka, Judit Madarász, M. Stannett e Gergely Székely, dell'articolo Faster than light motion does not imply time travel ossia "Più veloce della luce non implica viaggio nel tempo", pubblicato nel 2014. L'interessante opera è scaricabile in formato pdf in questa pagina:


Questo è l'abstact in inglese:

«Seeing the many examples in the literature of causality violations based on faster-thanlight (FTL) signals one naturally thinks that FTL motion leads inevitably to the possibility of time travel. We show that this logical inference is invalid by demonstrating a model, based on (3+1)-dimensional Minkowski spacetime, in which FTL motion is permitted (in every direction without any limitation on speed) yet which does not admit time travel. Moreover, the Principle of Relativity is true in this model in the sense that all observers are equivalent. In short, FTL motion does not imply time travel after all.»

Questo è l'abstract in italiano (traduzione del sottoscritto):

«Vedendo i molti esempi in letteratura di violazioni della causalità basati su segnali più veloci della luce (faster than light, FIL), è naturale pensare che il moto più veloce della luce porti inevitabilmente alla possibilità del viaggio nel tempo. Mostriamo che questa inferenza logica non è valida, dimostrando un modello, basato sullo spaziotempo di Minkowski a 3+1 dimensioni, in cui il moto più veloce della luce è permesso (in ogni direzione senza limitazioni di velocità), che tuttavia non ammette viaggio nel tempo. Inoltre il Principio di Relatività è vero in questo modello nel senso che tutti gli osservatori sono equivalenti. In breve, il moto più veloce della luce dopotutto non implica il viaggio nel tempo.»

Un articolo estremamente ingegnoso e a prima vista in controtendenza rispetto alla tirannia del B-eternismo negatore della freccia temporale. È tuttavia uno scritto molto tecnico che implica una certa conoscenza del formalismo logico-matematico per essere compreso. Detto questo, non va nascosto un limite intrinseco: vengono costruiti modelli di spaziotempo non esperibili, completi di abitanti che vivono nell'insondabile condizione di velocità superluminale. Quindi possiamo ben sostenere che ogni singolo passo dell'opera di Németi e dei suoi colleghi potrebbe essere fallace. Potrebbe essere per mia mancanza di conoscenza, ma intravedo un altro punto ostico. A quanto mi risulta, nella teoria di Einstein è ipotizzata l'esistenza dei tachioni, particelle che si muovono a velocità maggiore di quella della luce. Stando al fisico di Ulm, questi tachioni si muoverebbero all'indietro nel tempo, procedendo dal presente al passato e lasciandosi alle spalle il futuro. Il nesso causa-effetto nell'universo tachionico risulterebbe invertito: gli effetti precederebbero per necessità le cause. Per via delle proprietà definitorie di queste particelle, tutti i tentativi fatti per rilevarle nel nostro universo appartengono al reame della follia. Ho l'impressione che Németi et alteri postulino invece anche per i tachioni le proprietà delle particelle subluminali e del nostro tempo, che procede dal presente al futuro, lasciandosi alle spalle il passato. Un'incongruenza mica da ridere! Sarebbe utile se qualche profondo conoscitore di questa complessa materia giungesse a commentare per fornirmi lumi. 

venerdì 8 dicembre 2017


INDIETRO NEL TEMPO 

Titolo originale: Time and Again
Autore: Jack Finney
Lingua originale: Inglese
1a ed. originale: 1970
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Viaggio nel tempo; fantascienza
      romantica; fantascienza crepuscolare
   Ontologia temporale: B-eternista
  
Reversibilità degli eventi: Sì
   Nesso causale: Retrocausalità diretta
  
Tipo di viaggio nel passato: Non ludoviciano
   Tecnologia di viaggio: Ipnotismo
   Macchina del tempo: Assente

   Draga temporale: Sì
Editore (it.):
   Mondadori (collana Altri Mondi);
   Marcos y Marcos (collana Gli alianti)
1a ed. it.: 1990
2a ed. it.: 2004
Traduttore: Marco Pinna, Riccardo Valla
Codici ISBN: 
   ISBN-10: 880434203X
   ISBN-13: 9788804342038
Codice EAN:
   9788871683867

Trama:

New York. Simon Morley è un impiegato in un'industria di grafica e passa le sue giornate a fabbricare sagome adorne per saponette. Percepisce in modo netto che la sua vita è vuota e vana, anche se ha qualche amico ed è allietato dalla compagnia di una ragazza, la fulva Katherine Mancuso. Un giorno Simon viene avvicinato da un certo Ruben "Rube" Prien, che gli propone di partecipare a un progetto governativo della massima segretezza. Va detto che Rube da una parte istiga e incuriosisce l'interlocutore, tuttavia si rifiuta di fornire il benché minimo dettaglio e persino di dare una vaga definizione dell'incarico. All'inizio Simon è molto perplesso, scettico e vittima dell'accidia, così pensa di rifiutare per rimanere nella sua vita di nullità. Poi qualcosa lo spinge a unirsi al progetto e a recarsi all'indirizzo fornitogli da Rube. Giunge così fino a un edificio di nudi mattoni rossicci, inoltrandosi in un labirinto di corridoi e di uffici. Qui, dopo essere stato sottoposto a una singolare prova, una sorta di test di realtà, viene a conoscere il dottor Oscar Rossoff e il capo del progetto, il dottor E.E. Danziger. All'inizio tutto è molto nebuloso: a Simon vengono mostrate aule in cui persone dagli strani abiti sono impegnate in attività incomprensibili, come la simulazione di un duello con le baionette o una conversazione nella lingua d'oil del XV secolo. Sarà proprio il dottor Danziger a spiegare ogni cosa in dettaglio: il progetto consiste nel mandare indietro nel tempo alcuni collaboratori opportunamente addestrati, in un piccolo numero di contesti scelti. Questi viaggi nel passato non avvengono tramite particolari congegni, ma soltanto servendosi dei poteri dell'ipnosi. Il crononauta si prepara calandosi nella parte, vivendo per qualche tempo in un ambiente acconciato in modo da contenere soltanto oggetti dell'epoca in cui si vuole arrivare, mangiando soltanto cibi prodotti appositamente e via discorrendo. Quando tutto è perfetto, e il crononauta è giunto a pensare in tutto e per tutto come un uomo del passato che è stato scelto, ecco che si sottopone a ipnosi e avviene la magia: uscendo dal suo covo, si viene a trovare proprio nel tempo desiderato! In pratica, si tratta del viaggio nel tempo condotto soltanto con mezzi "psicologici": le ingenti spese dell'ente governativo presieduto dal dottor Danziger sono relative alla produzione dei contesti adatti e all'addestramento dei crononauti. Così Simon Morley, vestito come un gentiluomo della New York ottocentesca, prende residenza in un enorme quanto vetusto palazzone chiamato Dakota, in cui un appartamento viene arredato in modo opportuno, eliminando ogni oggetto o elemento che possa anche remotamente ricordare il XX secolo. La tecnica ipnotica ha successo e Simon riesce a fare un'incursione nell'anno 1882, durante una nevicata abbondante. Vede un uomo e una donna su una slitta trainata da cavalli e, rientrato nel suo appartamento al Dakota - che a quei tempi esisteva già - riesce a scorgere il Museo delle Scienze Naturali, solo in seguito nascosto da una selva di grattacieli. È l'inizio di un'avventura coinvolgente, che porterà il protagonista a imbattersi in una bella ragazza, Julia Charbonneau, di cui si innamorerà perdutamente. L'architettura dell'opera è molto complessa, comprendendo non pochi intrighi e misteri; di certo molti dettagli sollevano interessanti problematiche di ontologia temporale.

Recensione: 

Alla base di Indietro nel tempo c'è la teoria dell'eternismo atensionale, o B-eternismo, sostenuta tra gli altri da Albert Einstein: essa afferma che presente, passato e futuro coesistono come configurazioni spaziali statiche, e che il flusso degli istanti è illusorio. Che il B-eternismo sia tanto popolare tra i fantascientisti non deve stupire più di tanto: essendo il presentismo una teoria che nega lo statuto ontologico degli eventi passati e di quelli futuri, ogni viaggio nel tempo viene ad essere impossibile. In questo modo per scrivere un romanzo sui viaggi nel tempo, non resta che scegliere un'ontologia temporale eternista. A parer mio, le ontologie temporali più utili a questo scopo sono quelle eterniste tensionali, o A-eterniste, come la teoria dei futuri ramificati o quella dei blocchi in accrescimento - dato che rendono conto del flusso degli istanti. Peccato che gli scrittori anglosassoni, con poche eccezioni tra cui Philip K. Dick, stravedano per la negazione della freccia temporale, generando così infiniti paradossi non necessari. In particolare, Finney non comprende il nesso causale tra gli eventi ed è portato a ritenere il concetto stesso di causalità come qualcosa di "soggettivo" e "psicologico". Un'idea originale quanto priva di senso. La narrazione è comunque avvincente, nonostante la sua sostanziale assurdità. Peccato che lo stile sia troppo ampolloso: eventi cruciali vengono sommersi da un'incredibile mole di descrizioni fatue di vestiti e di paesaggi urbani, per non parlare del labirinto della toponomastica di New York, in cui difficilmente un lettore italiano può pensare di orientarsi. Tanto fitta è la rete di riferimenti geografici come "l'incrocio tra Nassau Street e Park Row", "l'angolo della Quarantasettesima", "il marciapiede tra la Third Avenue e la Quarantaduesima" e via discorrendo, che si è colti da un senso di vertigine.

Viaggi temporali non ludoviciani

Il viaggio nel passato è detto ludoviciano se comporta l'impossibilità di cambiare gli eventi. Per contro, il viaggio nel passato è detto non ludoviciano se permette il cambiamento degli eventi. Come mai queste denominazioni così strane? Semplice: esse derivano dal nome del filosofo statunitense David Lewis (1941-2001). Orbene, il suo cognome deriva dal nome proprio Lewis "Luigi", la cui origine ultima è una forma volgare di Ludovico, come ben sa chi si interessa di filologia germanica. Sono un convinto assertore dell'impossiblità del viaggio temporale non ludoviciano. Tuttavia, anche sospendendo l'incredulità e calandosi nell'ambientazione del romanzo, ne emergono tali contraddizioni intrinseche da far saltare dalla sedia. 

La metafora del fiume

Pur negando l'esistenza della freccia temporale, Finney non esita a paragonare il tempo a un grande placido fiume. A suo dire, l'inaccessibilità del passato e del futuro sarebbe causata soltanto nel fatto che ci troviamo in un'ansa che ci impedisce di vederli. Ecco la conversazione tra Simon Morley e il dottor Danziger: 

«<Einstein> intendeva dire che la nostra concezione del passato, del futuro e del presente non è corretta. Noi pensiamo che Il passato se ne sia andato, che il futuro debba ancora venire, e che esista solo il presente. Perché il presente è tutto ciò che siamo in grado di vedere».
«In effetti, devo ammettere che anche a me sembra che le cose vadano più o meno così».
Danziger sorrise. «Naturalmente. E lo stesso vale per me. È più che naturale. Come del resto ha detto lo stesso Einstein. Ha detto che siamo come persone in una barca senza remi che procede lungo un fiume serpeggiante. Attorno a noi vediamo solo il presente, e non riusciamo a vedere il passato, dietro le anse e le curve del fiume alle nostre spalle. Eppure esso esiste».

Come conseguenza di queste premesse, il concetto di irreversibilità non è compreso, e lo stesso Einstein a quanto pare lo considerò irrilevante. Eppure l'irreversibilità esiste ed è un dato di fatto che non può essere rimosso dalle ruminazioni della psicologia. Che la relatività einsteiniana non implichi in automatico il B-eternismo è provato tra l'altro dal fatto che il dibattito filosofico tra eternisti e presentisti è ancora vivacissimo. Siamo ben lungi dal comprendere la natura del tempo. Credo con fermezza che l'intero mondo scientifico dovrebbe rinsavire e prendere sul serio Ilya Prigogine, che sostenne la natura termodinamica della freccia temporale, definendo l'irreversibilità degli eventi come principio di sensatezza dell'universo. Mi si permetta di aggiungere, è la sola sensatezza che si può ravvisare in un universo di aberrazioni!     

La teoria della pagliuzza nel fiume

Così spiega il dottor Danziger: 

«Ecco, il tempo viene spesso paragonato a un fiume, a una corrente. Quel che accade in un dato punto del fiume dipende almeno in parte da quel che è successo a monte. Ma in ciascun istante si verifica un'infinità di eventi, alcuni dei quali sono di portata enorme. Perciò, se il tempo è un fiume, è più grande del Mississippi in piena. Mentre lei... è come una pagliuzza in mezzo a quella corrente. È possibile che anche una pagliuzza possa produrre un effetto: per esempio, può rimanere incastrata sulla sponda e con il tempo formare una barriera capace di bloccare il corso del fiume. La possibilità di un cambiamento, il pericolo, esiste. Ma è infinitesimale. Virtualmente possiamo essere sicuri al cento per cento che una pagliuzza caduta in quella corrente gigantesca e incredibilmente potente, nel turbine di quel Mississippi di eventi, non influisca affatto sul suo corso!» 

Ebbene, anche ammettendo il viaggio temporale non ludoviciano, questa teoria è falsa. Non ha in sé nemmeno una vaghissima fibra di verità. Moltissime opere fantascientifiche sui viaggi nel passato si fondano su questo presupposto fallace e ignorano del tutto i nessi causali che generano gli eventi. La tentazione del narratore è quella di credere che esistano pochissimi eventi determinanti, messi lì per necessità storica e assolutamente immutabili, che non potranno mai essere scalfiti da nulla -  e che tutti gli altri eventi siano assolutamente irrilevanti, tanto che mutandoli non si sortirebbe mai alcun effetto sul corso storico. Questo perché alla base del giudizio ci sono i libri di storia, che elencano l'insieme degli eventi assoluti definiti "necessità storiche". Quanto tutto ciò sia un'illusione puerile lo dimostra la stessa vita di Adolf Hitler. Purtroppo la fantascienza si basa ancora in gran parte sulla meccanica classica e ignora il concetto di Caos. Non esistono eventi irrilevanti in un sistema caotico. Si può dimostrare che anche un semplice sternuto innesca una catena di conseguenze in grado di ridefinire l'intero aspetto del pianeta: è sufficiente che favorisca o che impedisca anche soltanto una singola copula.

Il ridicolo Progetto Cuba

Ogni singolo elemento di questo universo è parte di una catena causale che rimonta ad epoche remotissime. La natura tragica di questa catena non viene compresa da Finney e di conseguenza neppure dai suoi personaggi. Allo stesso modo sfugge l'estrema interconnessione di tutte le catene causali che compongono l'esistenza. Vediamo così due militari minchioni, Rube Prien e il colonnello Esterhazy, fare un progetto folle. Secondo il loro ragionamento lineare da meccanici classici, se Cuba fosse stata acquisita dagli Stati Uniti nel 1890, quando la cosa era possibile, non sarebbe mai andato al potere Fidel Castro, con tutto quel che ne consegue. E al contempo, tutto il resto sarebbe stato identico alla realtà a noi tutti nota. Prien ed Esterhazy, in altre parole, credono di poter asportare in modo chirurgico qualcosa che non piace loro, come il regime comunista cubano, senza tener conto della propagazione degli eventi e dell'impossibilità di controllare il cambiamento delle catene causali. Una prospettiva che definire stolta è poco.

La draga temporale

Philip K. Dick ha definito "draga temporale" un congegno capace di portare nel presente oggetti o persone prendendole dal passato. Il concetto è introdotto ne La penultima verità, ma compare anche altrove. Così, ne I simulacri, Hermann Goering viene catturato dalla draga temporale e portato nell'epoca in cui la vicenda si svolge - solo per essere sommariamente fucilato per essersi dimostrato "poco utile". Nel romanzo di Finney, Simon Morley riesce tramite la solita ipnosi a portare Julia Charbonneau nel proprio tempo d'origine, nella New York del XX secolo. La ragazza cammina per le strade congestionate da flussi di automobili e osserva i grattacieli. Viene condotta nell'appartamento di Simon, dove sfoglia alcuni libri e si veste con abiti moderni. Poi a un certo punto comprende che il suo posto è nel suo tempo, si rimette gli abiti con cui è arrivata e tramite la tecnica dell'ipnotismo ritorna nel passato. Quindi, possiamo dire che il dragaggio temporale nel romanzo di Finney avviene senza la presenza di un congegno, contrariamente a quanto avviene nelle opere di Dick.

L'Ipertempo di Van Inwagen 

Si segnala come degna di nota la teoria di Peter Van Inwagen (University of Notre Dame, South Bend, Indiana), che postula il concetto di ipertempo. Secondo lo studioso statunitense, lo spaziotempo comprenderebbe più di una dimensione temporale. In linea di principio sarebbe possibile per un crononauta ritornare nel passato: la sua interazione creerebbe l'eruzione di un nuovo corso temporale, come un corno che si viene a formare per poi propagarsi. In questo modo non ci sarebbero paradossi. Le vari linee temporali create dagli interventi sul passato non interagirebbero tra loro, e i vari doppioni dei crononauti e degli abitanti di ogni ipertempo sarebbero sezioni di oggetti con parti temporali che non possiamo cogliere dalla nostra limitata visuale. Peccato che l'entropia ontologica implicita in tale teoria sia grande e generi infiniti non normalizzabili, di per sé indizio della sua falsità. 

Reazioni nel Web

Nel sito Anobii sono presenti numerose recensioni brevi di questo romanzo, consultabili al seguente indirizzo: 


Con poche eccezioni, direi che i lettori di fantascienza non hanno gradito Indietro nel tempo, per motivi abbastanza prevedibili. Manca il gingillo tecnologico, sola cosa in grado di attirare l'attenzione. Infatti si è usata la locuzione "fantascienza ipotecnologica". Per alcuni non è neppure fantascienza e sarebbe classificabile come "romanzo storico". Non sembra che tra il pubblico, perso nel mare della banalità, ci sia qualcuno interessato agli studi sulla natura del tempo.

martedì 5 dicembre 2017

 

TEMPO DI MOSTRI, FIUME DI DOLORE 

Autore: James Kahn
Titolo originale: World enough, and time (1980)
Anno: 1980
Lingua originale: Inglese
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Fantascienza catastrofica, Fantasy/SF
Editore (Italia): Mondadori
Pubblicazione (Italia): 26/12/1982Urania: n. 934 
Traduzione: Beata della Frattina
Copertina: Karel Thole
Sinossi:


"Un urlo rauco, profondo, inumano lacera il tessuto della notte. I sei abitanti della capanna di tronchi si guardano sbigottiti l'un l'altro poi guardano la finestra e la porta. "Dio mio!" dice la Madre. "Che sarà stato?" "Ho paura, mamma" dice il bambino più piccolo. Dopo un intervallo di silenzio l'urlo si rinnova più vicino, poi d'improvviso la porta scoppia all'indietro, strappata dai cardini, e tre esseri orrendi si precipitano sulla famigliola facendone scempio... Ma siamo appena all'inizio. Il romanzo - uno dei più lunghi e spettacolari presentati quest'anno da Urania - procede con lo stesso ritmo mozzafiato fino all'ultima delle sue fittissime pagine."

Trama:

In seguito a una tremenda calamità geologica, la calotta artica si è espansa giungendo fino alla California. La geologia del pianeta è stata stravolta e si è avuta la diffusione di numerose specie di esseri mostruosi. Alcuni di loro, come i Centauri, sono benigni e dotati di intelletto. Altri, come gli Abominii, i Vampiri, i Grifoni, sono invece potenze devastatrici in grado di apportare danni spaventosi ai superstiti del genere umano. Joshua è un cacciatore e appartiene alla setta degli Scribi, gli unici a conservare la scrittura in un'epoca di barbarie e di oblio. Rientrando da una spedizione, si trova di fronte a una drammatica realtà: la sua famiglia è stata distrutta e che la sua promessa sposa, Dicey è stata rapita da un gruppo di mostri: un Abominio, un Grifone e un Vampiro. Assieme al suo amico, il Centauro Beauty, Joshua inizia l'inseguimento. Nel rapire l'indomita Rose, amante di Joshua e moglie del Centauro, l'Abominio è rimasto ferito da una pugnalata e ha lasciato la fetida traccia del suo sangue, ben distinguibile. Così Beauty e il cacciatore-scriba si avventurano in un territorio ignoto e pericoloso, alla ricerca delle donne sottratte. Si imbatteranno in molte meraviglie e in molti orrori, facendo nuove sorprendenti conoscenze.   

Recensione:

Kahn disegna uno scenario surreale e sommamente implausibile, che può comunque essere goduto sospendendo l'incredulità, rinunciando ad applicare ogni minimo criterio di coerenza interna e tuffandosi nell'onirismo. Al giorno d'oggi una simile lettura potrebbe allontanare un neofita dalla Fantascienza anziché avvicinarlo, eppure all'epoca il romanzo aveva avuto qualche successo. Questo scrive l'anobiano Brush Steven: "Rileggerlo da adulto è stata una delusione". E ancora: "Premesso che lo avevo valutato 5 stelline, sulla base dei miei ricordi delle letture da adolescente. Mi è capitato sotto mano in libreria e ho deciso di rileggerlo... che delusione! quanto mi aveva entusiasmato 30 anni fa, oggi mi ha deluso. Degradato a tre stelline. mi sono ripromesso anche di rileggere il seguito, speriamo bene". Visto che non ho mai letto questa opera di Kahn quando ero giovane, ho deciso di imbarcarmi nell'impresa. All'inizio sono rimasto un po' perplesso. Mi sono subito trovato ai confini tra la Science Fiction obsoleta e un denso Fantasy, ma addentrandomi nella lettura ne sono in qualche modo rimasto avvinto e ho compreso che è un opera non priva di qualche contenuto interessante. Pertanto si perdoneranno alcune assurdità affioranti qua e là nella trama - come ad esempio questa perla di grande valore: "Estratti i coltelli, Josh ne impugnò uno per mano e cominciò a girare la maniglia." A poco a poco, tutto ciò che c'è di Fantasy trova una sua spiegazione scientifica ineccepibile: ad esempio si scopre che le numerosissime creature mitologiche sono in realtà il frutto dell'ingegneria genetica che imperversava prima del crollo tecnologico. Allo stesso modo si comprendono gli elementi incongrui come il fanatico culto di Nettuno, il Doge di Venezia, il Papa e via discorrendo: queste cose non hanno una continuità col nostro passato, essendo sorte nei giorni caotici del declino del genere umano. Ad esempio, Venezia non è la città italiana, bensì l'evoluzione di un parco giochi nei pressi di Los Angeles, diventato la capitale di un regno quando la costa californiana si è staccata dalla terraferma e hanno avuto origine nuovi arcipelaghi. 

La lingua degli Abominii

Una delle peculiarità del romanzo di Kahn è che dà spazio a una lingua non umana. Riportiamo alcuni brani molto interessanti, commentandoli brevemente. 

1) Le ultime parole di un Abominio morente.

     L'Abominio era là, appeso per il collo al grosso cavo spezzato che univa le pale al generatore. Stava per morire. Josh si arrampicò sulla scala, tagliò il cavo e l'orrida creatura cadde pesantemente a terra.
I due amici gli s'inginocchiarono accanto.
Uluglu domo — disse l'Abominio. Aveva il ventre squarciato. Era il marchio del Grifone.
— Cosa dice? — chiese Josh. — Conosci la sua lingua?
Beauty annuì. — Domo dulu — disse all'Abominio. — Odooo glutamo nol?
Il mostro aprì l'occhio e li guardò. — Ologlu Bal — disse, sputando sangue. — Bal ongamo, na ayrie gludemos, oglo du, Bal neglor nopar dos. Gluanda Bal seco, ologlu tas ululu. Endera Gor Murruru, gul endamo eglor.

Beauty annuì. — Nglimo tu? Nagena gli asta log mak to.
Glumpata no glas enti bora, ma noglu esta tas Bal o Scree tudama glu. Tudama gluanda, Gor es to narag.
Ednatu? — chiese Beauty.
Glisanda nef. Riaglo tor ologlu mindamo. Orogra tomo orogra mu. Ti do gorogla mel donu.
Beauty scrollò la testa. — Gluana no tomo, ululu gorono Gor.
Nef nef gliamo — disse l'Abominio. — Ologlu Bal enta gashto boro, ologlu lev Scree, es piram glu. Gogolasma. Engelli tor, glidon gliamo, miralli aj gol.
Fece una smorfia e spirò.

Come si può vedere, la lingua parlata dall'Abominio è complessa e articolata. Meriterebbe uno studio approfondito. Purtroppo non sono in grado di ottenere traduzioni per le singole parole a partire dalle frasi riportate, essendo il contesto combinatorio alquanto incerto. L'unica cosa sicura, perché spiegata nel seguito del brano riportato, è che Gor è il nome dell'Abominio, Bal è il nome del Vampiro e Scree è il nome del Grifone: Gor parla del tradimento e di come i suoi compagni gli abbiano teso un'imboscata, squarciandolo. L'Abominio poco prima di spirare dichiara una grandissima verità: "La vita è un fiume di dolore". Contenuti profondi che non ci si aspetterebbe da un bruto. Purtroppo non sono riuscito a isolare questi concetti e a conoscere le parole per "vita", "fiume", "dolore".  

2) Un Abomino esprime il suo disprezzo per gli esseri umani.

Ma Bal intervenne poco dopo dicendo: — Basta, Messer Uli. Un Umano morto è inutile. — Un Abominio, che aveva sentito, si voltò verso un suo compagno e disse: — Uman dugro. Oglo dor. — Tutti gli Abominii risero.

È possibile che "Uman dugro. Oglo dor" significhi proprio "Un umano morto è inutile". Certo, sarebbe davvero singolare se "uman" fosse un banale prestito dall'inglese human e significasse proprio "umano"

3) Un Abominio cerca di catturare la Gatta, volendo mangiarne le carni. Impreca quando capisce che l'impresa è al di là delle sue possibilità.

Iside aveva quasi finito di rosicchiare la corda quando l'Abominio sternuti e si svegliò. I suoi acuti occhi gialli si posarono istantaneamente sulla Gatta. — Glombo tog! — grugnì. La carne di gatto era una leccornia rara per gli Abominii.
Iside non attese oltre e con un balzo si precipitò fra i cespugli protetta dall'oscurità della notte.
Tog lumpu! — tuonò l'Abominio. — Oglondo tog! — e corse dietro a Iside.
Bal uscì dalla tenda. — Cosa sta borbottando quel bestione? — mormorò seccato.
— Mah, qualcosa a proposito di un gatto — rispose Uli che era uscito con lui.
L'Abominio le arrancava appresso finché non si fermò perché aveva capito che non sarebbe mai riuscito a raggiungerla. — Tog debluk — imprecò e tornò furibondo dai prigionieri che riteneva responsabili del contrattempo.

Mi sembra evidente:
tog = gatto
debluk = maledetto 
Infatti il vocabolo tog ricorre in tutte le frasi pronunciate dall'Abominio e indica anche l'oggetto dei suoi voraci desideri del momento: lo stesso felino. Se, come credo, gli aggettivi seguono i sostantivi e il nome del possessore precede il nome della cosa posseduta, si potrebbe postulare che valga lumpu = carne. Per il resto, posso soltanto dire che non ho la minima idea dell'origine di questo idioma così singolare.

Residui di francese e altre bizzarrie linguistiche

A quanto pare, oltre a una lingua veicolare derivata dall'inglese, esiste ancora una qualche conoscenza del francese, almeno in alcune espressioni tecniche ormai stereotipe usate dagli spadaccini: épée "spada", en garde "in guardia", allez! "su!", prét "pronto" (al posto del corretto prêt) e persino coupé-degagé dessous, che indica un tipo di attacco (degagé sta per il corretto dégagé). Si noterà che Beauty è chiamato Beauté Centauri da un suo compagno d'armi, un orso parlante il cui nome, D'Ursu Magna, reca traccia di una qualche lingua romanza non ben precisata o forse di una forma di latino sine flexione del tutto priva di concordanze grammaticali, non molto lontana dal famigerato latino dei metallari. Ovviamente Kahn, come tutti gli anglosassoni, non è in grado di comprendere le gravi condizioni di instabilità della lingua inglese d'America e i mutamenti a cui potrebbe dare origine in breve volgere di tempo. Si è limitato a proporre dialetti grafici (es. il nome della Neurumana Sum-Thin, formato a partire da "something"), o a cimentarsi in cervellotiche false etimologie basate su acronimi, come PINEAL fatto assurdamente derivare dalle iniziali di "Passion, Intuition, Nullity, Energy, Altruism, Libration". Una labile eco della lingua norrena si trova nel nome del Re Orso, Jarl - anche se non è in alcun modo spiegato come quel colossale orso dotato di favella abbia ricevuto quel nome. Interessanti le antiche e potenti formule che la promessa sposa di Joshua, essa stessa una Scriba, traccia sulla sabbia umida sperando di averne giovamento: Heil Hitler, A-OK, Abbacadabba e Apiti Sesamo (le ultime due nella versione italiana sono alterazioni per Abracadabra e Apriti Sesamo).

Bestialità erotica

Quando E-Doll di Francesco Verso vinse il Premio Urania, l'autore fu sottoposto a un linciaggio morale da parte di numerosi troll. Moltissimi uranisti insorsero contro di lui perché a detta loro la Science Fiction dovrebbe essere asettica, del tutto priva di qualsiasi allusione sessuale. Vediamo allora cosa ha da offrirci il libro di Kahn. Rose è sposata a un Centauro di nome Beauty e si capisce che non è un matrimonio bianco: è quindi inevitabile che gli provochi la fuoriuscita dello sperma, masturbandolo, fellandolo o copulando more ferarum. I numeri migliori però avvengono in un bordello che è un tempio della zoofilia tale da far impallidire il paese di Sodoma e Gomorra. Un gatto nero dagli occhi umani lecca avidamente una donna calva tra le gambe. Uno stallone in preda al calore molta una Centaura. Un Vampiro si fa sedere una piccola Driade in grembo, la penetra, le tocca i seni e le conficca i canini nel collo - lei ne prova grande piacere, visto che rivolge uno sguardo complice a Josh che la spia dalla finestra. Anche nel seguito scopriamo cose interessanti. Il Centauro Beauty fa l'amore con la Neurumana Jasmine, che si scopre aver avuto un'intensa relazione saffica con una sua simile, nella turpe città di Magas. Nelle bettole e negli angiporti di quel covo di depravazione si consumano orge al di là di ogni immaginazione e si allude persino ad atti di necrofilia. Diabole, direi che questi uranisti sono piuttosto disattenti nelle loro letture! 

Neurumani e Transumanismo 

La Neurumana Jasmine, una splendida semidea dai capelli fulvi, spiega per filo e per segno i misteri della sua origine. In un lontanissimo passato era un'umana, che si è ammalata di cancro a causa della contaminazione radioattiva. Per salvarsi si è sottoposta a un complesso intervento. Tutto il suo corpo, tranne il sistema nervoso centrale, è stato attaccato da un batterio divoratore ed è scomparso. Quindi il cervello, il midolo spinale e gli altri nervi, tenuti in animazione sospesa, sono stati collegati a vasi sanguigni in grado di veicolare sangue artificiale. Poi è stato ricostruito il resto del corpo, ricorrendo a materiali sintetici, fino a formare una nuova donna. Certamente questi contenuti appartengono al Transumanismo. Anche se le idee transumaniste hanno cominciato a fare la loro comparsa già nei primi anni '20 del XX secolo con l'opera di J.B.S. Haldane, si sono sviluppate nella loro forma moderna proprio a partire dagli anni '80, quindi il libro di Kahn può essere considerato come una testimonianza profetica e di estremo interesse.  

Altri contenuti profetici

Così dice Jasmine la Neurumana:

"Sono nata nel millenovecentoottantasei, l'anno del Grande Mutamento. Sai cosa accadde quell'anno?"
Lo Scriba Josh risponde:
"Non ne so molto, ma dai racconti che ho sentito credo che ci sia stato l'Avvento del Ghiaccio."
La Neurumana spiega:
"No, l'Avvento del Ghiaccio non si verificò in quell'anno, ma subito dopo l'estate del Grande Terremoto, l'estate del duemilacentonovantuno."
E ancora:
"Qualcuno l'aveva predetto, ma allora circolavano tante profezie che non si erano mai avverate, quindi... Bene, tornando all'anno della mia nascita, fu allora che si verificò il disastro del grande impianto nucleare all'est, nel quale perirono un milione di persone. Non lo ricordo personalmente perché ero appena nata, ma la gente continuò a parlarne a lungo commossa per anni e anni."

Ebbene, proprio nl 1986 ci fu il disastro di Chernobyl. Le stime delle morti in eccesso dovute alla contaminazione sono estremamente incerte e vanno da 5.000 a 6.000.000. Un milione di vittime sull'intero pianeta nel corso degli anni potrebbe anche essere una stima verosimile. Certo, se si prosegue la lettura ci si rende conto che la fulva Neurumana parla di un atto di terrorismo alla centrale nucleare di Oceanspring, con un milione di morti nell'immediato, affermando che quella fu la fine dell'energia atomica. Resta comunque la singolare coincidenza dell'anno.

Energia nucleare e ingegneria genetica

Nel romanzo di Kahn, l'incidente di Oceanspring ha traumatizzato talmente il genere umano da portare all'immediata abolizione delle centrali nucleari. Nella nostra realtà un simile risultato sarebbe puramente utopico: nemmeno la sindrome oceanica prodotta dall'incidente di Fukushima del 2011 ha insegnato qualcosa, e il pianeta è in ostaggio della vetustà di molti impianti, che minacciano di cedere in ogni istante o di essere colpiti da attentati terroristici. Per contro, il rapporto che il mondo descritto da Kahn aveva con l'ingegneria genetica era estremamente disinvolto, mentre nella nostra realtà si è ben lontani dalla produzione di esseri ibridi, essendovi una fortissima ripugnanza verso tali opere. Se anche qualcuno sapesse in concreto come produrre centauri, hobbit e sirene, non riuscirebbe nemmeno a mettere per iscritto gli schemi genetici di tali creature senza incontrare una feroce opposizione.   

Il Ciclo del Nuovo Mondo

Tempo di mostri, fiume di dolore ha avuto un seguito: L'oscuro fiume del tempo (Time's Dark Laughter, 1982), pubblicato in Italia da Mondadori nel 1983 (Urania n. 948). Si menziona poi un terzo romanzo, Timefall (1987), che a quanto mi risulta non è mai stato tradotto in italiano. Sembra che non sia un vero e proprio seguito dei primi due, ma una sorta di contorto spin-off fondato su un'architettura di universi paralleli in cui pullulano doppioni dei personaggi (doppelgänger). Non ho mai letto né L'oscuro fiume del tempo né tantomeno Timefall. Quando l'avrò fatto, non mancheranno le recensioni. 

Alcune note sull'autore

A quanto pare, James Kahn non è molto noto in Italia, pur essendo l'autore delle novellizzazioni di alcuni importanti film: Il ritorno dello Jedi, Indiana Jones e il tempio maledetto, Poltergeist, Poltergeist II e I Goonies. Ha anche scritto per alcune serie televisive come Melrose Place e Star Trek: The Next Generation. Oltre ad essere uno scrittore, si è laureato in medicina all'Università di Chicago e ha completato i suoi studi specialistici in medicina di emergenza all'Università della California (UCLA). Senza dubbio una personalità stravagante e degna di nota. 

giovedì 30 novembre 2017


NON È VER CHE SIA LA MAFIA

Aka: L'era della follia
Titolo originale: The Syndic
Autore: Cyril M. Kornbluth
Lingua originale: Inglese
Prima edizione: 1953
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Fantascienza sociologica, distopia,
    fantapolitica, apologia mafiosa
Editore (it.): Mondadori
Urania:
   I romanzi di Urania n. 72 (feb. 1955)
   Urania Classici n. 6 (sett. 1977)
Traduzione: 
   Tom Arno (1955),
   Antonangelo Pinna (1977)
Copertina: 
  Curt Caesar (1955),
  Karel Thole (1977)
Premi: Premio Prometheus (Hall of Fame), 1986

Trama:

XXI secolo. L'America del Nord è sotto il dominio di Cosa Nostra, che ha sconfitto e costretto all'esilio il Governo federale. Il territorio di quelli che un tempo erano chiamati States è diviso tra due denominazioni mafiose rivali: il Consiglio a est del Mississippi, e i Ribelli a ovest. Tra queste due potenze vige un equilibrio che garantisce la pace, e le condizioni della popolazione sono prospere. Il Governo del Nordamerica non si è dissolto nel nulla. Sopravvissuto come un'organizzazione militare marittima che ha le sue basi in Islanda, sulle coste irlandesi e in altre isole dell'Atlantico, è diventato una tirannia spietata e incredibilmente corrotta, fondata sulla schiavitù. Gli schiavi sono sottoposti a trattamenti spaventosi e uccisi tra i più atroci supplizi a ogni minimo accenno di insubordinazione. Nel resto del mondo non si ha alcuna vestigia di civiltà. L'Europa è ricoperta da fitte foreste e la sua popolazione è sprofondata nella barbarie del Paleolitico, ripristinando una struttura tribale e una sanguinaria religione pagana fondata sui sacrifici umani. In questo scenario fosco, Charles Orsino, un giovane membro del Consiglio affiliato alla famiglia Falcaro, viene inviato in missione come infiltrato nel Governo. Lo prepara e lo accompagna la bionda Lee Falcaro, esperta nelle desueta scienza della psicologia e nelle arti ipnotiche, ma qualcosa va storto e le strade dei due si separano. Dopo ogni sorta di peripezie, Charles e Lee finiranno col ritrovarsi e verranno a conoscenza di un fatto terribile: il Governo e i Ribelli si sono alleati per combattere contro il Consiglio. 

Recensione: 

Sulla pagina del sito di MondoUrania relativa all'edizione del '77 del romanzo di Kornbluth, si usano toni di grande entusiasmo, iniziando col riportare il commento del New Herald Tribune: "Un libro immorale, sovversivo, stimolante, divertentissimo". Quindi il recensore uranista prosegue: "Kornbluth descrive, dopotutto, un'America felice, libera, pacifica, dove i cittadini sono contenti della società e la società dei cittadini. Non ci sono burocrati, e tutto funziona benissimo. Non ci sono tasse, costrizioni, poliziotti, spese militari, apparati ed enti parassitari." A un paio di domande retoriche viene data risposta: "Dov'è l'immoralità? Dov'è la sovversione? Be', c'è un piccolo particolare. A far marciare sul velluto questa serena utopia non è il Governo degli Stati Uniti, è la Mafia." La conclusione lascia esterrefatti: "Un paradosso? Una feroce satira? Lo sbocco logico dell'anarchismo individualistico? O un sogno segreto e irraggiungibile di libertà assoluta?"   

Detto tra noi, a me non sembra né paradosso né feroce satira. Verosimilmente l'autore, un uomo problematico e complessato, si è invaghito della stravagante figlia di un boss di un'importante famiglia mafiosa e quindi si è messo a cantare le lodi di Cosa Nostra. Leggendo qualche nota biografica su Kornbluth, mi sono fatto un'idea del tipo, caratterizzato da timidezza estrema e totale assenza di igiene orale, tanto che i suoi denti erano ricoperti da una patina verdastra, per non parlare dell'alito pestilenziale. Questi fatti mi fanno credere che l'amore non sia stato corrisposto dalla femmina di mafia; del resto una simile liaison sarebbe stata oltremodo rischiosa per l'ashkenazita, che sarebbe potuto finire in un plinto di cemento. Non bisogna lasciarsi ingannare: The Syndic fa l'apologia di una realtà brutale e diabolica che non può in nessun caso portare libertà alcuna. 

Una recensione assai critica del romanzo di Kornbluth si trova sul sito Biblioteca Galattica. Ne riporto un estratto che trovo particolarmente significativo:   

"L'idea di base del romanzo, un'utopia liberista e libertaria, è intrigante e abbastanza originale, certamente un motivo non abusato; il modello liberista è, infatti, quasi sempre obiettivo di ritratti distopici. La realizzazione lascia però delusi; la maggior parte dell'azione, infatti, si svolge fuori dal territorio della Mafia, sul quale quindi si aprono solo piccoli scorci non sufficienti a dare al lettore un quadro completo e coerente dello scenario sociologico tratteggiato. Anche la sconfitta del Governo è presentata come un dato di fatto calato dall'alto, non argomentato da convincenti ricostruzione storiche.
Nel complesso, quindi, l'intero contesto manca di verosimiglianza e risulta poco articolato. L'intreccio si presenta come di classica matrice avventurosa, con tanto di componente sentimentale tra il protagonista e il personaggio femminile principale; lasciano davvero perplessi i tratti magici e pseudo-mistici con cui è ritratta una pazzesca civiltà tribale di indigeni irlandesi dell'entroterra in cui Orsino si imbatte in fuga dal Governo.
In conclusione, si tratta di un'opera sicuramente sui generis, particolare e originale sotto diversi aspetti, ma che nell'insieme raccomandiamo soltanto agli appassionati dell'autore o del genere sociologico." 

Grottesco pseudo-celtico

Kornbluth non doveva nutrire grande ammirazone per le genti dell'Irlanda. In un luogo del romanzo afferma addirittura che in quell'isola i "sanguinari riti celtici" erano sopravvissuti in segreto nel corso dei secoli. Tutto ciò che si dice nel libro sugli antichi Celti e sulla loro religione è pura e semplice paccottiglia, un denso pastone di anacronismi, di aberrazioni e di inconsistenze. Si tratteggia un isterico matriarcato di Erinni grondanti di mestruo, con più di mezzo secolo di anticipo sullo scandalo Weinstein! Questa esasperata ostilità anticeltica può ben essere venuta allo scrittore dalla sua amata, dato il livore degli italoamericani nei confronti degli irlandesi - ed è a parer mio una prova in più della bontà della mia ricostruzione dei fatti.

Etnografia del Nordamerica mafioso

La componente italoamericana appare minima e tra i mafiosi abbondano cognomi di ogni tipo: anglosassoni, scozzesi, irlandesi, polacchi e via discorrendo. In buona sostanza, gli unici cognomi italiani che rammento sono Orsino e Falcaro. Cosa comprensibile, non si ha la benché minima traccia dei cognomi delle principali famiglie di Cosa Nostra in America. Sembra che l'intera popolazione abbia subìto una profonda assimilazione ai canoni mafiosi senza aver perso i propri connotati etnici d'origine. Verso la fine, un arrogante rampollo dei Regan, notabili dei Ribelli, apostrofa Charles Orsino con toni spregiativi e razzisti per via dei suoi tratti somatici, definiti "mediterranei"

Titoli problematici 

Come spessissimo accade, le trasposizioni italiane del titolo originale sono alquanto fantasiose, quasi ispirate dal peyote. Non è improbabile che la sequenza di parole "Non è ver che sia la mafia" sia stata scelta più per il suo impatto fonetico ed emotivo che non per il fumoso significato espresso. Cosa dovrebbe mai voler dire in concreto? Va un po' meglio con l'altro titolo, poi abbandonato, "L'era della follia", che sembra però troppo vago e sfumato: ogni riferimento alla realtà mafiosa scompare e non è possibile indovinarlo se non si è letto il libro. Per contro, The Syndic fa riferimento a un fatto molto interessante che dovrebbe gettare una luce sinistra sul concetto stesso di sindacalismo: la setta mafiosa è anche nota come Sindacato. In America, l'aggettivo syndical "sindacale" è a tutti gli effetti sinonimo di mafioso. Credo che sia per questo motivo che l'opera di Kornbluth non ha ricevuto il titolo "Il Sindacato" ai tempi di Monicelli e neppure ai tempi di Fruttero e Lucentini: a quanto pare si è ritenuto prudente evitare questo nodo semantico sia nel '55 che nel '77.

L'omosessualità e i famosi tagli di Urania

A quanto ho appreso e ho potuto constatare di persona, prima del 1985 quasi tutti i romanzi pubblicati in Urania venivano sottoposti a tagli brutali. The Syndic non fa eccezione. Ho letto il romanzo nella sua edizione uraniana del 1955 e ho subito notato il linguaggio pieno di errori e di imprecisioni: nella sostanza la traduzione di Tom Arno è fatta coi piedi. Non ho potuto accedere alla versione del 1977, ma ho visto alcuni curiosi dettagli nella Wikipedia in inglese. Nel riassunto si spiega che nel Territorio del Consiglio la morale sessuale è assai lassa, cosa che ho potuto constatare nel corso lettura: sono ammessi comportamenti come la poligamia e la poliandria. Sulla Wikipedia anglosassone si specifica però che non è ammessa l'omosessualità maschile. Il divieto in questione non deve stupire: è ben noto che Cosa Nostra ha feroci leggi non scritte che puniscono con la morte un affiliato di cui si scoprano comportamenti omosessuali. Il punto è che nel testo il riferimento a queste cose non l'ho proprio trovato. Ne deduco che sia stato espunto dalle forbici degli accorciatori di testi, tantopiù che nell'Italia di quell'epoca l'omosessualità non poteva in nessun modo essere menzionata.

Un finale precipitoso

Nella traduzione di Arno, le peregrinazioni di Charles Orsino e di Lee Falcaro si concludono con il loro rientro in treno nel Territorio del Consiglio. I due amanti si baciano in bocca e un viaggiatore rimane sconvolto dalla battaglia di lingue, così esclama: "Disgustoso! Ma è proprio l'èra della follia, questa!". Questa è proprio l'origine del titolo della versione del '55. La cosa mi pare contraddittoria: quel treno era frequentato da pendolari, che saranno stati abituati ai costumi del Territorio del Consiglio, così una reazione tanto veemente la sia capisce poco. La Wikipedia in inglese menziona un finale del tutto diverso. Charles Orsino incontra il suo mentore Frank W. Taylor e gli racconta le avventure che ha vissuto, consigliandogli di organizzare il Consiglio come uno stato vero e proprio, in modo tale da permettere di affrontare meglio i pericoli. Tuttavia il notabile mafioso rifiuta la proposta. Non avendo letto la traduzione di Pinna, non so in cosa differisca da quanto ho letto, ad esempio se i tagli siano diversi. In ogni caso, sia il finale uranico tagliato che quello originale sembrano raffazzonati e troppo veloci, addirittura interlocutori.  

Cose sporche 

Questo libro pernicioso ha avuto una sua influenza politica, cosa che in Italia sembra essere ignorata. Su di esso si fonda la teoria del cosiddetto anarco-capitalismo e più in generale del libertarianismo radicale. L'ispirazione ultima di queste piaghe è proprio la struttura politica e sociale del Territorio del Consiglio. Questo nonostante Kornbluth sia stato accusato di aver tratteggiato in modo assai vago la società governata da Cosa Nostra. Mi pare evidente che quanto abbozzato dallo scrittore ashkenazita sia stato sufficiente a produrre danni assai gravi. Mi spingo ancora oltre: si può affermare senza timore di smentita che l'anarco-capitalismo sia un output mafioso. Nella buona sostanza, la teoria politica anarco-capitalista propone l'instaurazione di una società priva di tassazione, dove ogni servizio venga offerto dai privati delle famiglie mafiose tramite spesa "volontaria" denominata pizzo - e nella quale sia eliminato ogni ricorso alla coercizione attraverso il superamento dello Stato, ritenuto intrinsecamente autoritario e sostituito dalla vigilanza dei picciotti. L'abolizione dello Stato, propugnata dai settari anarco-capitalisti, è un colossale imbroglio. Ora svelerò i loro trucchi. Prendono la parola Stato e la identificano con l'oppressione. Quindi, così dicono, la sua negazione deve per forza essere la parola Libertà, dipinta come un idillio puffesco che andrà a vantaggio di tutti. Se questa negazione è la mafia, ecco che reputano buona la mafia. Non è così: è una catena di non sequitur. Loro però con somma disonestà intellettuale vogliono tenerlo nascosto. Ecco a questo punto un sudicio e guittesco gioco di prestigio: far passare per utopia quella che nella dura realtà dei fatti è libertà assoluta per i padroni e oppressione infinita per gli schiavi! Consiglio di leggere questo interessantissimo articolo:


Citazioni: 

Riporto due estratti significativi (traduzione di Tom Arno). Forse a modo loro sono profetici: potrebbero benissimo essere stralci di propaganda grillina.

1) Il Governo degli ultimi banchieri: e hanno avuto tutto quello che si meritavano, quei bravi signori innamorati del laissez-faire. Però volevano le tariffe protettive, l'esenzione fiscale, sussidi!, sacrifici, sacrifici, sempre sacrifici da imporre alla nazione. Tanto che alla fine il Governo perse la fiducia di quella nazione i cui interessi era stato chiamato a tutelare. Il debito pubblico... non voglio nemmeno spiegarti che cosa fosse, se non che era una maledizione che faceva aumentare il costo di ogni cosa. Tanto che venne il giorno che alla stragrande maggioranza della popolazione i prezzi troppo elevati inibirono il godimento di quasi tutto ciò che di bello ha la vita.

2) Mi si permetta di rilevare per sommi capi i principi su cui si fonda il cosiddetto Governo: tassazione brutale, proibizione assoluta dei giochi d'azzardo, i semplici piaceri della vita negati a tutti meno che ai molto ricchi, puritanismo e ipocrisia sessuali resi esecutivi da leggi di un'impressionante barbarie, limitazioni e coercizioni interminabili, innumerevoli, preposte a ogni azione dei singoli in ogni momento del giorno e della notte. 

domenica 26 novembre 2017

LA VERA CAUSA DELL'ESTINZIONE DEI MAMMUT


La questione delle cause dell'estinzione del mammut (gen. Mammuthus) è dibattuta da lungo tempo e a quanto pare i paleontologi non sono arrivati a nulla di fatto. Molti sono i potenziali indiziati, tra i quali la caccia da parte degli umani e i cambiamenti climatici, eppure le evidenze decisive non sono state trovate. Quello che si sa per certo è che il pachiderma dalle zanne imponenti non ha superato l'ultima glaciazione. L'unica popolazione sopravvissuta alla fine del Pleistocene è stata quella dell'isola siberiana di Wrangel. Questi estremi superstiti hanno ridotto le proprie dimensioni per far fronte alla scarsità di risorse, vivendo in quelle condizioni di nanismo insulare fino all'epoca dei Faraoni ed estinguendosi soltanto verso il 1700 a.C.

Un inferno defecatorio

Ho compreso la causa dell'estinzione di tali animali quando mi sono imbattuto in un singolare dettaglio, che a quanto pare è stato reputato irrilevante dagli accademici. I mammut avevano una membrana ricoperta di pelo che ricopriva l'ano: a detta dei paleontologi serviva a proteggere quella regione sensibile dall'intenso freddo del periodo glaciale. Mi sembra evidente. Quella membrana lanuta e opprimente, finita la glaciazione, ha provocato ai mammut sofferenze spaventose. Prurito, dolore, infestazioni da parassiti, infezioni. Immaginate lo sterco che non riusciva a defluire e si accumulava, creando ascessi, sacche suppuranti, ulcere e cancrene. Ecco svelato l'enigma. I mammut sono stati condannati da una caratteristica anatomica divenuta inutile e nociva in un nuovo contesto climatico. Il genio maligno dell'Evoluzione è sempre all'opera, ma spesso imbocca vicoli ciechi, condannando le sue creature alla tortura e a una morte abietta - con buona pace di Piero Angela e del suo positivismo materialista.


Esploratori anali e tuffatori intestinali

Pochi sanno che gli stessi elefanti odierni hanno fastidiosi problemi intestinali, inclusa la stipsi ostinata. Gli esemplari adulti dell'unica specie addomesticabile di elefante oggi vivente, quello asiatico, necessitano di interventi piuttosto degradanti in grado di favorire l'evacuazione delle feci. Questi orrori sono ben evidenti in India, dove ogni volta che un pachiderma diventa stitico, un membro della casta dei Dalit deve infilargli le nude braccia in profondità nell'ano, cercando con ogni mezzo di afferrare a mani nude il coacervo escrementizio compatto che impedisce la corretta defecazione. Si tratta di veri e propri fecalomi, che nei casi più gravi richiedono un vero e proprio tuffo nell'intestino: il povero intoccabile è costretto a infilare la testa e il busto nelle viscere elefantine, rischiando il soffocamento nei gas mefitici!

Nel seguito riporto un interessante video. Purtroppo chi posta questo tipo di materiale crede di divertire e di fare "intrattenimento".

mercoledì 22 novembre 2017

UN'ISCRIZIONE GIAPPONESE SU UNA XILOGRAFIA DI HANS BALDUNG?


Hans Baldung, detto Grien, nacque a Schwäbisch Gmünd (Germania, Baden-Württemberg) nel 1485 circa e morì a Strasburgo nel 1545. Fu un allievo del fulvo Albrecht Dürer, ed egli stesso famoso pittore, disegnatore, incisore e xilografo. Proprio una xilografia ha attratto la mia attenzione per un dettaglio di non poco conto. Si tratta del Sabba delle streghe, che risale al 1510 ed è conservato al Germanisches Nationalmuseum di Norimberga. Se si guarda quest'opera con attenzione, noterà che una delle streghe nude ha tra le gambe un vaso su cui si vede chiaramente un'iscrizione enigmatica. Non è difficile riconoscerne i caratteri: si tratta della scrittura sillabica giapponese denominata katakana e di un ideogramma numerico. A quanto sembra, nessuno ci ha mai fatto caso.


Questo è un prospetto del sillabario katakana:


Questi sono i caratteri giapponesi usati per trascrivere i numeri:


Possiamo azzardarci a leggere l'iscrizione, completando alcuni tratti mancanti: 

ワ三スイエ

Traslitterazione:

...WA-SAN-SUI-E

WA significa IO in antico giapponese (potrebbe essere un arcaismo)
SAN significa TRE
SUI significa ACQUA ed è sinonimo di MIZU
Il tratto superiore del kana エ è insolitamente obliquo. Il segno ricorda molto un kana oggi obsoleto usato per trascrivere la sillaba YE, come sintesi dei segni delle due sillabe I e E. Tuttavia questo kana sintetico è stato introdotto all'inizio dell'Era Meiji, quindi dopo il 1868: il suo uso in un testo del XVI secolo sarebbe un anacronismo.

La forma SANSUI "tre acque" esiste ed è documentata.

Questa è la traduzione ipotetica del frammento: "... io le tre acque..."

Probabilmente dopo WA SAN SUI c'era un verbo. Qualcosa come "io le tre acque faccio scaturire" o qualcosa del genere. Il giapponese è una lingua SOV (soggetto-oggetto-verbo), quindi quanto affermo non è così peregrino.

Resta il fatto che prima di WA c'è un altro carattere, che non si legge. Potrebbe essere la parte finale di una parola, essendo l'iscrizione circolare. La stessa sillaba WA potrebbe essere la particella del soggetto, una specie di marca del nominativo, che in giapponese suona proprio in questo modo. Tutto ciò rende quasi impossibile cogliere il significato esatto dell'iscrizione originale. Non sono un esperto di lingua giapponese, ma credo che sia più probabile la prima ipotesi da me enunciata, con WA "io" e SAN "tre".

È curioso notare che i primi due caratteri del testo trascrivono foneticamente la parola WASAN, che significa "matematica" (etimologia da WA "giapponese" e SAN "computo"). Nell'uso comune la parola in questione si trascrive in ideogrammi (kanji) come 和算. Tuttavia questa interpretazione non è possibile e si può confutare con facilità, in quanto si sa per certo che WASAN è un termine coniato nell'Era Meiji, esattamente negli anni '70 del XIX secolo, per distinguere la matematica nativa da quella occidentale.  

Il punto è questo:

1) Non può trattarsi di una coincidenza: i caratteri sono chiaramente leggibili e non hanno la benché minima possibilità di somiglianza con qualsiasi cosa sia stata partorita in Occidente;
2) Nel 1510 non poteva essere presente in nessuna nazione europea alcuna nozione dell'esistenza del sillabario katakana e dei kanji dei numerali: fu soltanto nel 1542 che i primi navigatori portoghesi giunsero nell'arcipelago nipponico, e per molto tempo giunsero nel vecchio continente soltanto nozioni fumose sulla cultura isolana da poco scoperta. 

Come si spiega dunque il vaso dipinto da Baldung? Questi sono i veri misteri, non le baggianate dei complottisti!
Anche se i navigatori portoghesi giunsero in Giappone una trentina di anni dopo la creazione della xilografia di Baldung, è pur sempre vero che gli isolani intrattenevano da secoli rapporti con la Corea e con la Cina. Il vaso, venduto a un mercante cinese, potrebbe aver viaggiato verso Occidente giungendo infine in Germania, dove lo stesso Baldung deve averlo visto con i propri occhi e riprodotto. Se l'iscrizione è stata riportata a memoria, questo può spiegare l'esecuzione difettosa dei caratteri, con lievi distorsioni e tratti mancanti.