lunedì 12 febbraio 2018

CONTRO L'ALINEISMO

Quando la Scienza viene meno ai propri princìpi per asservirsi alla politica, diventa all'istante Pseudoscienza. La trasformazione è drammatica e irreversibile. La Pseudoscienza può essere paragonata a un albero infestante che produce frutti mostruosi quanto nocivi: non ne sortirà mai nulla di buono, neppure per puro caso. Se a diffondere idee pseudoscientifiche è un pazzoide senza titolo alcuno, che delira senza sosta sui Rettiliani, si tende a non dare troppo peso alla cosa. Tanto si tratta per l'appunto di un pazzoide, spesso senza arte né parte, del tutto privo di qualsiasi traccia di istruzione e di cultura scientifica. Ai tempi di Carlo Cotenna c'era un individuo bizzarro che girava Milano in bicicletta, cercando di diffondere la sua grande scoperta, riassumibile in una frase stringata: "La Terra è piatta". Veniva deriso da tutti, anche dai più ignoranti popolani. Cosa dire invece quando a formulare teorie assurde e contrarie ai dati di fatto è un luminare? Questa è una cosa terribile, un funesto portento di questi tempi degeneri. Provate a immaginarvi uno studioso, parte del mondo accademico, con un curriculum da far paura e la conoscenza di una gran mole di informazioni, che si mette a costruire a tavolino una teoria assurda quanto il terrapiattismo o l'antivaccinismo, diffondendola poi con grandi mezzi tra le genti. Forse non lo sapete, ma cose simili accadono davvero.

Un esempio di teoria pseudoscientifica diffusa da un accademico di fama è quella che va sotto il nome di Continuità Paleolitica, escogitata dal linguista Mario Alinei. Non si tratta di uno sconosciuto. Non è nemmeno un rubicondo cronista sportivo come David Icke o un terrapiattista friggitore di psilocybe. Nato a Torino nel 1926, Alinei è professore emerito all'Università di Utrecht, dove ha insegnato per molti anni (1959-1987). Fondatore della rivista Quaderni di Semantica, è stato presidente dell'Atlas Linguarum Europae presso l'Unesco assieme ad Anton Weijnen dell'Università di Nimega. È autore di numerosissime pubblicazioni ed è un'autorità nel campo della dialettologia. Per rendersene conto basti guardare la sua bibliografia, facilmente reperibile nel Web. A quanto sono riuscito ad apprendere, Alinei fu un pioniere dell'uso del computer nella linguistica. Il dialettologo serbo Pavle Ilić ha dichiarato che "Alinei è uno tra i non numerosi linguisti europei che già negli anni '60 erano desiderosi e capaci di applicare i risultati delle innovazioni tecnologiche allo studio del linguaggio". Le cose hanno assunto una svolta improvvisa e sorprendente quando il luminare torinese si è ritirato, nel 1996. A partire da quella data, si è messo a produrre una mole immensa di lavori tutti incentrati sull'idée fixe dell'origine delle lingue indoeuropee nell'Europa del Paleolitico Superiore. Secondo la sua teoria, ogni lingua e soprattutto ogni dialetto di origine indoeuropea dell'Europa attuale sarebbe stato parlato senza interruzione e in forma riconoscibile fin dall'epoca più remota, anteriore addirittura alla fine dell'ultima glaciazione. In pratica, la protolingua indoeuropea risalirebbe a Homo erectus!

Prendiamo per esempio il lombardo, ben rappresentato dal dialetto di Milano. Secondo Alinei, le sue caratteristiche sarebbero già state presenti prima ancora della rivoluzione agricola, prima ancora della comparsa dell'aratro. Così, immaginiamo che con una macchina del tempo, senza muovermi nello spazio, io arrivi da un cacciatore-raccoglitore del Leptolitico e lo apostrofi così: "Ti, balabiòtt, va a dà via i ciapp e càghes adòss!". Ebbene, a quanto pare il glottologo continuista è assolutamente certo che sarei capito alla perfezione e che il cavernicolo mi risponderebbe: "Tel rüzzi denter in del cü, sacrament d'un'òstia!". Il tutto con una bestemmia inconcepibile prima di Cristo. La cosa travalica talmente i confini del ridicolo che ci sarebbe da considerarla una barzelletta. Che non sia una vana facezia lo dimostra il fatto che la reazione del mondo scientifico a queste scempiaggini è stata a dir poco flaccida. Così è riportato in Wikipedia: "Questa sua (e di pochi altri studiosi e accademici) visione della storia delle lingue e dei "dialetti" d'Europa contrasta con quella "corrente" ed è rifiutata dalla maggior parte dei linguisti storici “tradizionali”." Diabole! Un giudizio blandissimo, di un'incredibile tolleranza!

Tutto ciò che non conocorda con i dogmi alineisti, viene semplicemente rimosso, passato sotto silenzio come se non fosse mai esistito. Così sono fatte scomparire moltissime lingue parlate in epoca antecedente alla diffusione del latino. Le loro attestazioni scritte non rilevano. Le lingue italiche sono ritenute inesistenti! Le lingue celtiche sono ritenute inesistenti! Intere masse di antroponimi ben dcumentati, che non collimano con l'idea di Alinei, non vengono nemmeno menzionati! Dove questa strategia non riesce, come nel caso della lingua etrusca, che non può semplicemente esser fatta sparire nel Nulla, ecco che viene ridefinita. Siccome nell'Europa centrale esiste un'unica isola non indoeuropea, l'Ungheria, ecco che l'etrusco viene dichiarato ungherese! Gli Etruschi vengono considerati una naturale propaggine dei Magiari, nonostante questi ultimi siano migrati nelle loro attuali sedi in epoca medievale! I dati della lingua dei Rasenna vengono fatti a pezzi e rimontati a piacimento, ovviamente per essere confrontati con l'ungherese contemporaneo proiettato nella preistoria, con tanto di prestiti da lingue slave e altaiche! Del resto le lingue uraliche e quelle altaiche sono confuse e vengono affermate le equazioni Magiari = Turchi e Turchi = Etruschi! Non dovrebbe sorprendere che Alinei in Ungheria sia ritenuto un eroe nazionale, al punto che le sue baggianate sull'etrusco-ungherese sono addirittura strombazzate come una "scoperta". Una tattica semplicissima, comprensibile da tutti. E che dire dei Baschi e della loro enigmatica lingua? Semplice: sarebbero migrati da Marte in epoca recentissima!

Se si risapesse cosa penso della perniciosa opera di Alinei, subito qualcuno si inalbererebbe urlando allo scandalo. "Luminare giudicato da un blogger!", esclamerebbero. La cosa molto probabilmente non avverrà, anche perché i miei scritti non li legge quasi nessuno, li pubblico soltanto per diletto mio e di pochissimi altri. In ogni caso il problema sussiste. Se qualcuno osa insorgere contro un'idea palesemente falsa e dannosa diffusa da uno studioso, viene ritenuto "arrogante" e "intollerante", il più delle volte da gente che non ha alcuna competenza nel campo in questione. Il mondo accademico è malato, è come se fosse affetto da una grave forma di morbo di Alzheimer che ne corrode il senno.

Questo però non è tutto. Esistono propagandisti attivissimi, a cui possiamo ben dare il nome di alineisti militanti, che cercano di diffondere con ogni mezzo la teoria della Continuità Paleolitica nei social network e nei forum. Dovunque ci sia una discussione su un argomento sensibile, arrivano prontamente. Hanno tutte le caratteristiche di una setta di fanatici. Sono tutti uguali e scrivono tutti le stesse identiche cose. Mettono il massimo impegno nel catechizzare i presenti, riportando lunghi papiri con gli enunciati delle dottrine di Alinei. Come se si trattasse di una gemma di inestimabile valore, ecco che forniscono l'url del sito del loro signore e mentore, denominato Continuitas. Ogni volta che avviene questa operazione, parlano di tale portale con estrema deferenza, con frasi del tipo "Questo è il loro sito" (dei continuisti), con tono sacrale, come se si aspettassero che i presenti si mettessero a prostrarsi in adorazione. A ogni minima obiezione, sommergono gli interlocutori con scritti lunghissimi senza né capo né coda, pieni di deliri e di paralogismi. Non ascoltano e pretendono di avere la parola soltanto loro. I loro argomenti sono di questo tenore: "Risalendo al passato c'è sempre unità, quindi le teorie di Alinei sono giuste". Il fatto che andando indietro nella storia di diverse lingue si arrivi a una protolingua comune, da ricostruirsi con fatica, non implica affatto che si possano prendere lingue viventi per proiettarle immutate nel Paleolitico! 

Adesso vediamo un po' di capire quale sia l'origine di questi partigiani delle teorie di Alinei. Evidente come la luce del sole è il fatto che a muoverli siano basse motivazioni politiche. La politica è una brutta bestia e soprattutto ha risorse da spendere per le sue finalità squallidissime. Riporto il commento di un navigatore, Tom Sawyer, apparso su un thread politico come risposta a un missionario alineista: 

"il problema pero’ e’ che questa teoria non e’ accettata dalla comunita’ scientifica, mentre viene esaltata (per motivi politici) in ambienti che non hanno niente a che fare con la scienza. puo’ darsi che alinei sia un genio incompreso, e puo’ darsi che no. qui nessuno e’ un esperto di linguistica comparata, di glottologia, di archeologia ecc., e quindi la questione resta in sospeso. quel che NON resta in sospeso e’ che l’ estrema destra russa utilizza questa teoria per motivi, diciamo cosi’, poco nobili. idem per l’ estrema destra slovena. idem per l’ estrema destra veneta. il motivo e’ chiaro: tutti questi gruppi vedono in questa teoria un buon argomento per opporsi all’ immigrazione, oppure per avanzare rivendicazioni territoriali. io non ho niente contro alinei. ma se questa teoria (che e’ ancora ampiamente da dimostrare, per quel che ho capito) viene utilizzata in questo modo dai gruppi di cui sopra, allora siamo di fronte ad un uso strumentale della scienza, che andrebbe condannato senza riserve. da alinei per primo."

Tutto è molto chiaro. A foraggiare è nientepopodimeno che Putin. Al tiranno russo interessa aumentare con ogni mezzo l'entropia in Europa, e a questo scopo profonde capitali ingentissimi. Tom Sawyer non può avere che un vago sentore di quanto le idee di Alinei distino dalla realtà delle cose, ma di certo ha una grande capacità intuitiva. Purtroppo mostra un po' di ingenuità quando dice che lo studioso dovrebbe condannare per primo l'uso strumentale della Scienza. Il fatto è che la Continuità Paleolitica non è affatto Scienza. Parrebbe (il condizionale è d'obbligo) costruita proprio perché la politica possa farne un uso strumentale.

Rimando a quest'altro mio post sull'argomento:

giovedì 8 febbraio 2018

ETRUSCO ZAMTHI- 'ORO' - LATINO SANTERNA 'CRISOCOLLA'

Una fibula d'oro porta la seguente iscrizione in lingua etrusca (ET Cl 2.3): 

mi araθia velaveśnaś zamaθi mamurke mulvenike tursikina

La traduzione è molto semplice:

"io sono l'oro di Arath Velavesna, Mamurce Tursikina <mi> ha donato"

Il lemma zamaθi significa "oro", anche nel senso di "oggetto d'oro", "gioiello d'oro". Anche in italiano si usa "gli ori" in una simile accezione. Purtroppo, dal momento che questo uso della parola "oro" non si trova in inglese, gli accademici anglosassoni si rifiutano di credere a questa traduzione, così insistono col voler tradurre zamaθi con "fibula". Nonostante sia stato fatto notare che un tempo l'inglese gold poteva indicare anche un oggetto d'oro e non soltanto il metallo in sé, nessuno sembra averne preso atto. Ricordo ancora polemiche furibonde nate dalla discussione di questo argomento. Sappiamo che gli anglosassoni hanno la brutta tendenza ad applicare le categorie della propria lingua all'intero Universo, cosa che spesso li porta in un vicolo cieco. Se in una qualsiasi lingua una parola traduce sia "gold" che "golden object" o "golden jewel", ci sono persone che vanno fuori di testa e hanno un subitaneo travaso di bile. Impossibile, essi dicono, arrivando a diventare più paonazzi del fallo di un priapico imbottito di viagra. Seguendo voli pindarici, ci fu persino chi arrivò a ipotizzare una parentela con l'urritico zalamši-, zalmatḫi- "statua" (un prestito dall'accadico ṣalmu "statua") - e questo a dispetto della materialità dell'oggetto (!), come se le difficoltà semantiche fossero irrilevanti.

Ora elenchiamo due dati di fatto incontrovertibili:

1) La radice in analisi compare anche nel Liber Linteus come forma aggettivale zamθi-c "d'oro, aureo" con la variante zamti-c. Il testo ha caperi zamθic (VIII, 10) e caperi zamtic (XII, 12), traducibile come "nel vaso d'oro", nel qual caso dovremmo ammettere un aggettivo indeclinabile. Data la scarsa comprensione di entrambi i passaggi del documento in cui compaiono le riportate attestazioni, potrebbero anche esistere altre soluzioni, anche se risulta evidente che il significato di "fibbia" non ci azzecca proprio per nulla.

2) Esiste in latino il vocabolo santerna "crisocolla", che non viene semplicemente considerato dagli etruscologi, a dispetto della sua terminazione caratteristica. La crisocolla, a scanso di equivoci, è un minerale non pregiato, che all'epoca veniva utilizzato per l'estrazione del rame e per la produzione di un omonimo pigmento, anche noto come colla d'oro, viride, verde di banda, hispanicum, lutea e orobitis. Appartiene alla famiglia dei silicati e ha un bel colore verde brillante o bluastro. La classificazione Strunz è 9.ED.20 e la formula chimica è (Cu,Al)2H1Si2O5(OH)4·n(H2O). Benissimo. Dovrebbe saltare all'occhio che crisocolla (lat. chrysocolla) è dal greco χρυσόκολλα, che deriva direttamente da χρυσός "oro". È del tutto lapalissiano dedurre che il termine santerna è direttamente dall'etrusco *zamθerna e che zamθi- è proprio la traduzione del greco χρυσο-! Fine della dimostrazione. 

Si noterà che l'enigmatico termine greco ξανθός /ksan'thos/ "giallo" è un relitto pre-ellenico imparentato con il lemma etrusco in analisi.

Concludo con una riflessione. Se si dimostra qualcosa con l'uso della logica, giungendo alla certezza dove regnava il dubbio, bisogna far in modo esista un'autorità scientifica in grado di porre la parola fine a ogni disputa e alla proliferazione di inutili quanto nocive ipotesi pseudoscientifiche. Teorie vecchi e superate, ormai smentite dai fatti, non dovrebbero saltare fuori come cadaveri putrefatti da una palude. Invece si nota che manca ogni forma elementare di controllo sulle falsità palesi e di diffusione attiva delle informazioni attendibili, evidentemente perché i settari archeologi si oppongono con ogni mezzo: sembra che ci sia un diffuso interesse a impedire di giungere a una buona conoscenza della lingua dei Rasenna. 

ETRUSCO NETS'-, NETHS'- 'INTERIORA'

Nell'iscrizione bilingue di Pesaro, di età augustea, abbiamo l'attestazione del termine netśvis "aruspice".

Il testo latino è il seguente: 
 
L. caf(at)ius . l . f . ste . haruspex | fulguriator  

Questo è il testo etrusco: 

cafates. lr. lr. netśvis . trutnvt . frontac  

Tutto molto chiaro:

netśvis = aruspice
trutnvt = interprete
frontac = delle folgori (agg.)

Evidentemente trutnvt frontac indicava il folgoratore, che non era un Goldrake o un Mazinga ante litteram, bensì colui che interpretava i fulmini.La vocale -o- del lemma frontac è scritta con un carattere speciale. 

In un'altra iscrizione (CI 1.1036) troviamo la variante netsviś. Poi abbiamo l'iscrizione del sarcofago di Laris Pulena, detto anche sarcofago del Magistrato, che ci mostra la locuzione ziχ neθśrac "libro aruspicino", in cui l'aggettivo è formato con l'usuale suffisso -c a partire da neθś-ra-, che evidentemente indica la scienza degli Aruspici (alla lettera "la cosa delle interiora"). La radice di questi lemmi, netś-, nets-, neθś-, indica infatti le interiora. Esiste un notevole parallelismo in greco, dove abbiamo la parola νηδύς "interiora, ventre, stomaco", evidentissimo relitto del sostrato pre-ellenico e privo di qualsiasi parentela nelle lingue indoeuropee.   

Anni fa, mentre vagavo nei gruppi di Yahoo!, mi capitò di imbattermi in un autore russo che con grande insistenza proponeva un'interpretazione bislacca e insensata del lemma etrusco netsviś. A sentir lui, il termine in questione avrebbe avuto il senso di "astrologo" anziché quello di "aruspice". La base della sua pseudotraduzione era a suo dire una radice protosemitica che trascriveva come /*ndZm/ e che doveva significare "stella". Stanco di continuare a vedere riproposta questa assurdità, ho fatto in brevissimo tempo le mie indagini. Orbene, in proto-semitico è ricostruibile *nagmu "segno", poi passato a significare "oggetto celeste" e infine "astro, stella". Da questa radice è derivato l'arabo najm /nadʒṃ/ "stella" (nel dialetto egiziano suona /neg/, con consonante velare /g/). Tutto ha avuto origine da un equivoco marchiano quanto grossolano nato dall'ignoranza più belluina, se non dal dolo: una trascrizione della consonante postalveolare sonora dell'arabo come /dʒ/ ha generato l'illusione  di un gruppo consonantico. L'autore, di cui non riesco proprio a ricordare il nome, a quanto pare è stato preso dal senso di inadeguatezza e di vergogna, dato che ha fatto perdere le sue tracce: ancora oggi non se ne riesce a trovare traccia alcuna nel Web. Una piccola vittoria contro la marea della Pseudoscienza.

domenica 4 febbraio 2018

ETRUSCO S'A 'QUATTRO': L'ARGOMENTO DELLA QUADRUPLICAZIONE

All'epoca di Pallottino si brancolava nel buio. Non c'era comprensione del fatto molto semplice che il lemma etrusco tamera significa "spazio funebre", "tomba". Abbondavano le ubbie e molti accostavano invano la parola a epiteti greci e anatolici indicanti titoli sacerdotali (es. luvio dammara-, cilicio-ciprio Tamiras), senza poter ottenere traduzioni sensate e concrete delle iscrizioni. L'etimologia di tamera è di chiara origine indoeuropea e indica qualcosa di meramente materiale: si tratta di un antico prestito dalla radice *tam-, che corrisponde a IE *dom-, con l'ara semantica di "casa" e "costruire". Facchetti rende tamera semplicemente con "camera", traduzione da me poco amata, dato che potrebbe trarre in inganno il lettore poco accorto, suggerendo per assonanza una falsa connessione con il vocabolo italiano (di ultima origine greca).  

Agostiniani fu il primo a notare che le locuzioni tamera zelarvenas e tamera śarvenas sono altamente significative e presentano un importante parallelismo. Infatti tamera zelarvenas significa "avendo raddoppiato lo spazio funebre", mentre tamera śarvenas significa "avendo quadruplicato lo spazio funebre". L'analisi delle forme verbali in questione è la seguente:

zel-ar-ve-nas "avendo raddoppiato" : va con zal "due" (alterna con zel-, esl-)
śa-r-ve-nas "avendo quadruplicato" : va con śa "quattro".

In entrambi i casi abbiamo un suffisso rotico. Si noti che zelur, trovato in un'altra iscrizione (San Manno, CIE 4116), si tradurrà con "duplice".

Per ulteriori approfondimenti, si rimanda a all'opera di Agostiniani Sul valore semantico delle formule etrusche "tamera zelarvenas" e "tamera śarvenas" (in Studi linguistici offerti a G. Giacomelli dagli amici e dagli allievi, Padova 1997).

Va subito detto che śar- in śarvenas si oppone a sar "dieci", che ha una sibilante diversa. A quanto pare le forme soggiacenti all'ortografia difettosa e incompleta sono rispettivamente /ʃa:r-/ "quadruplo" e /sar/ "dieci", che non presentavano ambiguità per il parlante, anche per il loro aspetto morfologico.

Quando ero al liceo, venni a conoscenza di una bella storiella.
La peste infuriava ad Atene, e tramite l'oracolo di Delfi si seppe che Apollo, infuriato, ne era la causa. La divinità ordinò di duplicare il suo altare, che si trovava sull'isola di Delo e che aveva forma cubica. Così fu subito costruito un nuovo altare raddoppiando lo spigolo di quello esistente. Fu così ottenuto un altare le cui facce avevano area quadrupla rispetto alle facce dell'altare originale, mentre il volume era otto volte maggiore. La pestilenza divenne ancor più grave, perché Apollo era infuriato a causa della brutale ignoranza delle sublimi leggi della geometria dimostrata dagli Ateniesi. Ci furono altri tentativi infruttuosi, compiuti da matematici, e la ricerca sarebbe andata avanti fino all'annientamento della popolazione.
La soluzione fu trovata da Platone, che diede una lettura simbolica alle parole dell'oracolo: Apollo voleva che gli Ateniesi coltivassero la matematica e la geometria, non un altare raddoppiato. In effetti, non era possibile con i mezzi esistenti in Grecia a quei tempi risolvere il problema, dovendo moltiplicare lo spigolo del cubo originale per la radice cubica di due. Per raddoppiare l'area di un quadrato le cose sono molto più facili: basta costruire un quadrato avente per lato la diagonale del quadrato originale. 

Siccome gli etruscologi hanno la brutta tendenza a crogiolarsi nella loro torre d'avorio e non sembrano capire la complessità delle cose, riporterò due interessanti link che rimandano a una descrizione dettagliata di questi problemi di geometria:



Gli Etruschi, come i Greci, sapevano soltanto raddoppiare o quadruplicare un'area quadrata. Non sapevano triplicarla né sestuplicarla. Questo argomento da solo sarebbe sufficiente a spazzar via l'insistente idea di coloro che traducono śa con "sei" e huθ con "quattro". Spero che costoro, messi di fronte ai fatti da me esposti, si rendano conto di aver imboccato un vicolo cieco, abbandonino i loro paraocchi ideologici e si ravvedano.

ETRUSCO S'A 'QUATTRO': L'ARGOMENTO DEL QUADRATO


Una famosa iscrizione su uno specchio volterrano (TLE 399, aka ET Vt S.2) ha il seguente testo:

eca: sren: tva: iχnac: hercle: unial: clan: θra: sce

Questo scrive Koen Kylin sull'argomento:

"Lo specchio rappresenta una scena con Giunone allattante Ercole barbato; Giove tiene in mano una tavoletta recante l'iscrizione. Alcuni autori in passato avevano tradotto: questa figura mostra come Ercole di Giunone il figlio il latte succhiava. Credo però che la Fiesel, ora seguita da quasi tutti gli etruscologi, avesse ragione quando diceva che la rappresentazione della scena fosse perfettamente chiara al pubblico etrusco, in modo tale che l'iscrizione dovesse spiegare la scena anziché ripeterla. L'allattamento di Ercole indica piuttosto l'adozione di Ercole da parte di Giunone. Da molti autori l'iscrizione viene dunque tradotta nel senso di questa figura mostra come Ercole di Giunone figlio divenne."

Sono certo che la Fiesel si sia grossolanamente sbagliata. I due punti tra le parole θra e sce , perfettamente visibili a occhio nudo, non possono semplicemente scomparire come se nulla fosse solo perché a qualche etruscologo non garbano - tanto più che gli Etruschi sapevano benissimo segmentare le parole. Nessuno avrebbe scritto θra: sce se il verbo fosse stato *θras-. Sostengo la traduzione "il latte succhia" o "il latte succhiava". Non è necessario supporre che l'iscrizione sia descrittiva: è ben possibile che in etrusco la locuzione "succhiare il latte" esprimesse in modo idiomatico il concetto di "essere adottato". Una possibilità ben concreta che a quanto pare non è saltata in mente a nessuno. Tra l'altro, su una pentola compare la parola isolata θre (Maggiani, Artigianato artistico in Etruria, pag. 115 n. 145), il che può costituire un interessante parallelismo. Guardando la scena mitologica sullo specchio volterrano, si noterà lo sguardo perplesso e arcigno di Giove, evidentemente geloso.

Non è tuttavia la semantica delle parole θra e sce il centro di questa trattazione, e nemmeno i turbolenti sentimenti di Giove, con rispetto parlando. Il termine che ci interessa di più in questa sede è sren, in genere tradotto con "figura" o "disegno". Ebbene, io sostengo che sren traduca alla perfezione il latino quadrum e il greco πίναξ e che significasse in origine "quadrato" o "quadro". Quindi passò a indicare anche la rappresentazione di una scena, uno slittamento semantico del tutto comprensibile. Anche se lo specchio di Volterra è rotondo, guardandolo sembra quasi che la scena con le figure divine sia stata pensata dall'artista come un quadrato inscritto nella forma circolare del manufatto. Notiamo ad esempio gli elementi architettonici che la delimitano sopra e sotto. 

La radice śren- compare anche le Liber Linteus nella locuzione ricorrente cletram śrenχve (variante śrencve). Forte della traduzione di sren come "figura", ecco che Pallottino tradusse cletram śrenχve con un improbabile "il carro adorno", dal momento che nelle Tavole Iguvine (scritte in umbro) vi era la parola kletra indicante un congegno per trasportare le offerte. All'epoca di Pallottino molti erano gli elementi incerti della morfologia etrusca, così fu creduto verosimile interpretare il suffisso -χve aggiunto a sren- come una terminazione aggettivale, mentre la -m di cletram era da alcuni interpretata come "accusativo fossilizzato". A nessuno è saltata agli occhi la discordanza! Ora sappiamo che -χva, -cva è un suffisso del plurale inanimato, e che -a finale non alterna arbitrariamente con -e: il suffisso -χve deve essere un locativo plurale derivato da un più antico -*χva-i (suffisso attestato in altri vocaboli). Facchetti fa un'analisi geniale di cletram śrenχve, concludendo giustamente che non vi è alcun carro adorno. Il termine cletram è un falso amico della parola umbra: è da analizzarsi come c-le-tram, con l'elemento -tram visto anche in c-n-tram. Se c-n è l'accusativo del pronome ca "questo, egli", c-le è il suo pertinentivo II, in buona sostanza un locativo del genitivo in -al. Così Facchetti traduce cletram śrenχve come "nelle aree all'esterno". Condivido appieno e aggiungo che si tratta di aree quadrate: "nei quadrati esterni". Per approfondimenti, si rimanda all'opera dello stesso studioso, Elementi di morfologia etrusca (Arcipelago Edizioni, 2002), consultabile su Scribd.

Nel testo del Cippo di Perugia compare śran-c, lemma che giustamente si ritiene il nome di un'unità di misura di area (-c è la comunissima congiunzione enclitica che vale "e", proprio come il latino -que). Anche in questo caso, il significato centrale di "area quadrata" è perfettamente pertinente. Anche nella Tabula Cortonensis compare śran, nelle linee 3-4 della faccia A, dove si legge tênθur . sa . śran . śarc . clθil . têrsna, traducibile come "quattro misure e dieci aree quadrate vicine a queste". Facchetti interpreta śran in modo abbastanza fumoso, come "in estensione".

Da dove verranno dunque queste parole, sren e śran? A parer mio si tratta di antichi composti che incorporano il numerale śa "quattro", la cui traduzione letterale deve essere "quattro angoli", "quattro punte" o "quattro lati". Proprio come in tedesco, in cui Viereck significa "quadrato" e "quadrilatero". La differenza delle sibilanti è in questo caso apparente: anche se nel contesto del Liber Linteus s indica il suono palatale e ś il suono laminale, mentre in altre iscrizioni avviene l'inverso, śrenχve potrebbe avere in realtà una š palatale iniziale. Facchetti trascrive le s dell'iscrizione di Volterra come š, ottenendo eca: šren: tva: iχnac: hercle: unial: clan: θrašce. È ben possibile che le due sibilanti non fossero ben distinte dallo scriba e che un nesso sibilante + rotica fosse di realizzazione abbastanza incerta. L'ortografia della Tabula Cortonensis sembra seguire il Liber Linteus nel modo di rappresentare le sibilanti, e Facchetti trascrive tênθur . sa . śran . śarc . clθil . têrsna come tênθur . ša . sran . sarc . clθil . têršna.

Queste sono le protoforme ricostruite: 

śran < *ŚA-RANA
sren
< *ŚA-RANI
śrenχve < *ŚA-RANI-ΧVA-I


Sono convinto che un giorno tutti questi dettagli saranno chiariti meglio. In ogni caso credo che quanto esposto costituisca un potente argomento linguistico in più in favore dell'identificazione del numerale śa con "quattro" e non con "sei".

mercoledì 31 gennaio 2018

IL TRATTAMENTO DEI PRESTITI GRECI IN ETRUSCO

Durante il periodo ellenizzante centinaia di vocaboli e di nomi mitologici presi a prestito dal greco entrarono in etrusco, spesso mostrando incertezza nel modo di rendere i fonemi originali, in particolare le occlusive sorde (p, t, k), le occlusive sonore (b, d, g) e le aspirate (ph, th, kh). Troviamo aspirate etrusche in luogo di occlusive sorde o sonore del greco, oppure occlusive sorde etrusche in luogo delle occlusive sonore e aspirate del greco, e via discorrendo. Altri mutamenti fonetici caratteristici agiscono sulla liquida, sulla rotica e sulla nasale -n- in alcuni contesti: a volte si ha etrusco -r- in luogo di greco -l- o viceversa (es. Umaile "Omero"); i nessi consonantici greci kn- e gn- tendono a svilupparsi nell'etrusco cr- (es. lat. grōma "strumento per misurare i terreni" < etr *cruma < gr. γνώμων); il greco -mn- tende in modo analogo a svilupparsi nell'etrusco -mr- (es. Memrun "Memnone"). Spesso e volentieri le labiali p e ph si dileguano in sillaba finale o media (es. Cuclu "Ciclope"). In molti casi la vocale y greca è adottata come u, perché così suonava all'epoca dei prestiti in questione; tuttavia non mancano casi in cui è invece rappresentata da i. Si tratta di parole entrate in etrusco in epoca più recente o da dialetti più evolutivi. Talvolta una singola parola mostra due o più varianti in un modo che non si ritrova negli elementi nativi, per il semplice quanto naturale fatto che le diverse forme sono entrate in etrusco in epoche differenti. Queste anomalie potrebbero anche essere state causate da una diversa pronuncia dei suoni nelle due lingue, ad esempio le occlusive aspirate in greco molto probabilmente non corrispondevano bene ai suoni trascritti con φ θ χ in etrusco, che forse si erano già evolute in consonanti affricate. Questo fenomeno ha un singolare parallelo nell'incertezza mostrata in greco nel rendere gli elementi presi a prestito dal  sostrato pre-ellenico. Per fornire la miglior conoscenza di questi fenomeni, trattiamo in questa sede innanzitutto gli elementi relativi all'onomastica e alla mitologia. Pochi di questi nomi sono stati conservati in latino, per quanto in una forma molto alterata. Tra questi ci sono Herculēs (etr. Hercle), Aesculāpius (etr. Esplace, con metatesi), Ulixēs (etr. Uθusθe e varianti), Proserpina (etr. Φersipnei), Pollūx (etr. Pultuce) e Catamītus "Ganimede" (etr. Catmite). A partire dal III secolo a.C. ci fu un rinnovamento massiccio della lingua latina, dovuto anche a un'influenza diretta di masse di parlanti ellenofoni. Nel tardo periodo repubblicano fu importato nella lingua dotta un numero enorme di parole la cui fonetica non subiva grandi adattamenti ed era molto simile a quella originale greca. Questo processo fece sbiadire sempre più l'eredità etrusca. In altre parole, Roma fu ellenizzata in un periodo diverso rispetto all'Etruria e in modo diverso, in molti casi quasi senza alcuna reale assimilazione degli elementi importati. Infine si nota che la profonda contaminazione linguistica tra il lessico etrusco e quello greco non interessò altri popoli di lingua tirrenica come le genti della Rezia e i Camuni. Nella lingua retica, che preservò molte caratteristiche arcaice e materiale lessicale perduto in etrusco, dovettero esserci soltanto pochi prestiti dalla lingua ellenica.

Nel seguito diamo un elenco di antroponimi, teonimi e altri nomi mitologici penetrati in etrusco dal greco, la cui origine può essere tracciata con sicurezza. L'ordine dei lemmi è quello dell'alfabeto etrusco.

Aθrpa "Atropo" < Ἄτροπος
Aivas, Eivas, Evas "Aiace" < Αἴϝας
Aita, Aiθa, Eita "Ade" < ᾍδης
Alcstei, Alcsti "Alcesti" < Ἄλκηστις
Aleχsantre, Elcsntre "Alessandro" < Ὰλέξανδρος

Al
θaia
"Altea" < Ἀλθαία
Alχumena "Alcmena" < Ἀλκμήνη
Amuce, Amuχe "Amico" < Ἄμυκος
Antiluχe, Antilχe "Antiloco" < Ἀντίλοχος
Anχas "Anchise" < Ἀγχίσης
Aplu, Apulu "Apollo" < Ἀπόλλων
Ariaθa, Areaθa, Araθa "Arianna" < Ἀριάδνη
Aritimi, Artumes "Artemide" < Ἄρτεμις
Arχaze "Arcadio" < Ἀρκάδιος
Arχas "Arcade" < Ἀρκάς
Ataiun "Atteone" < Ἀκταίων
Atalanta, Atlenta, Atlnta "Atalanta" < Ἀταλάντη
Atmite "Admeto" < Ἄδμητος
Atre "Atreo" < Ἀτρεύς
Atunis "Adone" < Άδωνις
Aturmuca "Andromaca" < Ἀνδρομάχη
Aχlae "Acheloo" < Ἂχελῷoς
Aχle, Aχile "Achille" < Ἀχιλλεύς
Aχmemrun "Agamennone" < Ἀγαμέμνων
Aχrum "Acheronte" < Ἂχέρων
Calaina "Galena"(1) < Γαλήνη 

Calanice "Callinico" < Καλλίνικος
Capne
"Capaneo" < Καπανεύς
Caśntra, Caśtra "Cassandra" < Κασσάνδρα
Castur "Castore" < Κάστωρ
Catmite, Catmiθe "Ganimede" < Γανυμήδης
Cerca "Circe" < Κίρκη
Clepatra "Cleopatra" < Κλεοπάτρα
Cluθumusθa, Clutmsta "Clitemnestra"
      < Κλυταιμνήστρα
Crise "Crise" < Χρύσης
Crisiθa "Criseide" < Χρυσηΐς
Cruisie "Creso" < Κροῖσος
Cuclu "Ciclope" < Κύκλωψ
Curca "Gorga" < Γόργη
Ecapa "Ecuba" < Ἑκάβη
Ectur, Eχtur "Ettore" < Ἕκτωρ
Evantre "Evandro" < Εὔανδρος
Evrφia "Eumorfia" < Εὐμορφία
Eina "Enea" < Αἰνείας

Elina, Elinai, Elinei
"Elena" < Ἑλένη
Enie
"Enio" < Ἐνυώ
Eris
"Eris" < Ἔρις
Ermania "Ermione" < Ἑρμιόνη
Erus "Eros" < Ἔρως
Etule "Etolo" < Αἰτωλός
Euru "Europa" < Εὐρώπη
Eutucle, Euθucle "Eteocle" < Ἐτεοκλῆς
Euturpa "Euterpe" < Εὐτέρπη
Velparum "Elpenore" < ᾿Ελπήνωρ (arc. F-)
Vicare "Icaro" < Ἴκαρος (arc. F-)
Vile, Vilae "Iolao" < Ίόλαος (arc. F-

Vile
"Oileo" < Ὀϊλεύς
Zerapiu, Zarapiu "Serapione" < Σεραπίων
Zetun "Zeto"(2) < Ζήθος
Ziumiθe, Ziumite, Zumuθe, Zimaite "Diomede"
      < Διομήδης
Θeθis, Θetis "Teti" < Θέτις
Θese "Teseo" < Θησεύς
Hamφiare, Amφiare, Amφare "Anfiarao"
      < Ἀμφιάραος
Heiasun, Heasun, Easun "Giasone" < Ιάσων
Hercle, Herχle "Ercole" < Ἡρακλῆς
Herclite, Ferclite "Eraclide" < Ἡρακλείδης
Iliθii-al (gen.) "Ilizia" < Εἰλείθυια

Iśminθians
"Istmiade" < Ἰsθμιάδης
Itas "Ida" < Ἴδας
Ite "Ideo" < Ἰδαῖος

Iχśiun
"Issione" < ᾿Ιξίων
Lamtun "Laomedonte" < Λαομέδων
Latva "Leda" < Λήδα
Letun "Latona" < Λητώ
Licantre "Licandro" < Λύκανδρος
Luvcatru "Leucandro" < Λεύκανδρος
Lunχe, Lunχ, Lunc, "Linceo" < Λυγκεύς
Marmis "Marpessa" < Μάρπησσα
Melerpante "Bellerofonte" < Βελλεροφῶν,
     Βελλεροφόντης

Meliacr, Melacre "Meleagro" < Μελέαγρος
Memrun, Mempru "Memnone" < Μέμνων
Menle "Menelao" < Μενέλαος
Metva, Matva, Metaia "Medea" < Μήδεια
Metus "Medusa"(3) < Μέδουσα
Mine "Minosse"(4) < Μίνως
Navli "Nauplio" < Ναύπλιος
Nevtlane "Neottolemo" < Νεοπτόλεμος
Nele "Neleo" < Νηλεύς
Nestur "Nestore" < Νέστωρ
Nicipur "Niceforo" < Νικηφόρος
Pacste, Pecse "Pegaso" < Πήγασος
Palmiθe, Talmiθe "Palamede" < Παλαμήδης
Partinipe, Parθanapaes "Partenopeo"
     < Παρθενοπαίος
Patrucle "Patroclo" < Πάτροκλος
Paχa "Bacco" < Βάκκχος
Pele, Peleis "Peleo" < Πηλεύς
Pemφetru "Penfredo"(5) < Πεμφρηδώ
Penlpa, Pelpa "Penelope" < Πηνελόπεια
Pentasila "Pentesilea" < Πενθεσίλεια
Perse, Φerse, Φerśe "Perseo" < Περσεύς
Prisis "Briseide" < Βρισηΐς
Priumne "Priamo" < Πρίαμος
Prumaθe "Prometeo" < Προμηθεύς
Pulunice, Pulnice, Φulnice "Polinice" < Πολυνείκης
Pulutuice, Pultuce, Φiltuce "Polluce" < Πολυδεύκης
Śminθe "Sminteo" < Σμινθεύς
Raθmntr "Radamanto" < Ῥαδάμανθυς
Rutapis "Rodopi" < Ῥοδῶπις
Sature "Satiro" < Σάτυρος
Semla "Semele" < Σεμέλη
Sime, nome di un satiro < Σῖμος "Naso Piatto"
Sispe, Sisφe "Sisifo" < Σίσυφος
Stenule "Stenelo" < Σθένελος

Taitle
"Dedalo" < Δαίδαλος
Telmun, Talmun, Tlamun "Telamone" < Τελαμών
Telφe, Tele "Telefo" < Τήλεφος
Terasia, Teriasa "Tiresia" < Τειρεσίας
Tinθun, Tiθun "Titone" < Τιθωνός
Tinusi "Dionisio" < Διονύσιος
Tlamunus "Telamonio" < Τελαμώνιος
Truia "Troia" < Τροία
Truile "Troilo" < Τρωίλος
Truφun "Trofonio" < Τροφώνιος
Tuntle "Tindaro" < Τυνδάρεος
Tute "Tideo" < Τυδεύς
Uθusθe, Uθuze, Utusθe, Uθste "Ulisse"
     < Ὀδυσσεύς
Umaile, Umaele "Omero" < Ὅμηρος
Urusθe, Urste "Oreste" < Ὀρέστης
Urφe "Orfeo" < Ὀρφεύς

Uprium
"Iperione" < Ὑπερίων
Φaun, Φamn, Faun "Faone"(6) < Φάων
Φersiculu "Persepolis" < Περσέπτολις
Φersipnai, Φersipnei "Persefone" < Περσεφόνη
Φuinis "Fenice" < Φοῖνιξ
Φuipa "Febe" < Φοίβη
ΦulΦsna "Polissena" < Πολυξένη
Φurce "Forca" < Φόρκος
Χalχas
"Calcante" < Κάλχας
Χarun, Χaru "Caronte" < Χάρων 

(1) Nome di una nereide, indica la calma dei venti.
(2) La forma etrusca continua l'accusativo della forma greca, che esce in -on.
(3) Il nome è passato in latino come metus "paura", con -s interpretato come nominativo sigmatico (deglutizione).
(4) Attestato anche in Θevrumines "Minotauro", ossia Θevru Mines "Toro di Minosse", calco del greco Μινώταυρος.
(5) Nome di una graia, deriva dal greco πεμφρηδών "calabrone".
(6) Un caso inconsueto di alternanza tra φ e f, che testimonia la presenza di una fricativa.

Alcuni nomi mitologici non si trovano come tali in greco, ma la loro origine è ugualmente chiara. Notevoli sono i nomi di satiri  Aulunθe < αὐλητής "suonatore di flauto" e Puanea < πύανος "fava" (con allusione al suo fallo colossale).

In alcuni casi una figura della mitologia greca si sovrapponeva a una nativa, dando origine a complesse ibridazioni. Così il nome della città di Mantova, attestato come Manθva- grazie al gentilizio Manθvate "Mantovano", deriva dal nome di una dea infera, parallelo a quello di Manto, figlia di Tiresia (gr. Μαντώ). L'etimo del nome pre-ellenico era infatti chiaro agli Etruschi, dato che man significa "ricordo" (donde "spettro"); manim traduce il latino monumentum e soprattutto il greco μνημοσύνη "tomba"; "memoria" (cfr. Facchetti).

Tra i nomi comuni ci sono non pochi lemmi vascolari o relativi alla tecnologia, a beni di consumo e via discorrendo. Riportiamo una lista di termini attestati nelle iscrizioni:

apcar "abacario" < ἄβαξ "abaco"
aśka "tipo di vaso" < ἀσκός "otre"
culiχna, culχna, χuliχna "coppa"(i) < κυλίχνη
cutun, qutum "vaso potorio" < κώθων
elaiva- "olio"(ii) < ἔλαιFον (arc.)
vinum "vino"(iii) < οἶνος (arc. F-)
larnaś "contenitore" < λάρναξ
"scatola"
leθe "servo pubblico" < ληιτός(iv)
leu, lev "leone" < λέων
leχtum "vaso da olio" < λήκυθος
naplan "vaso da vino" < νάβλα(v)
pruχum "brocca" < πρόχοος
patna "piatto, scodella" < πατάνη
putere "bicchiere" < ποτήριον
ulpaia "vaso da olio"(vi) < ὄλπη

(i) Passato in latino come culigna.
(ii) Attestato nella forma aggettivale elaivana "olio".
(iii) Il latino e altre lingue italiche devono aver preso vinum dall'etrusco, assimilando il suffisso a un neutro (deglutizione). Questo spiegherebbe il vocalismo anomalo della parola, in cui la -i- lunga non può provenire direttamente dal dittongo -oi- del greco. L'origine ultima è semitica.
(iv)
La forma greca è glossata δημόσιος "pubblico" (Esichio; cfr. Morandi). La forma etrusca è passata in latino come laetus "servus publicus", a torto ritenuto di origine germanica, con buona pace del Benelli e di altri, che tentano di abolire il lemma. 
(v) L'origine ultima è fenicia o punica.
(vi) Il Benelli ha tentato di espungere questo vocabolo affermando che sarebbe una chimera nata dalla fusione di due diverse epigrafi. Non è stato tuttavia in grado di fornire prove convincenti della sua affermazione.

Moltissimi altri prestiti possono essere identificati con certezza in latino, perché mostrano caratteristiche fonetiche tipiche dell'etrusco e incompatibili con un passaggio diretto dal greco. Avremo modo di trattarli in modo approfondito in altra sede. 

Spero che basti questo mio sintetico trattatello per dileguare le sciocchezze invereconde di coloro che intendono utilizzare i prestiti greci in etrusco per dimostrare la l'origine etrusca della gorgia toscana. Basterà osservare con attenzione le corrispondenze sopra elencate per constatare l'inconsistenza delle tesi dei nostri avversari. La distribuzione dei suoni in etrusco segue schemi complessi, del tutto incompatibili con la fonetica dei vernacoli toscani. Se un sostrato etrusco avesse agito sul latino volgare influenzandone in modo profondo la pronuncia, avrebbe innanzitutto fissato l'accento sulla prima sillaba delle parole, portando all'oscuramento, all'indebolimento e alla perdita delle sillabe mediane. Avrebbe anche causato la perdita di molte vocali finali, dando origine a qualcosa di estremamente diverso dalla lingua italiana in qualsiasi sua forma.

domenica 28 gennaio 2018


STAR WARS: GLI ULTIMI JEDI

Titolo originale: Star Wars: The Last Jedi
Lingua originale:
Inglese
Paese di produzione:
Stati Uniti d'America
Anno: 2017
Durata: 152 min
Rapporto: 2,39:1
Genere: Fantascienza, azione, avventura
Regia: Rian Johnson
Sceneggiatura: Rian Johnson
Produttore: Kathleen Kennedy, Ram Bergman
Produttore esecutivo: J. J. Abrams, Jason McGatlin,
    Tom Karnowski
Casa di produzione: Lucasfilm
Distribuzione (Italia): Walt Disney Studios Motion
    Pictures
Fotografia:
Steve Yedlin
Montaggio: Bob Ducsay
Effetti speciali: Chris Corbould
Musiche:
John Williams
Scenografia: Rick Heinrichs
Costumi: Michael Kaplan
Trucco: Peter Swords King
Interpreti e personaggi   
    Mark Hamill: Luke Skywalker
    Carrie Fisher: Leia Organa
    Adam Driver: Kylo Ren
    Daisy Ridley: Rey
    John Boyega: Finn
    Oscar Isaac: Poe Dameron
    Lupita Nyong'o: Maz Kanata
    Andy Serkis: Leader Supremo Snoke
    Domhnall Gleeson: Generale Hux
    Anthony Daniels: C-3PO
    Gwendoline Christie: Capitano Phasma
    Kelly Marie Tran: Rose
    Laura Dern: Amilyn Holdo
    Benicio del Toro: DJ
Doppiatori originali
    Frank Oz: Yoda
Doppiatori italiani   
    Francesco Prando: Luke Skywalker
    Ottavia Piccolo: Leia Organa
    David Chevalier: Kylo Ren
    Benedetta Degli Innocenti: Rey
    Luca Mannocci: Finn
    Gabriele Sabatini: Poe Dameron
    Chiara Gioncardi: Maz Kanata
    Massimo Corvo: Leader Supremo Snoke
    Simone D'Andrea: Generale Hux
    Mino Caprio: C-3PO
    Stella Gasparri: Capitano Phasma
    Veronica Puccio: Rose
    Gabriella Borri: Amilyn Holdo
    Adriano Giannini: DJ
    Ambrogio Colombo: Yoda
Budget: 200 milioni di $
Incassi al botteghino: 1.323 milioni di $

Trama:

Il Primo Ordine, successore dell'Impero, ha localizzato la Resistenza sul pianeta verdeggiante D'Qar. L'unica possibilità per i Ribelli è quella di compiere per tempo il balzo nell'iperspazio. Il pilota Poe Dameron decide di disobbedire all'ordine di ritirarsi e si getta all'attacco, riuscendo a distruggere un incrociatore stellare. Questa azione temeraria comporta però l'annientamento di tutti i bombardieri della Resistenza. Dameron rientra, ma appena concluso il passaggio all'iperspazio viene degradato dal generale Leia Organa. Il sinistro Kylo Ren ha un'esitazione e non fa fuoco sulla nave ammiraglia della Resistenza, percependo la presenza della madre. Tuttavia i suoi caccia TIE devastano il ponte dell'ammiraglia, eiettando Leia nello spazio. Anche se sopravvive grazie a un improbabile salvataggio, Leia non è più in grado di svolgere i suoi compiti, così il comando passa ad Amilyn Holdo, una donna che riesce antipatica a Dameron per i suoi modi passivi. Così il turbolento giovane fa imbarcare in segreto il mandingo Finn, l'ammasso di ferraglia BB-8 e l'addetta alle tubazioni Rose Tico su una navetta, con la missione di disabilitare il sistema di tracciamento usato dal Primo Ordine. Nel frattempo, sull'impervio pianeta Ahch-To, l'impavida Rey consegna a Luke Skywalker la sua spada laser, ma questi getta l'arma in una scarpata, affermando di non voler più aver nulla a che fare con la guerra. Non è disposto a insegnare alla ragazza. Si comporta come uno stronzo fatto e finito, trattandola male e restando impassibile alla notizia della morte di Han Solo, trafitto dalla spada laser del figlio rinnegato Kylo Ren. Aggiunge poi di voler estinguere la religione Jedi. Soltanto l'intervento del barattolo di latta R2-D2 con i suoi fastidiosi pigolii riesce a condurre Luke a più miti consigli. Intanto Kylo Ren comunica con Rey usando la Forza: le appare in forma fantasmatica e le narra fatti molto interessanti. Anni prima, Luke aveva scorto in lui il Lato Scuro e a un certo punto aveva tentato di ucciderlo a tradimento. Per questo Kylo Ren aveva distrutto per vendetta il Tempio Jedi edificato da Luke. Tutti i discepoli sono stati corrotti o uccisi. Presa da un sogno romantico, Rey si convince che il figlio di Han Solo e di Leia possa essere salvato, così parte per affrontarlo da sola. Luke, preso dall'euforia, forse per aver ingerito una frittura di psilocybe, decide di bruciare i testi sacri dei Jedi. Tuttavia esita. Gli appare Yogurt... pardon, Yoda, sotto forma di fantasma: è proprio lui a far cadere un fulmine e a provocare la combustione delle reliquie. Quindi il piccoletto rugoso mette Luke di fronte ai propri fallimenti, sperando che possa imparare qualcosa. La situazione per la Resistenza precipita. Amilyn Holdo decide di evacuare quanto resta delle sue forze usando le navette. Poe Dameron la ritiene codarda, così insorge e inizia un ammutinamento. Finn, BB-8 e Rose viaggiano fino al pianeta Cantonica, la cui capitale è un gigantesco casinò. Dopo mille peripezie riescono a trovare un hacker, certo DJ, e a penetrare nella nave di Snoke. Il loro piano tuttavia fallisce: DJ si rivela prontissimo al tradimento e li consegna al nemico. Rey giunge sulla stessa nave per incontrare Kylo Ren, che la porta al cospetto del Leader Supremo Snoke, che non è un gigante e neppure un nano. È poco più alto di un umano medio, vecchio, deformato e sfigurato da orride cicatrici. A questo punto accade un imprevisto: in un mitico combattimento, Rey con la spada laser trancia Snoke in due come un salsicciotto. Kylo Ren è il nuovo Leader Supremo. Rey, che è segretamente innamorata di lui, lo crede tornato al Lato Luminoso della Forza, ma è un inganno. Kylo, più oscuro che mai, le propone di dominare assieme a lui la Galassia. Come Rey si rifiuta, ne nasce un duello in cui la spada di Luke si spezza in due. Amilyn Holdo, creduta a torto vigliacca, si sacrifica lanciando la nave ammiraglia contro la flotta imperiale a velocità della luce. La Resistenza completa l'evacuazione e trova il suo estremo rifugio su Crait, un mondo glaciale, dove subito inizia l'assedio. A questo punto appare Luke come proiezione della Forza e combatte contro Kylo Ren, permettendo a Leia e agli altri, Rey, Finn, BB-8, Poe, Chewbacca, che nel frattempo si sono riuniti, di fuggire a bordo del Millennium Falcon. Concluso il suo compito, Luke muore in pace su Ahch-To, svanendo e lasciando soltanto la sua cappa vuota. Kylo Ren si ritrova con un pugno di mosche e dentro di sé sacramenta, mentre i libri sacri dei Jedi compaiono magicamente sul Falcon.

Recensione:

Senza dubbio questo film è molto meglio di quella porcata immonda di Star Wars: Il risveglio della Forza. Va detto che ci vuole anche poco. Non ho particolarmente apprezzato la vista di Carrie Fisher decrepita e gonfia, mi ha fatto una gran pena, ma almeno non hanno pensato di riesumare il cadavere di Harrison Ford e di servirsi delle arti del dottor Frankenstein: la provvidenziale uccisione di Han Solo ad opera di Kylo Ren a quanto pare è stata ritenuta definitiva. Mark Hamill riesce ancora a reggere, non sembra in procinto di sfaldarsi, anche se è visibilmente ingrassato - tanto l'ascetismo dei Jedi è in larga misura soltanto una finzione. Quando si decideranno a lasciare in pace gli anziani, i decrepiti e i morenti? Presto arriveremo al punto che gli attori e le attrici dovranno farsi cremare prontamente per evitare l'attribuzione di parti post mortem!  


Un cosmo con leggi fisiche peculiari

Relatività di Einstein: questa sconosciuta. I Jedi e i Sith comunicano a distanza proiettando un simulacro immateriale del loro corpo, una specie di spettro che tuttavia è in grado di interagire con gli enti fisici. Quando fanno questo, è come se aprissero una discontinuità nello spaziotempo, una specie di wormhole attraversabile. Le loro comunicazioni sono simultanee in qualsiasi sistema di riferimento, indipendentemente dalla distanza tra il corpo che proietta e il suo fantasma proiettato. Così vediamo Kylo Ren far visita a Rey sul remotissimo pianeta nuragico Ahch-To, mirando a sedurla, mentre Luke si serve dello stesso mezzo per combattere a fianco della Resistenza su un mondo glaciale. Finalmente abbiamo una buona definizione della Forza. È proprio la spaventosa azione a distanza tanto temuta dal Fisico di Ulm! Altra grande differenza tra il nostro universo e quello di Star Wars è la propagazione del suono, che avviene anche nel vuoto. Certe dimostrazioni sono tanto grottesche da far scoppiare a ridere, come quando la non più giovane principessa Leia viene sbalzata dalla sua astronave squarciata e riesce a sopravvivere al vuoto cosmico, riuscendo a raggiungere con la sua sola volontà un luogo sicuro!

I poteri della Forza e le loro conseguenze

Pensiamo un attimo a cosa accadrebbe se i ministri di una religione potessero avere a disposizione le straordinarie capacità mostrate nella saga di Guerre Stellari. Sarebbero i custodi della giustizia e dell'ordine? No. Diventerebbero i più spaventosi tiranni concepibili dalla mente di un mortale. Solo per fare un esempio, cosa avrebbe fatto la Chiesa di Roma se i suoi inquisitori avessero avuto i poteri dei Jedi? Non oso pensarci. Conoscere la natura umana ci porta a conclusioni non proprio ottimiste. Possiamo dire questo per certo: già il primo dei Cavalieri Jedi sarebbe diventato un Sith, in brevissimo volgere di tempo. Oppure sarebbe diventato qualcosa di diverso da un Sith, ma comunque funesto. Forse dovremmo supporre che la natura umana nell'universo ideato da Lucas sia migliore di quella che possiamo riscontrare sulla Terra? Direi proprio di no, anzi, è semmai ancor più corrotta e maligna. Quindi dobbiamo pensare che l'intero Tempio Jedi sia un'organizzazone malvagia ab origine, pur contrastando i Sith, in quanto fondata in toto sulla brama di potere e sull'ipocrisia. E non sono forse queste le conclusioni a cui lo stesso Luke Skywalker giunge? I Jedi si devono estinguere perché sono ipocriti. Sono i Farisei della Galassia, che non meritano una seconda chance. A tal punto arriva Luke nel suo desiderio di far scomparire la propria religione, da procedere a bruciare i testi sacri custoditi in una grotta. Queste conclusioni desolanti i fan non le hanno perdonate, e a motivo di ciò tumultuano in continuazione, lanciando urla isteriche.


Carburante iperspaziale? 

Un'inconsistenza che stride è senz'altro l'allusione all'uso di un carburante per compiere il balzo nell'iperspazio. Anche se abbiamo compreso che l'universo di Lucas ha leggi fisiche particolari, questa trovata è davvero eccessiva. Sarebbe come pensare di poter indurre reazioni di fissione nucleare bruciando benzina! Un'assurdità anche brutta, disarmonica e soprattutto non necessaria. Non bastava alludere ai "motivatori" come nei vecchi film? No, perché qualcuno ha voluto strafare, scendendo nei dettagli della tecnologia iperspaziale senza avere una benché minima nozione di logica elementare. Questa baggianata del carburante iperspaziale è più consona a Balle Spaziali, la celebre parodia dell'ashkenazita Mel Brooks, i cui protagonisti respiravano giulivamente nello spazio ed erano addirittura soggetti alla forza peso. Per inciso, la scena in cui Snoke deride Kylo Ren per via della maschera che indossa si ispira di certo alle umiliazioni inflitte dal Presidente degli Spaceballs a Lord Casco Nero. Che altro dire? Attendiamo con ansia che siano introdotti nella Saga i Puffi e Gargamella! 


Un pianeta circumbinario 

Proprio sul finire della pellicola, ci si rende conto che nel cielo di Ahch-To splendono due enormi soli, a parte le dimensioni simili a quello della Terra. E' un pianeta che ruota intorno a una stella doppia stretta, proprio come Tatooine. Con ogni probabilità ognuno dei due soli ha una luminosità minore rispetto al nostro, cosicché insieme riescono a dare la giusta quantità di energia al pianeta vitale che orbita loro intorno. Rispetto al torrido e desertico Tatooine, Ahch-To è umido, dotato di oceani e ricchissimo di vegetazione. La sua fauna è davvero bizzarra. I Porg sono una specie infestante. Ritenuti simili al pulcinella di mare e senza dubbio ovipari, sembrano in realtà più mammiferi. Se hanno ali e zampe di pinguini, è altrettanto vero che hanno il tipico musetto dei gatti. Forse sono strani monotremi, come gli ornitorinchi e le echidne, con caratteristiche di uccelli e di mammiferi. Hanno i colori dei pettirossi, anche se disposti in modo diverso. Il loro sguardo ha qualcosa di ipnotico e i loro occhioni attirano un'immensa empatia. Chewbacca, che ne aveva arrostito uno e stava per mangiarselo, desiste come incrocia lo sguardo implorante di altri Porg. Forse per rimediare alla propria iniquità, consente loro di colonizzare il Millennium Falcon. In un'intervista Mark Hamill ha affermato che Luke non mangiava queste creature perché era vegetariano. Tuttavia questa sua affermazione sembra contraddirsi da sé, dal momento che vediamo Luke arpionare un pesce. L'ultimo Jedi non era di certo un vegano, visto che masturbava le poppe della femmina d'un lamantino gigante proboscidato, ottenendone fiotti di latte subito raccolti in una bottiglia per la colazione. Finalmente vediamo gli abitanti indigeni del pianeta, che non sono affetto estinti come ho creduto prima di vedere il film. Sembrano in tutto e per tutto rettili dalla testa grossa e ossuta. Hanno abiti monastici e Luke li descrive come custodi degli antichi edifici dei Jedi fin dall'inizio dell'Ordine.   


Kylo Ren e Rey: un incesto abortito

Il climax interruptus colpisce ancora! Quando Kylo Ren si trova di fronte a Rey, a un certo punto sembra proprio che stia per rivelarle un'informazione cruciale sulle sue origini. La scena ricorda a tal punto per tensione e natura quella in cui Darth Vader rivelava al giovane Luke di essere suo padre, che ci si aspettava proprio qualcosa di simile. Mi sembrava quasi che il bel tenebroso fosse lì lì per dire: "Tu sei la mia sorellastra". Invece le dice che i suoi genitori erano nullità e alcolizzati terminali, che l'avevano gettata via appena nata. La irride e la schernisce per questo. Lo vedete? Il climax è stato spezzato. Certo, si può pensare che il figlio degenere di Han Solo e di Leia abbia mentito allo scopo di ferire Rey, di tormentarla. Non sarebbe così improbabile: sappiamo bene che Han Solo non era uno stinco di santo. Perché no? Lasciamo volare l'immaginazione. All'epoca in cui lavorava per Jabba, Han era stato con una prostituta anoressica tenuta alla catena su un mondo desertico, un immondezzaio della Galassia. Ubriaco fradicio, l'aveva penetrata e le aveva eiaculato dentro, provocando il concepimento di una nuova vita dannata e prendendosi l'ennesima gonorrea. Potrebbe essere, ma la si prenda come una perversa fantasia che mi frulla per la testa. Certo avrebbe più senso di tante teorie assurde costruite dai fan a ogni piè sospinto. Vedremo un po' se il prossimo film della serie chiarirà un po' le cose o se davvero Rey è soltanto l'ennesima bambina esposta da una madre snaturata. Ormai tutto il Web fantastica su una storia d'amore tra Kylo Ren e Rey. Quello a cui segretamente il pubblico anela è proprio una storia incestuosa tra fratello e sorella. Non dobbiamo mai dimenticare che l'intero edificio composto dagli episodi di Star Wars è pervaso dall'incesto e dalla bestialità erotica. Molti discutono se Star Wars sia o meno fantascienza. In realtà è pornografia subliminale e pornografici sono i suoi frutti. 


Visiting the Wookiee!

Navigando nel Web, per serendipità sono venuto a conoscenza di un fatto davvero singolare. Una delle fantasie erotiche più diffuse tra le ragazze inglesi è praticare l'anilingus a Chewbacca! Proprio così: le inglesine stravedono per gli ani pelosi e si eccitano follemente pensando di leccarli e di infilarci dentro la lingua, sognando di farlo a un gigantesco wookie. In pratica Chewbacca è il terzo incomodo in ogni relazione! A tal punto è giunta la passione delle lubriche figlie di Albione, che hanno coniato una nuova espressione slang per indicare l'anilingus praticato dalla donna all'uomo: "visiting the Wookiee". Non sono ancora riuscito a trovare un'espressione tratta da Star Wars per indicare l'anilingus praticato dall'uomo alla donna, forse perché non ho cercato abbastanza. In ogni caso anche la May si è accorta del fenomeno e ha addirittura lanciato futili campagne per cercare di distogliere dal deretano la gioventù britannica. A quanto pare diverse nazioni di questo Occidente in sfacelo hanno le loro grottesche crociate anti-anali. Noi abbiamo la De Mari, loro hanno la May. Proprio non si vuole capire che l'intera esistenza biologica ha come centro la merda e lo sfintere che la depone! 


Risolto il mistero di Snoke

Parafrasando il dottor Ian Malcolm (Jurassic Park), dirò innanzitutto questo: "Come mi secca avere sempre ragione". Finalmente giungono prove certe sulla natura del Leader Supremo del Primo Ordine. Snoke è semplicemente... Snoke. Proprio come andavo sostenendo fin dalla sua prima comparsa. Non soltanto: Snoke affettato come un würstel viennese si rivela come privo di qualsiasi importanza, altrimenti non sarebbe uscito di scena in un modo tanto infame. Adesso ce l'hanno nel deretano tutti quei babbei che strepitavano, cianciando che Snoke fosse lo stesso Kylo Ren proiettato nel futuro e poi nel passato con una macchina del tempo, oppure l'Imperatore Palpatine reincarnato in un nuovo corpo. Tutti quei dementi devono tacere! La ritengo una bella rivincita, piacevole come un bicchiere di moscato. Anche se è una cosa difficile a credersi, esistono i complottisti di Star Wars, nullità che consumano le loro inutili esistenze elaborando le teorie più assurde sui personaggi dei film della Saga. Trascorrono notti insonni a inventarsi colossali stronzate. Direi che è abbastanza facile zittirli: basta saper attendere. Purtroppo non è altrettanto agevole trattare i complottisti che riversano le loro aberrazioni nel mondo reale, causando danni immensi, ad esempio facendo morire malati di cancro trattandoli col bicarbonato. 

giovedì 25 gennaio 2018


BLADE RUNNER 2049 

Anno: 2017
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Regia: Denis Villeneuve
Durata: 163 min
Rapporto: 2,35:1
Genere: Fantascienza, noir, avventura, azione,
    drammatico, thriller
Soggetto:
Philip K. Dick (personaggi); Hampton
    Fancher (storia)
Sceneggiatura:
Hampton Fancher, Michael Green
Produttore: Cynthia S. Yorkin, Bud Yorkin,
     Broderick Johnson, Andrew A. Kosove
Produttore esecutivo: Ridley Scott, Tim Gamble,
     Frank Giustra, Yale Badick, Bill Carraro, Val Hill
Casa di produzione: Alcon Entertainment,
     Thunderbird Entertainment, Scott Free
     Productions
Distribuzione (Italia): Warner Bros. Pictures
Fotografia: Roger Deakins
Montaggio: Joe Walker
Musiche: Hans Zimmer, Benjamin Wallfisch
Scenografia: Dennis Gassner
Interpreti e personaggi   
    Ryan Gosling: Agente K
    Harrison Ford: Rick Deckard
    Ana de Armas: Joi
    Sylvia Hoeks: Luv
    Jared Leto: Niander Wallace
    Robin Wright: Tenente Joshi
    Mackenzie Davis: Mariette
    Carla Juri: Ana Stelline
    Lennie James: Mister Cotton
    Dave Bautista: Sapper Morton
    Barkhad Abdi: Doc Badger
    David Dastmalchian: Coco
    Hiam Abbass: Freysa
    Wood Harris: Nandez
    Edward James Olmos: Gaff
    Sean Young: Rachel
Doppiatori italiani   
    Gianfranco Miranda: Agente K
    Michele Gammino: Rick Deckard
    Joy Saltarelli: Joi
    Alessia Amendola: Luv
    Emiliano Coltorti: Niander Wallace
    Laura Boccanera: Tenente Joshi
    Domitilla D'Amico: Mariette
    Elena Perino: Ana Stelline
    Loris Loddi: Mister Cotton
    Simone Mori: Sapper Morton
    Ludovica Modugno: Freysa
    Alberto Bognanni: Nandez
    Ennio Coltorti: Gaff
Budget: 150-185 milioni di $.
Incassi al botteghino: 259,2 milioni di $.

Trama:

Nel 2049 - anno più vicino a noi di quanto si possa pensare - i replicanti sono schiavi. Soltanto in pochi sono adibiti a mansioni migliori. Uno di loro, K., lavora per il Dipartimento di Polizia di Los Angeles (LAPD) come Blade Runner, con l'incarico di "ritirare", ossia di terminare, i replicanti vagabondi. In una fabbrica di proteine fecali, K. "ritira" un replicante di nome Sapper Morton e scopre una scatola sepolta sotto un albero. In tale scatola ci sono i resti di una replicante morta di parto cesareo nel dare alla luce un figlio. Questo dimostra una cosa sconvolgente: anche i replicanti possono dare la vita tramite l'atto sessuale - cosa che fino ad allora era sempre stata giudicata impossibile. Il superiore di K., il Luogotenente Joshi, come viene a sapere della scoperta, si sente invadere dal terrore: se i replicanti possono procreare, sarà difficile evitare che insorgano in armi e inizino una guerra, cosa che potrebbe anche portare alla sostituzione del genere umano. Per questo motivo Joshi ordina a K. di rintracciare il figlio della replicante deceduta di parto e di "ritirarlo": è prioritario che nessuno venga mai a sapere di queste cose. K. giunge al quartier generale della Wallace Corporation, succeduta alla famosa Tyrell Corporation, dove la replicante deceduta viene identificata come Rachel. K. apprende anche della relazione di Rachel con il Blade Runner Rick Deckard. Il CEO della Wallace Corporation, Niander Wallace, comprende la potenzialità dei replicanti fecondi nella colonizzazione interstellare, così manda la sua tirapiedi, la replicante Luv, a sottrarre i resti di Rachel e a seguire K. nella sua ricerca. Tornato alla fattoria dell'estinto Morton, K. nota la data 6-10-21 incisa sul tronco dell'albero e ha un flash: tramite quella data recupera la memoria di un giocattolo, un cavallo di legno. La compagna olografica di K., Joi, partendo dal fatto che le memorie dei replicanti sono artificiali, giunge alla conclusione che egli è nato tramite riproduzione sessuale. Procreato, non creato. Il replicante brucia la fattoria, quindi cerca affannosamente negli archivi del Dipartimento, e alla fine trova informazioni su una coppia di gemelli, un maschio e una femmina distinguibili soltanto per il diverso cromosoma sessuale. Stando ai documenti, soltanto il ragazzo sarebbe sopravvissuto. K. riesce a risalire all'orfanotrofio, a riconoscere il luogo e a trovare il giocattolo proprio dove ricordava di averlo lasciato. Giunto dalla dottoressa Ana Stelline, disegnatrice di memorie di replicanti, il Blade Runner riceve la conferma del fatto che i suoi ricordi dell'orfanotrofio sono reali, così giunge alla conclusione di essere proprio il figlio di Rachel. Rientrando al Dipartimento, fallisce un test post-traumatico e solo a fatica riesce a parlare al suo superiore. Mente a Joshi, affermando di aver "ritirato" il replicante bambino nato da copula. Gli viene detto di fuggire entro 48 ore, così si dirige verso le rovine di Las Vegas. L'antica città è ridotta a un mucchio di macerie soffocate dalle sabbie rossicce di un deserto pseudomarziano. In mezzo a tanta desolazione, K. ritrova Deckard, un Harrison Ford ormai pronto per la tumulazione. Il vetusto ex cacciatore di androidi, che all'inizio si mostra molto ostile con il giovane, alla fine lo accoglie e gli rivela molte cose. Gli dice di essere realmente l'uomo che ha ingravidato Rachel e che per proteggere la sua creatura ha manomesso gli archivi, confondendo le acque. Gli eventi precipitano: la perfida Luv, dopo aver ucciso Joshi, raggiunge K. e Deckard, scatenando il finimondo. Gli eventi convulsi che seguono porteranno alla lesione dei protagonisti e all'emergere di una verità del tutto inattesa: il ricordo del cavallo di legno era stato davvero creato da Ana Stelline, che è la figlia di Deckard e di Rachel. K., terribilmente deluso, si accascerà moribondo sui gradini dell'edificio ciclopico in cui abita la creatrice di memorie artificiali, spirando nel nonsenso più totale, in mezzo alla neve, gli occhi vuoti rivolti al Cielo del Nulla. Un finale raffazzonato e precipitoso.


Recensione: 

Se devo essere sincero guardando la pellicola di Villeneuve sono rimasto un po' spiazzato. Se di certo sono eccellenti i paesaggi, le ambientazioni, le riprese, i colori, le musiche e via discorrendo, va detto che ho trovato la trama di questo film abbastanza discutibile e piena zeppa di inconsistenze. Per carità, non voglio togliere Cristo dalla croce a nessuno e rispetto i sentimenti di tutti, ma non posso tacere. Non posso neanche rinunciare a pensare con la mia testa. Intorno a Blade Runner 2049 si è sviluppata una vera e propria latria, un culto che ha connotati prettamente religiosi e non proprio tolleranti. Lo spettatore non è più nel campo della critica pura e semplice, di ciò che può piacere o può non piacere: non resiste alla tentazione di entrare nel periglioso territorio del pensiero magico-superstizioso e della voglia di scatenare linciaggi. Esistono infatti moltissimi fan (id est fanatici) pronti a lapidare qualsiasi persona che non proferisca giudizi pienamente eulogistici sul sequel del film di Ridley Scott. Così, per il solo fatto di non amare in modo viscerale e incondizionato quest'opera, mi pongo nella condizione di un uomo che faccia irruzione in una chiesa gremita nella Brianza ottocentesca urlando bestemmie atroci. Oppure, per rendere ancora più efficace l'idea, verrei a trovarmi nei poco invidiabili panni di un uomo che entrasse in una moschea trascinando la carcassa di un porco, calzando per giunta scarponi sporchi di feci grasse. Questo è un film introspettivo da guardare così, per la sua sublime estetica, senza porsi troppe domande sulla sua sensatezza. Come uno viene meno a questo saggio consiglio, ecco che tutto si sfalda e crolla come un castello di carte. Non avrei mai pensato che in tutta la mia esistenza avrei visto qualcosa di simile, in cui il capolavoro convive la nullità, il genio con la banalità, il tutto in un miscuglio chimerico. Forse un giorno, quando rivedrò il film, riuscirò a guardarlo con occhi meno critici. Quel giorno tuttavia sembra ancora lontano.


Un generatore di paradossi

L'annoso problema della riconoscibilità dei replicanti è stato maldigerito da Villeneuve, che se ne esce con trovate paradossali e intrinsecamente contraddittorie. Quando K. analizza i resti di Rachel, ne riconosce la natura con un semplicissimo sistema ottico: tramite un microscopio riesce a scorgere una sigla incisa su un osso, un marchio di fabbrica, proprio come la firma che un famoso chirurgo britannico ha inciso sui fegati da lui trapiantati. Viene detto qualcosa come "un tempo non era facile riconoscere i replicanti", battuta che il regista ha concepito per pararsi il culo e avere qualche libertà. Vediamo di capirci. Ci sarebbe stato un gigantesco blackout e la società avrebbe subìto un vertiginoso crollo tecnologico - eppure avrebbe saputo concepire un sistema comodo per identificare otticamente i replicanti, quando prima del collasso, con una tccnologia superiore, tutto sarebbe stato più difficile? Sarebbe credibile tutto questo? Inoltre, cosa avrebbe spinto la Tyrell Corporation a incidere quelle lettere sulle ossa dei replicanti, se nessuno avesse saputo individuarle con sistemi ottici? Contraddizioni su contraddizioni, incapacità lampante di gestire il problema. Già nel film di Scott le cose non erano molto chiare, come ho avuto modo di spiegare nella recensione da me pubblicata a suo tempo. Poche idee e confuse. L'inutilità del complesso test di Voight-Kampff era già lapalissiana. Al peggio sarebbe bastata l'ordalia già in uso tra i Germani, dal momento che un replicante può immergere una mano nell'acqua bollente senza scottarsi. Per l'umano che si scotta, sarebbe un male minore da tollerarsi e da curare con un po' di crema PREP. Molto più economico di qualsiasi indagine psicologica dell'ozzac! I paradossi non si fermano qui, con buona pace dei fan. Alla Tyrell Corporation sarebbe stato facilissimo inserire nel corpo dei replicanti una qualsiasi caratteristica per permetterne il riconoscimento istantaneo, e sarebbe stato anche oltremodo conveniente. E c'era bisogno di tutto questo ambaradan? L'intero mondo dei replicanti si poggia sulle sabbie mobili!  


Il sorprendente gelo di Deckard

Quando Niander Wallace offre a Deckard un clone di Rachel per ottenere le informazioni cercate, sperando di mettere in crisi l'ex Blade Runner, questi reagisce in modo implacabile. Osserva la replicante plasmata come colei che ha amato e infine commenta: "Aveva gli occhi verdi". Così la malvagia Luv afferra una pistola, la punta al cranio della pseudo-Rachel e la fulmina, facendo fuoriuscire fiotti di sangue misto a materia cerebrale. Deckard rimane assolutamente impassibile. Nessuna reazione. Ora, pensiamoci per un attimo. Se qualcuno mi presentasse il clone della donna che ho amato, ne rimarrei sconvolto e cadrei in ginocchio, in preda a emozioni devastanti, a una sofferenza acutissima. Potrei anche avere un infarto e rantolare lì ai suoi piedi. Se riuscissi a sopravvivere, e vedessi un'aguzzina carogna fare del male al clone, le salterei addosso anche disarmato e la prenderei a zampate, ruggendo come un leone, anche a costo di beccarmi una pallottola. Direi che dal punto di vista narrativo, questa vicenda incongrua parrebbe un mero pretesto per riesumare la figura di Rachel, quasi un cameo pensato per far contente le torme pressanti di fan in preda all'isteria. Prevengo una possibile obiezione. No, l'impassibilità di Deckard di fronte alla soppressione della pseudo-Rachel non può essere presa come una prova della sua supposta natura di replicante privo di empatia, come si vedrà meglio nel seguito. 


Grotteschi trapianti da Dune 

Siamo franchi, ragazzi: a cosa servirà mai quell'inconsistente movimento messianico di femministe calve e di beduini coperti di stracci che sembra cagato dal culo del Muad'Dib? Tutto ricorda l'abominevole Arrakis (si capirà, il mio è il punto di vista di un genuino Harkonnen): Bene Gesserit frammiste a Matres Onorate, a Fremen e a svariata fauna similare, tutti osannanti alla Replicante Feconda che piacerebbe anche a Jorge Pompeo Bergoglio, il moderno apostolo della produzione illimitata di feti. Villeneuve avrebbe ben potuto fare a meno di evocare simili scenari senza la capacità necessaria alla loro gestione. Si può capire ciò che ha fatto soltanto alla luce della sua notoria ossessione per Dune, il capolavoro di Frank Herbert tradotto in pellicola da David Lynch. La sua è una passione totalizzante, che avrà come frutto un nuovo adattamento cinematografico della ponderosa saga fantascientifica. Spero che questa volta riesca a fare qualcosa di degno, anche se va detto che non sarò soddisfatto finché non avrò visto gli Harkonnen trionfare! Il punto è che tutto ciò non ha nulla a che fare con il film di Scott e ancor meno con l'opera di Phillip K. Dick. Villeneuve fa comparire il movimento di ribellione herbertiano e lo fa scomparire prima ancora che lo spettatore possa riuscire a capire a fondo la portata di ciò che i suoi occhi hanno visto. Per questo motivo si ha la netta sensazione di un elemento estraneo innestato a viva forza in un tessuto che potrebbe dare origine a una reazione di rigetto da un momento all'altro. La parola "xenotrapianto" non potrebbe essere usata in un contesto più adatto di questo!


La scadenza dei replicanti

Come ormai sanno anche i muri, i replicanti prodotti dalla Tyrell Corporation, che abbiamo visto nel film di Scott, avevano una data di scadenza. Tutti, con l'unica eccezione di Rachel. Erano programmati per durare poco e proprio questo rende possibile il pathos che innerva la pellicola. Tutto sommato si trattava di un vulnus non da poco, solo che nessuno se ne rese conto a quei tempi. Il primo a farlo fu il carissimo amico P., che dopo aver rivisto Blade Runner per l'ennesima volta, all'improvviso espresse così le proprie perplessità: "Me c'era proprio bisogno di fare tanto casino? Se tanto i replicanti erano in scadenza, potevano anche lasciarli in pace: sarebbero comunque morti tutti spontaneamente e a breve. Avrebbero potuto almeno rendere drammatica la situazione mostrando replicanti intenzionati a compiere un attentato a una centrale nucleare, tanto per giustificare una simile caccia. Ma così non si capisce che senso possa avere!". Un'obiezione che mi sembra ben fondata, anche se i fan non saranno d'accordo. Lo so, rischio di ritrovarmi con minacce di morte già soltanto per aver riportato l'aneddoto. Però le cose non cambiano, stanno proprio così. Con ogni probabilità Villeneuve lo ha capito e ha cercato di trovare un escamotage in grado di sanare questo vulnus, di nasconderlo come un topo morto sotto al tappeto. Così ha immaginato una nuova generazione di replicanti senza scadenza, che hanno sostituito i vecchi modelli. Non so se sia stata comunque una grande idea, ma penso che sia riuscita almeno in parte nell'intento. La morale di tutto ciò è semplice e diretta: quando si manipolano trame complesse, poi si rischia di perderne il controllo.


Il Demiurgo

Non possiamo tralasciare un personaggio di grande importanza e senza dubbio profetico: Niander Wallace, il creatore dei replicanti. Inquietante e diabolico, questo essere non è senza dubbio un semplice uomo. Egli rappresenta sulla Terra l'intelligenza malvagia che governa l'Universo, ne è un plenipotenziario. Si potrebbe benissimo definirlo Arcidiavolo. Il suo potere è assoluto e masse di schiavi lo servono, consumando le loro vite per edificare il suo impero. Niander Wallace giunge al punto di torturare e uccidere le sue creature per puro divertimento, perché per lui la vivisezione è un genere voluttuario, qualcosa di inebriante da assaporare secondo dopo secondo. La vita di un replicante, come di un umano uscito dall'utero, non vale nulla ai suoi occhi: ne può disporre come meglio crede. Se spezzarla gli porta in tasca anche soltanto un centesimo in più, o se soltanto turba i suoi pensieri, lui la spezza. Le origini di un simile mostro sono proprio sotto i nostri occhi. Il neoliberismo crea l'humus necessario al loro emergere. Certo, personaggi come Mark Zuckerberg ed Elon Musk sembrano distanti mille miglia dal folle Niander Wallace. La gente li adora perché dice che sono ottimisti, gioviali, amanti della vita e soprattutto animati da grandi sogni, in una parola sono "solari". Già il sinistro Jeff Bezos è molto meno simpatico. Freme dalla voglia di introdurre un duro servaggio e non lo nasconde nemmeno. Prima o poi, grazie a simili concentrazioni di potere, si affermerà un carnefice le cui opere aberranti faranno maledire a centinaia di persone il giorno del proprio concepimento. Questo lo posso dire per certo.  


Una perdita irreparabile

Joi, la ragazza olografica, è per K. la sola compagnia, il solo essere con cui interagire. È come una specie di angelo custode, qualcosa che salverebbe dalla disperazione urbana moltissime persone. Capace di dare un immenso sostegno morale, emotivo e persino erotico, è un gran progresso rispetto a un animale da compagnia o alla mano amica. A un certo punto la vediamo addirittura torreggiare sul protagonista come un ologramma gigantesco dai colori sgargianti, una visione che sembra venire dalla zona di confine tra la vita e la morte. Quando viene uccisa, abbiamo l'impressione che si sia consumata un'iniquità spaventosa. K. all'improvviso non ha più nessuno, è diventato un'isola alla deriva nelle profondità cosmiche, come un atomo di idrogeno sperduto in un abisso vuoto lontano da ogni galassia. Nulla potrà rendere un qualche senso alla sua esistenza, che si avvia così al solipsismo, all'agonia e al trapasso. Certo, si dirà, Joi in fondo è soltanto una macchina, una coscienza simulata, una rete neurale in grado di apprendere. Si ha tuttavia l'impressione che sia un essere senziente come una persona fatta di carne, di sangue e di ossa. Una persona che, una volta annientata, non potrà più essere sostituita.   

 

Climax interruptus 

Ho provato una grandissima delusione quando si spezza la tensione e risulta che non è K. il figlio di Rick Deckard. Non che io sia un amante delle trame romantiche e sdolcinate. Ho avuto l'impressione che sia stato fatto un grande investimento sulla figura del Blade Runner del LAPD e sul suo rapporto col presunto padre, Deckard, e questo solo per far finire tutto nello scarico del cesso, proprio dentro allo sterco. Mi si perdonino i ricorrenti francesismi. Ecco che tutto di colpo il nostro K. non è più nessuno e può esser lasciato morire così, di una morte senza senso né costrutto,  con il solo vantaggio di spirare in mezzo alla neve anziché in mezzo agli escrementi. Il punto è che la rivelazione del fatto che il tale è figlio del tal altro è ormai vecchia come il cucù. Quindi si cerca con ogni mezzo di far sospettare una stretta parentela tra personaggi problematici al solo scopo di smentirla nel modo più secco. Può anche sembrare una strategia efficace. Il prezzo da pagare è comunque altissimo. Un film diventa all'improvviso un nulla. Collassa, implode. La stessa figlia di Rachel e di Deckard, la dottoressa Ana Stelline, è un personaggio vuoto, nemmeno abbozzato, futile, poco più di un disegno fatto con lo spray sulle macerie di un palazzo abbandonato da decenni.

 

Risolto il problema della natura di Deckard

Possiamo dirlo per certo: Rick Deckard non è un replicante. Partiamo da un fatto molto semplice: egli è riuscito a ingravidare Rachel, un evento ritenuto estremamente improbabile. Se così non fosse, la gravidanza delle replicanti femmine sarebbe stata una cosa normale e osservata tutti i giorni. I replicanti sono descritti come sterili. Se è già eccezionale che un umano naturale possa mettere incinta una replicante femmina, le probabibilità che possa riuscirci un replicante maschio sono quindi enormemente minori. Infatti le probabilità si moltiplicano e numeri piccolissimi, compresi tra 0 e 1, una volta moltiplicati tra loro diventano ancora più piccoli. Così 0,5 (1/2) moltiplicato per 0,5 (1/2) dà 0,25 (1/4). Non siamo lontani dal vero dicendo che possiamo considarare in pratica impossibile che lo sperma di Deckard avrebbe potuto fertilizzare Rachel, se entrambi fossero stati umani artificiali. Come se non bastasse, un Deckard replicante sarebbe stato un vecchio modello... e sarebbe scaduto. Questo solleva una questione a mio avviso non trascurabile. In una delle tante versioni del film di Scott era emersa una memoria singolare, il sogno di un unicorno bianco, che trovava riscontro nel ritrovamento di un origami a forma di unicorno, suggerendo proprio la possibilità che il famosissimo Blade Runner interpretato da Harrison Ford fosse a sua volta un replicante. Infatti è risaputo che negli umani non si registrano simili fenomeni. Potremmo pensare che Villeneuve abbia abbandonato questa traccia per inserire la vicenda grottesca e improbabile di una messianica Rachel procreatrice. L'idea di una discontinuità biologica che avrebbe segnato l'avvento di nuove tipologie di replicanti, questa volta fecondi, deve essergli parsa più promettente. Per concludere, l'idea di un Deckard replicante inconsapevole proprio non si sarebbe retta in piedi. Un replicante ha una forza considerevole e poteri straordinari, come quello di non ustionarsi. Una persona che fosse un replicante se ne accorgerebbe per necessità constatando di cosa il proprio corpo è capace e facendo qualche calcolo. 

Altre recensioni e reazioni nel Web: 

Consiglio innanzitutto di leggere i fondamentali articoli del carissimo amico Giovanni De Matteo, apparsi sul sito Fantascienza.com:




Giovanni è rimasto molto colpito da questo film e riesce a irradiare un immenso entusiasmo, dando vita a scritti che sono una vera miniera di informazioni e di riflessioni profonde. Li ho letti con molto piacere, anche se non sono rimasto folgorato sulla via di Damasco guardando le sequenze di Villeneuve.

Si possono trovare alcune considerazioni di un certo interesse nella recensione negativa Blade Runner 2049 o dell'insostenibile pesantezza dell'irrilevanza, di Roberto Recchioni, apparsa su Screenweek.it:


Purtroppo il testo di Recchioni ha attirato l'ira di alcuni commentatori fanatici, adoratori incondizionati dell'opera di Villeneuve, tanto aggressivi da far sembrare miti come agnelli persino i Talebani. In fondo siamo in Italia: pur di linciare moralmente qualcuno, si inalberano con prontezza le più bizzarre e impensabili bandiere.

Questa recensione di Simone Stefanini è apparsa su Dailybest.it:


Come si può vedere, è più che altro incentrata sui risvolti tecnici e sugli attori. Di certo potrà soddisfare i feticisti dei dettagli, anche se i contenuti filosofici e antropologici sembrano fare un po' difetto.

Decisamente più positiva è la recensione di Luca Liguori, apparsa su Movieplayer.it:


Interessante è anche quest'altro articolo di Giuseppe Grossi, Blade Runner: 10 intuizioni di un capolavoro non replicabile, sempre su Movieplayer.it


Il tema portante è lo scetticismo sostanziale sulla stessa possibilità di realizzare un sequel di un qualche valore dell'opera di Ridley Scott.