Michael Pelczar (National University of Singapore) è l'autore dell'articolo Presentism, Eternalism, and phenomenal change, ossia "Presentismo, eternismo e cambiamento fenomenico", composto nel 2008 e pubblicato nel 2010 dopo un lungo iter. Il lavoro in questione può essere liberamente consultato e scaricato seguendo questo link al sito dell'autore:
In modo oscurissimo, Pelczar pronuncia oracoli in un linguaggio più denso della materia che compone le stelle a neutroni: "Di norma, quando ci accorgiamo che sta avvenendo un cambiamento, la nostra esperienza cosciente ha una corrispondente qualità di cambiamento fenomenico. Qui si argomenta che la propria esperienza può avere questa qualità a o durante un tempo in cui non c'è cambiamento in cui le proprietà fenomeniche si possono rappresentare come istanza. Questo mina un numero di argomenti altrimenti cogenti contro le principali teorie metafisiche del cambiamento, ma richiede anche queste teorie per costruire il cambiamento come una qualità secondaria, simile al colore."
Lo studioso si occupa del problema della durata degli eventi nell'ambito dell'esperienza del cambiamento. Mi preme far notare che il problema potrebbe essere fittizio, proprio come la classica questione di lana caprina. La natura continua dell'esperienza degli esseri senzienti può essere dovuta non tanto alla reale estensione temporale degli eventi, ma ai tempi di reazione degli organi di senso, per loro natura lenti e fallaci. Non si deve dimenticare che un film è composto da un certo numero di fotogrammi e che pure è in grado di simulare la realtà che sperimentiamo, soltanto perché gli stessi fotogrammi sono messi in moto a una velocità tale da farci perdere la possibilità di distinguerli. Se i nostri sensi sono ingannati da un rudimentale manufatto umano come una pellicola in movimento, a maggior ragione non è necessario postulare un'estensione del presente oltre i confini dell'istante, definito come entità singolare e indivisibile.
Questa è la summa argomentativa dell'autore, da lui utilizzata per sostenere posizioni eterniste:
B1 Il presentismo implica che ogni esperienza è un'esperienza "presentacea" (mi si perdoni l'orrido aggettivo), dato che le sole esperienze esistenti, secondo i presentisti, sono quelle che esistono nel tempo presente.
B2 Tuttavia, un'esperienza come quella del cambiamento comprende essenzialmente multiple sotto-esperienze, che esistono tutte allo stesso modo, nonostante esistano in tempi differenti (e non, quindi, nello stesso tempo presente).
B3 Quindi il presentismo implica, erroneamente, che non ci sono esperienze come quelle del cambiamento.
B2 Tuttavia, un'esperienza come quella del cambiamento comprende essenzialmente multiple sotto-esperienze, che esistono tutte allo stesso modo, nonostante esistano in tempi differenti (e non, quindi, nello stesso tempo presente).
B3 Quindi il presentismo implica, erroneamente, che non ci sono esperienze come quelle del cambiamento.
Nella sostanza, sono argomentazioni estremamente primitive, proprio come il famoso paradosso di Zenone, tuttora usato dai settari wahabiti dell'Arabia Saudita per dimostrare che la Terra è piatta. Negare la natura oggettiva del flusso temporale serve a poco: può essere soggettiva la sensazione del tempo che scorre, ma il passaggio da un istante all'altro è reale. Cosa poi ci sia dietro a tutto questo, credo che la sua comprensione esuli dalle capacità dell'intelletto umano.
Risale al 2016 la bozza di un altro articolo di Pelczar sulla metafisica del tempo e dello spazio: What is Time? ossia "Cos'è il tempo?", consultabile e scaricabile al seguente link:
L'autore giustamente critica l'eliminativismo che prevale nel mondo accademico, ossia la posizione di coloro che semplicemente rimuovono il tempo e la coscienza, giudicando inesistenti tali fenomeni. Fatto questo, egli cerca di dimostrare la possibilità di un'analisi del concetto di tempo, riducendo i fatti fisici a fatti relativi all'esperienza cosciente. Resta il fatto che non riesce a spiegare davvero cosa sia l'esperienza cosciente: l'unico risultato è addentrarsi nelle sabbie mobili di un iperformalismo ai confini con la paranoia, affondando in modo inesorabile. In buona sostanza, non si arriva da nessuna parte.
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